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Alcune considerazioni sull’ ironia di Berto

Una delle costanti del romanzo è certamente l’uso dell’ironia che lo percorre quasi incessantemente; nel raccontare le proprie disavventure, il Berto ci presenta le situazioni con apparente leggerezza intrisa spesso di commenti ironici, nonostante tali situazioni siano percepite da lui con estrema drammaticità. L’ironia è uno dei tratti peculiari dell’opera di Berto, per sua stessa ammissione40, e si manifesta su piani differenti e con risultati originali rispetto agli illustri precedenti –Gadda e Svevo-; ad esempio, l’autore mostra una notevole padronanza linguistica, che si esprime attraverso una frequente contaminatio tra un registro lessicale tecnico (che attinge per esempio all’ambito medico) e uno più familiare se non colloquiale che presenta una massiccia prevalenza di elementi gergali come, ad esempio, fottermene, vacca, merdosa, fottuta; elementi vernacolari con largo spazio dedicato ai venetismi (maggiormente presenti nel discorso indiretto libero): sgualdrina foresta, non essere rustego, non si conclude un’ostia ecc. La funzione antifrastica è sfruttata anche mediante l’uso di arcaismi lessicali: libido o energia organica, il sadismo… una patologica voluttà di far soffrire il prossimo ecc. Sono interessanti da rilevare anche i procedimenti anaforici tipici del parlato, che, con fare quasi teatrale, servono a sottolineare la forza rappresentativa di alcune immagini indelebili nella mente dell’autore:

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Cfr.Appendice p.419: “Nonostante racconti la più straordinaria sequela di disgrazie che possano capitare a un uomo, Il male oscuro non è, spero, un romanzo deprimente e neppure noioso. Ha, spero un continuo umorismo che si mescola anche agli avvenimenti più tragici e tristi. Non è certo un’invenzione mia: Svevo e Gadda ci sono arrivati assai prima e meglio di me, e d’altronde un nevrotico non potrebbe scrivere se non fosse sostenuto dall’umorismo: una fortuna in mezzo a tanti malanni.”

è uno sconfinato godimento che contiene in sé ogni brivido e piacere di quando avevo paura bambino e la mamma mi proteggeva, e di quando rabbrividivo davanti al tabernacolo chiedendo a Dio di farmi morire in lui e di quando tremavo d’orgoglio mentre salivo sul palco d’onore a prendere la medaglia al merito, e di quando mi struggevo per i miei piaceri solitari, tutto sembra compreso in questo bacio.

E ancora:

gridava che era stufo di dar la vita per mantenere certa gente che poltriva fino a

mezzogiorno, gridava che non ne poteva più di sfamare certi lazzaroni che senza fallo sarebbero finiti in galera per il disonore della famiglia, gridava che lui certi figli privi di coscienza uno di questi giorni li avrebbe cacciati di casa a pedate..

L’ironia del Berto, in certi momenti di delirio del protagonista in cui egli diviene preda di macabre immagini di malattia e di morte, serve anche a smorzare la drammaticità della situazione:

io vidi tutta quella gente immensamente sporca del sangue del padre mio, e andando avanti vidi anche il tumore esteriorizzato là sulla pancia, sempre avevo pensato che un cancro doveva essere qualcosa di schifoso, ma così schifoso com’era in realtà certo niente avrebbe potuto farmelo pensare, grosso e schifoso e sanguinolento, come le budelle di un cane morto messe sopra la pancia di mio padre, a lui legate indissolubilmente con un nodo mortale (p.

Il passo citato è interessante anche per il fatto che fa riferimento all’ossessione dell’autore per il cancro, a un presentimento di morte che lo accompagna per l’intero suo narrare, e di cui parleremo più avanti.

L’ironia di Berto, a nostro avviso, non può essere definita ‘sottile’, piuttosto diremo feroce e potente, al punto da sconfinare con il satirico; l’autore del Male

oscuro è tanto ironico nei confronti del suo alter ego letterario quanto verso gli altri personaggi del romanzo. Questa singolare caratteristica è segno di una disposizione etica dello scrittore che toglie all’ironia ogni sua componente giocosa per farne uno degli strumenti espressivi di uno scavo interiore che risulta implacabile. Di frequente «l’ironia è infatti il velo giocoso (e talvolta pietoso) steso sulla nuda crudezza della materia narrata, e altrettanto spesso serve per raffreddare, distanziare, togliere alle cose narrate un pathos o una drammaticità che sulla pagina rischiano di diventare troppo immediati o semplicemente eccessivi. Nel caso del Male oscuro non è così. Nel Male oscuro l’ironia stessa sembra drammatica e, a modo suo, carica di pathos perché – almeno questa è la mia impressione – l’ironia diventa il veicolo principale per esprimere non solo il «male» e il dolore di cui il libro ci parla, ma la lacerazione e lo smarrimento che quel male e quel dolore continuano a causare a chi ne è l’oggetto».41

L’io narrante Berto, non risparmia la sua ironia neppure al salvifico analista. Quello che finisce sotto tiro è sia la fede dell’analista nella sua scienza, sia la sua complicità con il paziente, vale a dire il fatto che nella lotta contro il padre- fantasma si schieri sempre dalla parte del figlio, lo giustifichi sempre rafforzandolo nella convinzione di aver avuto un padre oppressivo e assolvendolo da qualsiasi colpa. Sappiamo che la psicoanalisi deve fare così, che per la psicoanalisi non esistono né una verità, né un criterio morale assoluto e oggettivo, ma soltanto la verità e il bene soggettivo del paziente. Sono esattamente questi gli aspetti sui quali Berto ironizza. L’io narrante del Male oscuro guarisce dunque dalla sua malattia con una cura della quale non condivide l’impostazione, o detto

41

H. Janeczek, L’ironia de «Il male oscuro» in Giuseppe Berto vent’anni dopo p. 151

in altri termini, a cui non crede. Concludiamo con un’osservazione: alla fine del romanzo, anche se la salute riacquistata dal protagonista è fragile e incerta, l’ironia utilizzata dall’autore si configura come una forza vitale che diviene capace di rappresentare la drammaticità del vivere umano; una forza che diviene lo strumento indagatore di una coscienza sensibile, la quale non finisce di interrogarsi sulle problematiche dei rapporti sociali.