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La vite di Pier Aldo Rovatti e Alessandro Dal Lago

4. LA RICERCA FILOSOFICA SUL GIOCO

4.5 La vite di Pier Aldo Rovatti e Alessandro Dal Lago

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lusory attitude di Suits), a rendere l’attività stessa un gioco o meno. Anche lo psicologo Seymour Levy, che si concentra sulla creazione della situazione ludica e in particolare sui momenti che la precedono e la seguono, conferma questa lettura, concentrandosi sulla capacità di astrazione dei partecipanti e sulla disponibilità di tempo per giocare. Nel tentativo di definire il gioco in quanto tale però, anche Redl opta per una posizione in negativo, indagando i possibili casi in cui un momento ludico cessa di essere tale: la mancanza di divertimento, la perdita di sicurezza, l’eccessiva prossimità al reale78. Sulla questione del divertimento tuttavia emergono diversi dubbi e lo psichiatra Fremont-Smith insiste al contrario sulla possibilità per il gioco di essere molto serio e sulla presenza intrinseca del ludico all’interno di ogni attività umana: “Il ‘non gioco’ è solo l’attività in cui ve n’è la percentuale minore, visto che comunque non ne può essere mai completamente priva?”79. Anche in questo caso dunque il gioco è svincolato da una posizione legata per forza al divertimento e in modo molto efficace se ne da per scontata la profonda invadenza in ogni attività umana (come già fece Huizinga del resto).

Queste tre ultime considerazioni sono tutte utili per far progredire il ragionamento verso la descrizione di un fenomeno di ludicizzazione del reale, che passa per forza dalle intenzioni soggettive del fruitore, e di due universi, mediale e reale, che molto di ludico hanno già al loro interno per natura.

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inscindibile:

Si dice che una vite “fa gioco” quando non si adatta perfettamente al dado o bullone per cui è stata predisposta. A ben vedere questa banale espressione descrive esattamente l’incastro di attività ludiche strutturate (e non strutturate) e la vita seria. Gioco, in questo senso banale, non è che l’oscillazione tra una certa realtà predisposta e la parte che noi vi dobbiamo svolgere o eseguire.

Un’oscillazione evidentemente ludica che si propaga poi su entrambi i lati , seri e ludici, di ogni attività. Si gioca inevitabilmente con la vita seria (come la vite col dado) e si immette serietà nei giochi. Senza questo doppio movimento, che si iscrive in un’oscillazione costitutiva, la vita seria non sarebbe sopportabile e il gioco non sarebbe divertente80.

Nel proporre dunque una metafora di oscillazione, contrapposta, o meglio alternativa, a quella di bricolage, i due autori riconoscono la fondamentale importanza del gioco nella vita. La difficoltà rimane però sempre la stessa, come fare a definire l’essenza di un qualcosa che non si può comprendere del tutto? Per rispondere a questo essi prima postulano che il gioco debba corrispondere a un paradigma di apparenza oggettiva, il gioco cioè non viene considerato trascendente, fantasia o sogno, ma realtà.

Poi comprendono l’importanza del giocatore e abbandonano in parte la riflessione legata all’oggettività:

Quando entra in scena il gioco dell’Io, come potremmo chiamarlo, quando ci accorgiamo che nella realtà del giocare è essenzialmente il nostro io che viene messo in gioco, […] in questione – nel gioco – non è tanto l’apparenza ma semmai una distanza dalla realtà, una realtà con la quale riusciamo a tenere una distanza dalla realtà: un gioco appunto rispetto alla realtà comune, un allargamento e uno spazio che il gioco ci fa guadagnare rispetto ad essa; sempre che il gioco ci coinvolga81.

