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Memorie d'una nevrosi. Una lettura de IL MALE OSCURO di Giuseppe Berto.

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione

1. Giuseppe Berto: la vita e le opere. - L’opus bertiano e il suo contesto - Il cielo è rosso: esordio neorealista?

2. Il male oscuro: contesto, struttura e trama - Le tematiche del romanzo

La figura paterna Il sesso e l’amore

Il male fisico come emblema di un male universale L’origine del disagio: il senso di colpa

- Alcune considerazioni sull’ironia di Berto

3. La psicoanalisi nell’opera di Giuseppe Berto. - Psicoanalisi e scrittura: una curiosa terapia

- Una guarigione apparente: la conclusione del Male oscuro 4. Due modelli a confronto: Berto e Svevo

- La figura paterna e il senso di colpa

5. Una costante della produzione bertiana: la ricerca religiosa Conclusioni

Riferimenti bibliografici

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INTRODUZIONE

Il romanzo di Giuseppe Berto, Il male oscuro, viene pubblicato nel marzo del 1964 nella collana «La Scala» di Rizzoli: sulla copertina è rappresentato un labirinto color giallo e nero, metafora del labirinto mentale in cui l’autore era caduto. Questo romanzo segna la rinascita dell’autore stesso, in quanto rappresenta il suo viaggio interiore dopo l’uscita dalla nevrosi, una dolorosa patologia venuta ad assumere le sembianze di un lungo incubo: del resto l’edizione americana del romanzo è stata intitolata proprio Incubus.

Il libro si presenta come il rendiconto complessivo dell’esperienza esistenziale dell’autore: Il male oscuro è un romanzo in cui gli elementi autobiografici sono dichiarati e palesi, ma vengono trasfigurati letterariamente. Infatti Berto non offre una semplice testimonianza tesa a giustificare il proprio percorso, ma ambisce a toccare le grandi questioni che, trascendendo la dimensione strettamente privata, intendono racchiudere gli elementi basilari di una visione del mondo e della vita. Nel presente lavoro si è voluto mettere in rilievo i temi centrali trattati nel romanzo, come ad esempio quello di un male del mondo che non lascia speranza di salvezza per l’uomo che a fatica trova la forza di continuare a vivere. In particolare, nel Male oscuro il concetto di negatività si metaforizza nella figura paterna del protagonista -alter ego dell’autore- la quale viene costantemente percepita come un’ossessione e a cui l’io narrante attribuisce la responsabilità delle numerose disgrazie che gli accadono.

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Berto tratta questi temi mettendoli in relazione con se stesso con un punto di vista orientato alla moralità, una moralità che non esclude una pungente critica alla società borghese. Rispetto a quest’ultima, per esprimerne le assurde contraddizioni, Berto si serve di uno strumento di valutazione e di indagine che contrasta con lo ‘strumento’ che andava più di moda in quegli anni, ossia l’ideologia. Lo stesso autore sostiene che con l’ideologia le scelte personali venivano sottratte alla responsabilità individuale, mentre la responsabilità morale getta luce su una visione “collettiva” del male; nel Male oscuro si individua la messa in ridicolo del paradosso dell’ideologia, la sua arroganza, la sua sicurezza che costringe l’uomo a ridere di questa presunzione di voler ricondurre il mondo a delle regole.

Il romanzo è incentrato sul disagio che l’autore prova nell’accettare il destino che gli è stato attribuito quando è venuto al mondo; è proprio la sua condizione sociale di piccolo borghese che diviene punto di critica: Berto ne mette in ridicolo le convenzioni in quanto vede scomparire la propria individualità nella massa. Nella sua storia personale il desiderio di libertà psicologica si configura e materializza nel rapporto problematico con il padre Ernesto; Berto avverte l’obbligo morale di liberarsi dalla dipendenza di costui e di rifiutarne le imposizioni. Nel romanzo non troviamo soltanto una storia di nevrosi personale legata al rapporto conflittuale dell’autore con il genitore, ma vi si intravede la volontà di rappresentare l’intero destino di una generazione sfortunata e coraggiosa cha aveva attraversato mezzo secolo di catastrofi.

La nostra intenzione è stata quella di presentare Giuseppe Berto attraverso il suo contesto personale, ossia una biografia che contenesse cronologicamente le opere,

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senza trascurare tuttavia anche il contesto storico e sociale di cui l’autore si è trovato spettatore. Il male oscuro esce il 12 marzo 1964, come dicevamo, in un quadro politico-sociale di notevole portata storica: sul piano politico la morte di Stalin nel 1953 con il conseguente processo di ‘destalinizzazione’ in URSS e nei partiti comunisti, le rivolte in Polonia e in Ungheria contro i regimi filosovietici di quei paesi incrinano l’unità dei partiti di sinistra e così avrà inizio, in Italia, il processo che porterà il PSI a staccarsi dal PCI e ad andare al governo con la DC, si comincia cioè a prospettare un governo di centro-sinistra al posto del tradizionale centrismo; sul piano economico prende avvio un “boom” che modificherà nel giro di pochi anni il volto della nostra nazione adeguandola allo standard dei maggiori paesi industrializzati. Nello stesso tempo si sviluppa in Italia la televisione di Stato, mentre l’editoria diventa una vera e propria industria: l’industria della cultura. In seguito a tali cambiamenti, comincia a trasformarsi anche la condizione degli intellettuali che si massifica e si ‘proletarizza’. Sul versante letterario particolarmente significativa è l’esperienza del Neorealismo, che emerge negli anni del dopoguerra ispirato all’antifascismo e all’esigenza di denuncia delle ingiustizie sociali. Giuseppe Berto, solitamente, viene ‘collocato’ nella corrente neorealista col felice esordio de Il cielo è rosso; tuttavia egli va a partecipare allo sperimentalismo proposto da nuove tendenze letterarie della fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta. Tra le nuove discipline che si affermano in questi anni troviamo la psicoanalisi, che suscita un grande interesse di massa, diventando uno degli strumenti conoscitivi da cui gli scrittori non possono prescindere e a cui molto spesso si rivolgono per la risoluzione di problematiche personali. Introdotta nella cultura letteraria da Svevo con il

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romanzo La coscienza di Zeno nella forma di ‘artificio letterario’, la psicoanalisi diverrà l’ancora di salvezza per il nostro autore, per la sua ‘guarigione’ dalla nevrosi. Pertanto abbiamo dedicato uno spazio a parte riservato all’analisi del ruolo della psicoanalisi in Berto, sottolineando il fatto che egli diviene fautore della teoria freudiana, tanto da inserire nel Male oscuro termini tecnici della disciplina, come «rimozione», «complesso d’Edipo», «senso di colpa», «Io», «Super-Io» che, con il passare degli anni, entreranno nel linguaggio comune, subendo spesso una banalizzazione. A questo proposito abbiamo esaminato Il male oscuro nella sua struttura, estrapolandone quindi le tematiche più salienti, prima fra tutte la costante presenza di un padre persecutorio che sembra essere la causa di tutte le disgrazie che accadono al protagonista. Berto offre al lettore la drammatica descrizione dei momenti acuti della malattia, di una nevrosi che accompagna costantemente il degradare della capacità razionale dell’autore. Il tratto maggiormente originale e creativo del modo di scrivere bertiano è proprio quello di offrire al lettore una minuziosa analisi dei suoi stati d’ansia attraverso uno humor travolgente, quasi ad indicare che l’ironia è l’unica arma a sua disposizione per difendersi da tutto il dolore che lo affligge.

Giuseppe Berto è oggi autore praticamente sconosciuto agli occhi delle nuove generazioni – e ciò è in parte attribuibile al fatto che non è studiato nelle scuole e neppure citato in molti manuali di letteratura di liceo, e in parte certamente alla cortina di incomprensione, di silenzio, di ostracismo della critica ufficiale attorno alla sua opera, a cominciare, in particolare, dagli anni Settanta, nonostante il grande consenso di pubblico verso i suoi romanzi. Tuttavia, proprio in questo anno, ricorre il centenario della nascita dell’autore, a conferma che ancora oggi

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Giuseppe Berto costituisce una presenza provocatoria per la vita civile come lo è stato per la letteratura. Lungi dal voler assumere dei toni celebrativi, il nostro proposito è stato piuttosto quello di valorizzare la qualità di un’esperienza che, malgrado tutto, ha lasciato un segno nella storia della nostra letteratura e tuttora non smette di provocarci sulle responsabilità di vivere il nostro tempo.

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Giuseppe Berto: la vita e le opere

Giuseppe Berto nasce a Mogliano Veneto, in provincia di Treviso, il 27 dicembre del 19141, da Norina Peschiutta e da un maresciallo dei carabinieri, Ernesto, che, dopo il congedo, gestiva un piccolo negozio di ombrelli e cappelli e organizzava riunioni fra carabinieri in congedo.2 Egli iscrive il figlio al collegio salesiano «Astori» di Mogliano che Berto frequenta dagli otto anni ai quindici.3

Berto ha scritto poco sulla sua infanzia, tra i ricordi degli anni dell’asilo c’è, ad esempio, quello stomachevole di una minestra vegetale mangiata controvoglia per non deludere il padre, il quale provvedeva agli studi del figlio; il rapporto con il padre è stato determinante nella vita e nell’opera letteraria dell’autore, in particolare, ha influito nella fase più matura di questa, quando la nevrosi di Giuseppe Berto ha fatto emergere quei complessi che stanno alla base del Male oscuro.

