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6. GAME STUDIES: VIDEOGIOCHI

6.3 Oltre il cerchio magico?

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Although for ease of reference we call Grand Theft Auto IV a game, it may be more accurate to consider it as a virtual environment with a number of games embedded in it and a linear storyline that players can progress through by completing a sequence of gamelike activities. […] In short, not all interactions with the objects we call games result in gamelike activities146.

Anche un videogame fra i più famosi come GTAIV può essere considerato dunque qualcosa d’altro. A contare, ancora una volta, non sono le qualità del prodotto o i suoi contenuti, quanto piuttosto l’agire che il suo fruitore mette in atto, le attività ludiche contenute all’interno di un contesto di simulazione virtuale. L’idea di videogioco come processo farà da base di partenza e da filo conduttore alla descrizione della nuova ludicità nel prossimo capitolo.

87 The frame is a concept connected to the question of the “reality” of a game, of the relationship between the artificial world of the game and the “real life”

contexts that it intersects. The frame of a game is responsible not only for the unusual relationship between a game and the outside world, but also for many of the internal mechanisms and experiences of a game in play147.

La relazione con il mondo esterno dunque non è cancellata ma semplicemente definita inusuale, sfumata. Gli attacchi alla posizione dei due designer sono stati tuttavia numerosi. Si pensi per esempio a Woodford, che riconosce nelle caratteristiche pervasive dei videogame contemporanei un segnale decisivo per rifiutare totalmente il concetto148, o a Castronova che ne ammorbidisce le resistenze recuperando il concetto di membrana permeabile di Goffman e introducendo l’idea di almost-magic circle149. Non solo, anche Marinka Copier insiste sull’importanza della contestualizzazione nell’analisi di un gioco ipotizzando la creazione da parte dei giocatori di un game/play space piuttosto che di un sistema di confini150. Come lei, anche Mia Consalvo prosegue la riflessione sull’importanza del contesto estendendola alle pratiche di cheating151. Infine, Pargman e Jakobsson152 ipotizzano una lettura no-boundary riconducendo e avvicinando le pratiche ludiche a qualsiasi altra attività quotidiana, dal cucinare al guardare la TV.

A posizioni come queste si rivolge la risposta di cui parlavamo. All’inizio del 2012 Zimmermann pubblica sulla testata online Gamasutra153 un articolo in cui vengono proposti due punti chiave per risolvere il dibattito: innanzitutto l’idea che non esista una

147 SALEN & ZIMMERMAN, Rules of Play, cit.., p. 94.

148 Cfr. WOODFORD, D., “Abandoning the Magic Circle”, paper presented at the Breaking the Magic Circle seminar, Tampere 2008.

149 Cfr. CASTRONOVA, E., Synthetic Worlds: The Business and Culture of Online Games, University of Chicago Press, 2005.

150 Cfr. COPIER, M., “Connecting Worlds. Fantasy Role-Playing Games, Ritual Acts and the Magic Circle”, paper presented at the DiGRA Conference, Vancouver 2005.

151 Cfr. CONSALVO, M., “There is no Magic Circle”, Games and Culture, 4(4), 2008.

152 Cfr. PARGMAN, D., & JAKOBSSON, P., “Do You Believe in Magic? Computer Games in Everyday Life”, European Journal of Cultural Studies, 11(2), 2008.

153 ZIMMERMANN, E., “Jerked Around by the Magic Circle”, Gamasutra, 7 febbraio 2012, [http://www.gamasutra.com/view/feature/6696/jerked_around_by_the_magic_circle_.php].

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posizione veramente pro cerchio magico e che l’accanimento degli studiosi contro il concetto, come se fosse un’invadente colosso euristico, sia esagerato. Del resto se tutti vi rinunciano programmaticamente qual è l’utilità di continuare a confutarlo?

Fondamentale inoltre il fatto che Rules of Play sia un testo di game design, non una ricerca sociologica o filosofica, un libro cioè indirizzato più al saper fare che al sapere.

Evidentemente dunque la tara interpretativa del libro sarà sbilanciata verso la produzione, presentando il gioco esclusivamente come “un contesto da cui può emergere significato”. Tuttavia non si tratta di un testo strutturalista o formalista ma semplicemente di un testo, per molti versi, tecnico. Del resto anche il primo designer ad aver tentato di dare una definizione completa di videogame, Chris Crawford nel 1984, lo descriveva come: “A closed formal system that subjectively represents a subset of reality”154, presentando più o meno gli stessi difetti imputati alle definizioni di Rules of Play senza tuttavia scatenare particolare indignazione.