80 ROVATTI P.A.eDAL LAGO,A., Per gioco. Piccolo manuale di esperienza ludica, Raffaello Cortina, Milano 1993, p. 11.

81 Ivi, p. 17.

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Dunque il giocare tratta la creazione di una distanza, metaforica, mascherata, oscillante, la giusta distanza di cui parlava Bateson, dalla realtà e dalla propria individualità. Tutto ciò viene poi ribadito nel capitolo finale dove Rovatti e Dal Lago paragonano con decisione l’attività ludica a quella rituale:

Il fatto che i riti si sono trasformati ma non estinti, che la vita seria è divenuta teatro, mentre questo sembra voler riprodurre la vita reale, si conferma dunque la natura ludica della nostra esperienza. […] potremmo concepire allora i giochi sociali odierni come incessanti ridefinizioni dei riti, della loro posta, delle loro regole e della loro sacralità82.

Interessante dunque è la funzione mimetica del rito che replica l’esperienza della vita sacralizzandone alcuni passaggi e simulandone le conseguenze. L’evoluzione della ritualità rispecchia l’attività di chi assiste a tali rappresentazioni, modificandone le strutture e le funzioni, un po’ come il gioco vede progressivamente rinnovate le sue regole in base alla volontà dei giocatori, che in questo modo esibiscono con forza la propria libertà. Rovatti e Dal Lago giungono infine a descrivere un paradigma ludico basato principalmente sulle idee di:

 velo;

 maschera;

 distanza.

Tutti e tre i concetti sono riconducibili a questioni già trattate finora: il velo come membrana porosa fra gioco e realtà; la maschera come base dell’attività simulatoria del gioco; la distanza legata non solo alla sicurezza in cui l’attività ludica si svolge, ma anche all’idea di squilibrio dal mondo reale attraverso la rottura di una serietà altrimenti insormontabile. Il gioco dunque torna a essere considerato terapeutico, in grado di addolcire la serietà della vita dell’individuo proteggendolo con una maschera

82 Ivi, p. 173.

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subordinata a un sottile e velato equilibro fra serio e faceto: “un teatro che riesce a parlare solo alla condizione di nascondere quel che di importante ha da dire”83.

Concludendo questa seconda parte evidenziamo i nodi cruciali della ricerca filosofica sul gioco, concetti che vanno a complicare ulteriormente ciò che era emerso nel paragrafo precedente, integrando e modificando le idee di libertà e simulazione, regolamentazione e separatezza:

agire ludico soggettivo (lusory attitude) come premessa fondamentale per la creazione e la sopravvivenza di una situazione ludica;

 gioco come parte integrante non solo della cultura ma dell’essenza stessa del mondo, di cui è metafora o metodo di lettura;

 rinuncia alle regole come struttura immutabile;

 mancanza di obiettivi pragmatici e pausa dalle difficoltà del reale.

È evidente che le osservazioni filosofiche di questo paragrafo ci hanno allontanato dall’idea di gioco come struttura, dalle definizioni oggettive e in ultima analisi dalle proprietà passive. La posizione ermeneutica della filosofia propende in maniera netta verso le proprietà attive privilegiando l’idea di libertà e incertezza sulla regolamentazione (e le regole in effetti ricadono sotto il dominio della libertà individuale, sono a tutti gli effetti “modificabili”) e la concezione di simulazione in stretto rapporto col reale su quella di separazione e sollievo (anche se quest’ultima rimane una presenza ingombrante). La questione del rapporto con il reale viene in parte risolta insistendo sull’idea che lo spazio fra gioco e realtà sia prima di tutto un luogo di azione, un luogo in cui il soggetto può sperimentare e prepararsi al reale esperendo non mondi fittizi ma riflessi, ovvero luoghi altrettanto esistenti. Oltre a questo bisogna prestare attenzione a un altro rapporto, in quanto l’idea di “fare pausa dal reale” si può anche realizzare avvicinando lavoro e tempo libero e ponendo la serietà del gioco come condizione

83 Ivi, p. 19.

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necessaria al divertimento e viceversa la ludicità del lavoro come condizione di sopravvivenza individuale.

Le cose ora iniziano a prendere forma in modo leggermente più chiaro. Prima di provare a formalizzare un’ipotesi compiuta sul ludico è tuttavia è necessario dare un rapido sguardo altrove, in un altro campo di studi dove storicamente il gioco è stato tenuto in grande considerazione.