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2. IL “SEMI-LUDICO” NELL’USO DEI MEDIA

2.3 Lavoro

L’ultimo campo in gioco sarà infatti relativo a quelle pratiche mediali che integrano profondamente lavoro e tempo libero, evolvendo al contempo il rapporto uomo-macchina in maniera estensiva. Gioco e lavoro saranno intesi come reciprocamente influenti, sia dal punto di vista delle pratiche dell’agire quotidiano, sia dal punto di vista della sovrapposizione di tempi apparentemente antitetici come il working time e il leisure time.

Una delle premesse fondamentali in questa fase è l’esclusione della distinzione fra attività finalizzate e non finalizzate come discriminante per valutarne la ludicità. Bateson

194 Ivi, p. 39.

195 KÜCKLICH, “Play and Playability as Key Concepts in New Media Studies”, cit.

196 KERR, A., BRERETON, P., KÜCKLICH, J. & FLYNN, R., New Media: New Pleasures?, STeM: Centre for Society, Technology and Media, Dublin 2004 [http://www.stem.dcu.ie/reports/NMNP.pdf].

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considerava il gioco come un’attività precisamente non finalizzata197, tutto fuorché lavoro ma, anche in questo caso, è la natura del fine a dover essere chiarita. Per farlo è possibile partire dall’idea di Huizinga secondo cui un gioco può coinvolgere completamente il giocatore. In questo modo, lo si è già visto, se ne nega la presunta trivialità, seguendo anche l’esempio di Caillois che attacca la concezione comune che vuole il giocare come un’attività capace di discreditare chi la pratica, in contrapposizione al più nobile e socialmente utile lavorare. Il sociologo francese infatti non accetta passivamente questo luogo comune e riconosce la natura seria e trasversale del gioco. A questo proposito, una delle teorie più importanti fra i Game studies è quella di Espen Aarseth sulla letteratura ipertestuale, da lui definita “ergodica”: un testo ergodico richiede da parte del lettore uno sforzo “non triviale” per essere attraversato. Aarseth nega con decisione la natura superficiale e non impegnativa del gioco, sottolineandone invece l’impegno supplementare necessario per affrontarlo198. Giocare dunque non è attività triviale bensì profondamente impegnativa e dotata di obiettivi, se non pragmatici, di certo attuali.

Questa considerazione conduce a pensare che le ragioni alla base della progressiva sfumatura dei confini fra lavoro e gioco sia figlia di una sostanziale sovrapposizione fra le caratteristiche delle due pratiche. Secondo quanto abbiamo detto finora infatti il gioco implica impegno, obiettivi, conseguenze e sempre più spesso produzione di qualcosa, sia esso un sapere, un oggetto o altro. Tutte qualità che appartengono di diritto anche alla pratica lavorativa. Torneremo su queste questioni in modo approfondito nel capitolo 4.

Nella seconda parte di questo lavoro cercheremo innanzitutto di dimostrare come il ludico, in una, più, o tutte le forme appena descritte, sia stato e sia tuttora presente nei media. Cercheremo inoltre di comprendere perché tale presenza, definibile come “semi-ludica”, sia oggi più esplicita grazie a portabilità e connettività dei mezzi di comunicazione. Oltre a questo proveremo a capire come essa sia in grado di incentivare

197 Cfr. BATESON, Questo è un gioco, cit., pp. 105, 124-127.

198 AARSETH, E., Cybertext: Perspectives on Ergodic Literature, John Hopkins University Press, Baltimore, MD 1997.

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l’utente mediale a:

 partecipare maggiormente, intervenendo a livello pragmatico, di fronte a un medium;

 accettare le simulazioni che il medium gli fornisce come oggetti e situazioni attuali;

 mescolare indiscriminatamente tempi e pratiche di gioco e lavoro.

Tre condizioni che esplicitano e costituiscono il fulcro della “semi-ludicità”

contemporanea.

