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Razionalità e modelli di simulazione

L’agire razionale nelle spiegazioni sociologiche: dai “tipi ideali” ai modelli di simulazione

4. Razionalità e modelli di simulazione

Il concetto di razionalità ha avuto un ruolo strumentale per lo studio della società. Per Weber27, l’agire razionale è un tipo ideale che ha anche una fun- zione metodologica: i tipi ideali sono infatti concetti astratti capaci di indivi- duare regolarità, somiglianze e ricorrenze, costruiti dallo scienziato sociale per cercare di mettere ordine in un mondo multiforme; approssimazioni che consentono di semplificare la realtà empirica e renderla “analizzabile”.

La teoria della scelta razionale standard è basata su assunti a priori e su un insieme di preferenze definite ex ante che determinano l’azione; gli attori sociali non violano mai tali assunti. L’applicazione di questa teoria è basata su una collezione di assiomi che ne garantiscono la coerenza interna28. In am- bito economico, l’utilità soggettiva può essere quantificata senza problemi,

26 Cherkaoui (2005). 27 Weber (1961). 28 Cocozza (2005: 109).

per cui i risultati di ogni scelta possono essere calcolati attraverso una fun- zione matematica, permettendo di costruire dei modelli capaci di trovare la soluzione ottima.

Quando ci si sposta da una concezione esclusivamente economicistica a una sociologica, che prevede preferenze e obiettivi non materiali, si pone il problema di come “calcolare” l’utilità soggettiva. Emerson, ad esempio, so- stiene che per comparare i benefici di tutte le possibili scelte occorre “un con- cetto di valore o di utilità soggettiva che possegga un’origine non arbitraria e un’unità di misura”29. Senza un sistema di misurazione non è possibile defi- nire una funzione che calcola l’utilità soggettiva e quindi costruire un modello matematico.

Simon, introducendo il concetto di razionalità limitata, ricorre a modelli cognitivi definiti nell’ambito della scienza dell’informazione e dell’intelli- genza artificiale. I processi decisionali umani sono in realtà molto più com- plessi rispetto a quelli ottimizzanti della scelta razionale, poiché tendono a seguire percorsi soggettivi che dipendono da esperienze, situazioni e aspira- zioni diverse, ma comunque non rinuncia all’idea che possano essere forma- lizzati e rappresentati da modelli. Egli infatti ritiene necessario ed euristica- mente fruttuoso fare riferimento a questi strumenti: partendo dall’assunto di razionalità limitata è possibile definire differenti modelli formali di attore ra- zionale, ognuno dei quali riproduce una particolare configurazione di vincoli che strutturano la situazione nel quale opera l’attore. Secondo Simon, la scienza dell’informazione fornisce gli strumenti necessari per costruire mo- delli adeguati. “Non si può dar conto del comportamento umano, anche se razionale, con una manciata di variabili”30. La tecnica migliore “per trattare

situazioni troppo complesse per l’applicazione dei metodi conosciuti di otti- mizzazione è la simulazione”31. Seguendo la concezione cognitivista, i pro- cessi cognitivi, e quindi anche quelli decisionali, possono essere convertiti in programmi per computer; nonostante l’hardware di un computer funzioni in modo diverso dal cervello dell’uomo, è possibile stabilire un’analogia tra il processo di “ragionamento umano” e il processo di elaborazione di un com- puter.

La razionalità soggettiva di Boudon riprende le assunzioni della sociolo- gia comprendente di Weber. Esistono tante “ragioni” che giustificano un comportamento, scoprire tali ragioni significa “comprendere” le motivazioni e i significati che gli individui danno alle loro azioni. L’analisi sociale deve

29 Emerson (1987: 12). 30 Simon (1985: 317). 31 Ivi p. 275.

inoltre far ricorso alla sociologia formale definita da Simmel, che elabora co- strutti non riferibili a particolari casi empirici, ma utilizzabili “per spiegare situazioni molto diverse, a condizione di fornire le opportune precisazioni in ogni caso osservato”32.

