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Il gioco di Ludwig Wittgenstein

4. LA RICERCA FILOSOFICA SUL GIOCO

4.1 Il gioco di Ludwig Wittgenstein

Nell’affrontare la questione è opportuno e significativo iniziare dalla teoria dei giochi linguistici di Wittgenstein. Nel Tractatus Logico-Philosophicus55 il filosofo austriaco propone una lettura di tipo logico per il linguaggio naturale, fondandola sulla corrispondenza diretta e biunivoca fra parola e oggetto. Nelle successive Ricerche filosofiche56 tuttavia egli abbandona parzialmente queste convinzioni rinunciando all’obiettivo di raggiungere una comprensione assoluta e logicamente strutturata del linguaggio quotidiano. È in quel momento che Wittgenstein introduce il concetto di “gioco linguistico”, la modalità privilegiata con cui il linguaggio comune viene utilizzato dai soggetti. A esser messa da

55 WITTGENSTEIN, L., “Logisch-Philosophische Abhandlung”, Annalen der Naturphilosophie, 14, 1921 (tr. it.

Tractatus Logico-Philosophicus, Einaudi, Torino 1989).

56 WITTGENSTEIN, L., Philosophische Untersuchungen, eds. G.E.M. Anscombe, R. Rhees, Oxford 1953 (tr. it.

Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1967).

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parte è la certezza che il linguaggio possa essere specchio della realtà, denotandone precisamente e logicamente ogni aspetto. I nomi non vengono più considerati rappresentanti di oggetti semplici e le proposizioni non sono più considerate esclusivamente capaci di raffigurare stati di cose.

Senza voler proseguire troppo in questa direzione, è sufficiente dire che, secondo Wittgenstein, le parole diventano strumenti mobili e malleabili, con cui a tutti gli effetti

“giocare”, la cui funzione denotativa diviene una fra molte, in cui modalità e condizioni di utilizzo assumono un’importanza fondamentale. Il significato delle parole perciò varia in maniera incontrollabile in base alla loro funzione e al loro utilizzo mutevole, trasformandone l’uso in un vero e proprio “gioco”.

In tutto questo ragionamento rimane però un interrogativo radicale. Perché Wittgenstein sceglie il termine “gioco”? Le risposte sono molteplici e proveremo a presentarne alcune. Innanzitutto il gioco linguistico è caratterizzato dalla presenza di regole che determinano formalmente il significato di ogni singola parola. La presenza di queste regole e più in generale di una grammatica, diventa allora non solo la base dei giochi linguistici ma anche il fondamento dell’esistenza di diversi linguaggi. È evidente quindi che la presenza di regole viene considerata come qualità imprescindibile del gioco. Poi, tale scelta terminologica determina anche una fondamentale conseguenza teorica, ovvero che la pratica linguistica implichi un’attività da parte del soggetto, un agire, un divenire. Oltre a questo va sottolineato come il filosofo non parli mai di gioco al singolare ma sempre di giochi al plurale, sottintendendo la molteplicità probabilmente infinita del linguaggio (e criticando come gravemente insufficiente la riduzione di tutti i significati di “gioco” nel solo termine spiel nella lingua tedesca). La variabilità degli enunciati e degli utilizzi delle parole dunque si fa pragmatica e il giocare implica necessariamente la messa in discorso di un qualche cosa, l’agire di un soggetto che sceglie fra una rosa di possibilità. Del resto, è chiara la difficoltà di definire il gioco con un rigido set di qualità oggettive quando è piuttosto accomunabile a una famiglia di oggetti che condividono delle somiglianze. In questo modo quello di “gioco” diventa un concetto collettivo basato sulla sovrapposizione di varie possibilità, di caratteristiche dei diversi membri della famiglia.

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Secondo Wittgenstein dunque la pratica linguistica deve per forza essere considerata una pratica ludica, processuale o discorsiva per poter rendere conto del linguaggio quotidiano e della sua variabilità. Non solo, tale pratica è anche evidentemente sfuggente e, nella lettura di Pier Aldo Rovatti, oscillante e unica, divisa cioè fra l’impossibilità di dare una definizione coerente e l’idea che tale impossibilità sia costitutiva:

E se Wittgenstein arrivasse proprio alla conclusione che il gioco è qualcosa di sfuggente e cercasse in effetti di valorizzare questa conclusione? Se ciò che non gli sfugge fosse precisamente la natura sfuggente del gioco? E magari proprio il carattere oscillante che lo contraddistingue, che fa sì che esso produca i suoi effetti (appunto squilibranti) e gli conferisce uno speciale pregio filosofico57.