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GIOCO, PARTECIPAZIONE E SIMULAZIONE NEI MEDIA “CLASSICI”

In questo capitolo passeremo in rassegna diverse tipologie di reinvenzione ludica di contenuti fra letteratura, cinema e televisione. Daremo uno sguardo ad alcuni casi particolari per dimostrare che tracce ben visibili dei fenomeni che abbiamo finora classificato come tipici del gioco fossero già presenti nell’universo mediale almeno dal secolo scorso. Vedremo inoltre come molte delle pratiche di discorsivizzazione attuate nei casi in questione si siano negli ultimi anni estese ai relativi media in generale.

L’esplicita o implicita “ludicizzazione mediale” dunque, dall’essere considerata pratica tangenziale ed esercizio di stile starebbe diventando uno degli approcci privilegiati alla fruizione di quei mezzi che qui definiamo istituzionali o “classici”.

Sebbene il gioco all’interno di tali media sia sempre stato considerato un tema molto chiaro e una componente ben definita e circoscrivibile, da un lato a livello linguistico e strutturale (esistono “librigame” e giochi a quiz televisivi, che contengono già nel nome la parola “gioco”), dall’altro a livello rappresentativo (le dirette delle manifestazioni sportive, rappresentazioni mediate di giochi popolari), esistono tutta una serie di oggetti e pratiche “semi-ludiche” e interstiziali che tendono a confondere radicalmente le carte in tavola. Seguendo la suggestione di Janet Murray accennata nel primo capitolo, è evidente che la comparazione di atto comunicativo e gioco può essere un buon punto di partenza per provare ad avvicinare pratiche dichiaratamente ludiche e pratiche mediali all’interno di un paradigma semi-ludico. In questa fase ci concentreremo quindi sull’osservazione dei processi di discorsivizzazione, indagando tali pratiche in due macro-aree ritenute rappresentative (la letteratura, cartacea e digitale, e l’audiovisivo, cinema e televisione) allo scopo di evidenziare la presenza del ludico per come lo abbiamo descritto fino a qui. Saranno come detto presi in considerazione oggetti particolari, nello specifico reinvenzioni ludiche ed evoluzioni dei linguaggi classici o delle tecnologie.

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Per procedere in questo excursus utilizzeremo come punti di riferimento principali i concetti di partecipazione e simulazione, tenendo al contempo ben presenti alcuni dei punti chiave individuati in conclusione del primo capitolo e rielaborati nel secondo:

La distinzione fra qualità passive appartenenti agli oggetti ludici (struttura di gioco) e qualità attive relative invece all’atto ludico e alle generazione della situazione ludica (rapporto col giocatore e col mondo). Una differenza che si riverbera nel sottile equilibrio fra regole di fruizione strutturali (limiti) e regole di fruizione negoziabili (agency e affordance) durante il processo di discorsivizzazione.

 L’integrazione del gioco con il reale, il suo rapporto con la cultura umana in generale, la sua natura di metafora del funzionamento del mondo e la sua capacità simulativa e simbolica.

La presenza di concrete conseguenze sulla vita reale, intese come la capacità di formare comportamenti e pensiero strategico, e la conseguente messa in discussione della distinzione fra gioco e lavoro.

Queste qualità saranno ricercate nei processi di messa in discorso dell’esperienza mediale, attraverso l’osservazione da un lato del design degli oggetti e delle relative affordance, dall’altro dei processi di temporalizzazione, attorializzazione e spazializzazione199 attraverso cui l’utente, in base agli strumenti che il proprio habit mette a disposizione, traduce in tempi, luoghi e personaggi le premesse del medium.

199 GREIMAS, A. J. & FONTANILLE, J., Sémiotique des passions. Des états de choses aux états d’âme, Seuil, Paris 1991 (tr. it. Semiotica delle passioni. Dagli stati di cose agli stati d’animo, Bompiani, Milano 1996).

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