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Causalità e colpevolezza nella responsabilità penale

Responsabilità e ragionamento controfattuale nel diritto

2. Causalità e colpevolezza nella responsabilità penale

I giudizi di responsabilità nell’ambito del diritto penale si basano su due con- dizioni: la volontarietà della condotta e il nesso casuale tra la condotta e

2 Intenderò qui per ragionamento legale un ragionamento esplicito basato su regole inferen-

ziali in cui o le premesse o le conclusioni esprimono una modalità deontica codificata nell’or- dinamento. Di conseguenza per qualsiasi inferenza, è sempre decidibile se le sue premesse o conclusioni costituiscono una norma codificata nell’ordinamento, o possono essere derivate da una norma siffatta. Poiché si tratta di inferenze decidibili, le regole inferenziali e le norme di riferimento dell’ordinamento devono poter essere esplicitate. Un esempio di ragionamento legale esplicito è, ad esempio, un semplice sillogismo di questo tipo: (P) Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno (art. 575 CP); (p) Il 1 ° gennaio 1996, Tizio uccise intenzionalmente Caio, (c) Tizio è colpevole di omicidio. La deduzione della conclusione è data dalla sostituzione di un termine singolare al posto del quantificatore universale. Si veda Fletcher (1998: 8).

3 Per chiarire il differente ruolo concettuale degli elementi costitutivi della responsabilità,

distinguerò tra ‘responsi’ o ‘resoconti’ causali da un lato e ‘attribuzioni’ di colpevolezza dall’altro. La risultante di questi due elementi sono i ‘giudizi’ di responsabilità. Nei casi in cui sottolineo la natura processuale del ragionamento legale, mi riferirò a questi giudizi come ‘verdetti’ e ‘imputazioni’ a seconda del contesto.

l’evento giuridicamente rilevante. Nell’ambito del diritto di tradizione civili- stica, queste due condizioni sono ricomprese negli elementi soggettivi e nella fattispecie obiettiva del reato commissivo. Similmente, nell’ambito della tra- dizione di common law, le due condizioni vengono individuate attraverso le categorie della mens rea e dell’actus reus.

L’ipotesi da cui muoverò in questo saggio è che una teoria complessiva della responsabilità legale non sia una teoria additiva delle condizioni neces- sarie e sufficienti per i giudizi di responsabilità, ma piuttosto esige che queste due condizioni siano in reciproco equilibrio. In che modo? L’analisi del nesso causale deve fornire una descrizione, o un insieme di descrizioni possibili, coerenti con l’elemento soggettivo della colpevolezza. Il verdetto di respon- sabilità penale sarà dunque l’esito di un processo di equilibrio riflessivo tra colpevolezza e causa. L’equilibrio riflessivo è un metodo comune di giustifi- cazione nell’ambito della teoria etica e della filosofia della scienza. Per i so- stenitori dell’equilibrio riflessivo, giustificare una teoria significa rendere reciprocamente coerenti i nostri giudizi particolari con i principi della nostra teoria. Per raggiungere questo equilibrio, a volte occorrerà modificare i nostri giudizi allo scopo di raggiungere la coerenza; in altri casi, come ad esempio in presenza di giudizi particolarmente esemplari, saremo piuttosto disposti a modificare i nostri principi per adattarli ai giudizi particolari. Attraverso que- sto lavoro di bilanciamento, giungiamo ad un equilibrio in cui il contenuto dei giudizi particolari riflette il contenuto dei principi generali della teoria, e dalla teoria è possibile dedurre i nostri giudizi. Una procedura analoga è all’opera nei verdetti di responsabilità penale. In questo caso però, l’equilibrio non è tra principi e giudizi, ma tra responsi causali e attribuzioni di colpevo- lezza.

L’analisi causale fornisce un resoconto di come siano andate le cose for- mulando un ventaglio di ipotesi possibili su come le cose potrebbero essere andate. L’analisi dell’elemento di colpevolezza ricostruisce poi le intenzioni dell’agente o forma delle ipotesi di moventi possibili. Nel giudicare una per- sona responsabile di un reato, il giudice si comporterà – almeno idealmente – come uno scienziato il cui compito è stabilire se una certa teoria si accorda con i fatti. Il giudice parte da un resoconto possibile di come siano andate le cose e individua quello che meglio si accorda con le prove o gli indizi dispo- nibili. A partire da questa ipotesi stabilisce quale movente potrebbe aver mosso l’imputato ad agire. Se il resoconto causale è corroborato da prove, il collegio sarà restio a prendere in considerazione resoconti alternativi e cer- cherà piuttosto il movente più plausibile che si accorda con i fatti. Ma non sempre i resoconti causali sono sufficientemente corroborati. In quel caso, la formulazione di ipotesi su moventi alternativi, eventualmente di altri soggetti,

può fornire una guida per la ricerca del giusto resoconto causale. Attraverso questo processo di reciproco aggiustamento, andando avanti e indietro tra re- sponsi causali e giudizi di colpevolezza, è possibile raggiungere un equilibrio in cui i due elementi convergono su uno stesso verdetto. Tuttavia non è la sola coerenza che giustifica un verdetto di responsabilità: per quanto in equilibrio, un verdetto che incolpi un capro espiatorio rimarrà un cattivo verdetto. I limiti alla variablilità dei nostri giudizi non può essere pertanto dato esclusivamente dalla ricerca di un equilibrio tra colpevolezza e cause, ma richiede un criterio indipendente di valutazione fattuale. In quest’ottica, la legge giustamente pre- vede che una persona non possa essere ritenuta colpevole per un reato, “se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è con- seguenza della sua azione od omissione”4. Occorre dunque specificare che la concezione della responsabilità da cui muovo è una forma di equilibrio rifles- sivo tra colpevolezza e cause in cui la valutazione di queste ultime è logica- mente prioritaria rispetto ai responsi di colpa. Le ipotesi di colpevolezza possono essere una guida per la scoperta delle cause, soltanto laddove l’ana- lisi causale ammette che le cose siano andate, o siano quantomeno potute an- dare, come le nostre attribuzioni di colpevolezza ci inducono a ritenere5.

