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Due economie della conoscenza a confronto (o della razionalità del realismo)

2. La favola dei coleotter

In un’ingegnosa e kafkiana reductio ad absurdum della possibilità stessa di un “linguaggio privato”, Wittgenstein invita ad immaginare l’angusta situa- zione d’incomunicabilità fenomenologico-cognitiva dei partecipanti ad un improbabile linguistic game, consistente nel tenere, ciascuno, uno scarabeo prigioniero in una propria scatola:

Supponiamo che ciascuno abbia una scatola in cui c’è qualcosa che noi chiamiamo “coleottero”. Nessuno può guardare nella scatola dell’altro; e ognuno dice di sa- pere che cos’è un coleottero soltanto guardando il suo coleottero. Ma potrebbe ben darsi che ciascuno abbia nella sua scatola una cosa diversa. Si potrebbe addi- rittura immaginare che questa cosa mutasse continuamente. Ma supponiamo che la parola “coleottero” avesse, tuttavia, un uso per queste persone! Allora non sa- rebbe quello della designazione di una cosa. La cosa contenuta nella scatola non fa parte in nessun caso del giuoco linguistico; nemmeno come un qualcosa; infatti, la scatola potrebbe anche essere vuota. No, si può «dividere per» la cosa che è nella scatola; di qualunque cosa di tratti, si annulla8.

Poniamo, adesso, che in questo “gioco”, solo una persona, molto più for- tunata degli altri, abbia un reale coleottero nella propria scatola (mentre, gli altri: «una cosa diversa o mutante» o il nulla) e che, trovando e consultando un atlante entomologico, venga a scoprirlo per primo. Libro alla mano, costei potrebbe scegliere di aprire la propria scatola e di illustrarne il contenuto agli altri, violando, perciò, le rigide restrizioni poste dal filosofo austriaco. Così facendo, però, questa persona si rivelerebbe l’unica ad aver realmente giocato allo “scarabeo prigioniero” o, in più, vincerebbe il gioco stesso? Di certo, da quel momento in poi, non si potrebbe più «dividere per» il contenuto della sua scatola, senza pure «dividere per» le nomenclature entomologiche vi- genti. Ergo, questo giocatore, con la sua “innovazione”, instaurando tra sé e gli altri una nuova configurazione nell’equilibrio economico della cono- scenza, (in questo caso dei coleotteri), diventerebbe il nuovo padrone di que- sto gioco linguistico, e le certezze di chi, in esso, si illudeva di sapere cosa fosse un coleottero, o di chi pensava di poter ingannare gli altri giocatori,

7 Ferraris (2012). 8 Wittgenstein (1953).

magari bluffando con una scatola vuota, potrebbero essere deluse o smasche- rate. Poiché ogni scoperta, spesso, rivela che qualcuno (noi, gli altri) igno- rasse qualcosa, alcuni individui si scopriranno, prima o poi, impoveriti da perdite di pseudo-conoscenza, cioè da errori, auto-inganni o bluff. Questo, appena illustrato, è un tipico esempio di “economia epistemica” che, in questa sede, sarà definito realista. La reale suddivisione in natura delle specie di insetti, in questo modello è detta, in termini tecnici, un’esternalità economica, non suscettibile di ulteriori contrattazioni esplicative, che il proprietario del vero scarabeo può limitarsi a gestire con un management euristico, dove, da un gratuito incognito (l’evoluzione naturale degli insetti), può ricavare un for- tuito primum cognitum, per cui quell’insetto è proprio uno scarabeo.

