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La psicoanalisi nell’opera di Giuseppe Berto

Per introdurre la questione psicologica in Berto è necessario soffermarci un poco sulla figura di Sigmund Freud, sulla sua scoperta dell’inconscio e sugli effetti che ne derivarono sull’immaginario e sulla letteratura in genere64. L’introduzione di

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‘molte volte dicevo una caramella invece di una crema, e talvolta addirittura niente, perché mio padre mi volesse più bene se dicevo niente’inserire numero pagina

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In letteratura il personaggio romanzesco viene ora trasformato: da tutto tondo, di tipo manzoniano o balzacchiano, ad un personaggio disorganico. Il critico Giacomo Debenedetti, attento al rapporto fra storia letteraria e cultura, individua una relazione organica fra la nascita della nuova fisica e della “teoria dei quanti” e la nascita del nuovo romanzo novecentesco di

questa disciplina, di forte portata antipositivista, fu di notevole importanza per la messa in discussione e per la conseguente sottolineatura dei limiti della ragione umana.

Freud, medico viennese, ritenuto l’inventore della psicoanalisi, inaugurò questa dottrina con un’opera dal titolo suggestivo, L’interpretazione dei sogni, apparsa nel 1901; con questo saggio, il concetto di integrità del soggetto entra in crisi. L’uomo viene presentato, nella sua interiorità, come diviso fra una zona inconscia, che emerge nei sogni, nelle nevrosi, nei lapsus e in cui dominano pulsioni, di cui non è cosciente, e una zona consapevole, in cui valgono ragione e volontà. Sono proprio le volontà a risultare limitate e condizionate all’interno della vita psichica che cercherebbe quindi un problematico equilibrio fra tre istanze diverse: l’Es , che comprende gli impulsi irrazionali e istintivi; l’ Io, che rappresenta l’esigenza di equilibrio e di organizzazione della personalità; il Super-io riflette, in modi in parte consapevoli e in parte inconsapevoli, le esigenze morali della famiglia e della società, interiorizzate durante l’età infantile e l’adolescenza. La ricerca di un equilibrio fra spinte opposte è correlata anche al contrasto fra principio di realtà (le norme morali, sociali e civili della realtà esterna al soggetto) e principio di piacere (l’esigenza individuale di affermazione, di soddisfazione e di godimento), fra la repressione sociale, che opera la rimozione dei desideri, e la spinta delle pulsioni individuali. Sostanzialmente, la

Proust e di Joyce, ma anche di Svevo, di Pirandello e di Tozzi. Il personaggio perde consistenza, unità, omogeneità; la sua coscienza si dissolve, così come la sua identità: esso si scompone in una miriade di corpuscoli irrelati in quanto «è cominciata, per il personaggio-uomo, una vita grama. […] Egli appare, gli viene imposto un nome e uno stato civile, poi si dissolve in una miriade di corpuscoli che lo fanno sloggiare dalla ribalta, è richiamato solo nel momento in cui serve a incollare i suoi minutissimi cocci . È spiegabile che, fin dai primi contatti coi precursori della narrativa moderna, si sia parlato di uno sciopero dei personaggi. […] cfr. G. Debenedetti,

Commemorazione provvisoria del personaggio-uomo, in Personaggi e destino. La metamorfosi del romanzo contemporaneo, a cura di F. Brioschi, Il Saggiatore, Milano, 1977

vita psichica è vista e vissuta come un’area colma di tensioni continue. Questa nuova concezione pone fine al concetto classico di individuo come essere pienamente integro, ma anche a quello romantico che vede nell’anima il luogo dell’autenticità, della salute e, proprio a proposito di quest’ultima, il nuovo grande tema del Novecento, è quella della malattia. La malattia come caratteristica del “diverso”, ma in primis, dell’artista che, grazie ad un occhio alternativo, riesce a percepire emozioni più profonde rispetto agli altri, ai “normali”. La malattia, ad ogni modo, resta il segnale, o meglio, una risposta a un disadattamento degli scrittori rispetto alla società; la causa varia a secondo degli autori, ad esempio la tisi in G.Gozzano, la nevrosi in Berto e in Svevo. Il disagio può sfociare in impotenza, incapacità di realizzare i propri obiettivi, definita come inettitudine nel caso di Zeno Cosini nel romanzo La coscienza di Zeno; tuttavia, un concetto di malattia che, per Svevo, vuol essere una reazione di non conformazione alle norme e agli obblighi della società, in particolare del mondo borghese. E in questo caso, la “malattia” di Zeno sarebbe preferibile alla “sanità” della moglie Augusta, una piacevole metafora dello stato dell’intellettuale moderno, del suo sentirsi estraneo al meccanismo sociale ed economico.

