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Le tematiche del romanzo

2) Il sesso e l’amore

Il sentimento amoroso all’interno dell’opera bertiana è stato definito da Marabini come ‘un grave inciampo’; a ragione del fatto che per ogni personaggio messo in scena dal nostro scrittore il sesso non può essere evitato in quanto ostacolo da

superare in ogni relazione amorosa che si rispetti. La componente sessuale, ad ogni modo, rappresenta un mezzo d’elezione e, allo stesso tempo, una ‘mortifera dannazione’ per ogni personaggio bertiano, perché, per dirla con le parole di Johnny Felice: «Tutto, in Berto, ruota attorno ad esso: quel gusto perverso di sensualità e peccato va a cozzare difatti contro lo strisciante Super-Io di molti dei suoi personaggi (che nascono da esperienze dirette del loro autore); esso andrà a perdersi nel peccato e nella colpa, pronto a divenire sacrificio, sublimazione, eterna espiazione»45. Il sesso è avvertito quasi sempre come peccato e come colpa da espiare agli occhi delle «potenze celesti ». Infatti, nel Male oscuro emerge con evidenza una singolare correlazione tra senso di colpa e atto sessuale; il sesso è strettamente congiunto ad una forte inibizione ed Berto stesso a confessare quanto sia stato realmente colpito dall’oscenità dell’atto, una oscenità che lui non riesce neppure ad immaginare come parte integrante del rapporto dei suoi genitori tanto che il padre e la madre, concepiti come angeli, casti e puri, decadono inevitabilmente agli occhi del giovane Berto e così:

quando uno mi dice che mio padre fa le porcherie con mia madre rimango come uno scemo facendo ridere tutti i ragazzi che sono lì a discutere di questi interessantissimi problemi, e subito devo fare marcia indietro e fingere che scherzavo ma dentro di me sta crollando uno dei puntelli del mio universo finora, ho rabbia e dolore e avvilimento e niente riesce a consolarmi neanche il pensiero che tutti sono fatti così e tutti nascono da atti simili perfino i Re e i Principi e il Papa, è spaventoso che avvenga in questo modo Dio non lo dovrebbe permettere se ci fosse, e comunque mio padre e mia madre non avrebbero dovuto, non voglio accettare questo peccato originale della concezione e della nascita, non voglio io camminare sul ventre e mangiare polvere tutti i giorni della mia vita.. p. 322

45

J., Felice, Quel peccato sublime: tracce d’un amore antinomico nelle opere di Giuseppe Berto

in..

Ed è l’autore stesso a definire il proprio concepimento come una ‘operazione’, nonché ‘distrazione’ di entrambi i genitori ma, in questo contesto, è la sessualità della donna indicata come colpevole, perché «tutte le donne sono così, scommetto che perfino le regine e le principesse e le mie cinque sorelle nei momenti culminanti dell’amore vanno alquanto fuori di controllo»; e, allora, come escludere dal genere femminile proprio sua madre? Probabilmente il forte attaccamento che Berto provava in tenera età per la madre, e dal quale si è sentito irrimediabilmente emarginato a causa della pressante supervisione operata dal padre, si è tradotto poi in un sotterraneo disprezzo che lo ha condotto ad una visione meschina e misogina per la donna. Infatti, egli cerca di piegare la donna ai suoi desideri maschili, considerandola come mezzo di sfogo per i propri piaceri ma, così facendo, la rende complice, nonché causa scatenante, di quel peccato originale e le toglie così ogni credibilità. Pertanto la donna appare ai suoi occhi come un’arrampicatrice sociale, con suoi personali fini di matrimonio e interesse economico e, nel caso in cui rivolga la propria attenzione ad altri uomini, viene definita senza mezzi termini come sgualdrina, puttana; colpisce inoltre l’indifferenza con cui viene spesso menzionata la figura femminile, in quanto Berto non chiama per nome nessuna delle figura femminili presenti nella sua vita, eccetto la figlia Augusta; neppure la donna che sarà complice dei suoi momenti di crisi per tutta la vita, vale a dire sua moglie, viene mai citata per nome. Lei, la ‘ragazzetta’ invocata incessantemente nel romanzo, e a cui si legherà, seppur con reazioni contrastanti, diviene vittima di offese e disprezzo non appena Berto viene a conoscenza che forse ha intenzione di sposarsi con un giovane avvocato promettente e allora Berto non indugia nemmeno un minuto nel suo giudizio

