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Agire razionale e azione collettiva

L’agire razionale nelle spiegazioni sociologiche: dai “tipi ideali” ai modelli di simulazione

3. Agire razionale e azione collettiva

L’analisi dello sviluppo del concetto di razionalità non può prescindere dalla dicotomia tra la visione olistica della società e quella individualistica che ha da sempre caratterizzato il dibattito all’interno del pensiero sociologico. Se- condo la prospettiva olistica, le istituzioni e le strutture sociali condizionano

13 Boudon (1997: 177, 374). 14 Boudon (1985: 73). 15 La Spina (2003: 441).

l’agire umano. Durkheim16, rifiutando ogni tipo di riduzionismo, ha sottoli- neato come il fatto sociale sia una realtà sui generis che ha anche carattere coercitivo. Lo strutturalismo, nella sua versione più rigida, ha portato alla concezione che a livello sociale esista una struttura relativamente stabile di posizioni e relazioni che influenzano le motivazioni e le azioni degli attori sociali. Infine, il funzionalismo e la teoria dei sistemi considerano il “sistema” sociale determinante per capire le azioni individuali, in quanto ogni soggetto ne mantiene l’equilibrio grazie all’interiorizzazione di un insieme di norme che apprende durante la fase di socializzazione.

Le teorie che fanno riferimento all’approccio individualistico conside- rano la società come la somma delle azioni individuali. La teoria della scelta razionale e l’individualismo metodologico pongono la centralità sull’azione umana, che deve essere l’elemento chiave su cui fondare le spiegazioni so- ciali17. Ma l’individuo non agisce in maniera isolata, per cui occorre anche affrontare la questione della spiegazione delle azioni collettive; in particolare, è necessario cercare di rendere conto degli effetti dell’interazione sociale e dei processi di formazione, sopravvivenza ed evoluzione dei gruppi organiz- zati18.

La teoria dei giochi cerca di descrivere le interazioni che avvengono tra individui che agiscono in maniera utilitaristica, considerando la situazione in cui le conseguenze di una decisione dipendono anche dalle decisioni prese dagli altri. Attraverso un formalismo matematico, cerca di modellizzare in modo particolarmente efficace proprio le situazioni d’interazione, rendendo espliciti nei ragionamenti degli attori che il loro agire deve tener conto delle conseguenze dovute all’interdipendenza delle scelte.

Due o più individui che devono compiere delle scelte hanno determinate prefe- renze per quanto riguarda i risultati, oltre ad una certa conoscenza delle scelte di- sponibili a ciascuno e delle rispettive preferenze. Il risultato dipende dalle scelte di entrambi, o di tutti, se le persone sono più di due. Non esiste una soluzione ottimale «indipendente»: bisogna vedere cosa fanno gli altri.19

“La teoria dei giochi ha dimostrato quanto sia intrattabile il problema della prescrizione di un’azione razionale in una situazione multipersonale dove gli interessi sono opposti”20. Essa dimostra che il comportamento pura- mente egoistico, puntuale e di breve periodo produce un risultato irrazionale,

16 Durkheim (1963). 17 Cocozza (2005: 11). 18 Collins (1992). 19 Schelling (1989: 10-11). 20 Simon (1985: 355).

nel senso che non porta alla situazione ottimale, e richiama pertanto l’atten- zione sul ruolo del sistema dei valori, delle norme e delle abitudini che inci- dono fortemente sul comportamento razionale individuale. Le scelte, infatti, dipendono da come si sviluppano le interazioni sociali, per cui l’attore ha delle aspettative sul comportamento altrui e sa che l’altro ha a sua volta delle aspettative sul suo comportamento. Inoltre, la teoria dei giochi si deve con- frontare anche con il problema delle differenze culturali che rendono il gioco asimmetrico21. Se gli individui provengono da culture diverse avranno anche

diversi criteri di valutazione dei risultati. Occorre così individuare insiemi di- stinti di payoff che siano in grado di rappresentare la pluralità delle prefe- renze22.

Boudon23 affronta il problema della relazione tra micro e macro livello, sostenendo che le strutture sociali si formano come conseguenze inattese e impreviste delle azioni individuali. I fenomeni sociali devono essere visti come effetto di aggregazione di comportamenti dei singoli attori; da ciò de- riva la necessità di studiare la società partendo da una prospettiva individua- listica. Boudon riprende in qualche modo il pensiero di Hayek24, il quale introduce il concetto di ordine sociale spontaneo, che si forma per evoluzione ed è in grado di svilupparsi e mantenersi grazie a forze endogene. Secondo Boudon, le spiegazioni sociologiche non devono basarsi sulla ricerca di leggi causali, ma sulla teoria dell’azione. Rifiutando la visione strutturalista e oli- stica sostiene che ogni fenomeno sociale M deve essere considerato come una funzione delle azioni individuali m, che a loro volta hanno origine da una determinata situazione S dipendente da elementi macrosociali M’:

M = M(m(S(M’)))

Hedström25 introduce il concetto di “meccanismo generatore”: la spiega- zione sociologica deve essere in grado di individuare i meccanismi che “cau- sano” un determinato fenomeno. Un meccanismo generatore è un insieme di entità e di attività capaci di generare regolarmente un certo effetto. Egli so- stiene che la teoria dell’azione deve essere alla base di ogni spiegazione, ma poiché la sociologia si interessa delle conseguenze sociali, è inevitabile fare riferimento anche alle caratteristiche collettive dell’azione. Ciò significa che

21 Cfr. Oechssler & Schipper (2003); Sacco & Zarri (2003). 22 Wildavsky (1992).

23 Boudon (1985). 24 Hayek (1988). 25 Hedström (2006).

per individuare i meccanismi generatori occorre considerare, oltre alle pro- prietà degli elementi micro, anche le caratteristiche relazionali. Le motiva- zioni che determinano le azioni degli individui vanno ricercate considerando l’insieme delle credenze, delle preferenze e delle opportunità dell’attore so- ciale. La teoria della scelta razionale spiega soltanto una piccola parte delle ragioni che spingono gli individui ad agire, ma non può dar conto da sola di tutte le azioni umane. Occorre ogni volta ricercare le ragioni intelligibili, che inevitabilmente dipendono anche dalle credenze e dalle preferenze.

È da notare che con l’evoluzione dell’individualismo metodologico si in- troducono dei limiti alle spiegazioni riduzioniste, in quanto le azioni dei sin- goli devono fare riferimento anche a caratteri sociali quali le norme e le istituzioni. Cherkaoui26, pur sostenendo la necessità di individuare i meccani- smi generatori dei fenomeni, sottolinea la complessità della relazione tra i livelli micro e macro, nel momento in cui si considera un agente non perfet- tamente razionale. Non è sempre possibile effettuare un pieno riduzionismo, soprattutto quando le distribuzioni e le strutture delle relazioni condizionano pesantemente le scelte. Questo, se da una parte genera maggior realismo, dall’altra introduce una contraddizione rispetto ai presupposti che stanno alla base di questo paradigma, riducendone l’efficacia e la rilevanza metodolo- gica.