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L’onere della prova nel processo agli ent

1. VERSO UNA “PROBLEMATICA” INVERSIONE DELL’ONERE DELLA PROVA: L’ART

1.1 LA RECENTISSIMA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI LUCCA

Uno dei casi che recentissimamente ha affrontato la questione dell’inversione dell’onere probatorio all’interno del decreto 231 ed, in particolare, all’art. 6, è stato proprio il caso dell’incidente ferroviario di Viareggio.

Senza addentrarci sulle motivazioni di fatto che hanno spinto i magistrati del Collegio giudicante ad emettere una sentenza di condanna nei confronti degli imputati, si nota che, all’interno delle motivazioni alla sentenza, pubblicate il 2 agosto 2017, l’ultima parte delle oltre mille pagine è dedicata propri alla responsabilità delle

giuridiche, ma compie una riflessione sulle strutture di senso elaborate dall’interpretazione e, comparandole, mira a scoprirne l’elemento sistematico, ossia la connessione secondo un principio»

154D. CIMADOMO, Prova e giudizio di fatto nel processo penale a carico degli enti. Il

difficile equilibrio tra difesa e prevenzione, op. cit., p. 188: «Il pericolo che il procedimento probatorio relativo all’accertamento dell’illecito amministrativo derivante da reato conosca «ingiustificate “scorciatoie giurisdizionali», impone la piena equiparazione dell’ente incolpato alla persona fisica imputata, anche in ragione della regola di trattamento, comune ai due soggetti, ricavabile dall’art. 27 Cost.». Ancora sul tema G. RANALDI, L’accertamento della responsabilità delle persone giuridiche, in AA. VV., La prova penale, vol. I (il sistema delle prove), Torino, 2008, p. 568: «convertire il fatto costitutivo della colpevolezza nel fatto impeditivo dell’innocenza è una plateale violazione del principio contenuto nell’art. 27 comma II, Cost.»

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società. Specificamente, il Capitolo XIII si apre con il paragrafo intitolato “Natura della responsabilità e rispetto dei principi costituzionali”.

La sentenza stessa recepisce immediatamente l’annosa questione, già presentata a suo tempo (vedi retro), sulla natura della responsabilità delle persone giuridiche, sollevata oltretutto dagli avvocati all’interno del processo155, e descrivendo le tre possibilità che

si profilano di fronte all’interprete. Riprendendo quanto già affermato sia dallo stesso legislatore all’interno della Relazione al decreto156, sia

dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Fisia Italimpianti)157, ed inquadrando il tertium genus come la soluzione prescelta, il Collegio si esprime anche con una ripresa del già citato caso Thyssenkrupp; in particolare, salta all’occhio quanto il Collegio condivide con la Suprema Corte, ossia che simili “dispute definitorie e classificatorie rimangono nell’ambito delle disquisizioni di impronta prevalentemente teoretica”.

Una tale affermazione, ripresa nella differente sede processuale, non può non configgere con le conclusioni a cui è arrivata la gran parte

155 Trib. Lucca, sent. n. 222/17, p. 971 : «E proprio nell’ottica di una preliminare

verifica della compatibilità della disciplina in esame con i dettami della Carta Costituzionale, vale la pena soffermarsi su una delle questioni alle quali hanno fatto cenno i difensori delle società imputate inerente alla natura della responsabilità degli enti collettivi introdotta dal decreto legislativo 231/01 per i reati commessi dai vertici aziendali o dai sottoposti, che sin dall’entrata in vigore della nuova disciplina ha richiamato l’attenzione degli studiosi.»

156 Trib. Lucca, sent. n. 222/17, p. 972

157 Trib. Lucca, , sent. n. 222/17, p. 973: «Ne è risultata un’architettura normativa

complessa che, per quanto farraginosa e – sotto taluni aspetti- problematica, evidenzia una fisionomia ben definita, con l’introduzione nel nostro ordinamento di uno specifico e innovativo sistema punitivo per gli enti collettivi, dotato di apposite regole quanto alla struttura dell’illecito, all’apparato sanzionatorio, alla responsabilità patrimoniale, alle vicende modificative dell’ente, al procedimento di cognizione e a quello di esecuzione, il tutto finalizzato ad integrare un efficace strumento di controllo sociale.»