Il giovane Berto fa parte dei molti balilla che vissero come un’apparizione una breve visita del duce a Mogliano: «d’un tratto la folla cominciò ad agitarsi e a gridare evviva, le maestre ci spinsero in mezzo alla strada, e la macchina si fermò.

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L’autore annota, con ironia, di essere nato «in pieno Capricorno, un segno nel quale nacquero persone variamente infelici come Paolo Cèzanne e Giuseppe Stalin, e sotto il quale venne deliberato di mettere…la Natività di Gesù Cristo, le disgrazie e sofferenze del quale sono elevate a simbolo delle disgrazie e sofferenze di tutta l’umanità». cfr. L’ inconsapevole approccio e Le

opere di Dio.

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Ciò che non emerge dagli studi dedicati al Berto ma che sembra corrisponda a verità è l’esistenza di un altro negozio, una merceria, gestito dalla madre e da sua sorella Gina, la giovane zia del

Male oscuro.

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Un riflesso di questa esperienza è rintracciabile nel romanzo Il cielo è rosso, dove Daniele fugge da un istituto religioso e si ucciderà in una esaltata identificazione con l’agnello del Signore. Emerge in questa sede il tema cristiano che verrà poi approfondito dal Berto in una fase successiva della sua riflessione letteraria.

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Era uno spider potente, con due uomini seduti dentro – caschi di cuoio e occhiali controvento – e un terzo uomo, una camicia nera, inginocchiato dietro, che indicava chi dei due davanti fosse Mussolini. Noi gridavamo e battevamo le mani sempre più forte, e infine il duce del fascismo si tolse gli occhialoni e apparve. Eia, Eia, Eia, Alalà! gli buttammo i nostri fiori, avvizziti per la lunga attesa. e lui salutò romanamente, e ripartì verso la sua straordinaria avventura»4.

Durante la pubertà, nella coscienza di Berto, inizia a disgregarsi la figura paterna che da mito indistruttibile diviene uomo normalissimo che non mantiene neppure le sue promesse: egli aveva garantito al figlio una bicicletta lussuosa, nel caso in cui lo avessero promosso con merito, ma gli regala alla fine una bicicletta, tuttavia ‘da donna’, con la quale, l’adolescente Giuseppe, provava vergogna a mostrarsi in pubblico. Inoltre, il nostro Berto non condivideva il modo utilizzato dal padre per la gestione del negozio di cappelli; in particolare criticava l’organizzazione della vetrina dello stesso, sostenendo che il genitore aveva l’abitudine di mettere in mostra cappelli che «c’era da vergognarsi a portarli».5

Tornando alla formazione del nostro autore, Giuseppe consegue la maturità classica al liceo di Treviso e presto il padre gli comunica che, nel caso in cui avesse intenzione di proseguire gli studi, deve provvedere autonomamente al suo mantenimento; il giovane Berto, allora, si iscrive alla facoltà di lettere dell’Università di Padova (perché era la meno costosa, dichiarerà lui stesso in più di un’intervista). Scoppiato nel 1935 il conflitto italo-etiopico, egli decide di partire come volontario per l’Etiopia come sottotenente di fanteria e vi rimane quattro anni; tuttavia si accorge presto di ‘non essere tagliato’ per la vita militare,

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G., Berto, Il mio paese è una strada.

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Giuseppe Berto, Il male oscuro, BUR, 2013

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anche perché, nell’arco di sette mesi, viene punito con la cella di rigore per i più svariati motivi. Ma l’esperienza sul campo di battaglia gli farà riportare una ferita al piede destro, guadagnando così due medaglie, una d’argento e una di bronzo.6 Probabilmente il giovane Berto decide di partire in guerra più per evadere da una situazione familiare pressante che per una convinta adesione all’ideologia mussoliniana; a influenzarlo è inoltre anche il fascino della divisa militare e della guerra, ma soprattutto il fatto che il padre, visto lo scarso rendimento scolastico e i miseri voti con cui fu ammesso alla maturità7, lo obbliga a inventariare i mobili del manicomio locale.

La prima fase della sua vita è contrassegnata dal tema del patriottismo come risposta all’educazione fascista (dal 1929 aveva fatto parte degli avanguardisti, poi dei giovani fascisti, dei GUF e infine era stato capo manipolo della Gioventù italiana del Littorio), ma anche dalla necessità di uscire dalla routine della vita familiare. Una volta fatto ritorno in patria, si laurea nel 1940 in storia dell’arte insegnando, nell’autunno dello stesso anno, latino e storia nell’ Istituto magistrale di Treviso, e nell’anno successivo italiano all’Istituto tecnico per geometri nella stessa città. Appartiene a questo periodo la prima pubblicazione del Berto: La colonna Feletti, racconto lungo pubblicato sul Gazzettino sera di Venezia, in quattro puntate, basato su fatti realmente accaduti in ricordo di quattro commilitoni morti eroicamente nella guerra etiopica. Nel frattempo, l’Italia entra in guerra a fianco della Germania, il Nostro aveva fatto domanda di partire come volontario, ma solo nel ’42 questa viene accolta ed egli, che era stato assegnato a

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Il presente fatto viene commentato con sarcasmo dal nostro autore che lo definisce «un vero affare», in considerazione del fatto di riscuotere una somma maggioritaria di stipendio.

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Il Berto di questo periodo è molto lontano dallo studente modello: a Treviso, dove frequentava il liceo Canova, aveva preso a passare i pomeriggi al bar giocando a carte o a biliardo con gli amici oppure ad assaporare le prime esperienze sentimentali e sessuali.

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Parma per seguire un corso di perfezionamento per ufficiali, ottiene invece di essere inviato a Misurata, nel VI battaglione Camicie nere, addetto ai rifornimenti. Negli anni precedenti si erano formati in lui già i primi dubbi su quelle che per lui erano state certezze fino ad allora e cioè «La grandezza della nazione, la potenza militare italiana, l’unione di tutto il popolo intorno al Duce, una finale onestà del fascismo»8 e perciò era convinto che per difendere tali ideali fosse necessaria una personale partecipazione alla guerra e che quello fosse ‘il suo posto’. Alla rottura del fronte dell’Asse a El Alamein segue le truppe che tentano di arginare l’avanzata inglese, si ritira fino in Tunisia con un gruppo di superstiti, finché viene catturato dagli Anglo-Americani ai quali si consegna, con il proprio plotone, sapendo che la resa sarebbe stata vicina, il 13 maggio 1943; grazie a questa esperienza egli ha modo di constatare il profondo senso di umanità presente fra i suoi compagni; su tale sentimento scrive il diario Guerra in camicia nera. Egli viene fatto prigioniero e, dopo un viaggio per mare di diciassette giorni, viene trasferito in una sperduta prateria del Texas, nel campo di prigionia George E. Meade di Hereford, dove apprende da un quotidiano della caduta di Mussolini. Qui ebbe tra gli altri compagni Dante Troisi e Gaetano Tumiati; con alcuni di essi collaborò, in qualità di laureato in lettere, alla creazione di una rivista che veniva letta a turno con titolo «Argomenti». È in questa fase della sua vita che il Berto fiducioso ed entusiasta cede il posto a una persona che, profondamente delusa dalla politica, comincia ad investigare nel proprio mondo interiore. Prima dei due romanzi Le opere di Dio e Il cielo è rosso Berto scrive alcuni racconti, la maggior parte dei quali resta pura esercitazione; tuttavia tre di essi saranno ritoccati

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L’inconsapevole approccio, p. 28

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dall’autore in un secondo momento e inseriti nel volume Un po’ di successo con i titoli Economie di candele, Gli eucaliptus cresceranno e Il seme tra le spine. Le opere di Dio è il primo romanzo di Berto, composto nel campo di lavoro nel ’44 ma pubblicato dopo Il cielo è rosso, la cui composizione è posteriore di pochi mesi a quella delle Opere di Dio.

Dopo l’esperienza di prigionia (durante la quale Berto sperimenta per la prima volta la possibilità di un suo concreto lavoro letterario9), inizia la carriera di scrittore con la pubblicazione del romanzo Il cielo è rosso, pubblicato nel 1947 da Longanesi che sceglie il nuovo titolo sostituendolo all’originale La perduta gente, ad insaputa dell’autore. Nel romanzo si narra la difficile esperienza di ragazzi che, abbandonati alla guerra, ritrovano il senso della solidarietà tra violenze ed orrori; è inoltre anticipato anche un altro dei temi principali della riflessione di Berto, quello del male universale tra gli uomini. Il romanzo ha un immediato successo ed anche importanti riconoscimenti, come il Premio Firenze nel 1948 e rappresenta il romanzo per eccellenza del Berto neorealista, ma non verranno salutati dallo stesso favore quelli successivi, né Le opere di Dio, pubblicato sulla rivista « Il Ponte », poi in volume nel 1948, né Il brigante, uscito nel ’51 e da cui è stato tratto un film ma stroncato da Emilio Cecchi. In particolare a proposito di quest’ultimo romanzo, Berto non nasconderà la propria insoddisfazione10. In

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Nel campo di prigionia, proprio la mancanza della libertà fisica stimola lo sviluppo della creatività in ambito giornalistico-letterario: il necessario per lavorare lo si poteva recuperare in qualche modo, per esempio gli ufficiali potevano acquistare carta, libri e matite su coupon, oppure, per l’inchiostro, si poteva provvedere sciogliendo la fuliggine contenuta all’interno dei tubi nelle stufe.