Boudon sostiene che le scienze sociali non sono in grado di trovare delle “leggi universali” di spiegazione, come in altre scienze, per cui si devono concentrare sulla definizione di modelli. Il modello ha validità locale, piutto- sto che generale, e rappresenta una “situazione ideale”, un’approssimazione della realtà non riscontrabile empiricamente; ogni volta che vogliamo spie- gare un fenomeno empirico attraverso il modello dobbiamo introdurre ulte- riori informazioni, occorre cioè trasformare in costanti alcune variabili. Con il concetto di modello Boudon intende ciò che Simmel intendeva con socio- logia formale. I modelli – o teorie formali secondo il linguaggio di Simmel – propongono un quadro concettuale che può spiegare una particolare classe di fenomeni empirici differenti, “nel momento in cui le variabili incluse nelle funzioni proposizionali che la compongono sono sostituite da costanti perti- nenti, adattate cioè alle caratteristiche della situazione considerata in ciascun caso”33 e offrono un linguaggio utile per l’analisi di determinati processi.

Questa concezione di modello si adatta al concetto di razionalità “sog- gettiva”. È infatti possibile costruire modelli differenti di attore razionale, ognuno dei quali basato su una logica di azione peculiare, che racchiude gli aspetti legati ai valori, alle credenze, alla socializzazione e all’ambiente di riferimento. Ciò consente di rappresentare attori e situazioni idealtipiche e di spiegare una certa classe di eventi determinati da queste logiche di azione.

Secondo la sociologia analitica, per trovare i meccanismi generatori che causano certe ricorrenze occorre partire da una teoria dell’azione che ponga l’attenzione sulle caratteristiche collettive, come i reticoli di interazione, le credenze diffuse e le norme sociali34. Le spiegazioni devono considerare at-

tori idealtipici, le cui intenzioni non sono necessariamente “identiche alle in- tenzioni di alcun attore concretamente esistente, ma dovrebbero essere viste piuttosto come intenzioni caratteristiche che potrebbero motivare attori tipici a comportarsi in modi specifici”35. La sociologia analitica evidenzia la neces-

sità di definire spiegazioni sociologiche che condividano certi standard di “formalizzazione concettuale”: al “fine di comprendere le relazioni com- plesse che esistono fra azione, interazione ed effetti sociali emergenti, è quindi necessario formalizzare adeguatamente la logica astratta del processo

32 Boudon (1985: 252). 33 Ivi p. 254.

34 Hedström (2006: 7). 35 Ivi p. 48.

che si suppone sia all’opera”36. I modelli di simulazione basati su agenti sem- brano i migliori strumenti per definire formalizzazioni di questo tipo, poiché consentono di rappresentare diverse tipologie di strutture di interazione e di logiche di azione. Essi consentono di definire una popolazione di agenti che rappresentano degli attori sociali idealtipici e che agiscono seguendo una certa “razionalità” in una situazione specifica, anch’essa idealtipica.

Le applicazioni dei modelli multi-agente alle scienze sociali, pur utiliz- zando una grande varietà di approcci teorici, condividono con l’individuali- smo metodologico l’obiettivo di individuare quali siano i processi micro che determinano un fenomeno a livello macro. Si parte da un “fatto stilizzato”37 a livello macro, poi si definiscono delle ipotesi sui processi micro che potreb- bero determinarli e si verificano tali ipotesi con la simulazione, dando origine a quella che Epstein chiama una “spiegazione generativa”38. Il modello, quindi, dovrà specificare dei protocolli che definiscono il comportamento e le interazioni di ogni agente, in dipendenza della situazione in cui si trove- ranno ad operare durante la simulazione.

