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L’origine del disagio: il senso di colpa

Le tematiche del romanzo

4) L’origine del disagio: il senso di colpa

In più di un passo nel romanzo di Berto è presente il nesso colpa-punizione:

E così commettendo continuamente atti impuri uno si trovava sempre in peccato mortale e se gli capitava di morire di un colpo finiva diritto nelle granfie di Satana […] né potevo aspirare alla morte, identificazione con Dio eterno poiché a parte il fatto che avevo l’impressione di amare la vita assai più di prima ora se fossi morto sarei andato diritto ad arrostirmi nelle fiamme dell’inferno, e solo nel migliore dei casi cioè se la misericordia

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C., Marabini, La chiave e il cerchio, pp. 227-228

divina m’avesse concesso almeno un attimo per dire Gesù mio misericordia avrei potuto cavarmela con un grosso numero d’anni di purgatorio dove le fiamme come ben dicevano i padri predicatori hanno la stessa capacità di tormento delle fiamme dell’inferno solo non durano eterne ed è già qualcosa. pp.

Il tema della colpa viene toccato in tutta la sua profondità esistenziale, nel momento in cui va a mescolarsi e fondersi con la coscienza di un peccato originale, ispirato dal racconto biblico, e di conseguenza non riscattabile in alcun modo; Berto dunque si fa portatore di un male che risale agli albori della creazione dell’essere umano e trasmette al lettore questa sua convinzione esplicitamente nei seguenti passi del romanzo:

ma perché a me non bastano le colpe verso il padre per un così disperato tracollo, non possono bastare, altre ce ne sono chissà quante altre tutto un groviglio di colpe alle mie spalle, bestemmie provocatorie e eiaculazioni solitarie, sfide a Dio e sempre l’inferno barattato per un attimo di piacere solitario, la mia conoscenza dell’albero che sta in mezzo al giardino ed ecco che tutto si paga, cammino sul mio ventre io maledetto tra tutto il bestiame p.220

dove devo giungere per toccare il fondo della mia abiezione, non ho che pietà per me e vergogna, non vado più nudo per le stanze perché come Adamo ho vergogna della mia nudità, dopo il peccato vergogna, e che vorrà mai dire camminare sul ventre se non un destino bestiale p.221

In queste righe Berto ha presente un passo tratto da Genesi 3, 14-15, in cui il Signore maledice il serpente per aver tentato la donna nell’Eden:

Allora il Signore Dio disse al serpente: “Poiché hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita.

Io porrò inimicizia tra te a la donna, tra la tua stirpe e la tua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”.

Berto, riprendendo questo passo, si paragona in qualche modo al serpente, ritenuto nell’immaginario collettivo il più infimo tra gli animali esistenti, poiché rappresenta il male e di conseguenza Berto dà di sé una descrizione involontaria di uomo senza “spina dorsale”e senza coraggio. Il versetto della Bibbia in cui si parla dell’inimicizia tra il serpente e la donna può essere adattato metaforicamente alla situazione di Berto, per il fatto che non riesce ad avere nella sua vita reale una storia ‘sana’ con una donna. L’autore infatti sottolinea più volte il proprio complesso di inferiorità in relazione agli altri, ma soprattutto verso gli altri uomini, percepiti come sicuri di sé, il che è indicativo del legame conflittuale con la figura paterna; ad esempio, nell’episodio in cui il protagonista, in preda ad una vera e propria crisi, si getta sul pianerottolo di casa gridando aiuto, appena accorrono i condomini, lui chiede disperatamente al dottore che tutti siano allontanati, in particolar modo gli uomini. Lo specifico complesso d’inferiorità del Berto è legato anche alla difficoltà di parlare in pubblico con disinvoltura, problematica questa che risale alla tenera infanzia del protagonista e che viene ricordata più volte con amarezza, con particolare riferimento a quando, nella bottega di famiglia, la sorella maggiore veniva sempre indicata dalla madre alla clientela perché era brava a recitare le poesie a voce alta, guadagnandosi una pasta o un cioccolatino come ricompensa, mentre il piccolo Berto, chiamato anche lui a sostenere ‘la grande impresa’ per guadagnarsi i complimenti, oltre che degli spettatori, anche della madre, puntualmente non vi riusciva per la troppa

vergogna, tanto che la madre, con sua grande sofferenza, lo aveva soprannominato ‘gnucco’.

Riteniamo utile riproporre il racconto di questo episodio, che è a nostro avviso uno dei flashback maggiormente evocativi nella memoria del narratore:

mi viene in mente la pasticceria bar Venezia…e lì c’è mia sorella venuta dopo di me che di fronte a dei signori che la ascoltano incantati recita la poesia Son piccina e son carina son la gioia di papà se mi sporco la vestina il papà mi batterà, ed è brava accidenti se è brava, …e dopo che ha finito di recitare la poesia tutti le fanno i complimenti ed uno le regala una pasta che lei si pappa immantinente gustandosela insieme al suo trionfo, e allora mia mamma prende me che ho i riccioli biondi alla paggetto col berrettto alla marinara e vuole mandarmi davanti alla gente perché anch’io dica la poesia e possibilmente mi guadagno una pasta, ma iomanco morto direi la poesia davanti la gente divento tutto rosso e punto i piedi e sto per mettermi a piangere, e allora mia mamma è un po’ arrabbiata e dice che sono proprio gnucco e io mi sento enormemente infelice per questa storia, cioè che la mamma vuol bene a mia sorella ma non vuol bene a me perché sono gnucco e non so guadagnarmi la pasta e non so farmi dire bravo dai signori, però quando sarò grande glielo farò vedere io a tutti se non sono bravo più bravo sicuramente di questa mia sorella venuta dopo di me chiunque dovrà ammirarmi e applaudirmi. p. 292

