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Le tematiche del romanzo

1) La figura paterna

Nel romanzo emergono alcuni nuclei tematici interessanti, strettamente correlati tra loro e riconducibili primariamente al tema di un padre persecutorio nei confronti del figlio che diviene una vera e propria ossessione, tanto che ad esempio la comparsa della malattia, fin dal primo ricovero in ospedale, è percepita come una giusta punizione inflitta dal padre al figlio per non essere stato all’altezza delle sue ambizioni, o, per meglio dire, per non essere stato presente nei suoi ultimi istanti di vita. Berto invoca continuamente il genitore che, in più punti del romanzo, si identifica con la figura di Dio, uno Dio-padre che assume il ruolo di sommo giudice in ogni evento terreno che accade al protagonista.

Ernesto Berto è stato un carabiniere, poi, una volta in congedo, ha aperto un negozio di ombrelli e cappelli (Giuseppe non condivideva il suo modo di gestire l’attività, in particolare il modo di interagire con i clienti) e trasmette al primogenito maschio saldi principi di ordine e dovere morali, accusandolo spesso

di essere un vagabondo e profetizzandogli un avvenire nefasto. Tuttavia non è questo il momento in cui il protagonista diviene vittima della persecuzione paterna, perché ancora non si è formato in lui quel complesso che darà luogo alla nevrosi e che si manifesterà solo al momento della morte del padre, attraverso uno schiacciante senso di colpa. Il figlio cerca allora di colmare la propria mancanza scattando al padre defunto delle foto che, tra l’altro, costituiranno una nuova prova della sua inefficienza, dal momento che Berto si accorgerà, ad esempio, di aver lasciato alla salma un occhio semichiuso; infatti «le fotografie di un padre morto sono cosa inutile e anzi più fastidioso di quanto non sembri, e insomma quello era il vero primo atto di ostilità e diciamo pure vendetta che mio padre faceva contro di me» (pp. 56-57). La certezza della persecuzione paterna diviene concreta quando entrano in scena i dolori al rene, diagnosticati dai medici come «rene mobile», probabilmente causato dalla magrezza del protagonista. Insomma, niente di allarmante per un soggetto con la coscienza a posto, ma non per Berto che vedrà in questo evento l’inizio delle sue disgrazie:

Era cioè la fine del padre mio che veniva a galla, la mia fetente viltà nel lasciarlo solo con la sua morte crudele, e adesso toccava a me pisciare sangue, credevi di avergliela fatta al vecchio tuo ma a questo mondo tutto si paga, chi fa male raccoglie male lui te lo diceva sempre […] (p. 100 ).

Conscio di questo influsso paterno sulle sue «disgrazie» - perché tale è il termine che ricorre più spesso in associazione alle sue disavventure-, Giuseppe cerca di correre ai ripari trovando alle sue mancanze le più svariate giustificazioni, che ripete a se stesso per tenersi calmo nei momenti di panico, ma che ripete soprattutto al padre come se fosse ancora vivo, e nella veste di giudice a cui

dimostrare la validità dei proprialibi. Ed è qui che Giuseppe rivendica al padre il proprio diritto a vivere tranquillamente una tarda maturità, considerando che ha vissuto una «infanzia e giovinezza sacrificate». L’aggettivo “sacrificato” fa proprio riferimento agli innumerevoli sacrifici mentali e fisici sopportati dal giovane Berto che riteneva necessario il proprio tormento per compensare gli sforzi sostenuti dal padre per farlo studiare:

Invero fece molti sacrifici per farmi studiare, molti penosi sacrifici…io dovevo smetterla una buona volta di pensare a quei molti penosi sacrifici…mio padre mi disse che dovevo studiare perché lui faceva molti sacrifici per mantenermi in collegio, sicché io non avevo ancora nove anni mi trovai davanti alla mostruosa necessità di farmi onore e di essere sempre bravo per ripagare almeno in quel modo i sacrifici del padre mio.. (p. 65)