Ma, questa non è la sola economia cognitiva attuabile in questo “gioco”. Un’alternativa un po’ fiabesca (nel senso della Fable of Bees di Mandeville), che si potrebbe definire costruttivista o comunitarista, vede, all’apertura della scatola del proprietario del coleottero, un altro giocatore alzare la mano e chiedere di giustificare i dati contenuti nell’atlante del fortunato vincitore avanzando il sospetto che anche la moderna teoria zoologica potrebbe essere un altro, gigantesco “scatolone” teorico, chiuso e sigillato a sua volta. Anzi- ché basarsi su dei mitici “dati esterni”, che potrebbero esser frutto, a propria volta, di altre contrattazioni o “costruzioni” concettuali, l’intera comunità de- gli “entomologi del senso comune” potrebbe decidere, per mettere tutti d’ac- cordo, di permettere a ciascuno di crearsi una propria teoria dell’insetto che ognuno tiene rinchiuso, negoziandone, a scatola chiusa, ciascun dettaglio ana- tomico (pace Wittgenstein). Infine, lo scarabeo standard sarà quello vincente la sfida del libero mercato della conoscenza, il cui equilibrio sarà stato in grado di soddisfare il maggior numero di domande e offerte di giustificazioni per credere che quel “qualcosa” fosse proprio uno scarabeo.

La conoscenza, con i suoi operatori e le loro teorie, formerebbe, dunque, un mutevole e competitivo gioco economico? Già in passato, Lord Bacon, anche lui ispirato da insetti (e aracnidi), ed E. Mach, si posero la stessa do- manda, rispondendo positivamente. Il primo, esaltando le virtù economiche dell’ape induttivista, allegorico ibrido delle indoli produttive delle formiche empiriste e dei ragni a-prioristi9, il secondo, chiosando con mirabile sintesi, che «tutta la scienza ha lo scopo di sostituire, ossia di economizzare, espe- rienze mediante la riproduzione e l’anticipazione dei fatti nel pensiero10». Su

9 Bacon (1620, trad. it. 72-3).

10 Mach (1883, trad. it. 470). Peirce ha ben parafrasato questa tesi: «Ogni verità che ci rispar-

questa scia, si potrebbe ipotizzare che ogni contenuto epistemico non banale sia sempre stato, di per sé, una risorsa economica, ovvero «un mezzo scarso applicabile ad usi alternativi11», sin dai tempi più remoti in cui homo sapiens-

sapiens iniziava a farne i primi «usi alternativi», gettando, anche sotto il pro-

filo tecnologico, le basi del proprio progresso culturale. Ed è un’ipotesi, que- sta, di economicità ontologica della conoscenza, che potrebbe spalancare imprevedibili scenari epistemologici. Ogni equilibrio socio-economico, in- fatti, lungi dal dipendere solo da meccanismi esogeni, come l’origine storica delle risorse, è sensibile anche a fattori più tipicamente endogeni, come l’ine- vitabile affermarsi di monopolisti o dittatori della scelta sociale. Un’idea, que- sta, del Premio Nobel per l’economia 1972, K. J. Arrow, che è corollario di un suo famoso risultato: il teorema di possibilità (o impossibilità) di funzioni pubbliche di scelta sociale per sistemi di scelta elettiva o di libera concor- renza12. Di esso, un altro economista iridato dal Nobel ha detto: «la devastante

scoperta di Arrow è, per la politica, ciò che il teorema di Gödel è per la ma- tematica13». Una stima non mal riposta, trattandosi della dimostrazione dell’incompatibilità logica di ogni metodo di scelta, con l’esprimibilità col- lettiva di preferenze individuali, (politiche, economiche, sociali), per più di 2 opzioni, vale a dire del fatto che ogni meccanismo sociale di scelta, entro certi ampi limiti, rende, ceteris paribus, la libertà di scelta più intrappolabile in certe “scatole di detentori di preferenze” piuttosto che in altre. Una funzione sociale distributiva di scelte vertenti su opzioni teoriche di ipotesi esplicative o predittive, anziché su voti o beni di consumo, valendo l’ipotesi di economi- cità ontologica della conoscenza, andrebbe, perciò, incontro agli stessi vincoli logici del teorema di Arrow, e si potrebbe sviluppare, così, senza adire a so- spetti di imperialismo economicistico14, un confronto valutativo tra le due economie epistemiche poc’anzi visualizzate (realismo e comunitarismo) al fine di individuarne pregi e difetti concettuali.

i mezzi per prevedere condizionalmente che cosa percepirebbe qualcuno che fosse nella si- tuazione di percepirlo; questo […] è ciò che la scienza prende in considerazione». Peirce

(1901: 485-538, 498).

11 Robbins (1932, trad. it. 20). 12 Arrow (1951: 63).

13 Samuelson (1974: 120).