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della dottrina già esaminata158; essa afferma chiaramente che la questione sulla natura della responsabilità degli enti è forse “la” questione, il punto interrogativo per eccellenza di tutto il decreto 231/2001, e rilegare la stessa nell’ambito delle “disquisizioni di impronta prevalentemente teoretica” appare non soltanto un atteggiamento ermeneutico riduttivo fino all’estremo, ma anche un tentativo mal nascosto di sopperire alle carenze di princìpi generali che legittimino la condanna di un ente ad una vera e propria pena. Sebbene l’evento abbia i caratteri del disastro, data la sua evidentissima tragicità, non è possibile per questo ribaltare regole massime dell’ordinamento, sancite a livello costituzionale, per esigenze non tanto special preventive, quanto a ben vedere retributive e vendicative. A seguire, il Collegio si appresta a fornire una serie di sentenze della Corte di Cassazione159, già citate in questa sede, che sgombrano il campo dai presunti dubbi di incompatibilità costituzionale. Seppure la motivazione fornisca una interpretazione ragionata sull’onere della prova, sostenendo la tesi che vede l’onus probandi gravare sull’organo dell’accusa in merito al reato-presupposto, non si tengono (ancora una volta) in considerazione altri elementi sistematici che farebbero presupporre la soluzione contraria, ossia una vera e propria inversione del gravame probatorio.

In primis, la Relazione al decreto ministeriale sfugge agli occhi dell’organo giudicante, proprio nel frangente in cui afferma testualmente l’esistenza, per reati commessi dagli apici, di un onere

158 T. PADOVANI, Diritto penale, X edizione, Milano, 2012; dello stesso autore Il

nome dei principi ed il principio dei nomi: la responsabilità “amministrativa” delle persone giuridiche, in G. DE FRANCESCO, La responsabilità degli enti: un nuovo modello di giustizia punitiva, op. cit.; V. MAIELLO, La natura (formalmente amministrativa, ma sostanzialmente penale) della responsabilità degli enti nel d. lgs. 231\2001: una «truffa delle etichette» davvero innocua?, in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, op. cit.

159 In particolare, il riferimento è a Cass., Sez. VI, n. 27735/2010, ed a Cass., Sez.

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probatorio invertito160. Tramite questo strumento, è la voce stessa del legislatore ad affermare che in effetti, seppure la dimostrazione del fatto illecito risulti a carico del Pubblico Ministero, sia comunque l’ente a doversi discolpare per primo, fornendo le prove in merito ai facta elencati nell’art. 6 del decreto.

A ciò fa seguito un ulteriore dato, in apparenza non visto dai giudici, ossia la differente declinazione dell’art. 7 sul medesimo tema: come può spiegarsi la divaricazione soggettiva di regole processuali sul tema dell’onere della prova (regole di dubbia costituzionalità per reati commessi dagli apicali, viceversa fisiologiche per i sottoposti)? La sentenza non dà spiegazioni in merito. Anche su tale punto, la Relazione al decreto, pronunciandosi, dà una motivazione che, come sottolineato in precedenza, risulta di difficile comprensione: si spiega una tale “normalizzazione” delle regole rituali sulla base della “gravità delle conseguenze suscettibili di prodursi in capo all’ente sul piano sanzionatorio”.

In conclusione, si può vedere nel caso dell’incidente ferroviario di Viareggio come le lacune della disciplina si riflettano poi, nella pratica, in goffi tentativi di svincolarsi dai principi generali della

160Relazione al d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231: «E' appena il caso di puntualizzare,

inoltre, che il fatto che la riforma sia calibrata la riforma su realtà organizzative complesse "a base manageriale orizzontale" non significa affatto complicare l'accertamento dell'illecito nel caso in cui il reato sia stato commesso da soggetti apicali nell'ambito di società a struttura più semplice. Ed infatti, la particolare qualità degli autori materiali dei reati ha suggerito al delegato l'opportunità di differenziare il sistema rispetto all'ipotesi in cui il reato risulti commesso da un sottoposto, prevedendo, nel primo caso, una inversione dell'onere probatorio. In altri termini, si parte dalla presunzione (empiricamente fondata) sia, nel caso di reato commesso da un vertice, il requisito "soggettivo" di responsabilità dell'ente sia soddisfatto, dal momento che il vertice esprime e rappresenta la politica dell'ente; ove ciò non accada, dovrà essere la societas a dimostrare la sua estraneità, e ciò potrà fare soltanto provando la sussistenza di una serie di requisiti tra loro concorrenti (è ragionevole prevedere che questa prova non sarà mai agevole; si rivelerà poi praticamente impossibile nel caso di ente a base manageriale ristretta).»

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materia, conferendo alle questioni di compatibilità col dettato costituzionale il rango di mere questioni teoriche o, rectius, “teoretiche”.

2. QUESTIONI PRELIMINARI SULL’ADOZIONE DEL

MODELLO DI ORGANIZZAZIONE E GESTIONE

All’art. 6 comma I lettera a) del decreto 231\2001, viene previsto che la persona giuridica non risponde se prova l’adozione e l’efficace attuazione, da parte dell’organo dirigente e prima della commissione del reato-presupposto, di “modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi”.