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Il giovane Domenico Porzio, che, tra le cose, sarebbe divenuto suo sostenitore ed amico anni dopo, scrisse un pezzo di grande sarcasmo in cui parlava di «facile romanticismo», di «trama da giornale da fumetti», di «libro scadente» concludendo: «Se sarà tradotto in Russia questo brigante marxista non dispiacerà. Ma il romanzo, se un romanzo voleva scrivere l’autore, è assolutamente un’altra cosa». Berto si irritò fortemente e avrebbe voluto protestare scrivendo una replica sul medesimo settimanale ma gli fu negato.

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questo periodo Berto inizia ad essere affetto da quel «male oscuro» che è uno dei punti essenziali della sua scrittura e della sua creatività, frutto di un profondo disagio esistenziale che più in generale percorre l’intera opera bertiana. Al disagio psichico si aggiunge la precarietà economica, che costringerà Berto a cambiare ripetutamente dimora per far fronte alle proprie ristrettezze, proprio come il protagonista del Il male oscuro11. Negli anni che vanno dal ’55 al ’64 durante i quali egli passa da una cura all’altra per cercare un rimedio al suo grave e debilitante disagio, Berto si occupa di giornalismo, come la collaborazione a «Il Resto del Carlino», e di sceneggiature di film. Nel ’62 partecipa ad un concorso a tema religioso con il dramma L’uomo e la sua morte; il concorso è bandito dalla Pro Civitate Christiana di Assisi: vince il primo premio e il dramma viene così pubblicato nel’64; il protagonista del dramma è il bandito Giuliano di cui vengono rappresentate le ultime ore e la morte. Tuttavia, già dal ‘57, il nostro autore approda come forestiere sul promontorio di Capo Vaticano e viene subito rapito dall’atmosfera ‘omerica’ del luogo che gli suscita il desiderio di sfuggire ai debiti e di cercare «un pezzo di terra dimenticato dagli uomini»; ed è così che, con un prestito concesso dalla Cassa degli scrittori, egli costruisce una piccola casetta e lì si dedica alla scrittura de Il male oscuro.

Si apre successivamente un silenzio di otto anni che viene interrotto nel 1963 con la serie di racconti Un po’ di successo, in cui ricostruisce con toni sentimentali le estati giovanili a Mogliano, le prime ambizioni letterarie; è da questo momento che la narrativa di Berto diviene esplicitamente autobiografica e i due romanzi della “crisi”, Il male oscuro e La cosa buffa segnano il momento più alto della

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Si dice che, quando si trovava nell’occasione di invitare amici, confessasse loro: « Vieni a cena quando vuoi, ma se capiti all’improvviso portati da mangiare: il mio portafoglio, troppo spesso vuoto, non mi consente di tenere la dispensa sempre ben fornita».

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sua creatività. In particolare nel primo romanzo si ricostruisce l’intero passato dello scrittore, incessantemente pervaso dal complesso di persecuzione e inibizione ad operare nella vita, indotto dalla morte del padre e dal senso di colpa per non avere assistito alla sua fine. Gli episodi più importanti che ritroviamo nel Male oscuro riflettono gli eventi reali della biografia del nostro autore: il legame con la vedova francese, il matrimonio con la “ragazzina”, la paternità, questa misteriosa malattia ai reni che, dopo i più svariati tentativi di cure, lo fa approdare alla terapia psicoanalitica12. Il romanzo rappresenta il raggiungimento del successo tanto desiderato, in una sola settimana si aggiudica i due importanti premi letterari Viareggio e Campiello. Berto racconta le proprie travagliate esperienze in uno stile rivoluzionario, dissolvendo le strutture narrative, utilizzando una prosa libera da punteggiatura (anche se non totalmente) e veloce, quasi ipnotica. Nella serata dei festeggiamenti, il 29 agosto, Berto fece da protagonista fra tanti esponenti del mondo culturale; fino alla sera del 28 non era al corrente di avere vinto il premio.

Il ritorno al successo lo rende incredibilmente sicuro di sé, tanto che Berto pubblica nei due anni successivi altri due romanzi, La fantarca e La cosa buffa: il primo è un romanzo fantascientifico in cui l’autore si proietta nell’anno 2160, quando una vecchia astronave tenta di trasportare gli abitanti del Sud Italia sul pianeta Saturno per risolvere la secolare questione meridionale; mentre nel secondo romanzo il tema dominante è un amore infelice. Negli ultimi anni della

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La terapia gli viene praticata da Nicola Perrotti, su consiglio di un luminare freudiano, il successore di Weiss alla guida della Società psicoanalitica italiana. Lo psicoanalista riesce a conquistare Berto fin dalle prime sedute e fra i due si viene a creare un legame d’affetto molto forte, come fra padre e figlio. Una decina di anni dopo, Perrotti affermò di aver salvato Berto da un brutto destino poiché affetto da una forma molto grave di nevrosi d’angoscia che lo avrebbe portato senza dubbio alla pratica dell’elettroshock, e alla successiva perdita delle sue capacità creative.

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sua vita il nostro autore collabora alla sceneggiatura del film Anonimo veneziano (1971) e pubblica Modesta proposta per prevenire (1971). Successivamente, sviluppa la problematica religiosa concentrando la sua attenzione sulla figura di Giuda-traditore che incarna la disperazione totale e il bisogno di redenzione nella fedeltà estrema a Cristo fino all’ultimo sacrificio di sé. Questo è appunto il tema del dramma La passione secondo noi stessi13 e dell’ultimo romanzo La gloria. Del 1973 è Oh, Serafina!, un libro scritto per «bisogno di soldi», come confessa l’autore stesso e da cui viene tratto il film di A. Lattuada del 1976, in cui vengono affrontati i temi del ritorno ai sentimenti veri, di una natura intatta e del rifiuto della logica capitalistico- industriale.

La vita ininterrottamente giocosa, trascorsa tra le molte avventure sentimentali e le conseguenti esplosioni d’ira della moglie, inizia a subire il suo declino con la scoperta di un tumore alla prostata, che viene operato nel 1974 all’ Ospedale universitario di Innsbruck, comportando, a seguito di alcune complicazioni, l’evirazione. Berto, per esorcizzare il tremendo suo nuovo stato, ne parla in pubblico con ilarità14, raccontando di come abbia scoperto un nuovo aspetto della relazione amorosa, platonico e non puramente carnale.

Dopo quattro anni la terribile malattia lo porterà via con sé, in seguito a una dura agonia, il 2 novembre del 1978. A Roma si svolge una cerimonia pubblica di commemorazione a cui segue il funerale religioso in forma privata, a San Nicolò di Ricadi.

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Qui il Cristo è immaginato, «con l’aiuto di Freud, come un uomo massacrato da senso di colpa e da volontà di potenza, uno che volle ostinatamente e grandiosamente farsi ammazzare per diventare dio». Cfr l’opuscolo Ricadi (1972).

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Berto rivela così la sua condizione ad una giornalista: « Dopo la brillante operazione, il chirurgo mi disse: “ Non abbiamo finito purtroppo. Lei ha delle infezioni”… Dovevamo fare un altro intervento, una sciocchezza, un’inezia. E mi sveglio evirato».

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L’opus bertiano e il suo contesto

La produzione letteraria di Berto deve essere suddivisa, grosso modo, in tre parti che corrispondono a precisi intervalli cronologici15: dal ’47 al ’51, il periodo cosiddetto neorealista, con le opere Il cielo è rosso, Le opere di Dio, Il Brigante; dal ’55 al ’64 con Guerra in camicia nera, Un po’ di successo, L’uomo e la sua morte, e infine dal ’64 al ’66 con i romanzi Il male oscuro, La fantarca e La cosa buffa. È soprattutto sul terzo periodo del lavoro di Berto che soffermeremo la nostra attenzione, in quanto costituisce, a partire dal Male oscuro, un completo capovolgimento del suo percorso artistico, a detta della critica, ma, a nostro avviso, come vedremo più nel dettaglio, un cambiamento parziale se non altro per quanto riguarda la trattazione di alcune problematiche, come quella del male universale. In effetti abbiamo un’evoluzione notevole, nella terza fase, soprattutto per quanto riguarda la struttura linguistica. Va detto che l’autore ha attraversato un periodo di silenzio che va dal ’51 al’64, la cui motivazione, è sì riconducibile alla sua nevrosi, ma anche ad un momento fortemente problematico per la letteratura italiana in generale. Berto fa parte di quella generazione di matrice neorealista, affermatasi intorno agli anni Trenta, che, per certi versi, fu vittima della limitazione letteraria operata dal fascismo, che tendeva a preferire una letteratura di tipo nazionalista e perciò italiana, mentre nel resto d’Europa iniziavano ad

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Come si legge in C. Piancastelli, Berto, in «Il castoro», 1970, n. 40, pp. 46-47: «Berto suole dividere la sua vita in tre periodi: 1) della disperazione e dell’inconsapevole approccio neorealistico (i primi racconti, Le opere di Dio, Il cielo è rosso), 2) della speranza e dell’inconsapevole sodo neorealistico (Il brigante), 3) della rassegnazione e della consapevole discesa al profondo (Il male oscuro, La cosa buffa)».