Questo disagio nascosto e mai espresso si riproponeva però nei «sogni che con tanta insistenza andavo facendo di pronunciare discorsi sempre più applauditi davanti ad assemblee sempre più vaste di scrittori di successo», mentre, per quanto riguarda la ricerca della Gloria letteraria, l’autore non sottolinea mai la personale soddisfazione nel raggiungimento del proprio obiettivo, perché la vera soddisfazione è sempre e comunque messa in relazione al giudizio altrui:

ecco tutti dovranno dire quest’uomo per quanto figlio di un modesto cappellaio è l’artista interprete della nostra epoca i posteri da lui capiranno il nostro modo di pensare e di vivere..p. 243

Il bisogno di conferme dal mondo esterno appare inoltre evidente in espressioni apparentemente insignificanti, ma che, a nostro avviso, sono delle chiare spie della dipendenza dal giudizio degli altri, ad esempio: «se fossi corso via tutti avrebbero pensato che ero senza cuore» (qui fa riferimento ad un episodio dell’infanzia, quando il piccolo Berto viene chiamato a dare l’ultimo saluto al nonno materno), «per non fare brutta figura le dicevo che avevo riunioni di lavoro e invece andavo alla piscina» ( la donna in questione è la futura moglie che aveva conosciuto da poco e alla quale non vuol rivelare di non saper nuotare, e decide così di prendere di nascosto lezioni private). Insomma, gli Altri sono percepiti come ‘sani di corpo e di mente’e perciò privi di quel disagio psicofisico che impedisce al protagonista di godere appieno delle emozioni della vita.

Volendo fare un’osservazione sull’aspetto psicologico della questione del rapporto con gli altri, occorre porre ancora una volta l’attenzione sul distacco che sussiste tra la dimensione interiore del protagonista-narratore e il mondo esterno, un mondo composto di una realtà fisica percepita erroneamente dal soggetto ogniqualvolta sopraggiunga uno stato di crisi,che determina una sorta di ‘allontanamento’ dagli oggetti e dalle persone che raggiunge gli estremi di una derealizzazione e depersonalizzazione; ed è così che il Berto si racconta in un momento di temporaneo equilibrio:

in questo momento non mi sento affatto male anzi mi sento bene starei per dire , la campagna è verde e gialla e io la vedo verde e gialla, ci sono cicale che cantano e io sento cicale che cantano, vi è questo rassicurante contatto tra me e il mondo reale..p. 235

eccomi calmo a pensare sia al silenzio che ai rumori senza drammatizzarli per nulla cioè senza perdere quella relazione diciamo così fiduciosa che c’è tra un uomo sano e le cose che lo circondano, mentre io per esempio sarei capace di sentire nel rumore lontano di un treno il presagio imminente della fine del mondo, e nella mancanza del rumore del treno egualmente sono capace di sentire la fine del mondo. p. 241

un lunedì mattina scatta a tradimento quell’oscuro diabolico meccanismo..vengo travolto da angosce e paure e contorcimenti paurosi di budella ma senza dolore questa volta come

se fossero le budella di un altro..arrivo a vedere il mio cervello fuori di me. P. 265

Il tema del senso di colpa non è presente solo nel Male oscuro, ma pervade l’intera opera dell’autore. Il tema del senso di colpa è connesso al motivo della guerra58, agli uomini che seminano dolore e distruzione e il Berto, nella sua prima fase neorealista, in particolare nelle Opere di Dio, romanzo di poco anteriore al Cielo è rosso, partecipa della compassione per i caduti, ponendo l’attenzione sull’aspetto irrazionale della guerra e sul drammatico silenzio con cui le vittime accettano questo terribile ‘destino’. Il senso di colpa viene a configurarsi come «male universale» nel Cielo è rosso,dove Berto sottolinea come gli uomini collaborino consapevolmente alla creazione di una negatività della quale divengono essi stessi vittime; anche qui questo male si materializza nella dimensione bellica, a partire dalla storia stessa del romanzo che racconta di quattro ragazzi investiti dal vortice distruttivo della guerra, contro la quale cercheranno drammaticamente di sopravvivere. La correlazione tra senso di colpa e guerra la ritroviamo anche come nota fondamentale del romanzo Il brigante, dove però la narrazione si ispira ad un preciso fatto di cronaca e, nel protagonista

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È doveroso ricordare che Berto passa circa

Michele Rende, Berto ha voluto indicare la vittima di una ingiustizia sociale, di una colpa degli uomini verso i propri simili.

Anche nel diario Guerra in camicia nera, il tema della colpa compare in una prospettiva che evidenzia la guerra come causa del male e qui l’autore riveste un ruolo particolare in quanto partecipa in prima persona alla guerra e, in particolare nella prima parte del diario, parlando al lettore con la sincerità di una confessione, racconta delle convinzioni ideologiche che condivideva con i compagni di allora; ma «la lezione dei fatti mette sempre più in crisi l’apparente saldezza di quell’ideologia e rende più evidente e più chiara una realtà che l’ingenua fiducia esaltata dalla propaganda non era riuscita a vedere nella sua interezza; gli avvenimenti spengono il fervore dell’entusiasmo e al posto di questo subentra l’amara coscienza della inutilità del male compiuto in nome di vuoti ideali; allora il senso di colpa riappare scoperto fino alle sue radici e riempie di sgomento l’animo dell’autore»59.