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LE RAGIONI ALLA BASE DI UN NUOVO MODELLO DI “LUDICO”

Rimane dunque da spiegare perché riteniamo necessario insistere nello studio di un fenomeno che pare non voglia lasciarsi cogliere nella sua interezza. In una situazione così complessa è abbastanza scontato chiedersi in base a cosa privilegiare un approccio processuale piuttosto che uno strutturale. Il motivo principale che ci spinge a scegliere in questo senso nell’indagine di un concetto così problematico, è la natura evidente di certi oggetti mediali contemporanei che, pur possedendo qualità dichiaratamente ludiche, non sono giochi. Di fronte dunque a una situazione nebulosa in relazione alle qualità oggettive di tali oggetti è necessario individuare degli strumenti legati non solo al design ma anche alle pratiche d’uso. Non si tratta tuttavia di un approccio completamente inesplorato, Nick Couldry per esempio considera i media come un insieme di pratiche piuttosto che come oggetti delimitati privilegiando lo studio sociologico dei percorsi conoscitivi e degli atti in relazione ai media stessi169. Il concetto di consumo mediale inoltre non monopolizza l’idea di pratica ma può essere considerato come parte di un processo più ampio (vedere la partita in TV come parte della pratica di tifare, per esempio) che finisce per coinvolgere anche la creazione dell’identità, legata sempre più spesso a pratiche appunto di gioco piuttosto che a quelle classiche di narrativizzazione del sé170. Nel nostro caso, tutto ciò è in grado di rendere conto sia della ludicizzazione dell’universo mediale sia di quella più generale relativa alla “realtà”. Roig et al. del resto, sulla scia di Couldry, considerano anche il videogame come innanzitutto un insieme di pratiche assumendo che:

169 COULDRY, N., “Theorising media as practice”, Social Semiotics, 14(2), 2004.

170 RAESSENS, J., “Playful Identities, or the Ludification of Culture”, Games and Culture 1(1), 2006.

101 Videogames introduce a “playful” subject position in our relation with media, for example, transforming the established ‘spectatorship’ relation with audiovisual products to a more interactive engagement with media, which reflects the playfulness present in new media practices171.

Questo ragionamento ci porta dunque a parlare dei media come pratiche e processi, un’interpretazione che li avvicina inevitabilmente allo status di semi-giochi, di cui analizzare percentuali di ludicità che non per forza si configurano come innovative rispetto al panorama mediale “classico”. Ci torneremo nel capitolo 3.

Per rendere conto invece di concetti come la gamification, di oggetti quali le applicazioni per mobile, dei giochi pervasivi legati al cosiddetto “internet delle cose”, è dunque necessario insistere su questa strada ed è necessario farlo partendo da una posizione chiara a proposito delle teorie descritte finora. Questo lavoro proseguirà a partire dall’assunto che l’analisi formalista dell’oggetto gioco non sia la migliore possibile. In questa sede si cercherà infatti di presentare il ludico come un concetto plurale, subordinato in modo assoluto alla volontà individuale e quindi processuale.

Tutto ciò è doveroso dal momento che si è scelto di indagare un fenomeno, quello della ludicizzazione mediale (e reale) contemporanea, calato in un contesto generale che con l’agire individuale ha sempre di più a che fare. Privilegiare un paradigma esperienziale piuttosto che uno testuale diventa allora d’obbligo, alla ricerca non di un’univoca definizione strutturale di gioco bensì di una definizione emergente e legata indissolubilmente alla natura discorsiva dell’attività ludica. Nel farlo tuttavia, per evitare di rinunciare completamente alla descrizione degli oggetti in una posizione anti-deterministica profondamente rischiosa, terremo in grande considerazione le affordance di prodotti generati per essere giocati pur non possedendo lo status di gioco.

Proveremo dunque a generalizzare tale modello nel capitolo seguente, partendo dalla concezione di “giocosità” e “semi-ludicità” proposte da Ortoleva. Dopo aver descritto il nostro contesto di studio, ciò che si potrebbe definire dunque una deriva “semi-ludica”

171 ROIG, A., SAN CORNELIO, G., ARDÈVOL, E., ALSINA, P. & PAGÈS, R., “Videogame as Media Practice.

An Exploration of the Intersections Between Play and Audiovisual Culture”, Convergence: The International Journal of Research into New Media Technologies, 15(1), 2009.