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affermarsi le novità letterarie di Proust, Joyce e Svevo. I nostri scrittori si trovarono così alla ricerca di nuove strade da battere, non riuscendo, però, a recepire appieno le novità letterarie su cui operava la censura. Giuseppe Berto si fa testimone di questi momenti di trasformazione letteraria, dell’esigenza di quest’ultima di rappresentare il reale –un’urgenza che si era fatta ancor più forte dopo il ’45- e in tale ‘slancio neorealistico’ si collocano esperimenti letterari che investono ora il contenuto ora il linguaggio, finché si approda all’estremo logoramento della struttura narrativa, allo sconvolgimento dei nessi, nonché alla dissipazione del linguaggio.

Si ricorda che nel ’41 appare l’antologia di Vittorini Americana che viene a configurarsi come quel mito dell’America che i giovani intellettuali italiani erano venuti costruendo nei complessi momenti del 1930; in essa Vittorini proponeva una ‘nuova voce’ artistica, libera e tale nuova voce è quella degli scrittori nordamericani contemporanei, dei quali Hemingway si fa modello e portavoce. Berto non aveva letto l’Americana ma fece lettura americane durante il periodo di prigionia nel campo di Hereford, in Texas; qui egli lesse Hemingway e Steinbeck: «Cominciò – scrive Berto stesso – a leggere in inglese, soprattutto per imparare la lingua, e forse fu in questo periodo che conobbe per la prima volta Hemingway: in una raccolta di racconti pubblicata dalla rivista “Esquire”, ci doveva essere The Short Happy Life of Francis Macomber e, probabilmente, anche The Snows of Kilimanjaro»16. Fu il contatto con questa nuova ispirazione letteraria che lo spinse, con molta probabilità, a scrivere di getto il romanzo breve Le opere di Dio nel ’44: è il libro dell’autore che più apertamente manifesta

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L’inconsapevole approccio, p. 34

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l’influenza dei nuovi moduli espressivi dei narratori nordamericani. Vi è narrata la storia di una famiglia di contadini dispersa dalla guerra e costretta ad abbandonare tutto quello che le appartiene. Lo stile del romanzo è prettamente teso alla descrizione del quotidiano, è presente un costante sforzo di rappresentare la realtà; tale risultato è dato da una struttura della comunicazione decisamente essenziale con prevalente uso della paratassi sulla sintassi. Ad esempio, si veda l’inizio del romanzo:

Anche quella sera il contadino della Riva, che si chiamava Filippo Mangano, finì per essere un po’ ubriaco. Questo gli accadeva quasi sempre, e d’altronde sarebbe stato difficile prevedere le cose che avvennero in quella sera e nella notte che seguì. Per Filippo Mangano ilgiorno era stato come tutti gli altri giorni, con la sola differenza che il suo figlio minore Nino e la Rossa si trovavano fuori casa, nella fattoria dei Ceschina.

Come si nota, l’attacco è privo di preamboli ma; in esso vi appare già la volontà dell’autore di rappresentare il quotidiano ma preannunciandone il carattere particolare, vi si afferma che qualcosa di singolare sta per accadere. Tuttavia è nel dialogo che, probabilmente, si rivela l’influenza degli scrittori nordamericani, il quale si caratterizza per una notevole tensione schematica, per una certa insistenza alla estrema riduzione dei nessi descrittivi, alle iterazioni dei «disse» e dei «domandò»:

E subito arrivò anche Nino da dietro la casa, e dimostrava perfino nell’andatura molta indifferenza, e superiorità rispetto alle donne.

- Cos’era? – Domandò la Rossa.

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- Bicoda – disse il ragazzo evasivamente. - Cosa, bicoda? – domandò la Rossa.

- Caccia a due code – disse il ragazzo. – Roba americana. Erano sette bassi bassi. - E sparavano? – domandò ancora la Rossa.

- Mah – disse il ragazzo. – Devono aver preso qualche macchina, sulla strada. Si vede fumo.

- Qua vicino? – domandò allora la madre.

- Qua dietro – disse il ragazzo, sempre con indifferenza.

- Dio – disse la madre. – È meglio che andiamo via subito, se cominciamo di queste cose. - Sì – disse la Rossa. – È meglio far presto.

Vogliamo evidenziare, oltre alla particolare tecnica espositiva, che già in questo primo romanzo di Berto compare una delle tematiche fondamentali dell’autore, ossia la cruda e devastatrice realtà della guerra e le conseguenze sulle sue vittime, come in questo caso, in cui l’intera vicenda del romanzo tratta della dispersione di un nucleo familiare in pieno momento bellico. Vi compare inoltre una figura che verrà poi approfondita nella produzione matura dell’autore, vale a dire quella del padre. Qui, il padre morirà dilaniato da una mina andando incontro ad un destino inevitabile e assurdo; e sarà quest’ultimo il tema dominante del secondo romanzo dell’autore, scritto a pochi mesi di distanza dalle Opere di Dio, sempre nel ’44, nello stesso campo di Hereford, ovverosia Il cielo è rosso17. A detta di Berto stesso, questo romanzo gli venne ispirato non da suggestioni letterarie, quanto piuttosto da riflessioni esistenziali; gli era giunta notizia, da prigionieri arrivati da poco nel campo e, in particolare, da ‘uno di Treviso’, che la città era stata distrutta

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A proposito di questo romanzo si è ritenuto opportuno di riservare un capitolo a parte all’analisi…qui accenniamo qualcosa proprio per non andare fuori tema

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da un bombardamento. Pertanto, egli avvertì l’intimo bisogno di rappresentare quello che dovesse essere lo scenario di una città e popolazione distrutta dalla guerra. Nel titolo originario del romanzo La perduta gente si rintraccia infatti la pietà dell’autore dinanzi alla sofferenza umana ma anche la coscienza di un «male universale» che, come vedremo, rappresenta uno dei fili conduttori dell’intera opera bertiana. La città senza nome che vi è rappresentata è Treviso, pertanto un luogo familiare e conosciuto da Berto, ci sono infatti molti elementi di verosimiglianza, tra questi, il paesaggio; la città è descritta come «antica di molti secoli», attraversata dal fiume e con una vecchia cerchia di mura e i quattro quartieri in cui si divide la città: «Fin dai primi tempi si era stabilita una specie di gerarchia fra i quartieri, a seconda della gente che li abitava. All’ultimo posto si trovava il quartiere di Sant’Agnese» ed è proprio qui che si svolge la narrazione. Berto in questo romanzo introduce un cambiamento nella descrizione del contesto in cui avrà luogo la sua vicenda, descrivendone minuziosamente l’ambientazione, mentre nelle Opere, come abbiamo visto, è appena accennata e ciò gli è di utilità per aumentare la componente realistica nel romanzo. La vicenda stessa dei quattro ragazzi potrebbe benissimo riferirsi ad un evento realmente accaduto e nella drammatica descrizione della vicenda, in cui note di profonda pietà sono espresse tramite un linguaggio maggiormente tradizionale, non più piatto ed essenziale, come nel romanzo precedente, ma che presenta già la particolare sensibilità dell’autore nell’affrontare temi profondi come la solidarietà umana in un contesto di profonda sofferenza. È condivisibile la posizione sostenuta da Giancarlo Vigorelli che intravide nel primo romanzo di Berto il trauma di una intera generazione, segnata dal fascismo.