La messa in dubbio dell’autorità paterna avviene proprio quando il protagonista capisce che la convinzione dei sacrifici fatti dal padre è stata esagerata dal padre stesso allo scopo di spingerlo a dare i migliori risultati. Il sentimento di amore- odio verso il padre che suscita in lui un senso angosciante di inferiorità, si esprime attraverso un lessico che alterna costantemente termini ed espressioni a volte chiaramente negative o dispregiative, altre volte quasi celebrative della figura paterna di cui viene sempre sottolineata la potenza fisica come se fosse chiaro segno di superiorità morale. Ad esempio il padre è ‘forte e massiccio e praticamente invincibile’, ma anche ‘il rompiscatole principe della nostra vita’, ‘personaggio che più di ogni altro soprintende alle mie disgrazie’; Berto dice ‘nessun altro aveva un padre potente come il mio’, una potenza che stritolerà l’autore anche dopo la morte, al punto da parlare di un ‘malefico influsso proveniente dal loculo dove riposava per così dire il padre’; altrove lo chiama

sprezzantemente ‘vecchio’ oppure ‘fosco uomo col tabarro’ o ancora il padre è l’uomo senza volto che litigava con la madre sul pianerottolo di casa. Il padre è anche ‘presenza potentemente attiva’ e ‘padre potenza’, quasi come se si trattasse di un’entità astratta piuttosto che di un essere umano; in più numerosi sono i passaggi in cui Berto fa riferimento al padre senza usare il possessivo, anche in questo caso probabilmente per il bisogno di creare una distanza emotiva oppure per spersonalizzare la figura paterna così da renderla meno temibile. Questa ‘vigile potenza’ e ‘massiccia prevalenza’ paterna, che aveva contribuito a collocare il padre su una sorta di piedistallo mitologico fin dall’infanzia, quando Ernesto si trovava lontano da casa e inviava pacchi di viveri alla famiglia, garantendone la sopravvivenza durante la Grande Guerra, contrassegna quella che Berto definisce la prima fase della sua lunga lotta contro il padre; poi, ‘a forza di scoprire in mio padre contraddizioni e deficienze, riuscii gradatamente a liberarmi dalla sua strapotenza e a passare […] alla seconda fase, quando […] questo padre arrivai a mettermelo sotto i piedi […], cosa che […] durò fino al mio trentottesimo anno di età, quand’egli ebbe la disavventura di morire, provocando […] l’inizio della terza fase, che va appunto dalla sua morte in poi’. La disavventura in realtà è quella di Berto, dal momento che la morte del padre sarà l’elemento scatenante dei suoi pensieri ossessivi e quindi della nevrosi42.

Il riferimento ad una figura paterna potente e vigorosa, nel fisico e nello spirito, e al condizionamento schiacciante che avrà su Berto non può non richiamare alla

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Il tema del padre in realtà, come ha osservato Piancastelli, pare comparire già nelle Opere di

Dio, lavoro appartenente al primo periodo di produzione dell’autore; infatti, all’interno del

romanzo, si individua la figura di un padre che Berto sembra rifiutare, cioè un padre che egli sembra voler far morire, quasi fosse un elemento di fastidio.

memoria Lettera al padre di F.Kafka, che con straordinaria lucidità ripercorre la storia della relazione padre-figlio, sottolineando il senso di inadeguatezza dell’autore che attribuisce i propri sensi di colpa all’educazione repressiva ricevuta. Kafka mette in evidenza la potenza fisica del padre e al tempo stesso la personalità prevaricatrice che ha il potere di schiacciarlo anche in modo indiretto:

Ero schiacciato già dalla tua sola presenza fisica. Ricordo ad esempio le frequenti occasioni in cui ci siamo cambiati insieme nella stessa cabina. Io magro, debole, sottile, tu vigoroso, alto, grosso. Già nella cabina mi facevo pena e non solo al tuo cospetto, ma al cospetto del mondo intero, perché tu per me eri la misura di ogni cosa.

La tua opinione era giusta, ogni altra assurda, stravagante, pazza, anormale. E la fiducia che avevi in te stesso era così grande che anche quando non eri coerente non smettevi di avere ragione. Capitava anche che su una certa questione non avessi nessuna opinione e allora tutte le opinioni possibili sul tema dovevano senza eccezione essere sbagliate.