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dell’universo mediale, evidenziando le metodologie a nostro avviso più adatte alla sua analisi, proveremo a soffermarci sull’idea generale di “gioco come processo” (non oggettivo né soggettivo ma fusione di design e azione, oggetto partecipativo per eccellenza). In seguito le definizioni analizzate verranno applicate indagando i concetti di “gioco come attività partecipativa”, “gioco come simulazione” (di processi sociali e cognitivi reali, soprattutto a essi strettamente legato), e “gioco come lavoro” (insieme al

“lavoro come gioco”) mettendoli in relazione con diversi campi mediali esemplari.

L’obiettivo sarà quello di comprendere e confrontare la presenza del ludico nei media che definiremo per brevità “classici”, cinema e letteratura, con le caratteristiche di questa

“nuova ludicità” e delle sue differenti messe in forma. Anche la riflessione sulla

“ludicizzazione del reale” emergerà abbastanza chiaramente da questo confronto, vedremo come.

Proseguire dunque nella ricerca sul gioco è un atto doveroso, non solo perché il ludico è luogo fecondo per la riflessione filosofica e sociologica ma soprattutto perché nella contemporaneità la sua invadenza, reale o supposta, sta diventando argomento di grande discussione. La partita definitoria è persa in partenza, lo si sarà capito. Da questo primo capitolo crediamo di aver ricavato almeno l’idea che racchiudere il gioco all’interno di confini definitori fissi sia impossibile. Si può allora provare a privilegiare una strada sulle altre in base agli oggetti che avremo di fronte nell’analisi, rappresentanti di questa nuova ludicità sulla cui definizione abbiamo già rimandato già troppo a lungo.

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GIOCO: VERSO UN MODELLO DISCORSIVO

Per introdurre le caratteristiche significative del “ludico” o della “ludicità”

contemporanei e della loro declinazione in “semi-ludicità” recupereremo quei contributi che si sono mossi concordi nella direzione di un’analisi processuale del gioco.

Privilegeremo di conseguenza quelle caratteristiche che abbiamo definito come “attive”

e relative all’agire ludico. Tali teorie si fondano sull’idea, già incontrata in diversi autori affrontati finora, che il gioco intervenga nella vita reale con costanza e ne possa addirittura dettare ritmi e scadenze. Vedremo come questa concezione sia ancora più forte e centrale oggi, in un momento storico che deve confrontarsi con un paradigma di

“ludicizzazione” invadente, che parte dai media e arriva alla vita o, meglio, che nasce e si sviluppa all’interno dell’evidente sinergia fra media e vita. In questa fase però va fatta un’ulteriore precisazione. Sarebbe opportuno non distinguere più fra ludicità mediale e ludicità reale o, più in generale, fra i concetti di “virtuale” e “reale”. Seguendo Bergson172, come suggeriscono Rovatti e Dal Lago nel già citato Per gioco, si può considerare il “reale”, ovvero “la vita pragmatica, il lavoro, le bollette”, non come la

“Realtà” ma come una manifestazione del “Possibile” in cui ci veniamo a trovare in un preciso momento. Per cui la vita reale non sarebbe altro che una contingenza, una possibilità fra tante, e i media intervengono in questo “Possibile” come parte consistente della realtà e dell’esistenza, luogo in cui l’informazione, seppur non tangibile, diventa un ambiente173 in cui muoversi, una rete di connessioni in cui è necessario elaborare valide strategie di attraversamento allo scopo semplicemente di “conoscere”174. Il gioco è reale, i media sono reali o, meglio ancora, “attuali”, seguendo la contrapposizione fra

172 BERGSON, H., Le rire. Essai sur la signification du comique, Éditions Alcan, Paris 1900 (tr. it., Il riso. Saggio sul significato del comico, Rizzoli, Milano 1961).

173 MEYROWITZ, J., No Sense of Place: The Impact of Electronic Media on Social Behavior Oltre il senso del luogo, Oxford University Press 1985 (tr. it. Oltre il senso del luogo, Baskerville, Bologna 1993).