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Se volessimo parlare di un impegno sociale del Berto, in relazione alla vicenda che ritroviamo nel Cielo è rosso e quindi alla condanna per la guerra, dovremmo probabilmente riferirci al senso di colpa che l’autore avverte perché egli, facendo parte di una generazione cresciuta durante il fascismo, ha contribuito con il suo entusiasmo giovanile al triste prodotto della seconda guerra mondiale. Pertanto, una ipotesi decisamente suggestiva, a proposito del rapporto conflittuale fra padre e figlio, che ritroviamo nel Male oscuro, potrebbe in realtà essere una proiezione del conflitto fra due generazioni vissute a ridosso della guerra, in quanto «i padri hanno preparato col loro silenzio e la loro complicità una guerra combattuta dai figli coinvolti a loro volta in un rapido e ingenuo entusiasmo (Berto, come sappiamo, partirà volontario per il fronte, ma una volta giunto cercherà di farsi rimpatriare adducendo come pretesto una ulcera allo stomaco, ma in realtà creandosi un alibi di natura morale). Questo senso di colpa diventerà poi il nucleo centrale di tutta la produzione bertiana e assumerà il simbolo che porterà in sé un carattere storico e morale».18 Tuttavia, il senso di colpa di Berto non va oltre l’aspetto intimistico, cioè lui è perennemente alla ricerca delle responsabilità da attribuire ed è da qui che deriva la percezione di un personale senso di colpa che, se nel Cielo è rosso è da ricercare un po’ più in alto, nel Male oscuro invece si concretizza nella figura del padre, che da potenza simbolica decade inevitabilmente incarnando così la fragilità umana, con una conseguente ricerca di altri colpevoli; il protagonista, nelle sue continue imprecazioni e preghiere, arriverà a confondere il padre terreno con Dio, una instabilità emotiva tanto evidente che porta il Berto a pronunciare le seguenti parole: «questo mio padre

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Piancastelli, Berto, p. 36

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morto ormai da tanti anni io l’ho per così dire confuso con Dio ecco che in ultima analisi tendo a unirmi a Dio». Tornando alla periodizzazione cronologica della produzione di Berto, il romanzo successivo a Il cielo è rosso e, a differenza dei precedenti, risultante non da fantasia ma da un fatto realmente accaduto è Il brigante. L’autore cerca di documentarsi in prima persona sui luoghi che erano stati testimoni dell’avvenimento, questa volta un paese del Sud e si sente attratto a rappresentare il fatto di cronaca perché bene si presta alle tematiche più ricorrenti della sua produzione: il sentimento d’odio che rovina e divide i legami tra gli uomini, una manifestazione ricorrente di un male universale. Il protagonista della storia è un soldato, Michele Rende, il quale torna al suo paese, essendo egli in congedo per un mese; un giorno come tanti viene trovato ucciso un benestante possidente verso cui Michele aveva un conto in sospeso: il giovane soldato viene perciò incolpato ma in realtà è innocente e, mediante il processo riguardante l’accusa, viene incolpato a passare tredici anni in carcere. Tuttavia, la sera dell’uccisione Michele si trovava in compagnia di una ragazza con cui aveva una relazione prima di partire per il fronte ma la ragazza, al fine di difendere la propria reputazione, nega di essere stata con lui la fatidica sera dell’accaduto sono da segnalare, per evidenziare in che modo e dove sono presenti quelle tematiche che anticipano e che verranno largamente approfondite nel Male oscuro, i racconti compresi in Un po’ di successo che uscirono nel ’63 –dopo otto anni di silenzio – (un anno prima dell’uscita del Male oscuro e quindi in piena crisi dell’autore), per esempio Una bambina smaniosa, Necessità di morire, Esami di Maturità ed Esaurimento nervoso; altri invece sono più vecchi, come Economia di candele e Il seme tra le spine, e furono scritti nel campo di concentramento di Hereford, in

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Texas. In Economia di candele troviamo ad esempio un ufficiale, in Abissinia, che chiede una donna per la notte e, quando si accorge che la ragazza è ancora vergine, improvvisamente viene bloccato da un profondo senso di responsabilità; questo episodio richiama l’episodio della Cosa è buffa, in cui Maria e Antonio, alle prese con il primo amplesso di lei vengono sorpresi dalla madre della ragazza e lui si sente incredibilmente sollevato dall’idea di aver evitato una responsabilità che non si sentiva di assolvere. Questo è uno dei grandi fili conduttori che ritroviamo nel Male oscuro: l’inibizione sessuale e l’impotenza dell’uomo di fronte alle grandi scelte.

In Seme tra le spine la connessione con il Male è già evidente nell’attacco:

C’è il sangue che picchia a tempo nel cervello, e la schiena par sempre troppo curva o troppo tesa, e c’è un lungo taglio sul ventre, cucito e coperto di garze. Il taglio sul ventre è la cosa principale, poiché è da lì che viene tutto il dolore, anche quello della testa e della schiena. […] Tuttavia questo non ha niente, o ben poco, a fare con la pena.

La questione del taglio sul ventre è presente nel Male oscuro con una certa insistenza, a proposito del cancro del padre e con tutte le conseguenze psicofisiche sul delicato equilibrio del protagonista, come abbiamo approfondito nella parte della nostra analisi dedicata alle tematiche del romanzo.

Ma è Esaurimento nervoso che costituisce ‘la prova generale’ del Male oscuro, poiché vi si descrive minuziosamente che cosa sia una nevrosi, partendo dalla definizione stessa di ‘esaurimento nervoso’ che è assolutamente impropria, poiché le uniche cose che si esauriscono sono la pazienza e i quattrini dell’ammalato, come dichiara ironicamente l’autore. L’alter ego di Berto, dopo aver elencato una serie di definizioni appropriate, “alcune affascinanti come psiconevrosi

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nevrastenica o nevrosi da angoscia, altre di buon sapore antico come melanconia o meglio ancora ipocondria”, si interroga sulle cause, presunte o reali, di quello che comunque continua a chiamare esaurimento nervoso:

Quali ne sono le cause? Probabilmente la libido introversa e regressa […] Bene, novantanove casi su cento, se voi provate a trattare la faccenda con un esaurito, lo troverete del tutto in disaccordo […] L’esaurito vi dirà che il suo esaurimento nervoso è colpa dei debiti, della moglie, del capufficio, del traffico, dello studio troppo intenso, della pubblicità televisiva, della teoria di Einstein, delle cattive relazioni tra l’Olanda e il governo di Giacarta, qualsiasi cosa insomma, meno la libido repressa. Errori, si capisce, ma l’esaurito è attaccato ai propri errori, e rinuncia volentieri ai concetti di inconscio collettivo, sublimazione degli istinti, complesso fetale, e altri simili, pur di rimanere fedele ad una sua modesta e diciamo pure artigianale vicenda privata che sarebbe ingeneroso ignorare, non dico dal punto di vista medico, ma da quello comunemente umano, poiché una delle poche, pochissime soddisfazioni che rimangono all’esaurito su questa terra, consiste nel dare la più grande divulgazione possibile ai propri guai19.

Ogni esaurito si affeziona ai propri casi, e si crea così una storia, magari un po’ strampalata, che però ha il pregio di tenerlo ancorato alla realtà; questo è in fondo ciò che avviene nel Male oscuro dove il comunicare agli altri la biografia romanzata delle proprie sofferenze è l’unica cosa che gli permette di attutire l’angoscia esistenziale. La storia del racconto è quella delle assurde peripezie cliniche di un paziente che passa da uno specialista all’altro alla ricerca di una cura, fino a quando non viene erroneamente operato in seguito a una diagnosi sbagliata e, risvegliatosi dall’anestesia, scopre che la sua pancia è stata incisa per niente e ricucita frettolosamente, con somma delusione e dispetto dell’equipe che lo ha operato. Dal momento che il suo intestino è risultato sanissimo, i medici negano l’esistenza del suo dolore, accusandolo di essere un ipocondriaco. Nel

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Cfr. Esaurimento nervoso, pp.288-289

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Male oscuro ritroviamo il medesimo episodio della pancia tagliata e ricucita per niente ed anche l’accusa rivolta a Berto di essere un mitomane e morfinomane. Inoltre, come in Esaurimento nervoso la negazione da parte dei medici del dolore fisico provato dal protagonista ne altera gli equilibri psichici, poiché in quanto ipocondriaco aveva sempre somatizzato la propria angoscia circoscrivendola a d una parte del corpo, così anche nel Male oscuro la nevrosi esplode proprio quando viene meno l’alibi del disturbo corporeo20.

Come abbiamo già detto, la terza fase della produzione di Berto è costituita da un ribaltamento della struttura linguistica, o per meglio dire, da un cambiamento del genere letterario stesso, in quanto, l’autore, in un’intervista rilasciata nel 1970, attribuiva la causa del suo mutamento di genere letterario alle istanze di comunicazione culturale di massa che si erano manifestate con il movimento di contestazione del sessantotto e che risultavano in netto contrasto con la fase di scrittura individualistica e di introspezione della coscienza a cui invece si era ormai votato nel Male oscuro e nella Cosa buffa. Così si esprimeva lo scrittore a tale proposito: «La contestazione è un movimento che a poco a che fare con la letteratura, ma che ha spazzato via parecchie cose, fra le quali il romanzo, o almeno il romanzo come io ero arrivato a concepirlo ultimamente. Oggi potrei forse scrivere romanzi soltanto tornando a quella rinuncia di me che attuavo con

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Un altro racconto della raccolta per certi aspetti collegabile al Male oscuro è Uno del giro, dove vengono anticipate le lamentazioni, le recriminazioni e i risentimenti verso la moglie, e in particolare il punto di contatto risulta l’infedeltà della consorte, con cui il racconto si chiude. Va segnalato che nel Male oscuro le lamentele sulla moglie hanno soprattutto carattere economico, in quanto Berto, ossessionato dal precetto paterno di risparmiare, è sconvolto dalla facilità con cui la compagna spende. Conseguenza di questo rapporto tormentato con la moglie, unito ai doveri di padre e alle difficoltà pratiche di tutti i giorni, sarà il peggioramento della nevrosi di Berto.

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tanto entusiasmo (e tanta ingenuità) al tempo del mio neorealismo: portare agli altri il messaggio nel modo più immediato e semplice possibile»21.

La conversione a generi letterari diversi dal romanzo sarebbe quindi da attribuire innanzitutto a questa ragione ideologica che vedeva Berto, come era ormai radicato nella sua abitudine intellettuale, assumere una posizione di distanza da ogni operazione culturale che prevedesse una conformazione alle esigenze e alle istanze del collettivismo o che propagandasse l’ottimistica promessa della liberazione dell’uomo e soprattutto che lo costringesse a vanificare i risultati di quella “presuntuosa ribellione” – sono ancora sue parole – che gli aveva promesso di arrivare a conquistare un “accanito individualismo” e la persuasione che servire se stessi fosse «l’unico modo possibile per servire gli altri»22.

Nella terza fase dell’autore troviamo La fantarca, che deve essere considerato un testo a sé23, e gli altri due, Il male oscuro e La cosa buffa, che possiedono la stessa struttura narrativa, in quanto vi si utilizza una sintassi particolare derivata dalla tecnica associazionistica della psicoanalisi freudiana. Occorre precisare che La cosa buffa è posteriore al Male oscuro e quindi scritto quando Berto possedeva già aveva inaugurato la nuova tecnica di scrittura; tuttavia è considerato un risultato maggiormente artistico, perché qui la letteratura diviene un fatto

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C. Piancastelli, Berto, in «Il castoro», op. cit., p. 5.

22

Ivi, p. 3.

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La fantarca, opera in apparenza minore e che sembra costituire una diversione entro il registro inventivo di Berto, in realtà contiene tutti gli umori ironici, anzi la più autentica vena umoristica dello scrittore tesa a voler raggiungere i toni esilaranti di un divertimento libero da ogni polemica.

La fantarca non può definirsi un racconto, piuttosto una rappresentazione con un suo taglio

scenico e continui inserti di dialogo. L’elemento fantascientifico fa spicco soprattutto nella data in cui l’ìautore immagina avvenga l’episodio, il 2160: l’ultimo viaggio della vecchia astronave si prepara a portare a termine «la costosa e complicata operazione dell’Evacuazione del Sud»; infatti la Speranza n. 5 è questo il nome dell’astronave trasporterà gli ultimi ‘terroni’ su Saturno a raggiungere quelli che li hanno preceduti, risolvendo così definitivamente la «questione del Mezzogiorno». Anche in questa opera è presente l’elemento autobiografico, infatti, la partenza della Speranza n. 5 ha luogo a Capo Vaticano, ed è qui che l’astronave tornerà in seguito al fallimento del viaggio.

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cosciente, più ragionato, mentre nel Male oscuro il linguaggio è tutto apparentemente libero e privo di mediazioni, come vedremo in seguito.

Nella Cosa buffa sono presenti la maggior parte delle peculiarità dell’autore, ma alleggerite da un umorismo che ne limita la spinta esistenziale, così predominante nel Male oscuro. L’impostazione in apparenza oggettiva della Cosa buffa rende plausibile l’uso della terza persona; il protagonista è una proiezione di quello del Male e la sua nevrosi contiene tutti gli elementi per una diagnosi di alienazione, vale a dire il senso di frustrazione, il profondo senso di colpa che conduce alla coscienza di una infelicità esistenziale. Tuttavia, la presenza continua della vena ironica tende a sciogliere i complessi che affliggono il protagonista; l’autore ne indaga lo sviluppo dei moti interiori tendendo così a rappresentare un carattere la cui incapacità alla vita va oltre il ragionamento pessimistico, ma «Berto non si limita a rappresentare questo carattere nei suoi incontri sempre drammatici con la realtà dei fatti: lo sottopone a un’analisi serrata riportandone le confessioni amarissime che rivelano la sua identificazione con quella dell’autore; immerso in una tristezza esistenziale il protagonista della Cosa buffa ripropone quell’io che si accampava nel Male oscuro: perciò la tecnica associativa si adatta a questa ricognizione interiore anzi aiuta a chiarire dalle radici e nella successione delle sue fasi questa personificazione di un pessimismo totale di cui, diversamente da quanto avveniva nel Male oscuro, l’ironia mette in luce la componente patetica, la vocazione alla rinuncia»24.

Il protagonista Antonio de La cosa buffa è un giovane maestro elementare che, una volta abbandonata l’università, si muove in un contesto mediocre di vita

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O., Lombardi, Invito alla lettura di Berto, p. 73

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provinciale. Divide l’abitazione col padre anziano e una sorella curva, preda della malinconia; è affascinato dai grandi drammi ottocenteschi e sogna il grande amore. La passione tanto desiderata sboccerà mediante uno sguardo posato per caso su di una sconosciuta e verrà incantato dalla donna per poi proiettare su di lei tutto l’ideale del sogno erotico da sempre desiderato. Il romanzo si trasforma così in una lunga ed acuta riflessione sulla condizione degli innamorati, Antonio e Maria, giovani e puri. L’amore, però, da platonico diviene carnale: Antonio cade in balìa di pensieri voluttuosi e inconfessabili; tanto lui quanto Maria, che da donna angelica diviene una figura terrena incuriosita dai piaceri del corpo, e che induce così il casto Antonio a compiere passi maggiormente intraprendenti sulla via del godimento fisico, provocando così un angosciante senso di colpa nella coscienza del ragazzo:

La prima volta che la cosa era accaduta Antonio se n’era soprattutto spaventato non tanto però per il modo schietto con cui lei aveva manifestato il suo piacere quanto perché gli era venuta l’idea d’essere andato un po’ troppo avanti sulla via della profanazione definitiva […] e come se non bastasse una volta superato il culmine del piacere lei gli s’era appoggiata con la testa su di una spalla mettendosi a piangere e se piangeva non poteva essere se non per la vergogna di quanto le era capitato […] perciò le aveva chiesto perdono rassicurandola inoltre che non lo avrebbe fatto mai più, ma lei gli aveva risposto che non doveva angustiarsi di nulla perché il suo non era un pianto di vergogna o di pentimento bensì di tenerezza per quella cosa misteriosa che le era capitata.25

Di fronte all’estrema profanazione del corpo della ragazza Antonio si ritrova impacciato; l’arrivo improvviso della madre di lei è vissuto come un segno provvidenziale secondo cui la purezza della donna amata non dovrebbe essere violata. In realtà poi, nella prosecuzione del romanzo, l’amore carnale diverrà

25

G., Berto, La cosa buffa, Milano, Rizzoli, 1966, p. 79.

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protagonista delle storie di Antonio attraverso il personaggio di Marica. Lei, giovane ungherese, bella e sicura di sé si concederà al giovane senza troppe remore, soddisfacendo così ogni suo desiderio sessuale. Questo però è un amore privo di poesia, il perfetto opposto del sentimento puro rappresentato dalla figura celestiale di Maria. Le due donne vengono così a delinearsi come due metà inconciliabili, una contraddizione peccaminosa per il protagonista che non riesce a trovare una via di mezzo. C’è da dire, però, che la delusione amorosa è solo una concausa del desiderio di morte da cui Antonio è posseduto e questa ‘premessa’ è suggerita da Berto stesso all’inizio del romanzo:

Se è vero che la storia con Maria aveva esaltato e diciamo pure circostanziato la sua voglia di mancare ai vivi, altrettanto vero è ch’egli perfino nei suoi momenti meno disgraziati era parecchio occupato da una generica e giovanile persuasione che per lui sarebbe stato sotto ogni riguardo meglio se i genitori gli avessero a suo tempo risparmiato il fastidio d’immetterlo tra i vivi.

Tutto il racconto è percorso da un registro ironico che manifesta i suoi risultati più alti nella scelta di alcuni vocaboli tendenti all’esagerazione; si vuole così rappresentare con fare maestoso una realtà che, per la sua portata, tende a schiacciare la piccola individualità del protagonista. È il tema della sofferenza a predominare, una sofferenza che viene espressa tramite la finzione della terza persona e di un flusso ininterrotto che vuol ricalcare una sorta di abbandono alla memoria. Nella narrazione emergono episodi intimi scanditi da un’ironia che non ne allevia comunque l’intensa drammaticità della frustrazione del protagonista:

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Il bello è che mentre più si augurava e senza esagerazione quasi si gustava il trapasso quale unica forma di accettazione d’una sofferenza troppo grande e tutto sommato ingiusta, egli di Maria che bene o male era pur oggetto e a dir poco concausa degli affanni non possedeva già più che un’immagine vaga e sfuocata e a tratti addirittura inconsistente sicché una delle componenti maggiori della spropositata sofferenza era appunto soffrire moltissimo senza neppur più sapere esattamente perché, ma sono proprio questi dolori che portano di solito a desiderio di morte dato che investono dritto l’esistenza alle sue radici assurgendo a cognizione di frustrazione esistenziale.

