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Il cielo è rosso: romanzo neorealista?

Il cielo è rosso è il romanzo ‘dell’inconsapevole approccio al neorealismo’, così dichiara Berto stesso, che parla anche di libro neoromantico, ribadendo il suo fastidio per le scuole e le ideologie. D’altra parte si è discusso molto sul genere di appartenenza del romanzo, di cui alla fine è stata riconosciuta la natura ibrida, che gli conferisce una fisionomia decisamente originale. Per quanto sia stata messa in rilievo la matrice neorealista, bisogna sottolineare che Il cielo è rosso non guarda tanto alla realtà diretta dell’esperienza vissuta come dato di cronaca e documento, ma si può piuttosto considerare una trasfigurazione emotiva e personale di una realtà che Berto aveva appena intravisto per poi necessariamente perderla

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J., Felice, idem p. 79

d’occhio, dato che le vicende della guerra lo avevano portato prigioniero nei campi americani del Texas, dove appunto immaginò e scrisse la storia del romanzo. Allora Il cielo è rosso è innanzitutto un romanzo d’esilio perché Berto, quando lo scrive, è lontano dalla sua patria e può vivere solo indirettamente la guerra che in quei mesi si sta combattendo in patria; inoltre lui non è un partigiano, ma una camicia nera ai ferri corti con il suo passato, che, dopo aver attraversato l’oceano, assimila e filtra con distacco e nostalgia le notizie che lo raggiungono. Il suo neorealismo, se così lo si può correttamente definire, nasce dalla riflessione più che dall’azione, e il dato storico è sradicato dalla contingenza per assumere un significato simbolico e paradigmatico, avulso da tempo e spazio. Ne Il cielo è rosso dunque il resoconto documentaristico non è predominante come nella narrativa dei primi anni del dopoguerra, basti pensare al Vittorini di Uomini e no; ma nel romanzo si mescolano realtà, memoria e immaginazione e anzi, come ha osservato De Michelis, “c’è molto più mito che realtà”. D’altronde è Berto stesso a dichiarare che la condizione di isolamento e prigionia esalta la capacità emotiva dell’individuo e le intense emozioni possono volendo essere utilizzate per scrivere.31

Il titolo originario del romanzo, La perduta gente, e come si arriva al titolo che conosciamo

Nel 1946, da Treviso, Giovanni Comisso scrisse a Leo Longanesi, che da qualche mese aveva aperto la sua casa editrice “Caro Leo, una lieta sorpresa, ho trovato

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qui vicino a Mogliano Veneto un giovane scrittore che non ha mai pubblicato niente; egli oltre al racconto che ti spedisce ne ha scritto altri e un romanzo che e’ interessantissimo... Tu vedessi nel romanzo certi dialoghi di ragazzette che si avviano a quella che sarà la loro vita di prostitute, che sorprendente umanità hanno. Il romanzo e’ sulle trecento pagine e ti assicuro che rappresenta una svolta nella letteratura italiana”. Con il suo geniale fiuto Longanesi intuì subito che era il caso di stampare quel libro, ma trovava improponibile il titolo, scelto dallo sconosciuto autore: “La perduta gente”, tolto dall’ inizio del terzo canto dell’ Inferno. Nacque così Il cielo è rosso, una citazione dal Vangelo di Matteo, là dove Gesù risponde a una provocazione dei farisei e dei sadducei: “Di sera voi dite: tempo bello perchè il cielo è rosso; al mattino, poi: oggi tempesta perchè il cielo è rosso cupo. Ipocriti! Voi sapete distinguere l' aspetto del cielo e non sapete conoscere i segni dei tempi. Una generazione malvagia e adultera domanda un segno, ma non le sarà dato altro segno che quello di Giona”. Giuseppe Berto che festeggiò i trentadue anni insieme alle prime copie del romanzo,che fu immediatamente recensito, tra elogi, riserve e stroncature, fin dal gennaio 1947. La consacrazione avvenne molto dopo, nel giugno del ' 48, con la vittoria nel premio Firenze. Una giuria di cui facevano parte Pancrazi, Momigliano, Montale e Palazzeschi, considerò Il cielo e' rosso “uno dei più bei libri comparsi in Italia negli ultimi tempi". Fa da sfondo al romanzo la città di Treviso, che subì una selvaggia incursione dell’ aviazione americana il 7 aprile 1944. Berto, a quell' epoca, come abbiamo già detto, si trovava in un campo di concentramento a Hereford, nel Texas, dopo essere caduto prigioniero sul fronte africano e fu là che ebbe notizie della tragedia di Treviso. Migliaia di chilometri lo separavano dalle

macerie, gli era possibile soltanto immaginare le case crollate dei quartieri amati. L' idea del romanzo nacque dal sentimento profondo dell' assenza-presenza che e' il nutrimento della memoria. Il primo lettore del manoscritto fu un compagno di prigionia, Gaetano Tumiati, che divenne poi eccellente giornalista e narratore. La storia dei quattro ragazzi (Carla, Giulia, Tullio e Daniele) che trovano rifugio tra le rovine di un postribolo, resta dolorosamente esemplare. Ogni giorno sentiamo parlare di massacri, vediamo immagini di sangue, occhiaie spettrali di case ferite, strade sconvolte. Un mondo di profughi e di sbandati sta sul confine dei nostri pensieri «Di tutta quella strage, era rimasta in loro la coscienza che fosse una cosa ingiusta. Anche senza sapere di chi fosse la colpa, potevano dire che era una cosa ingiusta. E la coscienza di ciò li liberava dal vincolo delle leggi con Dio e con gli uomini». Una specie di anarchia della mente detta i gesti e il ritmo delle giornate. I ragazzi avevano maledetto sia i minacciosi stranieri dell' occupazione ( i tedeschi ), sia gli altri stranieri che erano passati per il cielo gettando distruzione e morte. Berto intendeva così il ruolo delle vittime, senza barlumi di riscatto, senza speranze e retoriche del futuro.