174 SIEMENS, G., Knowing Knowledge, Lulu, Raleigh, NC 2006.

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attuale/virtuale proposta da Pierre Levy175, con il secondo inteso come “in potenza”. I media forse non saranno sempre tangibili ma da tempo questo non è più un carattere necessario all’esistenza.

Non è un caso che un’idea di questo tipo possa anche essere anche considerata la base di partenza per descrivere il processo di ludicizzazione: in un contesto in cui i media, che vedremo storicamente pervasi dal gioco, si prendono sempre più spazio è possibile che molti dei caratteri ludici latenti al loro interno, si risveglino con prepotenza.

Questo ridestarsi non farebbe altro dunque che rispecchiare il ludico nella complessità delle nostre giornate, in cui tali media sono profondamente integrati. Cercando di non lasciarsi prendere dalla foga interpretativa, sia per ora sufficiente dire che, considerato quanto detto finora, parlare di “ludicizzazione del reale” sembra poco produttivo. Il ludico è in prima istanza già presente, in modo più o meno esplicito a seconda dei casi, nell’universo mediale nella forma di pratiche giocose o playful. È la lettura per esempio che fa Silverstone quando afferma che tutti gli utenti mediali sono giocatori e propone al contempo l’utilizzo del concetto di gioco come chiave di lettura trasversale per i media studies: “There are many ways in which we can see media as being sites for play, both in their texts and in the responses that those texts engender”176. Questo tipo di interpretazione viene ripresa anche da studiosi successivi come per esempio Marshall che riconosce una progressiva mercificazione del giocattolo generata dalla connessione con altri prodotti culturali allo scopo di allargare le possibilità di gioco legate all’oggetto.

Le pratiche ludiche allora vengono inquadrate dalle industrie culturali all’interno di schemi allargati e precostituiti, detti New intertextual commodity, per regolamentare il sempre maggiore potere a disposizione dei fruitori177. Il gioco dunque viene considerato strumento adatto allo studio dei media in quanto parte integrante delle loro pratiche d’uso e della cultura umana in generale. Da queste premesse dunque, la presenza del gioco nella realtà pare prima di tutto subordinata alla posizione che i media assumono

175 LEVY, P., Qu'est-ce que le virtuel? La Découvèrte, Parigi 1995 (tr. it. Il virtuale, RaffaelloCortina, Milano 1997).

176 SILVERSTONE, R., Why Study the Media? SAGE Publications, London 1999, pp. 59-60.

177 MARSHALL, P. D., “The New Intertextual Commodity” in D. HARRIES (ed.), The New Media Book, British Film Institute, London 2002.

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rispetto al loro potenziale ludico: il reale presenta caratteri ludici evidenti nel momento in cui i sistemi di comunicazione contemporanei, strutturalmente legati a dinamiche di quel tipo, rendono esplicita la loro ludicità esigendo al contempo e a ragione uno status di attualità pragmatica senza riserve.

Conseguenza di una posizione di questo tipo è la necessità di abbozzare la definizione di un “ludico” che sia esplicito, contemporaneo ai media, raffinato al loro interno e infine irradiato senza difficoltà al mondo reale. Le premesse a una definizione di questo tipo le abbiamo già incontrate nella “nuova ludicità” di Ortoleva e si possono riassumere in due punti chiave:

 da una parte la definizione di “semi-ludico”, che sorge dalla fusione di lavoro e tempo libero, abbattendo definitivamente il cerchio magico e qualunque altra idea di confine fra attività ludica e realtà. Si tratta dunque di un’area intermedia, generata da un modello giocoso per le relazioni, che integra profondamente due attività percepite come antitetiche: lavorare e giocare;

 dall’altra la rinuncia all’idea di gioco come attività infantile, esso del resto può diventare lavoro e viceversa il lavoro può diventare gioco. A venire parzialmente abbandonata è anche l’idea di gioco come sfida, come prova da superare, soppiantata dalla concezione di gioco come completamento di task in successione.

La propagazione della “semi-ludicità” passa infine dall’utilizzo “giocoso” degli oggetti mediali e dal loro design. Abbiamo quindi di fronte prodotti particolari, presentati e, nelle intenzioni dei loro creatori, utilizzati come giochi anche se nono sono immediatamente riconoscibili come tali.

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