dicendo «ma guarda un po’ questa disgraziata che mi pianta proprio ora che ho bisogno di lei pareva tanto pulita e per bene e invece è una zoccola peggio delle altre» e sarà definita ‘puttana’ quando confesserà di averlo tradito alla fine della storia. Anche la vedova, altra figura femminile presente nel romanzo, è trattata con indifferenza, come fosse un’estranea e infatti è nominata come ‘vedova straniera’, ‘dannata vedova’ ecc.

Ma le nostre osservazioni circa la dichiarata misoginia dell’autore non si limitano solo alla sfera erotica, come è possibile evincere da alcuni passi del Male oscuro particolarmente esemplificativi, che citiamo di seguito:

voglio provare il senso di sconfinata potenza che si prova quando si entra (riferito alla casa di prostituzione) e si hanno davanti cinque o sei ragazze che sono in fondo esseri umani e si può dire prendo questa o quest’altra ancora a piacimento, con tutte le donne dovrebbe essere così e non solo con quelle che fanno il mestiere, insomma stavo quasi per entrarci perché di un po’ di senso di potenza avevo proprio bisogno. P.29

lo sa soltanto Iddio attraverso quale sequela di menzogne ed astuzie quella (riferito alla ragazzetta-moglie) sia riuscita a farsi mettere l’anello al dito, cosa che d’altra parte era stata la sua meta sia segreta che palese fin dal giorno in cui il destino ci aveva fatti incontrare. P.158

cominciano a spendere soldi si può dire ancora prima di farsi ingravidare. P.179

vedo tutti che si affrettano e vengono infermieri con una barella si vede che sta giusto sul punto di cacciarlo fuori (riferito al momento del parto di sua moglie)p. 181

non avevo mai posto mente alla circostanza che ci fossero pure donne analiste […] e se avevo scelto lui era perché tutti mi avevano rassicurato che era persona proba e onesta e giustamente la probità e l’onestà erano virtù che io ritenevo essenziali in chi mi avrebbe analizzato e chissà mai perché a mio modo di vedere erano virtù maschili per così dire p.287

Nel primo passo citato abbiamo volutamente sottolineato l’espressione ‘senso di potenza’ perché, in più punti del romanzo, il concetto di potenza viene associato al dominio maschile sulla donna e quindi ad un’idea di rapporto fra uomo e donna non alla pari, ma questa visione della relazione d’amore, a nostro avviso, è riconducibile ad una percezione problematica del proprio senso di autostima. Questa difficoltà nel vivere serenamente le relazioni amorose conduce ad un’altra tematica costante della narrativa di Berto, ossia il contrasto presente tra sessualità e affettività che caratterizza l’animo dei suoi personaggi; essi non riescono ad amare in maniera completa e divengono vittime impotenti di un sentimento più grande di loro che lascia spazio solo ad un angosciante senso di peccato scaturito dall’atto sessuale.

La figura femminile nel ciclo bertiano non è vista come soggetto pensante attivo, come abbiamo messo in evidenza precedentemente, ma viene sempre messa in relazione ai desideri maschili. In tale visione si cela l’istinto misogino dell’autore che dà sfogo alle proprie problematiche psicologiche legate al rapporto uomo- donna con reazioni tipicamente infantili, come un bambino di fronte all’abbandono della madre. Riportiamo quindi un passo significativo del Male oscuro quando ‘la ragazzetta’ simula un tradimento allo scopo di mettere alle strette il protagonista:

E io intanto che mi vengono rivelate queste belle novità penso ma guarda un po’ questa disgraziata che mi pianta proprio ora che ho bisogno di lei mi pareva tanto pulita e per bene e invece è una zoccola peggio delle altre […] in breve me la trovo lunga e distesa accanto a me con una voglia matta di far l’amore, e io comincio a farlo e quando la vedo mezzo liquefatta comincio a dirle brutta puttana vedrai che scherzo ti combino io, un figlio ti metto nella pancia così impari a fare la carogna con me e la smorfiosa con gli altri.

