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L’IDONEITA’ DEL “DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI”: ANCORA SULL’INCIDENTE FERROVIARIO D

La prova dell’idoneità del modello di organizzazione e gestione

3. L’IDONEITA’ DEL “DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI”: ANCORA SULL’INCIDENTE FERROVIARIO D

VIAREGGIO

244 A. AITA, L’elusione fraudolenta consumata: indice di validità del modello o mera

clausola esimente?, in Responsabilità amministrativa delle società, 2015, p. 258

245 La dottrina ha illustrato come «la rappresentazione delle probabilità che una

concreta fattispecie di reato possa insorgere in un determinato segmento produttivo affonda (…) in una palude senza orizzonte di sigle (“crocette”, diagrammi multicolori, “lenzuolate” alfanumeriche di software informatici, stucchevoli percentuali statistiche), dove capita di imbattersi in mappature eseguite prendendo come riferimento intere famiglie di reati 8corruzione, delitti informatici, societari, ambientali) e non le singole figurae criminis che potrebbero manifestarsi» in A. BERNASCONI, «Razionalità» e «irrazionalità» della cassazione in tema di idoneità dei modelli organizzativi, in Diritto penale e processo, 2014, p. 1438

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Nel caso dell’incidente ferroviario di Viareggio, il Collegio giudicante ha avuto modo di esprimersi sull’attuazione delle “doverose cautele organizzative e gestionali idonee a prevenire i reati del tipo di quello realizzato”, con chiaro riferimento dunque all’art. 6 comma I lettera a). Anche in questo caso, interviene il concetto di “colpa di organizzazione”, intesa come “mancata adozione di specifici modelli comportamentali diretti ad impedire la commissione di determinati reati, ovvero nella omessa o insufficiente vigilanza sul rispetto dei medesimi da parte degli organismi dotati di poteri di controllo”246.

Facendo esplicito riferimento alla sentenza 36083/09 della Suprema Corte247, innanzitutto il Collegio individua un passaggio che riconosce in maniera chiara e netta l’inversione dell’onere della prova (vedi retro), salvata dalla Cassazione grazie alla riconduzione alla natura amministrativa della responsabilità degli enti disegnata all’interno del decreto 231/01; addirittura, da ciò scaturirebbe un principio, derivato dalla lettura combinata degli artt. 5 e 6, secondo cui, se il reato-presupposto viene compiuto da soggetti apicali248, l’unica

246 Trib. Lucca, sent. n. 222/17, p. 1002

247 Cass., Sez. VI, n. 36083/09: «Originano da questi assunti le inversioni dell’onere

della prova e le previsioni probatorie di cui all’art. 6 del D. Lgs. e specificamente la necessità che l’ente fornisca innanzi tutto la prova che l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e gestione idonei a tal fine. (…) La mancata adozione di tali modelli, in presenza dei presupposti oggettivi e soggettivi sopra indicati (reato commesso nell’interesse o vantaggio della società e posizione apicale dell’autore del reato) è sufficiente a costituire quella “rimproverabilità” di cui alla relazione ministeriale al decreto legislativo e ad integrare la fattispecie sanzionata, costituita dall’omissione delle previste doverose cautele organizzative e gestionali idonee a prevenire talune tipologie criminose.»

248 La Cassazione ha precisato nella sopra menzionata sent. 36083/09 che un diverso

regime è applicato nei casi previsti dall’art. 5 comma I lett. b) del Decreto (reati commessi da soggetti subordinati)

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ipotesi di esclusione della responsabilità dell’ente è quella di aver previsto i modelli organizzativi e di gestione249.

Gli stessi modelli svolgono un ruolo di fondamentale importanza all’interno dell’assetto normativo descritto; in particolare, il Collegio ne sostiene la rilevanza non soltanto ai fini della funzione preventiva rispetto ai reati-presupposto, ma anche rispetto alla preventivazione delle sanzioni all’interno dei bilanci aziendali: secondo quella che è la prassi economica in uso, infatti (e come già affermato in precedenza), gli enti inserirebbero all’interno del bilancio aziendale i costi previsti delle sanzioni nei casi di commissione di illeciti amministrativi. I modelli di organizzazione – secondo quanto affermano i giudici – mirerebbe ad evitare queste pratiche, studiate

funditus dalla c.d. Law & Economics250, e a convertire voci di bilancio

occultate in voci di bilancio chiare nella previsione dei costi degli strumenti modellistici di organizzativi e di gestione251.