Già nel titolo si avvertiva una fortissima suggestione. Certamente quei ragazzi, così implacabilmente vinti e ribelli, stridevano con il neorealismo più tradizionale. Nel romanzo c’è una netta prevalenza dell’indeterminazione, a partire dai nomi comuni che prevalgono sui nomi propri fino ad arrivare all’occorrenza degli articoli partitivi e indeterminativi rispetto agli articoli determinativi; il fiume e la città sembrano avvolti da una bruma soffusa, i protagonisti sono contraddistinti solo dal nome di battesimo, mentre gli altri personaggi sono indicati con termini generici come ‘uomini’, ‘gente’, ‘donna’, ‘ragazza’, ‘vecchia’. Inoltre, lo stesso

dolore che opprime i personaggi risulta essere un malessere indeterminato e perciò al tempo stesso universale. Berto nell’immettere nel romanzo la sofferenza e la lacerazione psicologica travalica e supera la narrazione neorealista.

Nel romanzo troviamo alcuni elementi ricorrenti, come ad esempio:

• Somatizzazione del male che avvicina il cielo è rosso a il male oscuro, laddove l’ansia si manifesta in dolore fisico

• Il male universale, ogni cosa reale è molto più di quello che sembra, ogni cosa nasconde un’ombra ed è lì che Berto concentra il suo sguardo, dissacrante e insieme pietoso, immanente e metafisico. Insomma già ne Il cielo è rosso è presente la spinta a indagare in profondità i segreti dell’animo umano, al di là dell’apparenza e del dato storico, anche se ancora manca a Berto lo strumento della psicoanalisi. M.David, a tal proposito, significativamente scrive:

aiutato dal ‘vecchietto’ del Male oscuro, lo stesso Berto poteva avvertire il peso dell’inconscio che gravava su questo romanzo d’esilio e di frustrazione. Il male universale, la consapevolezza religiosa potranno allora assumere ai suoi occhi l’aspetto individualizzato del male oscuro, della nevrosi d’angoscia, dell’Edipo mal liquidato. Ma ci voleva per questo l’incontro con Perrotti, la vera Università di Berto.

Va segnalato che, nonostante alcune critiche durissime, comunque è stato riconosciuta a Berto una originalità nella capacità poetica della propria narrativa, laddove mette da parte l’aspetto documentario per mettere a nudo il nucleo umano quando racconta la storia d’amore tra Giulia e Daniele. FINIRE

Trama

Il libro inizia con una descrizione relativa a un quartiere provinciale di piccole dimensioni denominato Sant'Agnese dove vivono Carla e Giulia, cugine rimaste orfane rispettivamente di padre e madre e accudite dalla nonna. La città e il quartiere nel clima di guerra vengono bombardati in una notte qualunque, quando le due ragazzine si erano allontanate dalla loro casa per incontrarsi con Tullio, il giovane fidanzato di Carla. Il quartiere viene completamente distrutto dal fuoco e i tre si ritrovano così soli e distanti da qualsiasi persona che li possa aiutare. In un postribolo trovano la loro nuova dimora e iniziano una nuova vita piena di difficoltà. Tullio entra a far parte di una banda di ladri per recuperare del denaro che sarebbe servito per sopravvivere, Carla inizia a prostituirsi, mentre Giulia, dal carattere più timido e meno intraprendente della cugina, si occupa delle faccende di casa. In un successivo momento fa la sua comparsa Daniele, un ragazzo di famiglia benestante che dopo aver saputo del terribile bombardamento del quartiere era ritornato da Roma per far visita ai genitori, purtroppo però morti per l'accaduto. Di fronte alla disperazione del giovane, Tullio gli offre ospitalità per una notte, ma in realtà Daniele rimane a vivere per tutto il tempo nella modesta casa diroccata, aiutando Giulia nelle faccende domestiche. I quattro ragazzi sembrano aver trovato il loro equilibrio e la loro stabilità, quando un brutto giorno Tullio viene ucciso dopo aver tentato un colpo con una banda che aveva chiesto a lui aiuto. Dopo la morte del giovane nulla è come prima, Daniele inizia a lavorare come lavapiatti Ma è un lavoro temporaneo: infatti l’esercito deve spostarsi e Daniele, per non lasciare Giulia, alla quale si è finalmente rivelato, decide di rimanere nella città. Così si mette ancora alla ricerca di un lavoro, ma senza

successo, fino a quando un fruttivendolo gli offre un lavoro come trasportatore di frutta dalle cascine alla sua bancarella. Così inizia a lavorare, ma nel frattempo Giulia si ammala di tisi, come la madre, e muore poco dopo. Così, rimasto solo con Carla e Maria, decide di partire. Ma durante il viaggio, travolto dai pensieri e dal dolore, arriva alla tremenda decisione di togliersi la vita, gettandosi giù dal treno.

Berto nella narrazione dei fatti, oltre a descrivere la realtà che circonda i personaggi si dedica maggiormente alla riflessione sull'essere umano condotta attraverso i ragazzi che fungono da emblema della società. Le azioni estreme compiute da Tullio che ruba e Carla che si prostituisce vanno contro la moralità e rappresentano il riflesso di tutte quelle azioni che gli adulti farebbero in mancanza di dignità nelle medesime circostanze. I quattro adolescenti soli si ritrovano di fronte a un mondo corrotto e spietato, che ben presto li porterà a trasformarsi in adulti conducendo una vita sempre piena di difficoltà.