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La figura paterna e il senso di colpa

Berto sostiene, a differenza di Svevo, di essere già a conoscenza ‘di combattere con il trapassato già da un pezzo’, ovvero con il padre, ancor prima di iniziare la terapia psicoanalitica, anche se riconosce di essere arrivato a comprendere le ragioni più intime di un così lungo conflitto proprio grazie a tale disciplina; allo stesso modo Svevo riconduce la causa della propria nevrosi al conflitto avuto con il padre mentre era in vita, ma, diversamente, accoglierà questa diagnosi con non poco scetticismo. Proponiamo di seguito i passi maggiormente significativi di entrambi i romanzi, in cui si parla apertamente dell’origine del conflitto con la figura paterna:

La mia cura doveva essere finita perché la mia malattia era stata scoperta. Non era altra che quella diagnosticata a suo tempo dal defunto Sofocle sul povero Edipo: avevo amata mia madre e avrei voluto ammazzare mio padre. p.381 Coscienza

Ero guarito e non volevo accorgermene! Era una vera cecità questa: avevo appreso che avevo desiderato di portar via la moglie-mia madre-a mio padre e non mi sentivo guarito? Inaudita ostinazione la mia: però il dottore ammetteva che sarei guarito ancora meglio quando fosse finita la mia rieducazione in seguito alla quale mi sarei abituato a considerare quelle cose (il desiderio di uccidere il padre e di baciare la propria madre) come cose innocentissime per le quali non c’era da soffrire di rimorsi, perché avvenivano frequentemente nelle migliori famiglie. P.387 Coscienza

Va segnalato che, inizialmente, in entrambi gli scrittori la morte del padre è considerata come ‘l’avvenimento più importante della vita’ oppure, a poche pagine di distanza, come ‘le ore più importanti della mia vita’; un avvenimento che condizionerà nel profondo le scelte dei due protagonisti, Berto e Zeno, ma che viene interpretato in maniera opposta. Nella Coscienza il momento in cui Zeno viene a conoscenza dal dottore della gravità della malattia del padre è particolarmente significativo, poiché il protagonista cade in uno stato di profonda e -a mio avviso- sincera disperazione, chiedendosi: ‘Come avrei fatto a fargli sapere che lo amavo tanto?’ E ancora, ‘Che cosa farò io a questo mondo?’ Assistendo il genitore gravemente ammalato il figlio si abbandona ad un gravoso monologo interiore:

Passai alcune ore gettato su un sofà, mentre Maria stava seduta accanto a letto. Su quel sofà piansi le mie più cocenti lacrime. Il pianto offusca le proprie colpe e permette di accusare, senz’obbiezioni, il destino. Piangevo perché perdevo il padre per cui ero sempre vissuto. Non importava che gli avessi tenuto poca compagnia. I miei sforzi per diventare migliore non erano stati fatti per dare una soddisfazione a lui? P. 43 Coscienza

E adesso vediamo la grande indifferenza di Berto:

Durante il viaggio (da Roma a Venezia per andare all’ospedale, una volta avvertito della malattia del padre) pensai sempre che il vecchio ormai era spacciato, o meglio, tanto per non sentirmi menagramo, pensavo indirettamente a

cosa mai sarebbe cambiato, nella mia vita familiare e personale, nel caso triste che egli ormai fosse spacciato, e in sostanza mi pareva che niente sarebbe cambiato, o molto poco in verità p. 13 Male

In realtà, una volta deceduto, la figura del padre come ‘presenza potentemente attiva’ sarà continuamente presente nel romanzo di Berto, invocato e maledetto senza interruzione. Tutto questo non avviene in Zeno, il quale non menziona il padre per l’intero romanzo, o almeno fino al capitolo Psico-analisi, in cui ovviamente tornerà ad essere il centro della questione su cui poggia il romanzo.

Il conflitto padre-figlio, dalle caratteristiche fortemente problematiche, si risolverà per entrambi i figli, una volta diventati essi stessi padri, e in effetti, la distanza temporale viene sottolineata da entrambi gli autori: ‘Oggi che scrivo, dopo di avere avvicinata l’età raggiunta da mio padre’ (Svevo) E qui dire qualcos’altro relativo al rapporto Zeno padre e figlia

In Berto questa nuova consapevolezza emerge con molta chiarezza:

Riemerge dal fondo dei quarant’anni nel frattempo passati un padre mai percepito prima.. per mezzo di questa mia figlia Augusta sta’ a vedere che lui amava come io amo lei ossia immensamente potrei dire, ed ora mi dispiace non averlo capito quando era ancora in vita e avrei potuto sia pure in parte ricambiarlo p.207 Male

Solo a questo punto i due verranno a conoscenza delle numerose incomprensioni dovute ad una sorta di ‘distanza generazionale’, ma che non hanno nulla di specificamente patologico. Il senso di colpa dei protagonisti è, sostanzialmente,

legato al fatto di non aver dimostrato ai loro padri la propria riconoscenza quando erano ancora in vita, ma, soprattutto, al fatto di non averli assistiti nel momento della malattia. Zeno non nasconde al lettore questo suo pensiero dicendo : ‘Ci volle la malattia per legarmi a lui […] Magari l’avessi assistito meglio e pianto meno! Sarei stato meno malato’, ma anche ‘Magari mi fossi comportato con semplicità e avessi preso fra le mie braccia il mio caro babbo divenuto per malattia tanto mite e affettuoso!’. Anche Berto imprecherà continuamente contro se stesso per non essere riuscito a stare vicino al padre, a causa dello sgradevole odore proveniente dalla bocca del malato, ma è doveroso ricordare che, anche quando il padre Ernesto era in vita, il figlio Giuseppe faceva di tutto per non presentarsi mai al suo cospetto nelle feste importanti oppure nella vita di tutti i giorni. Il protagonista del Male oscuro, pertanto, riconoscerà di non essere mai stato di aiuto al padre, preferendo egli passare i pomeriggi con gli amici, oppure dormendo fino a tarda mattinata, piuttosto che aiutare il padre negli impegni domestici. Anche Zeno, dal canto suo, ricorda di non aver mai avuto un ottimo rapporto con il padre fin dalla tenera età, a causa della propria abitudine di ‘ridere delle cose importanti’ che gli procurava puntualmente i rimproveri del padre che era solito disprezzare l’atteggiamento derisorio del figlio e provava una ‘viva paterna ansietà’ per il suo avvenire. Tale sentimento lo ritroviamo nel padre di Berto che addirittura profetizza un avvenire da galeotto per Giuseppe!!

Quello che emerge, in entrambi i casi, è il forte complesso di superiorità che i padri hanno esercitato nei confronti dei figli. Il Berto, fin da piccolo, teme il giudizio del padre, visto come perfetta potenza superiore, e sente così di dover ripagare gli ‘enormi sacrifici’ fatti dal genitore per sostenere i suoi studi, cosa che

in realtà non era vera, o almeno non nella misura in cui era percepita dal piccolo Berto, il quale rinunciava persino ad una pasta con la crema per risparmiare e ottenere così il favore paterno.63

Da sottolineare inoltre l’indifferenza e l’avversione di Berto nell’assolvere il proprio ruolo di padre (da mettere da qualche altra parte):

Sebbene abbia sorpassato la bella età di quarant’anni mi sento del tutto impreparato ad essere padre e sinceramente potendolo ne farei anche a meno p.182

Questo mio discendente ancora ignoto si è già bello e sistemato in quella che sarà la sua principale funzione per i prossimi anni ossia suscitare preoccupazioni di denaro e paura di morte. P. 183 Male