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AFFORDANCE/HABIT/GAMIFICATION

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voga che ancora fatica a trovare una sua collocazione teorica precisa. Una buona e ragionata definizione la danno Deterding et al.: “The use of game design elements in non-game contexts”181. Interessante il fatto che dunque si torni a parlare di elementi riconoscibili, circoscrivibili, replicabili e applicabili a oggetti diversi. Si parla cioè di game (lo dice il termine stesso, del resto) e non più di play. Più importante però sembrerebbe individuare gli effetti che tali elementi di game design hanno sui “giocatori”, come cioè essi riescano a modificare le routine degli utenti mediali. Fitz-Walter ipotizza la realizzazione di una soddisfazione intrinseca (legata cioè al semplice svolgersi dell’attività stessa) come fondamentale per l’efficacia di un medium “gamificato”182. Tale soddisfazione si realizzerebbe attraverso l’esperienza di tre stati personali:

 autonomia: la necessità di rendere le scelte individuali completamente slegate da qualunque influenza o obiettivo esterni. Nello specifico si tratta di concedere all’utente la libertà di scegliere il percorso che preferisce;

 competenza: la capacità di realizzare un ambiente ludico che non sia né frustrante né troppo facile, seguendo la teoria del flow di Csíkszentmihályi183;

 connessione: l’essere in relazione, anche virtuale, con altre persone.

Facendo un passo indietro, il termine gamification ha iniziato a essere usato attorno alla metà dello scorso decennio ed è stato portato definitivamente alla ribalta al Dice Summit del febbraio 2010 nell’intervento intitolato When Games Invade Real Life del designer Jesse Schell184. In quella sede si tentava di comprendere il motivo del successo

181 DETERDING, S., DIXON, D., KHALED, R. & NACKE, L., “From game design elements to gamefulness:

defining gamification” in A. LUGMAYR, H. FRANSSILA, C. SAFRAN & I. HAMMOUDA (eds.), Proceedings of the 15th International Academic MindTrek Conference: Envisioning Future Media Environments, Tampere 2011.

182 FITZ-WALTER, Z., “Gamification: Thoughts on definition and design”, Gamasutra, 26 aprile 2012 [http://www.gamasutra.com/blogs/ZacharyFitzWalter/20120426/169287/Gamification_Thoughts_o n_definition_and_design.php].

183 Cfr. CSÍKSZENTMIHÁLYI, M., Beyond Boredom and Anxiety: Experiencing Flow in Work and Play, Jossey-Bass, San Francisco, CA 1975.

184 Cfr. SCHELL, J., “When games invade real life”, presentation at the DICE Summit 2010, Las Vegas [http://www.ted.com/talks/jesse_schell_ when_games_invade_real_life.html] e “Visions of the

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di applicazioni casual e social insistendo su come fossero state in grado di sorprendere senza riserve tutti gli addetti ai lavori. Schell concludeva il suo intervento ipotizzando un futuro in cui ogni azione individuale viene tracciata e valutata con un punteggio, legando tutto il processo a operazioni di marketing e previdenza sociale. Guardando allora le pubblicità, ma anche lavandosi i denti tutti i giorni nella maniera corretta, si potranno vincere bonus di acquisto per i prodotti relativi mentre avere un figlio studioso comporterà l’assegnazione di bonus economici per la sua carriera universitaria. In questo ipotetico contesto, abbastanza disturbante per la verità, Schell individua una possibile svolta foucaultiana: il semplice fatto di essere monitorati costantemente da un sistema che registra ogni nostra azione potrebbe (o dovrebbe) spingerci a essere persone migliori, dato che i nostri discendenti conosceranno tutto di noi, a parte forse i pensieri.

Già nella sua prima parziale formulazione dunque, l’idea di gamification presenta due anime contrastanti:

 da un lato si tratta di una strategia di marketing che propone di usare elementi di game design (badge, classifiche, livelli, tempo limitato, risorse limitate, turni, obiettivi, stili di gioco, sfide) in contesti non ludici per motivare e accrescere la fidelizzazione e la partecipazione degli utenti;

 da un altro punto di vista invece può assumere il significato di principio nobilitante che, calando una patina ludica sul reale, permette al “giocatore” di migliorare la propria vita e il suo impatto sul mondo attraverso il gioco stesso.