La dottrina, a tal proposito, si è interrogata se l’adozione di un tale modello potesse configurarsi quale obbligo giuridico, oppure quale mero onere161, a carico della società, per prevenire i rischi di reati commessi all’interno dell’organigramma societario; la mancata adozione dei modelli vale comunque ad integrare la “rimproverabilità” dell’illecito, costituita dalla «omissione delle previste doverose cautele organizzative e gestionali idonee a prevenire talune tipologie criminose»162.

Le due correnti trovano entrambe spazio argomentativo; in particolare a favore dell’onere si schiera la maggior parte della dottrina163 e buona parte della giurisprudenza164, mentre a favore

161 E. AMODIO, Prevenzione del rischio penale d’impresa e modelli integrati di

responsabilità degli enti, in Cassazione penale, 2005, p. 320

162 F. CERQUA, Art. 6, in A. CADOPPI, G. GARUTI, P. VENEZIANI, Enti e responsabilità

da reato, Torino, 2010, p. 131

163 O. DI GIOVINE, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, in G. LATTANZI

(a cura di), Reati e responsabilità degli enti, II° ed., Milano, 2010, p. 83; D. PULITANÒ, La responsabilità “da reato” degli enti: i criteri d’imputazione, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2002, p. 431, non individua una obbligatorietà per gli apici; al contrario, il modello diverrebbe obbligatorio per reati commessi da sottoposti; D. CIMADOMO, Prova e giudizio di fatto nel processo penale a carico

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dell’obbligo giuridico si ravvisa un più recente indirizzo dottrinale che, prendendo come punto di partenza il principio di adeguatezza enucleato nel combinato disposto degli artt. 2381 e 2403 c.c., giunge a proclamare la stringente esigenza di racchiudere in procedimenti definiti ogni fase dell’attività della societas165. A ciò si accompagna la

necessità di valutazioni preventive in merito all’adeguatezza del modello ed alla sua corretta applicazione.

Le fonti di diritto positivo che fanno un riferimento specifico all’obbligo di adozione del modello sono varie e speciali; tra queste occorre ricordare in primis l’art. 30 del d. lgs. del 9 aprile 2008, n. 81 (Testo unico per la sicurezza sul lavoro), che dispone in maniera categorica l’adozione del modello ai fini della prevenzione dei reati di omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione della normativa antinfortunistica (i reati-presupposto in questione sono contenuti nell’art. 25 septies del decreto 231)166.

Ancora, le società che intendano quotarsi nel c.d. Segmento Titoli con Alti Requisiti (STAR) hanno un obbligo giuridico dal I° aprile 2008, espressamente previsto dagli artt. 2.2.3 lettera l) del Regolamento dei mercati di Borsa Italiana167.

degli enti. Il difficile equilibrio tra difesa e prevenzione, op. cit., p. 221: «Al fine di escludere la responsabilità dell’ente, gli artt. 6 e 7 del decreto 231 suggeriscono l’adozione (prima della commissione del fatto) – e l’efficace attuazione – del modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire reati della medesima specie di quello verificatosi.»

164 si veda Cass. Sez. VI, 23 giugno 2006, n. 235638: «non è consentito al giudice,

nel revocare la misura cautelare interdittiva, imporre all’ente l’adozione coattiva di modelli organizzativi» in www.rivista231.it

165 N. ABRIANI, La responsabilità da reato degli enti: modelli di prevenzione e linee

evolutive del diritto societario, in AGE, 2009, n. 2, p. 193: “paiono oneri e sono obblighi”

166 D. CIMADOMO, Prova e giudizio di fatto nel processo penale a carico degli enti. Il

difficile equilibrio tra difesa e prevenzione, op. cit., p. 223

167 Articolo 2.2.3 – Ulteriori requisiti per ottenere la qualifica STAR, comma II: « Al

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Allo stesso modo, l’art. 7 comma V, dello Statuto della Federazione Italiana Giuoco Calcio prevede l’adozione di modelli idonei a prevenire illeciti che violano i principi di lealtà, correttezza e probità168.

Anche gli enti pubblici e le Regioni si sono mosse, attraverso la normativa propria, nel senso di obbligare le persone giuridiche ad adottare le soluzioni previste in linea generale dall’art. 6 del decreto 231, andando anche a specificare aspetti peculiari dei vari tipi di modello.

