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Thomas M. Malaby e Gordon Calleja, processi

6. GAME STUDIES: VIDEOGIOCHI

6.2 Thomas M. Malaby e Gordon Calleja, processi

Thomas Malaby è un antropologo sociale statunitense che, dopo aver studiato le pratiche di gioco d’azzardo in Grecia, si cimenta in uno studio sulle possibili metodologie di analisi dei giochi in generale. La premessa di tale lavoro rifiuta tre delle caratteristiche del ludico che molti altri autori hanno invece sottolineato come trasversali e fondamentali prima di lui:

Play, as it is used in both game scholarship and often more widely, commonly signifies a form of activity with three intrinsic features. It is separable from everyday life (especially as against “work”; it exists within a “magic circle”), safe (“consequence free” or nonproductive), and pleasurable or “fun” (normatively positive)141.

Separatezza, sicurezza e divertimento vengono rifiutate dall’autore che nega la loro natura intrinseca al gioco preferendo considerarle come caratteristiche culturali emergenti e legate a uno specifico contesto. L’ambizioso obiettivo di Malaby è quello di ricongiungere la frattura terminologica e analitica fra game e play, fra gioco inteso come

140 Ivi, p. 157.

141 MALABY, T. M., “Beyond Play: A New Approach to Games”, Games and Culture, 2(97), 2007, p. 96.

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oggetto e gioco inteso come atto.

Recuperando il lavoro di Taylor, l’autore sostituisce innanzitutto il termine fun, con engaging oppure compelling, coinvolgente. Individua poi un problema alla base della separazione fra gioco e giocare che induce gli studiosi a insistere con letture formaliste simili a quella di Juul: l’idea che si tratti di un’attività in ogni caso separata e a sé stante. Il riferimento al saggio Play and Work: A False Dichotomy?142 di Stevens è decisivo:

If by “play,” we are trying to signal a state or mode of human experience [...] a way of engaging the world whatever one is doing – then we cannot simultaneously use it reliably as a label for a kind or form of distinct human activity (something that allows us to differentiate between activities that “are play” and those that “are not”143.

Considerare dunque il “giocare” come un’attività chiaramente distinguibile è potenzialmente errato, è meglio pensare al gioco come una modalità di azione umana in modo da non poter strutturalmente soffermarsi sulla questione se un’attività sia gioco o no ma solo sul dubbio riguardo la sua ludicità (idea simile all’assunto di base di Huizinga). La questione della separazione dunque sembra poter essere parzialmente risolta in questi termini.

Oltre a tali prese di posizione fondanti Malaby prosegue descrivendo finalmente il gioco come “processo”, ovvero come un fenomeno in divenire che cambia per le intenzioni degli autori o dei giocatori ma anche e soprattutto per le conseguenze del suo essere giocato. Le regole dunque sono ancora una volta insufficienti per descriverlo in quanto la struttura di gioco è solamente una traccia subordinata al cambiamento e alla contingenza.

La nuova definizione proposta è allora la seguente: “A game is a semibounded and socially legitimate domain of contrived contingency that generates interpretable

142 STEVENS, P., JR., “Play and work: A false dichotomy?” in H. B. SCHWARTZMAN (ed.), Play and Culture, Leisure Press, West Point, NY 1980.

143 MALABY, “Beyond Play”, cit., p. 100.

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outcomes”144. Semivincolato, contingente e dai risultati interpretabili sono dunque le tre caratteristiche del gioco processuale. Semivincolato in quanto non regolamentato strettamente; generatore di risultati interpretabili intesi non solo come gli obiettivi standard del gioco ma anche come tutti quei fenomeni paralleli e contingenti che il giocare mette in moto e che creano significato; contingenza definita in quattro varianti:

pura (come il tiro del dado), sociale (l’inconoscibilità delle scelte altrui), performativa (l’efficacia o meno di un’azione) e semiotica (il diverso significato dato ai risultati).

Pensare allora ai giochi come luoghi di produzione di contingenza, di inconoscibilità rende l’attività ludica tranquillamente accomunabile e comparabile ad altre forme di esperienza umana che avvengono in luoghi reali con conseguenze reali. Giungendo a conclusioni simili a quelle di Taylor dunque, Malaby insiste su una metodologia di analisi che rifiuti la separatezza di reale e ludico in favore di una ricerca che metta in evidenza proprio i momenti di comunicazione fra i due.

Un buon esempio di tale metodo è il testo In Game di Gordon Calleja in cui l’autore nega l’utilità di indagini classificatorie e formaliste indagando un tema fortemente orientato a questioni d’uso: l’idea di immersione videoludica. Calleja precisa innanzitutto i tre differenti approcci intrapresi dai Game studies, distinzione simile a quella operata da Juul in Half-Real: uno dedicato agli aspetti formali dei giochi, uno alle questioni esperienziali e soggettive e infine uno dedicato ai risvolti socio-culturali delle communities di giocatori. Emblematica e pienamente condivisibile l’affermazione che inaugura il primo capitolo richiamando Taylor e Malaby: “Most importantly, a game becomes a game when it is played; until then it is only a set of rules and game props awaiting human engagement”145.

Calleja, specularmente a Juul, mette in dubbio la reale natura di giochi considerati per buon senso tali insistendo sulle qualità ludiche di un’attività piuttosto che di un’altra e privilegiando di fatto il play sul game:

144 Ivi, p. 96.

145 CALLEJA, In-Game: From Immersion to Incorporation, cit., p. 8.

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Although for ease of reference we call Grand Theft Auto IV a game, it may be more accurate to consider it as a virtual environment with a number of games embedded in it and a linear storyline that players can progress through by completing a sequence of gamelike activities. […] In short, not all interactions with the objects we call games result in gamelike activities146.

Anche un videogame fra i più famosi come GTAIV può essere considerato dunque qualcosa d’altro. A contare, ancora una volta, non sono le qualità del prodotto o i suoi contenuti, quanto piuttosto l’agire che il suo fruitore mette in atto, le attività ludiche contenute all’interno di un contesto di simulazione virtuale. L’idea di videogioco come processo farà da base di partenza e da filo conduttore alla descrizione della nuova ludicità nel prossimo capitolo.