Chiarita l’ipotesi generale, possiamo ora analizzare le relazioni possibili tra responsi di causa e i giudizi di colpevolezza. In primo luogo occorre dire che il nesso causale deve essere essere connesso alla volontarietà della con- dotta in modo tale che sia sempre decidibile se l’evento causato sia una con- seguenza intenzionale o almeno prevedibile della condotta. In altre parole, deve essere possibile accertare che tipo di atto (volontario o meno, e – se volontario –, di quale fattispecie) abbia causato l’evento dannoso. Possiamo rappresentare queste due condizioni in uno schema di questo tipo:

4 Articolo 40, Codice Penale Italiano, Comma 1.

5 Sulla nozione di equilibrio riflessivo, si vedano Rawls (1971, trad. it. 56-58); Goodman

Fig. 2.1.: Intenzioni e nesso causale: tre scenari

Per spiegare lo schema rappresentato nella Figura 2.1, si consideri un esempio. Un soggetto A compie una azione c allo scopo di ottenere un effetto

e. Poniamo che A colpisca B con un pugno. Poniamo che B, a seguito del

pugno, cada dalle scale procurandosi una lesione. Chiamiamo questo effetto ulteriore f. Il nesso causale tra l’azione originaria c e l’effetto ulteriore f è diretto; non vi sono altri fattori, come l’intervento di un altro soggetto o di una condizione preesistente (ad esempio, una complicanza fisica) che contri- buiscano alla morte di B.

Consideriamo ora l’elemento della colpevolezza. Abbiamo qui tre sce- nari alternativi possibili. Nel primo scenario, quello più semplice, A ha colpito

B con l’effettivo intento di ucciderlo. L’intenzione dell’azione coincide in

questo caso con l’effetto ultimo realizzatosi (f). Abbiamo qui che l’attribu- zione di colpevolezza e il responso causale convergono sullo stesso verdetto di responsabilità per omicidio: l’agente ha infatti voluto causare il danno pro- vocato.

Nel secondo scenario, A colpisce B con l’intenzione di produrre l’effetto

e, ad esempio di fargli del male, ma senza l’intenzione ulteriore di causarne

la morte. In questo caso, possiamo affermare che l’intenzione non coincide con l’effetto determinatosi. L’evento delittuoso è piuttosto una conseguenza non prevista dell’atto e il verdetto di responsabilità volgerebbe piuttosto verso la fattispecie dell’omicidio preterintenzionale. Certo, chi prende a pugni una persona si mostra negligente o gravemente imprudente nel non tener conto del rischio eventuale di causare lesioni alla vittima, ma ciò non vale in tutti

casi. In un terzo scenario si può immaginare che, invece di prendere B a pugni,

A avesse semplicemente mimato l’atto di dargli un pugno. Ora, sebbene mi-

mare un pugno abbia comunque provocato la caduta, sarebbe assai più com- plicato ascrivere ad A un comportamento negligente. Qui l’intenzione associata alla condotta che ha innescato la catena causale non sarebbe quella di causare un danno alla vittima e – a fortiori – causarne la morte.

Questa breve analisi illumina un aspetto cruciale del problema della re- sponsabilità penale, ossia che la fattispecie di reato ascritta all’imputato di- pende dal tipo di descrizione che diamo degli eventi. Questa tesi, difesa da Elisabeth Anscombe6, è particolarmente saliente nei casi dei giudizi di re- sponsabilità poiché l’imputazione di cui il soggetto è chiamato a rispondere è una sottoclasse specifica di tutte le possibili descrizioni di una sequenza di eventi, esattamente quella sottoclasse prevista come reato nel codice penale. Assumerò per ipotesi che questo giudizio sia sempre decidibile, ossia che vi sia sempre una risposta corretta alla domanda se un agente sia responsabile per aver compiuto un’azione. Per dare una risposta a questa domanda, ab- biamo detto che i due elementi di una teoria della responsabilità devono essere in equilibrio, ossia che i giudizi di colpevolezza devono risultare coerenti con l’accertamento della storia causale dell’evento. Per stabilire se questa coe- renza vi sia, occorre che il ragionamento attraverso cui viene accertata la re- sponsabilità dell’agente segua un ordine logico: le attribuzioni di colpevo- lezza devono rispondere ai responsi causali, ma non viceversa. Se una attri- buzione di colpevolezza risponde ad un responso causale, allora la catena di eventi è descrivibile come una condotta di cui il reo è responsabile. Una teoria generale della responsabilità penale è dunque una teoria dell’azione applicata ad un contesto specifico. Essa stabilisce quale condotta conti come azione volontaria, e quali conseguenze causali di quella condotta siano riconducibili alla responsabilità dell’agente. Nel prossimo paragrafo, mi concentrerò sugli aspetti causali della responsabilità penale.