Nel caso di Giuseppe Berto, non fu la semplice curiosità o solo un interesse speculativo o meramente letterario65 a farlo avvicinare alla psicoanalisi, anche perché negli anni ’60 la psicoanalisi era oggetto di forti critiche e finanche di censura o comunque di disprezzo all’interno della cultura italiana; entrò in contatto con la psicoanalisi innanzitutto per necessità di vita, perché doveva

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Sicuramente Berto fu influenzato da quello che viene considerato il primo vero romanzo italiano di psicoanalisi, La coscienza di Zeno, ma non si limitò a subire un condizionamento o a seguire un percorso già battuto, anzi fu “un coraggioso pioniere e un sensibile testimone, stupito egli stesso, sul momento, delle possibilità innovatrici aperte dal suo gesto di sfida” (cfr. M.David, p.133)

curarsi e alcuni amici psichiatri romani gli indicarono uno dei più famosi psicoanalisti della città, del gruppo di E.Weiss. Cronologicamente parlando, l’incontro con Nicola Perrotti avvenne verso la fine del 1959, anche se la nevrosi aveva cominciato ad affliggerlo negli anni compresi tra il 1953 e il 1954 e si protrasse per dieci anni finché nel 1961 si considera ‘guarito’. Al di là della guarigione effettiva o parziale dal ‘male oscuro’, va segnalato che fu proprio Perrotti a consigliare al Berto di mettere per iscritto la sua esperienza della malattia; e infatti il libro fu scritto di getto in due mesi, anche se ci vollero poi due anni per un’accurata revisione e limatura dell’opera.

Giuseppe Berto dedica tre Soprappensieri, pubblicati rispettivamente il 24 aprile, il 9 maggio e il 16 maggio 1965, ai problemi legati alla difficile diffusione della psicoanalisi. Bisogna aggiungere che l’esperienza psicoanalitica di Berto si affaccia gradualmente nella sua opera; infatti, in quello che viene definito come “il primo Berto”66, essa non era ancora divenuta parte integrante dei suoi romanzi; l’introduzione di un’analisi psicologica nella sua opera è stata, come abbiamo detto, graduale e accompagnata dagli eventi biografici che fecero da padroni. Il Berto della Colonna Feletti si abbandonava in rare occasioni alle ragioni intime o alle motivazioni comportamentali in quanto, «solo quattro brevi discorsi indiretti liberi tentano di assumere più efficacemente quel compito di rappresentare le motivazioni individuali, senza contenere nulla, però, di propriamente divinatorio. L’ex-dannunziano ha fatto atto di rinuncia psicologistica […] »67; inoltre, anche nel diario di guerra, Guerra in camicia nera, all’apparenza, l’autore non sembra voler riportare principalmente i moti interiori

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E con ciò ci riferiamo a quello della Colonna Feletti, 1940,

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David M., La psicologia nell’opera narrativa di Giuseppe Berto, in Giuseppe Berto. La sua

opera, il suo tempo.

dell’animo umano, ma sembra maggiormente attento a registrare i fatti, con spiccato gusto diaristico. In accordo con il David, riteniamo che il vero balzo in avanti, vale a dire quello che può già far pensare ad una predisposizione del Berto, nonché ad una sua sensibilità tutta particolare nel percepire le problematiche umane, sarà il romanzo che lo farà conoscere al grande pubblico, Il cielo è rosso, nel quale, per l’ambiente stesso in cui è stato concepito68, si pongono problemi esistenziali sullo sfondo esistenziale di quattro giovani con i propri vissuti alle spalle che lotteranno contro la forza di un destino inarrestabile, quello della guerra. Si potrebbe pertanto affermare che in questo romanzo l’autore cerchi di introdurre il lettore a una riflessione metafisica sul Male ma, in ogni caso, in questa sede mancano quegli espedienti letterari che sono tipici del romanzo psicologico e che avranno e faranno la fama del Male oscuro, vale a dire l’introspezione psicologica come strumento di analisi interiore, lo studio dei sogni e l’importanza attribuita alla libera associazione di idee. Vi sono rari discorsi in stile indiretto libero che comunque servono a Daniele, personaggio preferito dall’autore e maggiormente posto “sotto analisi”, per dar voce alle proprie riflessioni e in cui è possibile intravvedere l’emergere di una problematica psicologica che sarà largamente presente nel Male oscuro, ovvero il tabù della sessualità e della colpevolezza religiosa.