Nel passo appena citato è possibile individuare un Berto, oseremmo dire, ‘neoromantico’ e, a questo proposito, sono illuminanti le parole di Olga Lombardi: «il tema stesso e la scelta dei protagonisti espongono il romanzo al continuo richiamo di un’emozione esistenziale nella quale più forte si fa l’insidia di quel decadentismo romantico di cui lo stesso autore è consapevole»26. In effetti, di questa consapevolezza, viene illustrata dallo stesso autore nella parte introduttiva dell’Anonimo Veneziano per chiarire il perché abbia scelto proprio questo stile di scrittura:

In me ci sono delle forti componente romantiche: quando mi dicevano che sono un neorealista, io dicevo che sono un neoromantico. Il rapporto tra l’uomo e la donna di Anonimo Veneziano è ricavato dalle mie esperienze personali […]. Non è certo un impulso intellettualistico di ritorno all’800 che si muove, se mai la consapevolezza che l’autocompassione è un efficace maniera di sbloccare sia pur temporaneamente la nevrosi. 27

Tuttavia la componente neoromantica di Berto è presente fin da Il cielo è rosso in cui i quattro ragazzi sono descritti con tratti comportamentali non adolescenziali,

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Lombardi, O., Narratori italiani del secondo Novecento, Ravenna, Longo, 1981, p. 46

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G., Berto, Introduzione ad Anonimo Veneziano, Milano, Rizzoli, 2008, p. 17. La nascita di questa opera è piuttosto problematica, in quanto Berto stese il soggetto cinematografico nel biennio 1966 e il 1967. Il film uscì nelle sale tre anni dopo riscuotendo molto successo, tanto che Berto decise di farne un dramma in due atti, ma i critici non accolsero di buon grado la scelta dell’autore accusandolo di aver sfruttato il momento del successo che ne derivava dal film. L’edizione finale uscirà nel 1976 presentata come un romanzo per la casa editrice Rizzoli.

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bensì tipici dell’adulto; ciò, senz’altro, è sia riconducibile al contesto in cui si svolge la vicenda -ossia la dura realtà della guerra- ma è anche caratteristica peculiare dell’autore; va rilevato, infatti, che molto spesso i personaggi messi in campo da Berto «siano estremamente giovani e vivano esperienze e situazioni, in un certo senso, molto più grandi di loro»28. A testimonianza di tale espediente narrativo basti pensare ai primi racconti dell’autore contenuti nella raccolta Un po’ di successo, come Sensibilità in cui si narra la vicenda di una ragazza e di un bambino che si avvicinano alla sessualità: entrambi vi sono introdotti da un adulto; oppure Necessità di morire in cui un giovane partigiano si trova dinanzi alla difficile scelta del morire o vivere amando una giovane fascista che in realtà avrebbe il compito di torturarlo, ma che alla fine offre lui un amore sincero. Riportiamo il passo del romanzo in cui emerge il sentimentalismo dell’autore:

«Io non posso fare a meno di morire. Però speravo che avrei avuto più coraggio, in questo momento, invece non ne ho molto. Aiutami, se puoi». «Che cosa posso fare?» essa disse. «Non so. Prima era tutto chiaro, mentre adesso sento un momento in un modo e un momento in un altro. Ho bisogno di odiarti, cerca di farti odiare». «Anch’io voglio morire in questa guerra» essa disse. «Voglio morire prima che finisca». «No, non è così» egli disse. «E poi tu sei una ragazza, non c’entri niente con la guerra». «Pensa, se tutti e due potessimo sopravvivere, e volerci bene», essa disse, e ormai non faceva più niente per nascondere che già piangeva.29

I personaggi di Berto sono spiccatamente neoromantici per la loro predisposizione ad agire in situazioni esistenziali difficili, in quanto, «la complessità è una scelta irrinunciabile per il suo autore, che altrimenti li considererebbe troppo diversi da sé. Ma Giuseppe, l’abbiamo detto più volte, è autore tremendamente autobiografico: non riesce, pur volendolo, a non parlare di sé. Tutti i personaggi di

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J., Felice, …..p.78

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IDEM, Necessità di morire, in Un po’ di successo, Milano, Longanesi, 1963, p. 126

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Berto, i Daniele, i Giuda, gli Antonio, o gli anonimi protagonisti de Il male oscuro e di Anonimo Veneziano, sono chiare personificazioni del Nostro: il simbolismo non giunge neanche ad essere allegoria, tanto chiara è questa corrispondenza»30.

Il cielo è rosso: romanzo neorealista?

Il cielo è rosso è il romanzo ‘dell’inconsapevole approccio al neorealismo’, così dichiara Berto stesso, che parla anche di libro neoromantico, ribadendo il suo fastidio per le scuole e le ideologie. D’altra parte si è discusso molto sul genere di appartenenza del romanzo, di cui alla fine è stata riconosciuta la natura ibrida, che gli conferisce una fisionomia decisamente originale. Per quanto sia stata messa in rilievo la matrice neorealista, bisogna sottolineare che Il cielo è rosso non guarda tanto alla realtà diretta dell’esperienza vissuta come dato di cronaca e documento, ma si può piuttosto considerare una trasfigurazione emotiva e personale di una realtà che Berto aveva appena intravisto per poi necessariamente perderla

30

J., Felice, idem p. 79

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d’occhio, dato che le vicende della guerra lo avevano portato prigioniero nei campi americani del Texas, dove appunto immaginò e scrisse la storia del romanzo. Allora Il cielo è rosso è innanzitutto un romanzo d’esilio perché Berto, quando lo scrive, è lontano dalla sua patria e può vivere solo indirettamente la guerra che in quei mesi si sta combattendo in patria; inoltre lui non è un partigiano, ma una camicia nera ai ferri corti con il suo passato, che, dopo aver attraversato l’oceano, assimila e filtra con distacco e nostalgia le notizie che lo raggiungono. Il suo neorealismo, se così lo si può correttamente definire, nasce dalla riflessione più che dall’azione, e il dato storico è sradicato dalla contingenza per assumere un significato simbolico e paradigmatico, avulso da tempo e spazio. Ne Il cielo è rosso dunque il resoconto documentaristico non è predominante come nella narrativa dei primi anni del dopoguerra, basti pensare al Vittorini di Uomini e no; ma nel romanzo si mescolano realtà, memoria e immaginazione e anzi, come ha osservato De Michelis, “c’è molto più mito che realtà”. D’altronde è Berto stesso a dichiarare che la condizione di isolamento e prigionia esalta la capacità emotiva dell’individuo e le intense emozioni possono volendo essere utilizzate per scrivere.31

Il titolo originario del romanzo, La perduta gente, e come si arriva al titolo che conosciamo

Nel 1946, da Treviso, Giovanni Comisso scrisse a Leo Longanesi, che da qualche mese aveva aperto la sua casa editrice “Caro Leo, una lieta sorpresa, ho trovato

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qui vicino a Mogliano Veneto un giovane scrittore che non ha mai pubblicato niente; egli oltre al racconto che ti spedisce ne ha scritto altri e un romanzo che e’ interessantissimo... Tu vedessi nel romanzo certi dialoghi di ragazzette che si avviano a quella che sarà la loro vita di prostitute, che sorprendente umanità hanno. Il romanzo e’ sulle trecento pagine e ti assicuro che rappresenta una svolta nella letteratura italiana”. Con il suo geniale fiuto Longanesi intuì subito che era il caso di stampare quel libro, ma trovava improponibile il titolo, scelto dallo sconosciuto autore: “La perduta gente”, tolto dall’ inizio del terzo canto dell’ Inferno. Nacque così Il cielo è rosso, una citazione dal Vangelo di Matteo, là dove Gesù risponde a una provocazione dei farisei e dei sadducei: “Di sera voi dite: tempo bello perchè il cielo è rosso; al mattino, poi: oggi tempesta perchè il cielo è rosso cupo. Ipocriti! Voi sapete distinguere l' aspetto del cielo e non sapete conoscere i segni dei tempi. Una generazione malvagia e adultera domanda un segno, ma non le sarà dato altro segno che quello di Giona”. Giuseppe Berto che festeggiò i trentadue anni insieme alle prime copie del romanzo,che fu immediatamente recensito, tra elogi, riserve e stroncature, fin dal gennaio 1947. La consacrazione avvenne molto dopo, nel giugno del ' 48, con la vittoria nel premio Firenze. Una giuria di cui facevano parte Pancrazi, Momigliano, Montale e Palazzeschi, considerò Il cielo e' rosso “uno dei più bei libri comparsi in Italia negli ultimi tempi". Fa da sfondo al romanzo la città di Treviso, che subì una selvaggia incursione dell’ aviazione americana il 7 aprile 1944. Berto, a quell' epoca, come abbiamo già detto, si trovava in un campo di concentramento a Hereford, nel Texas, dopo essere caduto prigioniero sul fronte africano e fu là che ebbe notizie della tragedia di Treviso. Migliaia di chilometri lo separavano dalle

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macerie, gli era possibile soltanto immaginare le case crollate dei quartieri amati. L' idea del romanzo nacque dal sentimento profondo dell' assenza-presenza che e' il nutrimento della memoria. Il primo lettore del manoscritto fu un compagno di prigionia, Gaetano Tumiati, che divenne poi eccellente giornalista e narratore. La storia dei quattro ragazzi (Carla, Giulia, Tullio e Daniele) che trovano rifugio tra le rovine di un postribolo, resta dolorosamente esemplare. Ogni giorno sentiamo parlare di massacri, vediamo immagini di sangue, occhiaie spettrali di case ferite, strade sconvolte. Un mondo di profughi e di sbandati sta sul confine dei nostri pensieri «Di tutta quella strage, era rimasta in loro la coscienza che fosse una cosa ingiusta. Anche senza sapere di chi fosse la colpa, potevano dire che era una cosa ingiusta. E la coscienza di ciò li liberava dal vincolo delle leggi con Dio e con gli uomini». Una specie di anarchia della mente detta i gesti e il ritmo delle giornate. I ragazzi avevano maledetto sia i minacciosi stranieri dell' occupazione ( i tedeschi ), sia gli altri stranieri che erano passati per il cielo gettando distruzione e morte. Berto intendeva così il ruolo delle vittime, senza barlumi di riscatto, senza speranze e retoriche del futuro.