Innanzitutto dunque un concetto di marketing. Sull’homepage di Bunchball.com, prima azienda americana a fornire un servizio di questo genere (dal 2007) sono descritti i tre principi della gamification nella sua versione business: “Engagement: Turn Users Into Fans […] Loyalty & Commerce: Increase Sales […] Employee Motivation: Increase Productivity”185. Quindi non solo un sistema volto a sedurre, manipolare (termine qui

Gamepocalypse”, presentation at the Gamification 101: The Why, What and How conference, San Francisco 2011 [ttp://fora.tv/2010/07/27/Jesse_Schell_Visions_of_the_Gamepocalypse].

185 BUNCHBALL, Engagement, 2007 [http://www.bunchball.com/solutions/engagement].

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utilizzato senza voler dare un giudizio di valore etico) e fidelizzare i clienti, ma anche un sistema interno per migliorare il rapporto dei propri dipendenti con il lavoro. Le società di servizi che offrono di gamificare ambienti web in cinque anni si sono moltiplicate a dismisura a livello mondiale tanto da ipotizzare che oltre il 50% delle aziende che si occupano di processi innovativi li renderanno ludici entro il 2015186. Il sistema utilizzato prevalentemente è quello dei badge, stemmini virtuali con cui riconoscere l’agire dell’utente. Antin e Churchill identificano le ragioni dell’efficacia di tale espediente: il fatto che pongano un obiettivo; che forniscano le istruzioni per usare il servizio (affordance); che siano un resoconto delle preferenze dell’utente; che affermino lo status sociale di chi li possiede identificandolo all’interno di un gruppo187.

Oltre a questo però la gamification ha anche un significato etico. Il designer Ian Bogost a questo proposito preferirebbe utilizzare per la versione marketing del concetto il termine exploitationware, sottolineando la natura eticamente scorretta di queste operazioni188, ci torneremo meglio più avanti. Games for good è invece il claim che accompagna il lavoro della designer Jane McGonigal, la principale teorica di tale versante della ludicizzazione. I suoi alternate reality game hanno obiettivi che vanno dal risparmio energetico all’ecologismo (World Without Oil) da ottenere attraverso il raggiungimento di uno stato di piacere (gamefulness) che invogli a proseguire il gioco continuando a generare conseguenze positive sul mondo189. Anche su questo torneremo con precisione nel capitolo 4.

È evidente in conclusione che parlare di gamification è diverso dal parlare di ludicizzazione. Con la prima infatti si intende un processo creativo di oggetti mediali che presentano determinate caratteristiche. Con la seconda si intende invece un processo

186 GOASDUFF, L. & PETTEY, C., “Gartner Says By 2015, More Than 50 Percent of Organizations That Manage Innovation Processes Will Gamify Those Processes”, Gartner.com, Aprile 2011

[http://www.gartner.com/it/page.jsp?id=1629214].

187 ANTIN, J. & CHURCHILL, E. F., “Badges in Social Media. A Social Psychological Perspective”, paper presented at the CHI 2011 conference, Vancouver.

188 BOGOST, I., “Persuasive Games: Exploitationware”, Gamasutra, 3 maggio 2011

[http://www.gamasutra.com/view/feature/134735/persuasive_games_exploitationware.php].

189 TAKAHASHI, D., “Game guru Jane McGonigal says ‘gamification’ should make tasks hard, not easy”, Venturebeat.com, 20 gennaio 2011 [http://venturebeat.com/2011/01/20/game-guru-jane-mcgonigal-says-gamification-should-be-hard-not-easy/].

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culturale, non per forza volontario e finalizzato, generato dai diversi fenomeni che abbiamo iniziato a descrivere qui attraverso il concetto di “semi-ludico”.