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Il romanzo, come è noto, è frutto dell’esperienza diretta dell’autore nel campo di concentramento di Hereford, nel Texas. Berto stesso rievocava quella gravosa condizione dicendo: «Sono convinto che, se non mi fosse capitato di finire in un campo di concentramento, non sarei riuscito a scrivere un romanzo. Ma lì mi trovai davanti una serie indefinita di giorni da riempire, non ebbi dubbio su come riempirli. Non avevo mai scritto prima, ma scrivere o qualcosa di simile era stata la vaga aspirazione di tutta la mia vita precedente».

Un accenno di analisi psicologica, seppure limitata ad una parte ristretta del romanzo, lo troviamo nel Brigante, relativamente alla riflessione che il protagonista Nino fa a proposito di se stesso quando è adulto.

La vera svolta in senso psicoanalitico la abbiamo con Il male oscuro69,dove, a partire dal lessico tecnico, prendono corpo le influenze più profonde di matrice psicoanalitica attraverso l’indagine introspettiva. È in primo luogo il vocabolario tecnico l’aspetto primario e più vistoso dell’influenza psicoanalitica nel romanzo, vista la lunga serie di parole chiave che rimandano alla dottrina freudiana; in secondo luogo troviamo i temi tipicamente psicoanalitici come il Super-io e la sua formazione, l’introiezione del padre, la nascita della sessualità e le sue ‘perversioni’, la nevrosi d’angoscia ecc. Tematiche e lessico riescono ad amalgamarsi nella struttura aperta del romanzo, trovando così un giusto compromesso tra scrittura tradizionale e scrittura psicoanalitica. Se il discorso tradizionale è caratterizzato dalla logica, quello psicoanalitico è caratterizzato dalla libertà, che riguarda tanto gli argomenti quanto le parole e l’ordine di esposizione. Quanto alla trasposizione della tecnica delle libere associazioni alla letteratura, lo stesso Berto afferma che “l’autore stesso deve essere contemporaneamente analizzando e analista, ossia, almeno nella fase di revisione del testo, non bisogna dimenticare che un risultato apprezzabile si ottiene soltanto con una rappresentazione organica di fatti, pensieri e stati d’animo, ed è quanto mai improbabile che questo risultato venga raggiunto automaticamente.”70 Non a

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Va detto che, all’origine del Male oscuro, c’è un racconto autobiografico poco conosciuto, pubblicato nel ’63 e intitolato Esaurimento nervoso in cui Berto, con lo zelo e l’accuratezza di un neofita, fa sfoggio di una serie di tecnicismi che, più che raccontare e rappresentare la nevrosi (come sarà fatto magistralmente nel Male oscuro), tendono a configurare il racconto quasi come un referto clinico

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Cfr. intervista di M.Grillandi a Berto, Gazzettino, 19 novembre 1963

caso per Berto fu particolarmente laborioso il tentativo di commistione del linguaggio associativo della psicoanalisi con il linguaggio letterario, anche perché, come lui stesso afferma, il suo sforzo maggiore fu di combattere contro la propria innata tendenza all’ordine e al perfezionismo, mentre invece avrebbe dovuto abbandonarsi completamente al casuale nascere di pensieri e immagini71.

Berto cerca un legame costante tra sé e il suo lettore e, a proposito del ritenersi un ‘esaurito’, il suo scopo non è quello di dare sfogo alle proprie questioni irrisolte, bensì quello di rendere partecipe il lettore tramite espedienti letterari che concorrono alla comprensione del testo. Questa intenzione dell’autore è evidente fin dalle prime pagine del Male oscuro; è proprio grazie alla sua chiarezza che il lettore riesce a identificarsi nella narrazione.