Il gioco può allora diventare anche una chiave di lettura filosofica per il mondo stesso (come proponevano già Nietzsche e Schiller e come dirà, lo vedremo a breve, anche Eugen Fink), assumendo una natura sfumata in rapporto con la realtà, come una fotografia malriuscita che tuttavia è in grado di indurre le intuizioni migliori su ciò che rappresenta. Il gioco dunque oscilla, esige mobilità e sfocatura delle parti e le teorie che tentano di definirlo devono per forza di cose replicare tale natura. Si trovano qui le premesse per descrivere il gioco come processo ma anche le basi per evidenziare altre due caratteristiche fondamentali della sua natura: innanzitutto la continua esortazione all’agire, all’intervenire sulla realtà attraverso simulazioni o riduzioni in cui il giocatore è calato: “Lo spazio di gioco è […] uno spazio di realtà tale da permettere […] una mobilizzazione della realtà cosiddetta comune, insomma un intervento virtuoso su alcune delle sue rigidità”58. Una pratica in grado di intervenire nelle abitudini di pensiero rompendole attraverso l’esercizio della creatività. L’esortazione all’azione conduce direttamente all’idea di gioco come assunzione di un ruolo all’interno di una simulazione che non può essere considerata fasulla in senso assoluto. È qui che ritroviamo il secondo aspetto interessante della trattazione di Wittgenstein, l’idea che queste interpretazioni

57 ROVATTI, P. A., Il gioco di Wittgenstein, EUT, Trieste 2009, p.10.

58 Ivi, p. 34.

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non siano solamente degli azzardi senza conseguenze ma “esperienze effettive provviste di una loro realtà, nonché di una loro appartenenza al contesto sociale e intersoggettivo.

[…] fittizio, in questo ambito, non equivale ad apparente ma è una dimensione dell’esperienza reale che il gioco ci permette di scoprire e valorizzare”59.

Siamo dunque di fronte a un modello di ludico basato innanzitutto sulla:

 regolamentazione;

e in seconda battuta sulle idee di:

 processualità, esortazione all’azione come fare partecipativo dell’individuo;

 simulazione del reale al fine di indagarne le caratteristiche.

Dunque, seguendo questo schema è soprattutto l’idea di separazione fra gioco e realtà a venire intaccata, mentre ritorna la contraddizione di fondo fra processualità e regolamentazione, fra una definizione di gioco come atto e una definizione di gioco come struttura. Wittgenstein considerava, lo si accennava poco fa, la presenza di regole come condizione necessaria e sufficiente affinché le operazioni linguistiche descritte possano essere considerate giochi. Accanto a questo però esiste un’idea di gioco libero che crea un evidente corto circuito già in parte incontrato in Huizinga: libertà e regole coesistono e sono entrambe fondamentali per il gioco. Nella precedente sezione si era risolta questa contraddizione ponendo la libertà d’azione come appartenente a una classe di proprietà attive, legata all’idea di gioco come processo e la regolamentazione come invece appartenente a una classe di proprietà passive, legata al gioco come oggetto o come testo. Per uscire dall’impasse ci viene di nuovo in aiuto Rovatti: “Nessuno gioco è completamente libero e nessuna regola può mai essere esterna. Il movimento paradossale che si realizza, gioco per gioco, trova qui la sua rappresentazione più cospicua”60. È la regola dunque a diventare mobile e modificabile durante l’esperienza di

59 Ivi, p. 36.

60 Ivi, p. 32.

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gioco, rientrando perfettamente nella prima classe di proprietà e dunque in una concezione processuale del ludico. Essa infatti è subordinata alla volontà del giocatore che può decidere di seguirla o può, in alternativa, cambiarla in accordo con gli altri partecipanti. Un intervento di questo tipo, seppur legato alla modifica di una convenzione che rimane tale, fa parte di diritto della situazione ludica. A questo punto, la tentazione di far prevalere tale posizione in modo assoluto è forte. Tuttavia non è ancora il momento di accettare definitivamente questa idea e di accomunare la pratica ludica a un processo emergente, è prima necessario proseguire nell’indagine del campo filosofico.