Oltre alle funzioni di tali modelli, si specifica all’interno della sentenza che questi debbano essere “efficacemente attuati”252: solo se

essi hanno il crisma dell’efficacia si può attribuire agli stessi la capacità esimente per il quale sono preposti. E’ altresì vero che questa

249 Cass., Sez. VI, n. 36083/09: «In conclusione, dall’esame del D. Lgs. n. 231/01 e

particolarmente dagli artt. 5 e 6, scaturisce il principio di diritto secondo cui l’ente che abbia omesso di adottare e attuare il modello organizzativo e gestionale non risponde per il reato commesso dal suo esponente in posizione apicale soltanto nell’ipotesi di cui all’art. 5.2 D. Lgs. cit..»

250 Si veda a tal proposito L. A. FRANZONI, Introduzione all’economia del diritto,

Bologna, 2003

251 Trib. Lucca, sent. n. 222/17, p. 1003: «Nel caso di specie, rappresenterebbe una

spinta a considerare le sanzioni una sorta di “costo necessario” dell’impresa, non evitabile, ma preventivabile secondo i consueti criteri di bilancio (…). Viceversa, ancorare il rimprovero dell’ente alla mancata adozione ovvero al mancato rispetto di standard doverosi, significa motivarlo all’osservanza degli stessi, e quindi a prevenire la commissione di reati da parte delle persone fisiche che vi fanno capo»

252 Trib. Lucca, sent. n. 222/17, p. 1003: «(…) l’effettività rappresenta, dunque, un

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capacità risulta calibrata in modo differente a seconda dell’autore del reato, apicale o sottoposto; e proprio nell’incidente ferroviario di Viareggio entrambe le categorie previste dall’art. 5 del d. lgs. 231/01 si sono rese autrici dei reati loro ascritti253.

Dopo le necessarie indicazioni generali, i membri dell’organo giudicante si sono interpellati sull’idoneità dei modelli di organizzazione e gestione attuati dagli enti collettivi nel caso di specie; in particolare, si richiama all’interno delle motivazioni l’art. 30 del d. lgs. 81/08 (Testo Unico in materia di Sicurezza sul Lavoro), il quale indica analiticamente i requisiti strutturali che il modello deve rispettare, proprio al fine di prevenire i reati previsti nell’art. 25 septies del decreto 231 (omicidio colposo e lesioni)254.

Il sindacato di idoneità, cui sono stati chiamati i giudici, si è concentrato sull’analisi di un documento particolare, ossia il documento di valutazione dei rischi255.

Ebbene, grazie alla “nutritissima produzione documentale delle difese”, si è avuto modo di comprendere come le società coinvolte non avessero mancato di affrontare ante factum il tema della sicurezza, né di adottare il modello di organizzazione e gestione previsto dal d. lgs. 231/01, il quale è risultato aggiornato al febbraio 2009 per RFI Spa ed al giugno 2008 per Trenitalia Spa; il punctum dolens, tuttavia, risiedeva proprio nell’idoneità degli stessi256. In particolare, viene

253 Trib. Lucca, sent. n. 222/17, p. 1004

254 Trib. Lucca, sent. n. 222/17, p. 1005: «Con questa disposizione, infatti, è stato

disegnato un modello organizzativo “su misura”, dove si tratti di prevenire il reato di omicidio colposo e quello di lesioni gravi o gravissime commessi violando la normativa sulla salute e sicurezza dei luoghi di lavoro»

255 Trib. Lucca, sent. n. 222/17, p. 1006: « [il documento di valutazione dei rischi]

costituisce il principale elemento di supporto del c.d. modello 231, contenendo – da un lato – la mappatura dei rischi nell’ambiente di lavoro e – dall’altro – le misure idonee a governare tali rischi, sì da eliminarli o ridurli.»

256 Trib. Lucca, sent. n. 222/17, p. 1006: «(…) sia RFI Spa che Trenitalia Spa [hanno]

adottato modelli di organizzazione, gestione e controllo tutt’altro che idonei a prevenire reati della stessa specie di quelli verificatisi.»

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specificato come all’interno del documento chiamato a mappare i rischi dell’attività svolta dalle società non comparisse una compiuta valutazione delle possibilità di incidenti legati al trasporto ferroviario e ad episodi di deragliamento: ciò di cui vengono incolpate le società è dunque una “omissione di una valutazione di carattere generale dei rischi connessi al trasporto ferroviario”257.

Le conclusioni che si possono trarre alla fine di questa drammatica e complessa vicenda riportano alla mente i dubbi, espressi in precedenza, già propri della maggior parte della dottrina: i principi scaturenti dal dettato costituzionale paiono forzati spesso e volentieri dall’organo giudicante, alla luce di indirizzi sempre più consolidati della Cassazione che confermano tali forzature; ed oltre a questo, il concetto di idoneità del modello pare ancora una volta in bilico tra il carattere della doverosa completezza, e quello della “divina onniscienza”.

3. IL CASO “IMPREGILO” E LA NUOVA DEFINIZIONE DI