La prova dell’idoneità del modello di organizzazione e gestione
6. LA CERTIFICAZIONE E LA PERIZIA SUL MODELLO
in occasione della discussione del bilancio, anche se non è indicata nell'elenco delle materie da trattare, quando si tratta di fatti di competenza dell'esercizio cui si riferisce
il bilancio.
L'azione di responsabilità può anche essere promossa a seguito di deliberazione del collegio sindacale, assunta con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti . L'azione può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell'amministratore
dalla carica.
La deliberazione dell'azione di responsabilità importa la revoca dall'ufficio degli amministratori contro cui è proposta, purché sia presa col voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. In questo caso l'assemblea stessa provvede alla
sostituzione degli amministratori.
La società può rinunziare all'esercizio dell'azione di responsabilità e può transigere, purché la rinunzia e la transazione siano approvate con espressa deliberazione dell'assemblea, e purché non vi sia il voto contrario di una minoranza di soci che rappresenti almeno il quinto del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, almeno un ventesimo del capitale sociale, ovvero la misura prevista nello statuto per l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità ai sensi dei commi primo e secondo dell'articolo.
285 D. PIVA, Il sistema disciplinare nel d. lgs. 231\2001: questo «sconosciuto», op.
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Nella fase del controllo sul modello, definito come “momento di verifica del precetto dell’adeguatezza”286, si possono ricavare gli
elementi della responsabilità derivante da inadeguatezza organizzativa. Da tali elementi, occorre ribadire, non è possibile far derivare una responsabilità dell’ente in via automatica, in caso di commissione di fatti rientranti nell’elenco dei reati-presupposto da parte di apici o subordinati, occorrendo altresì una valutazione “in concreto”.
L’ente si trova dunque di fronte all’impossibilità di individuare ex ante regole valide in chiave cautelare, in grado di tracciare i confini esatti del livello di prevenzione, del quale la persona giuridica deve dotarsi.
La prassi e la dottrina hanno in qualche modo cercato di aggirare tale impossibilità, tramite lo strumento della “certificazione del modello” e della “validazione preventiva”: in tal caso, il procedimento che giunge a rendere a priori valido il modello sarebbe un ausilio al giudice, poiché fornirebbe un percorso di accertamento scelto dal certificatore e criteri di valutazione già da questo adottati; una traccia ben precisa, insomma, da seguire per perfezionare la decisione. La stessa traccia, tuttavia, non sarebbe d’impedimento al libero sindacato del giudice sulla modellistica, in quanto questo valuterebbe sia la “regolarità” dell’attestazione sia anche l’effettiva adozione del modello, in sintonia con il progetto organizzativo e di gestione287.
Unico requisito che si pone è quello dell’indipendenza del certificatore, «prerogativa funzionale alla attendibilità del suo operato
286 V. BUONOCORE, La responsabilità da inadeguatezza organizzativa e l’art. 6 del d.
lgs. 231 del 2001, in Giurisprudenza commerciale, 2009, p. 179-180
287 A. FIORELLA – N. SELVAGGI, Compliance programs e dominabilità aggregata del
fatto. Verso una responsabilità da reato dell’ente compiutamente personale, Relazione al Congresso italo-spagnolo svoltosi presso l'Università degli Studi di Milano il 29 e 30 maggio 2014, p. 117-118
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e, soprattutto, della impossibilità di ricavare dalla stessa vincoli per il convincimento del giudice»288.