Ricordiamo che, nei primi anni del Novecento, la visione tradizionale della narrazione come espressione salvifica trova una conferma e un rinnovamento a partire dalla diffusione della psicoanalisi; e pertanto, da quel momento in poi, il racconto letterario diviene un mezzo di guarigione delle malattia interiore, prima fra tutte la nevrosi. L’autore, come abbiamo già segnalato, pone in incipit al romanzo la citazione di Prometeo ‘il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore’ a testimonianza del fatto che la parola attiva, a differenza di quella inflitta dal proprio silenzio, sia propedeutica e necessaria alla guarigione, infatti, «le parole di Prometeo, non a caso, figurano in forma di epigrafe al romanzo, tra i motti che danno principio al racconto del Male oscuro. Il racconto assolve

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Queste le parole di Berto: “…nell’esprimere i pensieri e nel descrivere le immagini non riuscivo certo a liberarmi da quello sviscerato amore per l’ordine, per i congiuntivi ben collocati, che è un aspetto, temo, del mio perfezionismo, il quale a sua volta è un elemento piuttosto persistente della mia nevrosi. Cioè neppure in analisi riuscivo a dimenticare la mia propensione ad esprimermi con la maggiore chiarezza e la maggiore precisione a me possibili e sicuramente il mio analista avrà tenuto conto della cosa per giudicarmi”.

pienamente il ruolo che la narrazione dell’Io ricopre nella seduta psicanalitica. Si costituisce come formazione discorsiva di compromesso tra le pulsioni che si pongono in antagonismo, vale a dire tra Io, Es e Super-Io, volte ad esprimere il desiderio dell’indicibile. In questo caso, l’indicibile coincide proprio con il complesso edipico, e il protagonista perviene alla sua scoperta per mezzo delle associazioni libere che scaturiscono dalle domande dello psicanalista, in seguito al racconto del sogno citato».72

C’è da considerare poi che l’emergere dell’inconscio e la sua successiva trasposizione sul piano letterario è di difficile gestione, in quanto, per sua stessa natura, è materia difficilmente esplicabile; inconscio è tutto ciò che si muove tra pulsioni nascoste, aggressive e che talora imbocca la dimensione onirica per rendersi noto e diventare oggetto di analisi agli occhi della nostra ratio. Il Berto si serve del sogno per indagare sui propri moti interiori e ne offre così materia d’interpretazione al suo psicoanalista Nicola Perrotti73. L’onirismo era considerato come un mezzo tecnico tipico della psicoanalisi; è per merito di Freud che il sogno è stato introdotto nella letteratura come testimonianza insostituibile del mondo interiore del soggetto e che può costituire, inoltre, fonte d’ispirazione per lo stesso artista che se ne serve in quanto oggetto di possibile letteratura. Ma il sogno non è gestibile da parte del soggetto, come, del resto, non lo è l’inconscio; quindi, apparentemente, l’unico modo per poterne usufruire è cercare di trasporlo sulla pagina scritta attraverso la tecnica delle libere associazioni. È il Berto stesso a parlarci di tale strumento d’indagine, mettendo in

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Vita, S., Rimozione freudiana e riemersione letteraria nel Male oscuro di Giuseppe Berto. Il sogno della libreria Rossetti, p. 401

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Si ricorda che Nicola Perrotti, unico del gruppo di Weiss ad aver fatto studi di medicina, fu direttore della rivista “Il Saggiatore” organo di giovani polemisti anti idealisti.

evidenza, con vena ironica, una sua difficoltà personale, una sorta di scetticismo nell’affidarsi ciecamente alla terapia:

Ora nell’analisi una delle cose importanti e anzi direi indispensabili è avere sogni e ricordarsene in modo da poterli poi raccontare al medico il quale attraverso l’esposizione delle cose sognate e le spontanee associazioni che il paziente fa discutendone arriva ad indovinare qualcosa che è sepolto dentro di lui […] immagazzinati nell’inconscio dove peraltro non è che giacciono senza far niente ma determinano azioni e condizioni e stati morbosi.

Curioso che il Berto, riesca ad avvertire un senso di colpa anche quando si presenta “a mani vuote” dall’analista, ovvero senza aver fatto i sogni, come uno scolaro che non abbia eseguito i compiti assegnati per casa. Infatti, quando non ha un sogno da raccontare si sente preda di rimorsi che lo spingono a sognare di svegliarsi e di essersi dimenticato il sogno.74 Seguendo il meccanismo del transfert, egli trasporta e “trasferisce” il proprio senso di colpa verso il padre nel rapporto instaurato con l’analista (definito appunto “vecchietto”, in stretta associazione con “vecchio”, aggettivo con il quale spesso è solito indicare il padre) e, solo riportando il genitore ad una dimensione umana, riuscirà a spezzare le catene del senso di colpa.

Altro tipico strumento d’indagine, la tecnica delle libere associazioni, si serve di pensieri associati casualmente, almeno in apparenza, ad immagini, che, successivamente, divengono parole comunicate all’analista ed è qui che sorge un problema: l’inconscio non si presta ad essere gestito linguisticamente. Come

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È interessante rilevare che una delle differenze che intercorrono tra Il male oscuro e La

coscienza di Zeno perché se nel primo romanzo il racconto del sogno risulta illuminante come atto

di verità..

afferma Lacan75, l’inconscio come linguaggio non è traducibile e decodificabile né questa del resto è l’intenzione di Berto, che piuttosto cerca un contatto, un ascolto empatico con il lettore, così come, nella sua esperienza, ha avuto modo di trovarlo con lo psicoanalista Perrotti utilizzando la tecnica del transfert. Eppure, leggendo Il Male oscuro, il lettore si trova anche a rivestire il ruolo curioso di analista nel momento in cui vede come sfilare davanti a sé i pensieri dell’autore, le associazioni di idee, che sembrano uscire di colpo, senza connessione ragionata, ed è come se il lettore si trovasse davanti ad un paziente che racconta la sua storia ad alta voce, senza concedersi pause, senza riprendere fiato. Ma l’intenzione dell’autore di voler riprodurre il concatenarsi dei pensieri gli è valsa la critica di aver ‘copiato’ altri modelli già in voga; a tal proposito, riportiamo l’intervento di Berto in una intervista:

[…] Quando mi dissero che nel Male oscuro ricalcavo Joyce (e per primo me lo disse, assai astiosamente, Mario Praz) mi misi d’impegno a leggere qualche pagine dell’ Ulysse, verso la fine, dove si nota un’accentuata parsimonia di punti e di virgole che può far nascere più di un sospetto circa una mia derivazione dall’illustre scrittore irlandese. Io ne ricevetti l’impressione che tra Joyce e me ci sono tali e tante differenze anche nella tecnica narrativa( che del resto non può non essere collegata ad un particolare modo di sentire sé e il mondo) che insistetti nel credere in un mio piccolo margine d’originalità e osai definire la mia tecnica narrativa con la denominazione di «discorso associativo» appunto per sottolineare che essa era nata non da una esperienza letteraria, ma da una esperienza di vita che, vedi caso (ma proprio vedi caso: io la psicoanalisi la feci soltanto per tentare di uscire dalla nevrosi) era anche una grande, fondamentale esperienza

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Jacques Lacan (Parigi, 1901 – 1981)Psichiatra e filosofo francese, nonché uno dei più famosi psicoanalisti, presiede alla teoria secondo cui l’inconscio è più direttamente correlato con il linguaggio. La struttura di linguaggio emergerebbe nelle formazioni dell’inconscio (sogno, lapsus, motto di spirito, sintomo) come vengono descritte da Freud nei saggi e nei suoi casi clinici. Tutte le formazioni dell’inconscio, compreso il “blaterare” in psicoanalisi, hanno struttura di linguaggio, sono pensieri articolati e rispondono a leggi proprie, anche se il soggetto non ha sempre accesso alla comprensione poiché si tratta di un linguaggio cifrato, da decodificare, che si svolge al di fuori del soggetto.

culturale. Questa combinazione nevrosi-psicoanalisi è alla base della mia eventuale originalità. Certo, non sono il primo scrittore nevrotico, né il primo che abbia più o meno sperimentato la psicoanalisi ( basta fare due nomi Svevo e Saba) però credo di essere stato il primo, almeno in Italia, a servirmi di un mezzo psicoanalitico come di un mezzo espressivo, e da qui ricavo anche la legittimità della denominazione «discorso associativo».

Il Male oscuro è un romanzo, quindi, scritto su consiglio dell’analista stesso di Berto che, come ausilio alla guarigione del paziente, gli consiglia di mettere per iscritto la storia della sua malattia. È inevitabile non pensare al romanzo che, di fatto, ha introdotto la psicoanalisi nella letteratura italiana, La coscienza di Zeno «anche se non si trattò di un vero testo psicanalitico e anche se Svevo adottò il monologo interiore, frenato tuttavia in spontaneità dalla scarsa padronanza che aveva della lingua italiana e questa limitazione, dal punto di vista dell’analisi, è gravissima, perché come si sa, il metodo terapeutico si fonda sulla catarsi