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Homo sociologicus e homo œconomicus

L’agire razionale nelle spiegazioni sociologiche: dai “tipi ideali” ai modelli di simulazione

2. Homo sociologicus e homo œconomicus

Secondo il modello razionalistico dell’economia, le scelte individuali se- guono il criterio della massima utilità attesa. Ciò significa che l’individuo ha delle preferenze stabilite a priori ed è in grado di valutare esattamente le con- seguenze di ciascuna scelta disponibile e di decidere di attivare quei compor- tamenti che puntano a massimizzare la soddisfazione delle sue preferenze. L’individuo, posto davanti a una serie di alternative, è in grado di raccogliere tutte le informazioni possibili senza l’assunzione di nessun costo e può deci- dere in piena libertà, valutando le alternative che gli garantiranno i migliori risultati.

Pareto8 fu il primo a criticare questa impostazione, sostenendo che l’agire umano non può essere spiegato solo attraverso elementi economici. Egli, in- fatti, stabilendo una distinzione fra azione logiche e azioni non-logiche, in- tendeva rilevare ed enfatizzare il ruolo degli elementi non-razionali dell’agire sociale, che a suo parere caratterizzano la maggior parte delle azioni. Il pen- siero di Pareto si distanzia nettamente dal modello classico della teoria della scelta razionale, in quanto si basa sull’assunzione che non si può spiegare l’agire umano ricorrendo al concetto di razionalità.

Altri studiosi criticano la teoria della scelta razionale, senza però respin- gerla completamente, ma introducendo dei “correttivi sociologici”.9 Ho- mans10, ad esempio, pur condividendo la concezione strumentale dell’azione,

6 Moretti (2002). 7 Cocozza (2005: 25). 8 Pareto (1964). 9 Izzo (1995: 199). 10 Homans (1975).

sposta il problema della razionalità verso una prospettiva sociologica, soste- nendo che la soddisfazione non riguarda solo aspetti economici, ma anche ricompense emotive e valoriali, come ad esempio l’approvazione sociale. Egli, quindi, introduce una più ampia gamma di finalità che non sono più esclusivamente relative al denaro e ai bisogni materiali.

Simon11 critica il realismo dei modelli classici dell’economia basati sull’ottimo paretiano, introducendo il concetto di razionalità limitata. L’indi- viduo, secondo Simon, è limitato sia perché generalmente non possiede tutte le informazioni necessarie per valutare esattamente le conseguenze di cia- scuna azione alternativa sia a causa della sua incapacità computazionale nel calcolare tali conseguenze. Occorre quindi dare una nuova definizione di agire razionale collegata alle teorie psicologiche e cognitive. La razionalità denota uno “stile” di comportamento che è appropriato al raggiungimento di un dato obiettivo, nei limiti imposti da certe condizioni o vincoli, un compor- tamento che mira a una soluzione soddisfacente piuttosto che ottimale. Le decisioni vengono prese seguendo un processo euristico anziché eseguire un calcolo costi-benefici. Anche le istituzioni sociali possono favorire la razio- nalità, in quanto forniscono un repertorio di esperienze, valori e principi che aiutano a prendere decisioni quando le facoltà limitate non riescono a stimare una realtà complessa.

Secondo Boudon12, la sociologia si distanzia dall’economia relativa- mente alla concezione di razionalità dell’azione, che non si deve basare esclu- sivamente su criteri utilitaristici, ma includere anche tutte quelle azioni “comprensibili” e dotate di senso. Un’azione può essere considerata razionale quando si è in grado di identificare delle “buone ragioni” che muovono l’at- tore. Per Boudon, molte azioni etichettate come irrazionali dalla sociologia, in realtà, sono solo frutto di un mancato riconoscimento delle motivazioni ultime dei soggetti che le hanno compiute. L’irrazionalità non è completa- mente negata, ma è associata ad azioni mosse da stati emotivi che lo stesso attore è in grado di individuare e di riconoscere. La concezione boudoniana prevede anche una razionalità assiologica, in quanto considera razionali an- che quelle azioni guidate da valori. L’attore sociale, anche quando non ricava utilità dalle sue azioni, può essere in grado di darne una spiegazione: “un giu- dizio di valore deve essere comunicabile e argomentabile […] bisogna che una valutazione sia trans-soggettiva”. Ciò è possibile in quanto i soggetti ap- partenenti ad un sistema sociale condividono in genere lo stesso insieme di

11 Simon (1984). 12 Boudon (1985; 1987).

valori e di conseguenza “molte azioni e credenze dell’attore sociale sono per vocazione pubbliche”13.

Per Boudon, la possibilità di dare un senso alle azioni è una funzione della struttura della situazione, quindi la razionalità ha un significato relativo. L’osservatore deve essere in grado di trovare le motivazioni che spingono l’attore a compiere l’azione in una determinata situazione.

Comprendere, nell’accezione weberiana, significa stabilire, tra la situazione dell’attore e le sue motivazioni ed azioni, relazioni tali per cui l’osservatore possa concludere – e convincere i suoi lettori a concludere – che, nella stessa situazione, egli si sarebbe senza dubbio comportato come l’attore14.

Boudon introduce il concetto di razionalità soggettiva: le buone ragioni hanno lo status di congetture, principi e teorie che la maggior parte delle per- sone con lo stesso livello di informazione e/o interesse in questione approve- rebbero se dovessero affrontare la stessa situazione. Esse dipendono dalle credenze dell’attore, dalle esperienze passate e dal contesto sociale.

Concludendo, le varianti sociologiche della teoria della scelta razionale hanno portato a estendere il significato di razionalità. Mentre l’homo œcono-

micus agisce esclusivamente in termini utilitaristici, l’homo sociologicus agi-

sce in modo dotato di senso e mosso da buone ragioni. La razionalità non deve riguardare la natura dei fini dell’azione, ma l’adeguatezza dei mezzi; essa è un fatto puramente strumentale. Le finalità non vanno messe in discus- sione e la dimensione sociale e normativa assume ora un ruolo rilevante. Per lo scienziato sociale le buone ragioni possono essere molteplici, spesso asso- ciate a contesti di riferimento normativi più o meno istituzionalizzati. Si in- troduce così una “concezione pluralistica di razionalità”15: ci sono ragioni che in un contesto danno vita ad azioni razionali, mentre in altri non sono consi- derate buone ragioni.