Un simile risultato non è stato condiviso dalla maggior parte della dottrina; il modello certificato, infatti, assurgerebbe a “vera e propria [prova] legale”289. Ciò sarebbe già di per sé inaccettabile, ed
esporrebbe (secondo tale dottrina) a censure di incostituzionalità il sistema con cui viene accertata la responsabilità della società, derivante da reato. Unica possibile concezione di un tale strumento sarebbe quella attinente ad un sistema di valutazione flessibile del modello stesso, il quale rappresenti una sorta di presunzione di idoneità del modello; in tal caso il giudice avrebbe un onere di motivazione rafforzato, nel caso ritenga di censurare l’attestazione fatta in precedenza.290
Si sottolinea, ancora, che la valutazione operata sulle regole di cautela nel modello di organizzazione avrebbe come base teorica un criterio astratto, opposto in toto a tutta l’impostazione della capacità esimente del modello ex Decreto 231: infatti, si ripete, il sistema di prevenzione dei reati adottato dall’ente si regge su un criterio “concreto”, su un operare “concreto” rispetto ad un illecito che si è verificato in “concreto”. Alla delega all’ente della definizione delle regole di prevenzione, farebbe seguito una privatizzazione del giudizio in merito all’efficacia del modello di organizzazione e gestione; non avrebbe alcun senso sottrarre al giudice il complessivo giudizio del “comportamento” dell’ente stesso ed affidarlo ad un soggetto privato,
288 D. GALLETTI, I modelli organizzativi nel d. lgs. n. 231 del 2001: le implicazioni
per la corporate governante, in Giurisprudenza commerciale, 2009, p. 132
289 D. CIMADOMO, Prova e giudizio di fatto nel processo penale a carico degli enti,
op. cit., p. 256
290 G. FIDELBO, L’accertamento dell’idoneità del modello organizzativo in sede
giudiziale, p. 193, in AA. VV., La responsabilità da reato degli enti collettivi: a dieci anni dal d. lgs. 231\2001, a cura di A. M. Stile-V. Mongillo-G. Stile, Napoli, 2013
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visto anche che al giudice penale non può in alcun modo essere sottratta la valutazione sulla “colpa di organizzazione”291.
In realtà, non dovrebbe essere demandato né alla prassi né alla dottrina il compito di delimitare le regole cautelari in merito al modello: una valutazione “anticipata” della idoneità di questo, infatti, si traduce in sostanza in una prognosi di giudizio favorevole del giudice, e non in una concreta attuazione delle regole di cautela previste. Dovrebbe essere riservata al legislatore la valutazione del momento “critico” che, attraverso l’esatta definizione di norme ad hoc, traccia i confini esatti del livello di prevenzione del quale si dota l’ente.
Seguendo la teoria che ammette la certificazione del modello, si finisce paradossalmente per amplificare la discrezionalità dell’organo giudicante, la quale non verrebbe arginata da alcuna “motivazione rafforzata” della censura al modello certificato: all’immutata incertezza sull’idoneità della prevenzione, si aggiungerebbe una ulteriore incertezza in sede di certificazione292.
Autorevole dottrina ha anche sottolineato come la certificazione del modello, intesa come una valutazione “rigida”, mina alla base il diritto di difesa dell’ente: in ragione dell’affidamento da questo riposto nella validazione preventiva, si «incide inevitabilmente sull’attuazione in concreto della regola cautelare e, quindi, sull’esercizio del diritto alla prova nell’eventualità che si instauri un procedimento penale»293.
Altra questione, che si pone con riferimento alla validazione preventiva, attiene al metodo di validazione stessa: si rende infatti scontato il ricorso all’attività di un perito da parte dell’organo
291 Per tutti G.M. FLICK, Le prospettive di modifica del d. lgs. n. 231\2001, in materia
di responsabilità amministrativa degli enti: un rimedio peggiore del male?, in Cassazione penale, 2010, p. 4032 e ss.
292 G. FIDELBO, L’accertamento dell’idoneità del modello organizzativo in sede
giudiziale, op. cit., p. 193
293 D. CIMADOMO, Prova e giudizio di fatto nel processo penale a carico degli enti,
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giusdiciente, al fine di valutare il lavoro di colui che ha certificato il modello. Quest’ultimo, in particolare, dovrebbe partecipare al processo in via necessaria, vestendo i panni del testimone, in merito alle circostanze della redazione del modello e dell’adozione delle regole di cautela specificamente adottate; oppure, vestendo i panni di consulente tecnico, sull’elaborato che si troverebbe costretto a redigere per esplicare il lavoro fatto per conto della società.
Il momento della preparazione del modello pare, insomma, eccessivamente pregnante e, se si vuole, inutile, dato che la verifica dell’adozione in concreto delle regole di cautela andrebbe comunque effettuata294.
A dispetto di queste considerazioni sulla certificazione degli strumenti modellistici, la prassi registra sempre di più un incremento del ricorso alla consulenza tecnica o alla perizia; un simile fenomeno è giustificato pienamente alla luce dell’alto contenuto tecnico che presenta la materia. Si pensi, soltanto a titolo esemplificativo, alla legge 18 marzo 2008, n. 48, che ha ratificato la Convenzione di Budapest sulla criminalità informatica, e che ha apportato varie modifiche ai codici sostanziale e di rito penali, al codice della privacy, ed ha introdotto, all’interno del Decreto 231, l’art. 24 bis, inserendo in esso una serie di reati informatici, i quali abbisognano di particolari protocolli per essere prevenuti: per il giudizio di idoneità su di essi non potrà che essere disposta una perizia.
