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Il male oscuro: contesto, struttura e trama

Parte della critica ha voluto vedere nel romanzo un fatto essenzialmente privato, in quanto Berto si limiterebbe a narrare la sua particolare nevrosi. In realtà non è possibile separare il romanzo da un preciso contesto storico-politico-sociale, partendo dalla crisi del Neorealismo di fronte alla quale, come dichiara Berto stesso, ad uno scrittore non resta che ‘guardare il mondo con maggior distacco,

riflessione, senso critico e umorismo’. Questo non vuol dire abbandonare i cosiddetti ‘temi sociali’, come potevano essere configurati ne Il cielo è rosso o Le opere di Dio, ma piuttosto ‘il tema sociale ha mutato la sua prospettiva…: anziché perseguirne una corale, ne persegue una intima, psicologica, da sottosuolo…’32. Il romanzo quindi non si polarizza esclusivamente sull’introspezione che sembra a prima vista dominante. Per contestualizzare storicamente Il male oscuro non si può prescindere dalla crisi del Neorealismo che, attraverso narrativa, arte figurativa e cinematografia, aveva costituito un capitolo ricco di problematiche sociali e di impegno polemico verso un’arte di pura evasione, ma ad un certo punto era entrato in crisi. Berto, che pure aveva ottenuto il successo letterario con un romanzo ‘neorealista’, Il cielo è rosso, percepisce questa crisi e sceglie di dedicarsi ad una scrittura più personale. In particolare Berto rivolge una dura critica al Neorealismo come movimento letterario, sostenendo che fu un ‘grosso fallimento’ e aggiungendo: “ il mondo si spaccava in due tra Russia e America e di conseguenza anche da noi finiva il precario accordo che aveva tenuto insieme le disparate forze politiche uscite dalla guerra contro il fascismo […] gli scrittori che maggiormente si erano compromessi col Neorealismo si trovarono davanti il vuoto.33” Di fronte a questa amara constatazione, Berto tuttavia estrapola dalla crisi del Neorealismo un elemento positivo, vale a dire la possibilità per lo scrittore di sentirsi libero da vincoli, libero di tentare nuove strade. E questo farà Berto dedicandosi alla scrittura del Male oscuro che pertanto non si pone agli antipodi delle precedenti scelte neorealiste, ma piuttosto ne è la naturale prosecuzione. Va precisato che la definizione di scrittore neorealista a Berto non

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F., Monterosso, Come leggere il Male oscuro, p.55

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Appendice al Male oscuro, p.414

piaceva affatto, tanto più che Il cielo è rosso, pur scritto negli anni del neorealismo e con caratteristiche comuni ad esso, si presenta allo stesso tempo diverso, in quanto innanzitutto non è un resoconto documentaristico della realtà ma una storia inventata. Di questo tuttavia parleremo più approfonditamente in seguito.

Quanto alla definizione del genere di appartenenza de Il male oscuro, ancora una volta risultano illuminanti le parole di Berto il quale non ne fornisce un’etichetta, ma preferisce parlare di un duplice volto dell’opera che ‘è e non è un romanzo’, nel senso che come romanzo si può inquadrare all’interno di una trama narrativa tradizionale ( la storia di un intellettuale che sogna di scrivere un capolavoro, si trasferisce a Roma, dove però la morte del padre lo condurrà a una terribile nevrosi, da cui riuscirà a guarire, senza però riuscire a realizzare il suo sogno letterario), mentre come non-romanzo è la descrizione di una nevrosi da angoscia e della cura per guarirla attraverso la terapia psicoanalitica. È come se Berto volesse lasciare al lettore la possibilità di scelta e interpretazione di fronte ad un’opera aperta, che non si presta a una definizione univoca. Del resto Il male oscuro presenta un andamento apparentemente privo di una struttura organica, a partire dalla suddivisione in capitoli che però non presentano né numero né titolo, ma sono segnalati esclusivamente dallo spazio bianco, unico elemento che indica una momentanea interruzione del flusso di pensieri dell’autore. Pensieri che, non certo casualmente, si riferiscono quasi sempre ai temi dominanti dell’opera che sono la malattia e la figura paterna (come è possibile evincere dagli incipit dei capitoli). Pur volendo sfuggire ad una definizione forse riduttiva come potrebbe essere quella di ‘romanzo psicoanalitico’, tuttavia è lo stesso Berto a indicare

esplicitamente come modello letterario Svevo con La coscienza di Zeno che testimonia chiaramente il fascino che la psicoanalisi esercita sulla produzione letteraria italiana, già a partire dagli anni ‘20, per poi entrare via via nel circuito della cultura italiana negli anni ‘50-‘60. In particolare la tematica della nevrosi ha un’incidenza marcata su tutta una serie di autori, anche cronologicamente successivi a Berto, segno questo che i temi della nevrosi e della psicoanalisi caratterizzano un’area culturale ampia e varia34.