Dell’amore autobiografico, vale a dire il legame realmente esistito fra l’autore e Manuela, la ‘ragazzetta’ del Male oscuro, si narra anche in Anonimo Veneziano tra i maturi protagonisti della vicenda:

«Ti sembra di non avermi fatta soffrire abbastanza?» Sull’averla fatta soffrire abbastanza, lui può anche essere d’accordo. Non era stato facile vivere insieme, una continua lotta, molto distruttiva per entrambi, ma a quanto pareva inevitabile.46

In riferimento alla travagliata storia di Berto con la moglie riportiamo il passo in cui lei confessa del suo tradimento, un’infedeltà causata dalla disperazione di una vita trascorsa a fare da ‘crocerossina’ al marito:

La rovina mia è stata il matrimonio e per essere più precisi l’averla incontrata poiché proprio da lì sono cominciate le mie disgrazie, e lei allora s’indurisce con odio certo io non ho mai visto tanto odio nei suoi occhi come ora e dice ripetilo se ne sei convinto, e io in questo momento ho paura di lei e di tutti i giorni che mi resteranno ancora da vivere però non è che posso tirarmi indietro e ripeto che la mia disgrazia è averla sposata, e così lei senza più odio ma con spaventosa freddezza dice che adesso posso essere libero e contento dato che lei ne ha un altro, e io dico come un altro e l’area del compromesso mi viene in mente chissà se è incluso anche questo nell’area del compromesso, come un altro le chiedo ancora, e lei conferma un altro se non capisci sei anche stupido e io rimango senza fiato con tutto gelo nella schiena e rigidità chiedendomi a lungo ma cos’ha detto cos’ha detto, la guardo e mi chiedo cos’ha detto non potendoci credere, ossia ha scherzato oppure non ha detto niente e io sono matto ad aver sentito delle cose che lei non ha detto in modo assoluto, e sicuramente ora ho un aspetto davvero spaventoso o forse pietoso perché lei mi guarda esterrefatta con spavento che cresce e poi scoppia a piangere e piangendo cerca anche di parlare dicendo non dovevo dirtelo lo so che non dovevo dirtelo, e dice anche sono quasi tre anni che mi tengo questa cosa dentro e non ne potevo più, e dice anche ora sei guarito per questo te l’ho detto, e io ad ogni sua parola perdo un altro po’ di speranza che abbia scherzato, non ha scherzato proprio per niente a quanto pare eil fatto che

46

G., Berto, Anonimo Veneziano, cit., p. 43

sono cornuto da lungo tempo risulta sempre più inequivocabile, guarda un po’ sono cornuto anch’io chi lo avrebbe mai detto, così cerco di salvarmi come posso con l’umorismo ma dopo cosa farò Madonna santissima cosa mai farò, e lei intanto si sfoga piangendo e dicendo che io non potrò mai capire che significhi vivere per quasi dieci anni con un malato di nervi, alle volte le pareva d’essere lei sul punto d’impazzire e qualche volta aveva paura che l’ammazzassi.47

Come emerge dal passo riportato, il protagonista non prende in considerazione il fatto di poter essere stato il fattore scatenante del tradimento della moglie, egli è fin troppo focalizzato su se stesso da dimenticare di avere delle responsabilità nel legame affettivo. In questa sorta di ‘inettitudine’ nel sentimento amoroso, curiosamente, i personaggi di Berto presentano caratteristiche dell’inetto sveviano i quali risultano costantemente rinchiusi nei loro egoismi e nelle loro piccole bugie; bugie che aiutano a sostenere la vita mediocre che è toccata loro. Nell’incapacità di amare deliberatamente, i personaggi di Berto sembrano rispecchiare non tanto lo Zeno della Coscienza, bensì la figura di Emilio Brentani, il protagonista del romanzo Senilità. Emilio è un impiegato di trentacinque anni con velleità intellettuali, precisamente letterarie; egli si lascia vivere, dividendo la propria vita fra i pochi affetti, quello della sorella Amalia e quello per l’amico di vecchia data, lo scultore Stefano Balli. La vicenda narra dell’amore del protagonista, l’amore ‘sbagliato’ per Angiolina, donna incline all’inganno e al tradimento e di Amalia, matura zitella, innamorata dello scultore dongiovanni, che si consumerà per lui fino alla morte. Il protagonista Emilio è reso impotente, ammaliato dalle grazie della giovane, Angiolina; ma lei, che di ‘angelico’ non ha