In letteratura troviamo una grande varietà di applicazioni che interpre- tano in maniera diversa la relazione tra il micro e il macro livello sociale. Macy e Flache39 sostengono che i modelli possono essere divisi in due cate- gorie rispetto alle logiche di azione implementate: quelli basati sulle scelte e quelli basate sulle regole di comportamento. Nel primo caso, gli agenti hanno delle preferenze o degli scopi precisi che vengono esplicitati e le azioni sono scelte tra una serie di alternative, ognuna delle quali è valutata in maniera strumentale. Anche se l’agente ha informazioni incomplete o capacità limitate di valutazione, le scelte vengono fatte seguendo un criterio di soddisfazione personale. Nel secondo caso, gli agenti mettono in atto comportamenti di rou- tine, sulla base di regole che forniscono una reazione standard ad una deter- minata condizione. Ciò si verifica, ad esempio, quando si vuole rappresentare un comportamento dettato da una norma.

Un modello molto semplice che segue una logica di azione di tipo stru- mentale è il famoso modello di Schelling40 sulla segregazione razziale. In questo caso, infatti, ogni agente ha come obiettivo quello di avere una certa percentuale di vicini omofili; le azioni scelte sono quelle che permettono di raggiungere tale scopo.

36 Ivi p. 96.

37 Heine et al. (2005). 38 Epstein (1999). 39 Macy & Flache (2009). 40 Schelling (1971).

Anche i modelli di simulazione basati sulla teoria dei giochi seguono la logica strumentale. Il gioco è caratterizzato da procedimenti che cercano di definire i possibili esiti di interazioni strategiche tra più agenti aventi una chiara gerarchia di preferenze. Tutti i comportamenti scelti dagli agenti ri- spondono ad un’esigenza utilitaristica, compreso il comportamento imitativo; l’imitazione infatti viene adottata ogni volta che si reputa possa portare al soddisfacimento dei propri desideri. L’imitazione è un mezzo per raggiungere uno scopo e le regole di interazione sono endogene, nel senso che le strutture di interazione sono determinate dalle decisioni razionali dei singoli attori so- ciali. Nei modelli basati sulla teoria evoluzionistica dei giochi41 i comporta- menti normativi emergono come conseguenza imprevedibile delle interazioni di gioco strategico. I meccanismi interazionali descritti dalla teoria dei giochi e basati sull’assunto dell’agire utilitaristico sono i fattori che generano le norme sociali.

Molti modelli che studiano la diffusione delle idee sono invece basati su regole di comportamento routinarie; gli agenti non hanno preferenze e scopi definiti esplicitamente, decidono di adottare un comportamento imitativo semplicemente perché sono definiti come “conformisti”.42 L’imitazione in

questo caso è un fine dell’attore sociale e non un mezzo43 e le strutture di interazione sono esogene, sono cioè un input del modello e non emergono dalle decisioni individuali. Nella maggior parte dei casi, tali regole di com- portamento non vengono definite sulla base di regolarità empiriche stilizzate, ma piuttosto sono degli assunti specificati ex ante che si ipotizza possano ge- nerare il fenomeno in questione. A volte l’origine di questi assunti non è chiara; in particolare non si capisce se i comportamenti vengano intesi come frutto di norme e credenze sviluppate all’interno di un certo contesto sociale e apprese attraverso un processo di apprendimento e di socializzazione, o siano considerate come un comportamento “naturale” o come prodotto di un’evoluzione culturale44. Nel primo caso questo tipo di azione può essere considerata razionale secondo la concezione di Boudon, poiché discende da un principio normativo; l’attore X crede in Z e di conseguenza ha delle buone ragioni per agire in coerenza con Z. L’obiettivo della spiegazione generativa che ne consegue è verificare se queste norme facciano emergere situazioni, regolarità e ordine sociale; in caso affermativo si può dedurre che esse sono funzionali al sistema. Le regole di interazione rispondono così ad esigenze di

41 Cfr. Axelrod (1997; 1984). 42 Chavalarias (2006). 43 Hedström (1998).

razionalità collettiva piuttosto che di razionalità individuale. Se invece consi- deriamo il comportamento imitativo come un aspetto “naturale” o generato da un processo evolutivo, allora siamo di fronte ad azioni alle quali è difficile attribuire una motivazione.