Prima di entrare nel merito della trama, occorre fare alcune considerazioni sul titolo del romanzo e sulle tre citazioni che Berto pone in epigrafe al Male oscuro,che si possono considerare “le tre coordinate di viaggio che l’autore fornisce al lettore prima di guidarlo nella discesa del proprio abisso.”35.

Male oscuro è locuzione gaddiana, tratta da La cognizione del dolore, che è ripresa in una delle citazioni che Berto antepone al romanzo e che poi è stata assunta come titolo dall’autore che, del resto, amava derivare i titoli dei suoi libri da opere di altri autori36; tale locuzione ci introduce immediatamente nel disagio esistenziale intorno al quale graviterà la narrazione di Berto. Non è casuale la citazione da Gadda, che è uno dei principali modelli di riferimento esplicitamente dichiarati dall’autore. L’aggettivo ‘oscuro’ rimanda a qualcosa di indefinito e indefinibile, che non si può estirpare, che pesa sull’animo umano come la croce cui fa riferimento Freud in una sua lettera, citata immediatamente dopo Gadda. Infine Berto cita un verso tratto dal Prometeo di Eschilo “il racconto è dolore ma

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Si possono citare autori famosi come Brancati, Tomasi di Lampedusa, Buzzati, Pasolini, Moravia, Landolfi, Calvino, Ottieri, ma anche autori meno noti come Aldo Rosselli (Professione mitomane), Elisa piccinini De Venezia (Il silenzio), Fiora Vincenti (Una rolls-royce nera), Mario Miccinesi (Cancer oecumenicus)

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P., Culicelli, La coscienza di Berto, p.154

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Cfr. ad esempio Le opere di Dio, titolo che proviene da un passo del Vangelo di Giovanni, oppure la Cosa buffa che è espressione tratta da un passo di Cuore di tenebra di Conrad.

anche il silenzio è dolore”, a significare che il dolore resta tale sia che lo si racconti sia che lo si taccia. Inoltre la figura di Prometeo e in particolare il supplizio a cui è condannato rimandano sia all’incubo perenne di Berto riferito al ventre, sia ad una metafora del male di vivere che ogni giorno si rinnova37.

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Nel romanzo Il male oscuro a parlare è l’autore stesso, Giuseppe Berto, che racconta la propria vita o meglio la malattia che fa da protagonista e in relazione ad essa il libro viene ad assumere le sembianze di un libro-confessione, una lunga confidenza delle proprie sventure al proprio psicanalista, il caro «vecchietto» che andrà a sostituire la mancata presenza paterna, sebbene non si possa parlare di assenza del padre, considerato che l’intero romanzo ruota intorno alla figura del genitore.

Il libro si presenta come un susseguirsi altalenante di piccoli episodi, raccontati con ironia mista a momenti di riflessione, che sottolineano umoristicamente le contraddizioni vissute da Berto ed evidenziano una convinzione di preveggenza negativa verso eventi che ancora dovranno accadere e che incideranno sulla sua condizione psicologica ed emotiva.

Il romanzo si configura come un lungo monologo interiore tutto teso alla ricostruzione delle fasi della malattia, definita dai medici come una «nevrosi d’angoscia». Il protagonista-narratore è lo stesso Berto che ci offre il punto di vista della vicenda, una vicenda che, per la natura stessa di chi è a raccontarla, vale a dire un nevrotico, non risulta del tutto attendibile38. In quest’ottica i fatti

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P., Culicelli, op.cit., pp.153-154

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Cfr. La coscienza di Zeno dove, seppure con la fondamentale differenza che Berto racconta la propria esperienza di malattia, il protagonista Zeno si rivela essere fin da subito un narratore inattendibile delle vicende di cui è protagonista.

vengono presentati in modo stravolto oppure esagerato e richiedono perciò una costante attenzione e partecipazione del lettore. A tal proposito esamineremo in seguito anche le tecniche stilistiche adottate dall’autore per tenere costante l’attenzione sulla narrazione.

Presentiamo di seguito la trama dell’opera soffermandoci sugli snodi essenziali del romanzo.

Fin dall’inizio del romanzo l’autore riconduce l’origine del suo male al rapporto conflittuale con il padre, spiegando che una delle ragioni del suo raccontare è il bisogno profondo (radicato in ogni uomo) di esternare la propria storia, affidandone alla scrittura il mezzo di trasmissione; tuttavia la prima motivazione è quella di offrire un sostegno alle teorie psicoanalitiche già in voga da anni in Italia. Il racconto della sua vita inizia dalla malattia di suo padre, Ernesto Berto, ex Carabiniere in congedo, ricoverato all’ospedale per un cancro all’intestino. Giuseppe, nel frattempo, torna a Roma alla ricerca della propria realizzazione letteraria – quella che Berto definisce Gloria con la gi maiuscola-, quando viene avvertito dalla sorella maggiore per telefono del peggioramento delle condizioni del padre; allora si reca dal genitore, seppur malvolentieri. Porta con sé una vedova francese con la quale ha una relazione, ben deciso comunque a non voler costruire con lei un solido legame; va anticipato che la spigliatezza e l’aspetto appariscente della donna diventeranno ulteriore motivo di ira dei parenti contro di lui, sommandosi al presunto menefreghismo del protagonista rispetto ai bisogni della propria famiglia.