Già nel titolo si avvertiva una fortissima suggestione. Certamente quei ragazzi, così implacabilmente vinti e ribelli, stridevano con il neorealismo più tradizionale. Nel romanzo c’è una netta prevalenza dell’indeterminazione, a partire dai nomi comuni che prevalgono sui nomi propri fino ad arrivare all’occorrenza degli articoli partitivi e indeterminativi rispetto agli articoli determinativi; il fiume e la città sembrano avvolti da una bruma soffusa, i protagonisti sono contraddistinti solo dal nome di battesimo, mentre gli altri personaggi sono indicati con termini generici come ‘uomini’, ‘gente’, ‘donna’, ‘ragazza’, ‘vecchia’. Inoltre, lo stesso

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dolore che opprime i personaggi risulta essere un malessere indeterminato e perciò al tempo stesso universale. Berto nell’immettere nel romanzo la sofferenza e la lacerazione psicologica travalica e supera la narrazione neorealista.

Nel romanzo troviamo alcuni elementi ricorrenti, come ad esempio:

• Somatizzazione del male che avvicina il cielo è rosso a il male oscuro, laddove l’ansia si manifesta in dolore fisico

• Il male universale, ogni cosa reale è molto più di quello che sembra, ogni cosa nasconde un’ombra ed è lì che Berto concentra il suo sguardo, dissacrante e insieme pietoso, immanente e metafisico. Insomma già ne Il cielo è rosso è presente la spinta a indagare in profondità i segreti dell’animo umano, al di là dell’apparenza e del dato storico, anche se ancora manca a Berto lo strumento della psicoanalisi. M.David, a tal proposito, significativamente scrive:

aiutato dal ‘vecchietto’ del Male oscuro, lo stesso Berto poteva avvertire il peso dell’inconscio che gravava su questo romanzo d’esilio e di frustrazione. Il male universale, la consapevolezza religiosa potranno allora assumere ai suoi occhi l’aspetto individualizzato del male oscuro, della nevrosi d’angoscia, dell’Edipo mal liquidato. Ma ci voleva per questo l’incontro con Perrotti, la vera Università di Berto.

Va segnalato che, nonostante alcune critiche durissime, comunque è stato riconosciuta a Berto una originalità nella capacità poetica della propria narrativa, laddove mette da parte l’aspetto documentario per mettere a nudo il nucleo umano quando racconta la storia d’amore tra Giulia e Daniele. FINIRE

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Trama

Il libro inizia con una descrizione relativa a un quartiere provinciale di piccole dimensioni denominato Sant'Agnese dove vivono Carla e Giulia, cugine rimaste orfane rispettivamente di padre e madre e accudite dalla nonna. La città e il quartiere nel clima di guerra vengono bombardati in una notte qualunque, quando le due ragazzine si erano allontanate dalla loro casa per incontrarsi con Tullio, il giovane fidanzato di Carla. Il quartiere viene completamente distrutto dal fuoco e i tre si ritrovano così soli e distanti da qualsiasi persona che li possa aiutare. In un postribolo trovano la loro nuova dimora e iniziano una nuova vita piena di difficoltà. Tullio entra a far parte di una banda di ladri per recuperare del denaro che sarebbe servito per sopravvivere, Carla inizia a prostituirsi, mentre Giulia, dal carattere più timido e meno intraprendente della cugina, si occupa delle faccende di casa. In un successivo momento fa la sua comparsa Daniele, un ragazzo di famiglia benestante che dopo aver saputo del terribile bombardamento del quartiere era ritornato da Roma per far visita ai genitori, purtroppo però morti per l'accaduto. Di fronte alla disperazione del giovane, Tullio gli offre ospitalità per una notte, ma in realtà Daniele rimane a vivere per tutto il tempo nella modesta casa diroccata, aiutando Giulia nelle faccende domestiche. I quattro ragazzi sembrano aver trovato il loro equilibrio e la loro stabilità, quando un brutto giorno Tullio viene ucciso dopo aver tentato un colpo con una banda che aveva chiesto a lui aiuto. Dopo la morte del giovane nulla è come prima, Daniele inizia a lavorare come lavapiatti Ma è un lavoro temporaneo: infatti l’esercito deve spostarsi e Daniele, per non lasciare Giulia, alla quale si è finalmente rivelato, decide di rimanere nella città. Così si mette ancora alla ricerca di un lavoro, ma senza

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successo, fino a quando un fruttivendolo gli offre un lavoro come trasportatore di frutta dalle cascine alla sua bancarella. Così inizia a lavorare, ma nel frattempo Giulia si ammala di tisi, come la madre, e muore poco dopo. Così, rimasto solo con Carla e Maria, decide di partire. Ma durante il viaggio, travolto dai pensieri e dal dolore, arriva alla tremenda decisione di togliersi la vita, gettandosi giù dal treno.

Berto nella narrazione dei fatti, oltre a descrivere la realtà che circonda i personaggi si dedica maggiormente alla riflessione sull'essere umano condotta attraverso i ragazzi che fungono da emblema della società. Le azioni estreme compiute da Tullio che ruba e Carla che si prostituisce vanno contro la moralità e rappresentano il riflesso di tutte quelle azioni che gli adulti farebbero in mancanza di dignità nelle medesime circostanze. I quattro adolescenti soli si ritrovano di fronte a un mondo corrotto e spietato, che ben presto li porterà a trasformarsi in adulti conducendo una vita sempre piena di difficoltà.

Il male oscuro: contesto, struttura e trama

Parte della critica ha voluto vedere nel romanzo un fatto essenzialmente privato, in quanto Berto si limiterebbe a narrare la sua particolare nevrosi. In realtà non è possibile separare il romanzo da un preciso contesto storico-politico-sociale, partendo dalla crisi del Neorealismo di fronte alla quale, come dichiara Berto stesso, ad uno scrittore non resta che ‘guardare il mondo con maggior distacco,

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riflessione, senso critico e umorismo’. Questo non vuol dire abbandonare i cosiddetti ‘temi sociali’, come potevano essere configurati ne Il cielo è rosso o Le opere di Dio, ma piuttosto ‘il tema sociale ha mutato la sua prospettiva…: anziché perseguirne una corale, ne persegue una intima, psicologica, da sottosuolo…’32. Il romanzo quindi non si polarizza esclusivamente sull’introspezione che sembra a prima vista dominante. Per contestualizzare storicamente Il male oscuro non si può prescindere dalla crisi del Neorealismo che, attraverso narrativa, arte figurativa e cinematografia, aveva costituito un capitolo ricco di problematiche sociali e di impegno polemico verso un’arte di pura evasione, ma ad un certo punto era entrato in crisi. Berto, che pure aveva ottenuto il successo letterario con un romanzo ‘neorealista’, Il cielo è rosso, percepisce questa crisi e sceglie di dedicarsi ad una scrittura più personale. In particolare Berto rivolge una dura critica al Neorealismo come movimento letterario, sostenendo che fu un ‘grosso fallimento’ e aggiungendo: “ il mondo si spaccava in due tra Russia e America e di conseguenza anche da noi finiva il precario accordo che aveva tenuto insieme le disparate forze politiche uscite dalla guerra contro il fascismo […] gli scrittori che maggiormente si erano compromessi col Neorealismo si trovarono davanti il vuoto.33” Di fronte a questa amara constatazione, Berto tuttavia estrapola dalla crisi del Neorealismo un elemento positivo, vale a dire la possibilità per lo scrittore di sentirsi libero da vincoli, libero di tentare nuove strade. E questo farà Berto dedicandosi alla scrittura del Male oscuro che pertanto non si pone agli antipodi delle precedenti scelte neorealiste, ma piuttosto ne è la naturale prosecuzione. Va precisato che la definizione di scrittore neorealista a Berto non

32

F., Monterosso, Come leggere il Male oscuro, p.55

33

Appendice al Male oscuro, p.414

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