La giurisprudenza295 ha aperto le porte alle perizie sui modelli, affermando in particolare che è ammesso al giudice per le indagini preliminari nominare un perito al fine di valutare l’idoneità alla prevenzione dei reati di un modello organizzativo aziendale, adottato
294 Si ravvisa altresì un probabile sacrificio dell’oralità del processo: cfr. D.
CIMADOMO, Prova e giudizio di fatto nel processo penale a carico degli enti, op. cit., p. 258
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dalla società indagata dopo la commissione del fatto e invocato per evitare l’applicazione di misure cautelari interdittive.
Una delle prime perizie che la dottrina ha avuto modo di esaminare, è stata disposta dal Tribunale di Bari, in merito all’applicazione di una misura cautelare interdittiva dell’esercizio dell’attività per sei aziende farmaceutiche296. Ad essere contestata era
la prassi di dare ai medici somme di denaro in cambio di prescrizioni di farmaci propri delle ditte, anche laddove non fossero necessari al paziente.
Le società indagate dunque, durante l’udienza fissata ex art. 47 del Decreto, depositavano i modelli organizzativi, chiedendo la sospensione della misura cautelare ex art. 49. Il giudice chiamato a decidere sull’idoneità procedeva fissando una perizia collegiale che accertasse l’idoneità dei modelli suddetti, sia laddove esistenti ante factum sia per quelli postumi.
Al di là dell’esito processuale a cui si è pervenuti nel caso di specie, è interessante il fatto che i modelli stessi, per essere considerati idonei, avrebbero dovuto essere adattati a quanto affermato dai periti; infatti, le valutazioni che questi hanno elaborato si sono sostanziate in una inadeguatezza «a fronteggiare gli specifici rischi-reato, connessi alla commercializzazione dei farmaci». Le lacune in particolare riguardavano:
1)la carenza di un efficace sistema di disvelamento degli illeciti e delle violazioni del modello;
2)una attività di formazione svolta senza la necessaria intensità, ritenuta “indispensabile” dai periti;
3)un organismo di vigilanza monocratico, «promiscuamente compenetrato in una diversa funzione aziendale, privo dei necessari requisiti di autonomia e indipendenza ed incapace, strutturalmente, di
296 Più precisamente in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2010, p. 1434:
le sei aziende sono state indagate per truffa aggravata e corruzione commessa da apicali e subordinati.
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dispiegare una soddisfacente capacità operativa nei diversi settori investiti dall’entrata in vigore del decreto»;
ed altri punti deboli nelle procedure operative.
I modelli erano in sostanza uno scudo inesistente rispetto al pericolo di pactum fraudis con i medici, elemento che veniva utilizzato per perseguire sostanzialmente finalità economiche e di mercato; lo stesso documento peritale riporta che «gli eventi addebitati all’ente costituivano la realizzazione dello specifico rischio che l’adozione di valide ed adeguate cautele avrebbe consentito di contenere».
Oltre al tema dell’idoneità affrontata in tale sede, ai periti veniva richiesta una valutazione in merito all’efficace attuazione del modelli, posta in relazione con la natura, le dimensioni nonché i tipi di attività svolta; la risposta è stata la seguente: «la circostanza che soltanto nel marzo/aprile 2007 il processo di implementazione si sia sufficientemente stabilizzato non consente di esprimere una valutazione definitiva, visto che l’apprezzamento dell’effettività del sistema avrebbe richiesto un ulteriore periodo di osservazione rispetto ai tempi dell’accertamento peritale. Tuttavia, il Collegio è dell’avviso che lo sforzo di adeguamento, manifestato dalla società, sia tale da legittimare una prognosi favorevole sia in ordine all’effettivo svolgimento delle funzioni di controllo e di vigilanza che sul rispetto delle procedure in vigore».
La conclusione che può essere tratta non può che guardare positivamente allo strumento peritale utilizzato in tema di valutazione dell’idoneità dei modelli di organizzazione e gestione; il giudice deve ben opportunamente lasciare lo spazio agli “addetti ai lavori” per l’alto tecnicismo che può avere una certa materia, e per la mancanza di certezze assolute (forse impossibili da acquisire) in merito al concetto di “idoneità”.
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