47

IDEM, Il male oscuro, p. 398-399.

proprio niente, se non la statuaria bellezza, cela in sé un animo basso e triviale. Infatti gli amanti della ragazza sono molti e malgrado ciò Emilio non riesce ad allontanarsene; per lei perde ogni dignità, chiudendosi nella propria ignominia. Questa sua condizione lo conduce ad una presa di coscienza dei propri limiti e a un freddo sentimento di ‘senilità’. La senilità di Emilio non è anagrafica ma è una condizione morale che lo allontana dalla vita, costringendolo così a stare al mondo senza averne le capacità necessarie. La vita di Emilio è sconvolta dall’arrivo di Angiolina, ma alla fine l’uomo riesce comunque a dimenticarla e a continuare il suo percorso inutile, l’insensatezza della propria esistenza. A ben guardare tutti i personaggi di Svevo seguono questo modello, cercano di colmare il proprio senso di solitudine attraverso la compagnia di altre persone. La solitudine che provano è lo specchio di un disagio interiore che li rende inadatti alla vita sociale. In questo atteggiamento di accettazione passiva dei propri limiti c’è un punto di contatto con i personaggi del Nostro, basti pensare al protagonista de La cosa buffa: Antonio, vittima di emozioni più grandi di lui e da cui rifugge preferendo il suo piccolo universo mediocre. La caratteristica che congiunge i personaggi di Svevo e di Berto è l’inabilità alla vita causata dal troppo pensare. Lo stesso Zeno de La coscienza ci dirà che è inadatto alla vita perché sognatore e qui inserire

Ma anche Emilio dice:

Chissà con chi Angiolina l’avrebbe tradito quel giorno, forse con delle persone che egli non conosceva neppure. Com’era superiore a lui il Leardi, quell’imbecille privo di idee! Quella calma era la vera scienza della vita – Sì, - pensò il Brentani, e gli parve di dire una parola che avrebbe dovuto far vergognare insieme a lui

l’umanità più eletta – l’abbondanza di immagini nel mio cervello forma la mia inferiorità.48

Il disagio di questi personaggi che li rende così inadeguati alla vita sembra scaturito da un eccesso di sensibilità nel percepire le emozioni; di tale disagio si fa portavoce il protagonista del Male oscuro, colui che rappresenta la migliore personificazione di Giuseppe Berto. L’inadeguatezza è avvertita dai personaggi bertiani come un deficit, un elemento che li rende diversi dal resto delle persone comuni; essi si sentono irrimediabilmente soli e diversi e cercano così di colmare questo vuoto interiore rifugiandosi in un possibile successo terreno, il perseguimento di una ‘gloria’ che li renda degni della stima altrui. Il protagonista del Male oscuro ci rende partecipi, in numerosi passi del romanzo, di questo suo straziante senso di solitudine. Ecco alcuni passaggi più significativi:

Io guardando sentivo la mia prima solitudine scoprivo la voglia di morire o di uccidere che prende un bambino quando si sente la prima volta solo, tanto che nessuno si accorge della sua voglia di morire o di uccidere.

E ancora:

ed ecco piango un’altra volta sul mio fallimento e sconforto, e sulla mia solitudine al limite del nulla, sono solo mentre non posso star solo senza nessuno che mi soccorra con la sua presenza d’amore spoglio d’ogni disamore.

Concludiamo perciò, in pieno accordo con Johnny Felice, che «i personaggi di Berto sono infatti eroi romanticamente soli, delusi dalle meschinità del mondo e dalla falsità degli uomini. Sono, in fondo, dei piccoli e nevrotici inetti alla Svevo o alla Tozzi, geniali falliti di provincia, uomini che si gettano nell’abisso della

48

I., Svevo, Senilità, Milano, Feltrinelli, 2001, p. 81

malattia per fuggire dal traboccante dolore del vivere con loro stessi. Ed è proprio da questa solitudine ricolma di rimpianti e di lacrime che nasce il plot del racconto o del romanzo bertiano: storie in fondo convenzionali, vissute però da personaggi con una sensibilità lontana da quella dell’uomo comune»49.