Tra queste, la Regione Calabria, tramite la legge regionale del 13 giugno 2008, n. 15 (art. 54 comma I) ha previsto per le imprese che operino in «regime di convenzione» con la regione stessa, un obbligo di adeguamento, entro il 31 dicembre 2008, alle disposizioni di cui al decreto legislativo 231\2001, previa opportuna comunicazione ai

seguenti requisiti: (…)aver adottato il modello di organizzazione, gestione e controllo previsto dall’articolo 6 del decreto legislativo 231/2001».

168 Art. 7 comma V Statuto della federazione Italiana Giuoco calcio: «Il Consiglio

federale, sentite le Leghe interessate, emana le norme necessarie e vigila affinché le società che partecipano a campionati nazionali adottino modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire il compimento di atti contrari ai principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto. I predetti modelli, tenuto conto della dimensione della società e del livello agonistico in cui si colloca, devono prevedere: a) misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività sportiva nel rispetto della legge e dell’ordinamento sportivo, nonché a rilevare tempestivamente situazioni di rischio; b) l’adozione di un codice etico, di specifiche procedure per le fasi decisionali sia di tipo amministrativo che di tipo tecnico‐sportivo, nonché di adeguati meccanismi di controllo; c) l’adozione di un incisivo sistema disciplinare interno idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello; d) la nomina di un organismo di garanzia, composto di persone di massima indipendenza e professionalità e dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, incaricato di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento».

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competenti uffici regionali169. Con la legge regionale n. 60, del 4 dicembre 2016, la Regione ha imposto a vari soggetti (tra cui enti pubblici economici dipendenti e strumentali della Regione, con o senza personalità giuridica; società controllate dalla Regione; fondazioni costituite dalla Regione) l’adozione di «modelli di organizzazione, di gestione e controllo di cui agli artt. 6 e 7 del d. lgs. 231\2001, che prevedono, in relazione alla natura dei servizi e delle attività svolte e alla dimensione dell’organizzazione, misure idonee a garantire lo svolgimento della propria attività nel rispetto dei principi di legalità, eticità e trasparenza» (art. 2). Un eventuale mancato adeguamento a tali modelli comporta la sospensione o l’interruzione della erogazione di contributi, trasferimenti e liquidità erogati dalla Regione, fino a che i modelli previsti non vengano adottati (art. 3)170.

Anche la Regione Abruzzo ha adottato una legge regionale (la n. 15 del 27 maggio 2011) che impone agli enti collettivi dipendenti e strumentali dalla Regione l’adozione di modelli organizzativi ex d. lgs. 231\2001171; tale obbligo riguarda enti con o senza la personalità

169 S. BARTOLOMUCCI, Ancora sulla (neo) obbligatorietà dei compliance programs:

il precedente della legge Regione Calabria e la sua reale portata, in Responsabilità amministrativa delle società, 2008, n. 4, p. 6 e ss.

170 C. FIORIO, Presunzione di non colpevolezza e onere della prova, in AA. VV., La

prova nel processo agli enti, op. cit. p. 150

171 Art. 2 l.r. 15\2011, Soggetti: «Le disposizioni della presente legge si applicano

agli enti dipendenti e strumentali della Regione, con o senza personalità giuridica, ai consorzi, alle agenzie ed alle aziende regionali, nonché alle società controllate e partecipate dalla Regione ad esclusione degli enti pubblici non economici, nel rispetto dell'autonomia statutaria di cui alla disciplina civilistica in materia.»

Art. 3, Adozione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo: «Entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i soggetti di cui all'articolo 2 adottano modelli di organizzazione, di gestione e controllo di cui agli articoli 6 e 7 del D.Lgs n. 231/01, che prevedono, in relazione alla natura dei servizi e delle attività svolte ed alla dimensione dell'organizzazione, misure idonee a garantire lo svolgimento della propria attività nel rispetto della legalità, della eticità e della trasparenza, nonché a scoprire ed eliminare preventivamente e tempestivamente eventuali situazioni a rischio.»

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giuridica, agenzie, aziende regionali, consorzi e società controllate e partecipate dalla Regione Abruzzo172.

Infine, si evidenzia l’importanza dell’allegato F del DGR n. VIII/7531/2008, approvato dalla Regione Lombardia il 27 giugno 2008, il quale reca “Indirizzi alle Società partecipate dalla Regione in merito all’applicazione del D. lgs. 231\2001”. Tale atto disciplina gli oneri per le società partecipate che aderiscono al Sistema Regionale Allargato (l.r. Lombardia n. 30\2006), i quali riprendono i punti essenziali del d. lgs. 231\2001, alcune volte mediante una normativa del tutto identica, altre volte per espresso rinvio173.