Salen e Zimmermann inoltre insistevano su tre differenti approcci attraverso cui lavorare sul gioco: formale, esperienziale e culturale. Evidentemente il dedicarsi a uno ha messo in secondo piano gli altri. Una premessa metodologica di questo tipo sembra paradossalmente distante da una posizione ortodossa centrata sull’analisi esclusiva della struttura regolamentata del gioco. Questa idea era per la verità già stata espressa da Jesper Juul che nel 2008 propose una lettura alternativa al cerchio magico, il puzzle piece, recuperando l’idea di contesto e difendendo al contempo Salen e Zimmerman dall’accanito criticismo contro cui si stavano scontrando. Rovesciando in un certo senso la questione, Juul affermava che: “The magic circle is the boundary that players negotiate. To deny the magic circle is to deny that players negotiate this boundary. Game scholarship should be about analyzing the conventions of this boundary and how and when this boundary is created and negotiated”155. In questo modo dunque, semplicemente facendo slittare la natura del confine da qualità passiva a attiva, Juul prova a ricomporre la scissione.

154 CRAWFORD, The Art of Computer Game Design, cit., p. 9.

155 JUUL, J., “The Magic Circle and the Puzzle Piece” in S. GUNZEL, M. LIEBE & D. MERSCH (eds.), Conference Proceedings of the Philosophy of Computer Games 2008, Potsdam University Press, 2008, p. 62.

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Tuttavia, i commenti pubblicati in coda all’articolo di Zimmermann sono numerosi e non hanno esaurito il dibattito, tutt’altro. Alcuni sembrano rimanere ancorati sulle proprie posizioni ignorando le precisazioni dell’autore, altri invece provano a trovare un compromesso. Secondo Malaby per esempio la teoria del cerchio magico, indipendentemente dalle responsabilità, ha danneggiato profondamente i Game studies impedendo un orientamento più deciso verso gli studi sociali. Da essi infatti, secondo l’antropologo americano, ogni teoria dei giochi deve partire e il cerchio magico non ha con loro nessuna connessione valida, rimanendo fondamentalmente un’idea senza basi teoriche. Non che la questione della separazione dal reale non esista, tuttavia essa dovrebbe essere analizzata dal punto di vista sociologico, allo scopo di comprendere come questi limiti porosi vengano effettivamente creati dai giocatori. Insistere sul concetto di cerchio magico significa rinunciare a questa possibilità. Malaby insiste poi sulla presenza, negli studi sul gioco, di una transdisciplinarietà problematica e molto frammentata, in cui studiosi provenienti da campi diversi si confrontano in territori sconosciuti dibattendo su questioni che spesso e volentieri sono solamente lessicali (su cui si è fondato per anni il contrasto fra ludologia e narratologia) e imputando a queste incomprensioni il “problema” del cerchio magico.

La risposta di Gordon Calleja, chiamato in causa direttamente da Zimmermann, si basa invece sul fatto che il cerchio magico di Huizinga non sia solamente una definizione della separazione della situazione ludica, esso è una vera e propria metafora dell’ontologia del gioco. Parlare di cerchio magico allora è parlare della natura stessa del gioco e la difesa di Zimmermann, basata sugli scopi tecnico-formativi di Rules of Play, non basta, in quanto se ci si riferisce a un concetto sociologico e filosofico come base di un ragionamento pragmatico, si deve per forza confrontarsi poi con le conseguenze di questa scelta.

Il dibattito si interrompe qui e la questione è ben lontana dall’essere risolta. Tuttavia, come ben evidenziato da Malaby, il cerchio magico è un concetto che all’infuori della descrizione del gioco come struttura regolata è fondamentalmente poco utile. Senza voler accusare Zimmermann di formalismo, è evidente che in un lavoro come questo, che si rivolge agli aspetti processuali del giocare e alle pratiche di discorsivizzazione

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piuttosto che alle caratteristiche degli oggetti, l’idea di cerchio magico perda di significato, se non come contraltare negativo di qualcosa d’altro: la permeabilità, la creazione di senso o di cultura, per esempio.

Dalla riflessione dei Game studies contemporanei emergono dunque nuove pedine per la nostra partita definitoria. Innanzitutto viene ribadita la distinzione fra proprietà legate alla struttura di gioco, al rapporto col mondo e al rapporto col giocatore. In questo lavoro, lo abbiamo già detto, si proveranno a privilegiare i due rapporti, ricomposti in quelle che abbiamo definito proprietà “attive”, legate cioè all’agire, pragmatico ed ermeneutico, del giocatore. Da questa premessa emergono dunque i seguenti nodi:

 processualità;

 negoziazione (rinuncia al cerchio magico come paradigma);

 forte invadenza sulla vita reale;

 equiparazione al lavoro, produttore di divertimento non canonico.

Prima di concludere questa ricognizione fra le discipline che hanno provato con fortune alterne a descrivere il gioco, passiamo in rassegna altri due contributi.