Non ricordo che tu mi abbia insultato in modo diretto e con ingiurie esplicite. Del resto non era necessario, avevi tanti altri strumenti […] Quando mi mettevo a fare qualcosa che non ti andava a genio e tu per minacciarmi prevedevi un insuccesso, rispettavo a tal punto la tua opinione che l’insuccesso, anche se magari rinviato nel tempo, si presentava immancabilmente. Persi la fiducia nelle mie azioni. Ero incostante e pieno di dubbi43.

Pur con le dovute differenze di personalità e situazione storica, non si può negare che vi sia tra i due autori “una rispondenza sotterranea che ha la sua radice in un

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F., Kafka, Lettera al padre, traduzione di E.Ganni, Torino, Einaudi 2008

fondamentale pessimismo e nella consapevolezza – nell’uno lucidamente tragica, nell’altro ammorbidita da un sorriso di autoironia- che per oscure ragioni legate a una colpa misteriosa e senza riscatto, l’uomo non può sottrarsi, per quanti sforzi faccia, all’immeritata condanna e all’ingiusto castigo.”44

Al tema del padre è strettamente connesso quello dell’attaccamento al denaro. Ernesto era avaro, e per questo il figlio lo disprezzava già in età giovanile; tuttavia, una volta adulto, lo stesso Berto mostrerà un identico attaccamento al denaro, fino al punto che il pensiero del denaro da spendere lo accompagnerà anche nei momenti di dolore provocati dalla malattia, quando la sua prima preoccupazione sarà quella di calcolare quanti quattrini usciranno dalle sue tasche tra visite specialistiche, medici chiamati nel cuore della notte e una clinica di lusso che ai suoi occhi sembra quasi una residenza di villeggiatura. E Berto è pienamente cosciente della propria avarizia, e ce ne rende partecipi in uno dei momenti forse più ironici del romanzo dove l’autore, recitando un Pater noster molto poco ortodosso, mescola il Padre eterno con quello terreno, per nulla preoccupato della dimensione spirituale, ma piuttosto delle più prosaiche spese materiali:

padre mio perché non allontani da me questo calice, dico padre che sei nei cieli e non tu che stai nella tua cassa di noce che m’è costata invano un occhio della testa, vedi quanto sei entrato in me padre terreno se penso ai quattrini anche nei limiti estremi dell’agonia, e doppiamente rimpiango di non aver fatto testamento perché ci avrei espresso pure la volontà di venir seppellito con la minore spesa possibile nel cimitero popolare di Prima

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Cfr. Lombardi, O.,……che fa alcuni riferimenti particolarmente significativi….vedi articolo

Porta, mentre ora sono certo che a qualcuno verrà in mente l’idea di trasportarmi chissà quanto costosamente al paese natale […] (pp. 121-122).

Al padre inoltre viene ricondotto anche l’insieme di norme educative presenti nella coscienza del protagonista; le norme morali, tipiche dell’ambiente medio borghese di provenienza e avvertite come obblighi, sono presentate al lettore con il frequente ricorso all’ironia, proprio perché lui stesso è convinto dell’inutilità di tali norme, prima fra tutte l’istituzione del matrimonio cui Berto si oppone con piena ostinazione, fino a quando, cade nelle grinfie di una giovane donna che riuscirà a farsi sposare da lui. In questo frangente emerge il suo atteggiamento misogino, nella ferma convinzione che tutte le donne siano delle arriviste e delle arrampicatrici sociali spinte solo dall’interesse economico e non da un amore sincero e profondo. Dietro questo suo giudizio, apparentemente molto duro, è possibile intravedere una incapacità di abbandonarsi alla fiducia per il prossimo, che lo porterà a vivere situazioni effimere dal punto di vista sentimentale, ma probabilmente anche un riflesso del proprio attaccamento al denaro che si configura come un limite che pregiudica anch’esso la possibilità di vivere relazioni autentiche e disinteressate.