Vista anche la disciplina speciale e locale, che obbliga in molti casi ad adottare il modello di organizzazione e gestione, risulta logico il passaggio per cui, prevedendo tale obbligo la legge speciale, non lo prevede invece la lex generalis: in particolare, all’interno del decreto 231, “il legislatore vuole convincere piuttosto che costringere” l’ente, secondo quella che sarebbe una “induzione” (secondo il gergo penalistico) ad adottare il modello174 da parte del legislatore. Vi è anche da dire che un obbligo di adozione del modello andrebbe certamente a danno delle società di piccole dimensioni, che difficilmente potrebbero accollarsi i costi assai superiori rispetto alle loro reali possibilità economiche, frustrando in qualche modo anche la finalità general preventiva propria dell’istituto175.

172 A. SCARCELLA, Primi passi delle amministrazioni regionali verso l’applicazione

del sistema 231: analisi e prospettive applicative, in Responsabilità amministrativa delle società, 2012, n. 3, p. 103 e ss.

173 G. TONDI, Enti pubblici economici, enti strumentali di istituzioni territoriali,

società partecipate dalle pubbliche amministrazioni: obbligatorio il MOCG 231, 2013, in Responsabilità amministrativa delle società, p. 105 e ss.

174 D. CIMADOMO, Prova e giudizio di fatto nel processo penale a carico degli enti. Il

difficile equilibrio tra difesa e prevenzione, op. cit., p. 222-223

175G. PAOLOZZI, Vademecum per gli enti sotto processo. Addebiti “amministrativi”

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Resta da chiarire come tali modelli vengano in concreto elaborati, e quali siano gli strumenti ed i punti di riferimento che gli addetti ai lavori hanno nell’opera di redazione. L’art. 6 comma III del decreto 231176 dà una indicazione, facendo riferimento ai codici di comportamento creati dalle associazioni rappresentative degli enti, e comunicati al Ministero della Giustizia che può formulare osservazioni in merito alla idoneità dei modelli, “di concerto” con i Ministeri competenti 177 . E’ dunque riconosciuto un certo valore

all’autoregolamentazione da parte delle associazioni che rappresentano gli enti, le quali operano in un’ottica di uniformità dei modelli organizzativi; inoltre, sono proprio gli enti stessi che, meglio di qualunque estraneo, conoscono gli spazi in cui possono formarsi derive di illiceità all’interno dell’organizzazione, potendo allora costruire sistemi idonei a prevenire tali derive178.

A questo dato normativo, si accompagna anche tuttavia lo sforzo di autorevole dottrina di costruire il modello organizzativo soprattutto sulla base delle caratteristiche gestionali ed organizzative del singolo ente, delle dimensioni e della natura d’impresa dello stesso, nonché dell’attività svolta179: occorre allora un modello tagliato “su

176 Art. 6 comma III d. lgs. 231\2001: «I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati.»

177 B. ASSUMMA, Il ruolo delle Linee Guida e della best practice nella costruzione

del Modello di Organizzazione e di Gestione e nel giudizio di idoneità di esso, in Responsabilità amministrativa delle società, 2010, p. 193

178 O. DI GIOVINE, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, in G. LATTANZI

(a cura di), Reati e responsabilità degli enti, 2° ed., Milano, 2010, p. 98

179 P BASTIA, Implicazioni organizzative e gestionali della responsabilità

amministrativa delle aziende, in F. PALAZZO (a cura di), Societas puniri potest. La responsabilità da reato degli enti collettivi (Atti del convegno di Firenze, 15-16 marzo 2002), Padova, 2003, p. 55

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misura” per poter avere quella esenzione dalla responsabilità prevista dall’art. 6 del decreto, che può trovare nelle linee-guida solamente un mero strumento di raffronto per gli organi della giustizia180, non essendo queste dotate del “crisma della incensurabilità” 181 . La

conclusione non può che essere quella per cui l’ente dotato di modello insieme a quello non dotato dello stesso vedranno applicarsi la sanzione se il giudice non ritiene raggiunta la prova della adozione di efficienti ed efficaci protocolli, i quali abbiano una natura preventiva rispetto ai reati-presupposti che si vogliono evitare182.

Importante sotto tale aspetto è stata anche l’idea (mai attuata) di inserire delle vere e proprie “certificazioni” dei modelli, che avrebbero dovuto attribuire efficacia esimente al modello organizzativo redatto rispettando regole determinate in precedenza183; è ovvio tuttavia come la “stabilizzazione dei modelli” tramite le certificazioni risulti nociva per la prassi, in quanto renderebbe assai più gravoso l’impegno per

180 C. FIORIO, Presunzione di non colpevolezza e onere della prova, op. cit., p. 152: