Responsabilità e ragionamento controfattuale nel diritto
3. L’analisi della responsabilità causale e i suoi limit
Due eventi sono in una relazione di dipendenza causale se l’uno non si sa- rebbe verificato in assenza dell’altro. Il ragionamento sotteso alla dipendenza causale è di tipo controfattuale. Cos’è un controfattuale? È una asserzione condizionale il cui l’antecedente è una negazione di uno stato di cose (è dun- que contro i fatti). I controfattuali stabiliscono una relazione tra come le cose
sarebbero andate se le condizioni fossero state diverse da quelle che effetti- vamente sono7. Ora, il criterio classico per identificare, nell’ambito del diritto, la presenza di un nesso causale tra una condotta e le sue conseguenze, è sta- bilire se la condotta messa in atto sia una condizione necessaria senza la quale l’evento dannoso non sarebbe occorso. Questo criterio è appunto di tipo con- trofattuale8. Chiamerò questa la tesi della causalità necessaria (CN):
(CN) Una azione c compiuta da un agente A, è una causa necessaria di un evento successivo e, se e solo se, se c non si fosse verificato, neanche
e si sarebbe verificato9.
La tesi della causalità necessaria è una una forma di dipendenza contro- fattuale tra eventi che si ottiene sostituendo una descrizione contenente un predicato d’azione al posto della descrizione dell’evento che figura come causa nella formulazione originaria. Sebbene vi siano dei limiti a questo tipo di formalizzazione10, la formulazione controfattuale appare in generale una
strategia legittima per stabilire in che senso il contributo causale delle azioni sia rilevante per i giudizi di responsabilità. Un aspetto cruciale della causalità necessaria è che essa stabilisce un criterio assai stringente per tali giudizi. Non vi può essere infatti colpevolezza (mens rea) senza che l’agente abbia contribuito in modo necessario all’evento (o alle conseguenze di esso)11.
Argomentazioni controfattuali di questo tipo sono essenziali nello stabi- lire le condizioni preliminari del dolo e della colpa, così come la dottrina delle scusanti e delle cause di giustificazione. Nell’ambito del diritto penale ita- liano, la tesi della causalità necessaria è solitamente formulata facendo ap- pello al cosiddetto processo di eliminazione mentale: «un’azione è condicio
7 Lewis (1973). Si veda anche Menzies (2009).
8 Per la formulazione classica della dipendenza controfattuale, si veda Lewis (1973). Si noti
che Lewis considera la dipendenza controfattuale come una relazione tra mondi possibili. Per un’analisi filosoficamente informata della metafisica dei controfattuali nel diritto, si veda Moore (2009: 371-470).
9 Per una discussione dettagliata delle condizioni necessarie del sistema di common law, si
vedano Hart & Honorè (19852:109-129); Moore (2009: 89-90, 396-397, 419-420). Per una
ricognizione dei sistemi civilistici, si vedano Fiandaca & Musco, (2004: 200-223); Antolisei (1991: 211-214). Per una difesa della causalità nel diritto penale secondo il modello delle leggi di copertura scientifiche, si veda Stella (1975).
10 Sulla tesi che le azioni siano eventi la cui descrizione contiene un predicato d’azione, si
vedano: Davidson (1963, trad .it. 41-62); Id. (1967, trad. it. 163-214).
sine qua non per un evento, se non può essere mentalmente sottratta senza
che l’evento cessi di esistere.12»
Vi sono tuttavia alcune note obiezioni al criterio di causalità necessaria. Esse riguardano i casi in cui la catena causale primaria è interrotta da una catena causale secondaria (causalità fail-safe) oppure quando il verificarsi dell’effetto è anticipato da una catena secondaria (causalità preventiva). Ecco alcuni casi.
(1) I teorici della cospirazione avevano ragione a proposito della morte di John Fitzgerald Kennedy. Harry Lee Oswald non era solo sul tetto del Texas School Book Depository il 22 novembre 1963, quando decise di uccidere il Presidente degli Stati Uniti. Un secondo cecchino era presente sulla scena e aveva ricevuto l’ordine di uccidere Kennedy nel caso Oswald avesse fallito. Il secondo cecchino era più vicino all’auto presi- denziale di quanto non lo fosse Oswald e, con tutta certezza, non avrebbe mancato il bersaglio qualora avesse sparato.
Nonostante lo scenario in (1) include la presenza di un secondo poten- ziale omicida, questo elemento non muta il ruolo causale di Oswald. È evi- dente – si dirà – che avendo Oswald sparato, resti lui responsabile per l’omici- dio di Kennedy. Ma, per quanto l’intuizione sia corretta, non è facile stabilirlo se assumiamo (CN) come criterio di ‘responsabilità causale’13. Ho premesso infatti che il cecchino avesse una elevata probabilità di uccidere Kennedy nel caso Oswald avesse fallito. Si potrebbe obiettare che, poiché Kennedy sa- rebbe stato comunque ucciso dal secondo cecchino, la condotta di Oswald non può essere considerata una causa necessaria nella catena di eventi che conduce alla morte di Kennedy e, dunque, Oswald non è causalmente respon- sabile nel senso richiesto dal criterio (CN). Basterebbe, in altri termini, stabi- lire la validità della seguente inferenza:
(1’) Se Oswald non avesse sparato a Kennedy, allora il secondo cecchino lo avrebbe fatto;
Se il secondo cecchino avesse sparato, Kennedy sarebbe rimasto ucciso;
Dunque: se anche Oswald non avesse sparato, Kennedy sarebbe rimasto ucciso.
12 Si veda Fiandaca & Musco (2004: 204).
L’argomento è ovviamente fallace, ma – si potrebbe dire – solo perché il nostro atteggiamento nei confronti dei controfattuali discrimina ingiustifica- tamente tra eventi attuali ed eventi possibili. Se siamo disposti ad attribuire una alta probabilità al verificarsi di un evento, questa considerazione do- vrebbe avere qualche importanza nella valutazione delle cause di quegli eventi. Secondo questo punto di vista, le condizioni di asseribilità di un as- serto controfattuale dipendono dal grado di probabilità soggettiva che il con- seguente sia vero, data la verità dell’antecedente14.Una alta probabilità che
l’evento si verifichi rende il controfattuale asseribile e la conclusione giusti- ficabile. Potrebbe essere questo dunque un argomento a difesa di Oswald? La risposta dipende da quanto siamo disposti a credere nella ineluttabilità della morte di Kennedy data l’evidenza a noi disponibile. Per probabilità prossime alla certezza, Oswald smette di essere causalmente responsabile secondo il criterio della causalità necessaria, poiché saremmo ragionevolmente certi che, se anche Oswald avesse mancato il bersaglio, si sarebbe innescata una catena causale alternativa che avrebbe prodotto lo stesso effetto. Tuttavia, sappiamo che questa conclusione contrasta con il corretto giudizio secondo cui è stato Oswald a causare materialmente la morte di Kennedy. Il criterio di causalità necessaria prevede pertanto che non vi sia una maggiore responsabilità cau- sale per atti che rappresentano cause materiali rispetto alla responsabilità cau- sale per eventi probabili, almeno per probabilità prossime alla certezza. Eppure questa differenza è cruciale per una teoria generale della responsabi- lità poiché in sua assenza dovremmo ammettere che possa essere ritenuto re- sponsabile di un reato anche colui che probabilmente lo commetterà, sebbene non lo ha ancora compiuto.
L’interpretazione probabilistica dei condizionali controfattuali salva il criterio di causalità necessaria, ma al prezzo di negare il principio per cui non si può essere puniti per reati che non si sono cagionati. Tale principio riflette del resto una concezione profondamente radicata nella teoria dell’azione in generale: l’idea che non si possa essere autori di azioni di cui non si ha il controllo, e dunque che non si possa esserne chiamati a rispondere. L’analisi della logica sottostante la causalità necessaria spiega perché questo criterio non sia in grado di catturare i casi fail-safe. Il criterio di causalità necessaria si basa infatti su una errata interpretazione del principio di transitività causale. Tale principio stabilisce che
14 Più esattamente, se P è la funzione di probabilità bayesiana, e (c □→ e) la formula contro-
fattuale per “ se fosse il caso che c, allora sarebbe il caso che e”, allora P(c □→ e) = P(e|c) per tutti i c e gli e nel dominio di P, con P(c) > 0.
Si veda Stalnaker (1968: 98-112). Per una discussione di questa interpretrazione della proba- bilità controfattuale, si veda anche Lewis (1976: 297-315).
(T) se ‘c causa d’ e ‘d causa e’, allora ‘c causa e’ .