5. Conclusioni

La teoria della scelta razionale è basata su assunti ben precisi sul comporta- mento umano: l’attore sociale è dotato di una razionalità perfetta e di abilità di calcolo illimitate, per cui è capace di valutare le conseguenze delle proprie azioni senza commettere errori. Inoltre, poiché tutti gli individui hanno le stesse caratteristiche e le stesse capacità, è possibile fare riferimento ad un solo agente ‘rappresentativo’ e analizzare matematicamente i problemi in esame.

Quando si passa dall’homo œconomicus all’homo sociologicus, in cui l’agente cognitivo rimpiazza l’agente perfettamente razionale, la simulazione ad agenti diventa uno strumento rigoroso che sostituisce il calcolo analitico. L’agente viene rappresentato da algoritmi computazionali in grado di agire secondo l’assunto di razionalità limitata, basandosi anche su fenomeni di adattamento, apprendimento e imitazione. I modelli simulativi permettono così di rappresentare con maggior realismo l’attore sociale “tipicizzato” per mezzo di strumenti standardizzati e intersoggettivamente accessibili, in quanto consentono di esprimere la razionalità soggettiva attraverso strumenti formali, allo stesso tempo flessibili e rigorosi.

D’altra parte però la teoria cognitiva della razionalità appare poco chiara e a volte confusa, a differenza della teoria della scelta razionale che è sem- plice, ben definita e completamente trasparente. Di conseguenza, ha generato una molteplicità di approcci disomogenei che hanno a loro volta determinato una produzione di modelli di simulazione spesso difficilmente comparabili tra loro. È difficile giungere ad un lavoro organico e anche la discussione e il confronto sui risultati diventano problematici.

È da notare, inoltre, che la “spiegazione generativa” basata sull’agente cognitivo rischia di dar vita a una struttura logica circolare. Infatti, mentre la teoria della scelta razionale è incentrata su un completo riduzionismo che sta- bilisce ex ante le preferenze e riconduce le spiegazioni alle intenzioni indivi- duali, la teoria dell’azione basata sull’agente cognitivo fonda le spiegazioni anche su elementi sociali come le norme. La condotta degli agenti può dipen- dere da regole di comportamento che a loro volta sono il risultato di qualche processo di interazione ripetuta degli agenti con il loro ambiente sociale.

Per uscire da questa circolarità, le spiegazioni che si avvalgono dei mo- delli di simulazione devono a volte ricorrere alle idee sviluppate dal funzio- nalismo sociologico e dalla teoria dei sistemi, allontanandosi così dalla visione riduzionista dell’individualismo metodologico. Nelle simulazioni in cui l’azione è basata su un comportamento normativo, l’obiettivo delle spie- gazioni è di verificare quali siano le conseguenze di tali norme all’interno dell’ambiente sociale in cui operano gli agenti. Le regole di comportamento vengono considerate delle norme interiorizzate e la simulazione non si preoc- cupa di analizzarne i processi di formazione e trasformazione, ma piuttosto di determinare se sono funzionali al sistema sociale. Gli elementi di base della spiegazione generativa sono “tipi ideali” di interazione sociale, in questo caso dettate da una norma, e le simulazioni hanno l’obiettivo di verificare le pro- prietà che emergono come conseguenze inattese di tali interazioni.

Concludendo, dunque, per risolvere il problema della relazione micro- macro che si è creato all’interno dell’individualismo metodologico, a volte i modelli di simulazione effettuano un riduzionismo i cui atomi delle spiega- zioni sono interazioni sociali “tipicizzate” che includono contemporanea- mente sia requisiti sociali che individuali, senza ricorrere alle finalità e alle intenzioni degli agenti. Spesso, però, rimane non risolto il problema di come definire le tipologie di interazione, in particolare se esse debbano avere un carattere ontologico o fenomenologico.

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