Combinando (T) con il criterio di causalità necessaria (CN), otteniamo: (TCN) se ‘c è una causa necessaria di d’ e ‘d è una causa necessaria di
e’, allora ‘c è una causa necessaria di e’,
da cui otteniamo a sua volta la formulazione controfattuale
(T☐) ‘se fosse stato il caso che c, allora sarebbe stato il caso che d’, e ‘se fosse stato il caso che d, allora sarebbe stato il caso che e’,
Dunque: ‘se fosse stato il caso che c, allora sarebbe stato il caso che e’.
Facendo ora le dovute sostituzioni in (1), otteniamo:
(1☐) Se (contrariamente a quanto avvenuto) Oswald non avesse sparato, allora lo avrebbe fatto il secondo cecchino;
se il secondo cecchino avesse sparato, allora Kennedy sarebbe stato uc- ciso;
Dunque: se anche Oswald non avesse sparato, Kennedy sarebbe stato uc- ciso.
Ho sostenuto che (1☐) non è un buon argomento per ragioni prima facie epistemiche, ma in realtà l’errore è di carattere logico. Come ha sostenuto David Lewis15, mentre il principio (T) di transitività causale è valido, non è valida la sua controparte controfattuale (T☐). Lewis sostiene che l’inferenza (T☐) sia una ‘fallacia da transitività’16. Secondo Lewis infatti, anche qualora assumiamo che le premesse di (T☐) siano valide, non ne segue la conclusione poiché e potrebbe essersi verificato per qualche altra causa che c. In altri ter- mini, c non può essere una causa necessaria di e poiché non vi è un legame controfattuale necessario tra c ed e. Tuttavia, anche se non necessaria, la di- pendenza causale tra eventi attuali è sufficiente per la causazione.
Cosa ci dice questo a proposito del nostro caso di causazione fail-safe? Ne segue che non possiamo accettare la conclusione in (1☐) poiché, anche laddove assumessimo che la probabilità di successo del secondo cecchino sia
15 Lewis (1973: 32-35). Si veda anche Id. (1976: 297-315) e Id. (1973: 556–67). 16 Lewis (1973: 32).
prossima alla certezza, non vi è un legame causale tra la condotta di Oswald e quella del secondo cecchino, e dunque – a fortiori – non può esservi un legame tra la condotta di Oswald e la morte di Kennedy. Il legame è piuttosto dato dal fatto che il secondo cecchino intende portare a termine la missione qualora Oswald fallisca, ma non è l’eventuale omissione di Oswald a causare il secondo sparo.
La diagnosi del caso fail-safe può essere dunque riassunta così: l’argo- mento in difesa di Oswald assume che la causalità necessaria sia il criterio corretto nei verdetti di responsabilità, e sfrutta l’idea che tale criterio implichi una forma di dipendenza causale (T☐). In base a questo criterio, la condotta di Oswald non risulta necessaria a procurare la morte di Kennedy poiché an- che la sua omissione avrebbe contribuito egualmente allo stesso effetto. Ma l’argomento appunto è fallace: vi è un legame causale tra l’azione di Oswald e la morte di Kennedy che non vi è nel caso della sua omissione.
Il criterio della causalità necessaria si rivela inadeguato anche nei casi di cosiddetta causazione preventiva (pre-emptive), ossia laddove una catena causale alternativa previene lo svolgimento della catena principale. A questo riguardo, si consideri una variante leggermente differente del caso (1), assai diffusa tra i teorici del complotto:
(2) Non è stato Oswald ad uccidere Kennedy. Mentre aveva già il bersa- glio in vista, ha sentito un colpo di fucile partire dalla sua sinistra. Il ru- more lo ha distratto facendogli mancare il bersaglio. Se il cecchino non lo avesse anticipato, Oswald avrebbe sparato.
Si noti che la differenza tra i due scenari non riguarda le intenzioni di Oswald, che sono identiche in ambedue i casi, ma la responsabilità causale di quest’ultimo. Più esattamente, nello scenario (2), delle due condizioni per la responsabilità penale, soltanto quella della colpevolezza (mens rea) è pre- sente, mentre è assente il nesso causale. Il criterio di causalità necessaria esclude dunque che Oswald abbia causato la morte di Kennedy. Tuttavia, la nostra intuizione va in senso contrario: Oswald non ha solo contribuito nel ruolo di complice, ma ha tentato egli stesso di compiere l’omicidio. Ora, la differenza tra omicidio compiuto e tentato omicidio è spesso problematica (tornerò su questo punto nel §4) ed una teoria della responsabilità penale deve poter fornire una giustificazione per distinguere tra i due casi. Il punto cru- ciale è che il criterio della causalità necessaria non è sufficientemente sensi- bile a stabilire questa differenza, per ragioni simili a quelle già esposte a proposito del caso (1). Secondo tale criterio infatti, poiché Oswald non ha
contribuito causalmente alla morte di Kennedy, ne dovremmo concludere che egli non abbia contribuito affatto; un argomento evidentemente inaccettabile.
Anche in questo caso possiamo fornire una analisi della logica sottostante l’argomento. Riformulando il caso secondo lo schema di dipendenza causale, otteniamo che
Se il secondo cecchino non avesse sparato, Oswald l’avrebbe fatto (2☐);
se Oswald avesse sparato, Kennedy sarebbe stato probabilmente ferito a morte;
Nel caso di pre-emption sappiamo che lo sparo del secondo cecchino ha causato la distrazione di Oswald nel momento cruciale. La premessa mag- giore di (2☐) è pertanto valida. La premessa minore invece non lo è per le stesse ragioni richiamate nell’analisi del caso precedente: non può essere giu- dicato responsabile di un delitto colui che non ha commesso il fatto. Fin qui l’argomento segue. Dove si intoppa è al passo successivo. Il criterio (CN) è in questo caso troppo stringente: escludendo l’imputazione di omicidio, esso esclude però anche plausibili ragioni di carattere epistemico che giustificano l’imputazione di tentato omicidio. Torna qui in campo l’interpretazione pro- babilistica dei controfattuali. La premessa minore di (2☐) è infatti tanto più asseribile quanto più alta è la probabilità che Oswald avrebbe sparato se non fosse stato disturbato. È questa probabilità che giustifica l’imputazione di ten- tato omicidio. L’inferenza in (2☐) è pertanto valida, se interpretata in senso probabilistico, allo scopo di stabilire reati legati a tentativi d’azione o atti di negligenza, grave imprudenza, od omissioni colpevoli. Il criterio di causalità necessaria non licenzia una conclusione di questo tipo.
Tirando le somme: se lo scopo dell’analisi filosofica è quello di catturare la prassi dell’argomentazione giuridica, dovremmo respingere la condizione necessaria come del tutto impraticabile, o formulare una teoria più ampia della causalità che non escluda la responsabilità causale per i casi fail-safe e di pre-emption.
Un criterio di causalità più inclusivo è quello della causalità sufficiente. Una formulazione standard di tale criterio è questa:
(CS) Per ogni evento e , vi è una causa sufficiente c. La resa controfattuale di (CS) può essere così formulata:
Per ogni evento e , vi è una causa sufficiente tale che (CS☐): Ogni qual volta si verifica e, si verifica anche c;
se e si verificasse in assenza di c, allora un altro evento d dovrà es- sersi verificato.
Il criterio di causalità sufficiente (CS) è più inclusivo di quello di causa- lità necessaria (CN) perché prevede esplicitamente la presenza di una possi- bile catena alternativa nella descrizione del contesto causale dell’evento. In questo modo, (CS) rende facilmente conto dei casi delle catene causali secon- darie nei casi suddetti. Tuttavia, tale inclusività è ottenuta ad un certo prezzo. (CS) si presenta come infatti come una formulazione molto generale che ri- sulta troppo poco informativa per i casi di sovra-determinazione causale. Si consideri la seguente variante del caso originario:
Né Oswald, né il secondo cecchino sanno della presenza dell’altro quel giorno a Dallas. Nascosti dietro le finestre a diversi piani di distanza l’uno dall’altro, entrambi colpiscono l’auto presidenziale, virtualmente nello stesso istante. Entrambi i colpi sono sufficienti a causare la morte di Kennedy (3).
Il caso (3) descrive una situazione in cui due azioni indipendenti sono cause singolarmente sufficienti per lo stesso evento17. È evidente che il crite- rio di causalità necessaria non è in grado di individuare la responsabilità coin- volta in queste circostanze: essendo entrambe le azioni sufficienti a causare l’effetto, nessuna delle due risulta necessaria, costringendoci così ad conclu- sione che appare aberrante: entrambi gli agenti potrebbero sostenere che il loro comportamento non sia stato causalmente rilevante. Occorre pertanto raf- forzare il criterio di sufficienza causale. Una proposta è quella di combinare i criteri di necessità e sufficienza causale.
4. NESS: un modello controfattuale più inclusivo