L’autore confessa senza reticenza di non riuscire a stare vicino al padre a causa dello sgradevole odore che fuoriesce dalla bocca del malato e per questo trova continuamente scuse che lo portano ad allontanarsi dall’ospedale fino al momento in cui, fiducioso in una ripresa del «vecchio», decide di fare ritorno a Roma. Appena rientrato, riceve una telefonata dalla sorella che lo informa del decesso del padre; allora accorre alla camera mortuaria per l’estremo saluto al padre defunto ed è qui che si colloca la curiosa questione delle fotografie: il figlio decide di immortalare l’immagine del padre come per elevarlo alla pari di personaggi importanti, ma con l’intimo bisogno di commettere un’azione riparatrice che sopperisca alla propria assenza nella fase terminale della malattia.

Il funerale viene organizzato dalle sorelle e Berto ha l’onere di pagare le consistenti spese. All’apertura del testamento si scopre che l’eredità è stata lasciata interamente alla vedova, la casa alle sorelle, a lui invece non spetta niente. L’unica eredità che perviene al figlio è una busta di fotografie che saranno ritenute dal protagonista come “il primo atto di ostilità e vendetta” del padre deceduto. Tornato a Roma, Berto cerca di cambiar vita, troncando innanzitutto la relazione con la vedova francese.

Intanto, nei primi tempi successivi alla morte del padre, Berto, a causa del senso di colpa, comincia a pensare di essere perseguitato dal defunto e tale percezione si attenua fin quasi a dargli l’illusione di potersene liberare per sempre anche grazie all’incontro con una giovane ragazza che fa subito breccia nel suo cuore, nonostante l’evidente differenza di età; vedremo che la gelosia e l’intraprendenza di lei non lasceranno spazio ad altre figure femminili. Lei gli sarà complice e gli darà sostegno fin dal primo ricovero in ospedale, a cui seguirà una prima diagnosi

del suo «male oscuro»: un rene mobile. Per il momento questa sembra l’unica causa del suo malessere fisico, ma non del disagio psichico che lo accompagnerà molto a lungo. Va detto che la nevrosi di Berto si esprimerà con l’enfasi posta inizialmente su sintomi fisici che partono dal grave disagio avvertito alle cinque vertebre lombari, per poi sfociare nel sospetto di ulcera duodenale, ematuria, calcoli, coliche, cui si intrecciano ben presto stati fobici e violente crisi nervose. Berto teme di avere il cancro o la leucemia, ha paura dell’infarto ma anche di impazzire, è divorato da un profondo senso di smarrimento dovuto all’incapacità di distinguere le cause dagli effetti del suo soffrire, il male fisico da quello psichico; ricerca affannosamente il parere di medici, psichiatri, persino stregoni fino ad approdare alla scelta della terapia psicoanalitica. Durante le sedute inizia a riportare alla luce i vari avvenimenti della sua infanzia che sembrano spiegare o comunque giustificare i profondi sensi di colpa nei confronti del padre. Lo psicoanalista cercherà di sciogliere la matassa formatasi nella coscienza di Berto, sottoponendolo ad un confronto con le esperienze vissute per suggerirgli una visione maggiormente critica ed obiettiva, riconducibile ad un presunto complesso di Edipo e alla latente conflittualità sessuale ad esso associata, ma anche all’angoscia religiosa che segue il peccato sessuale, e soprattutto al bisogno di mostrarsi sempre e in ogni caso degno dello sforzo che il padre faceva per mantenerlo agli studi.

Nei momenti più intensi del suo malessere emerge una particolare caratteristica del protagonista che sembra accomunarlo a suo padre ossia il pensiero costante di spendere soldi. Al contrario, la giovane ragazza che lo affianca è propensa a sperperare ogni somma che le viene affidata e questo sarà un motivo di litigio

continuo all’interno della coppia; ciononostante, malgrado le notevoli differenze caratteriali, i due arriveranno a sposarsi e ad avere una figlia, Augusta. Passano gli anni e Giuseppe decide di interrompere la terapia psicoanalitica perché, dopo aver cercato rimedi di ogni tipo, si sente in grado di poter dominare il suo disagio interiore. Proprio in questo momento di temporanea ripresa psicologica, la moglie gli confessa che lo tradisce da tre anni, facendolo ricadere così in uno stato di depressione che lo condurrà ad un eremitaggio volontario a Capo Vaticano, in Calabria. Qui avrà termine quel processo, iniziato grazie alla terapia, che dalla lotta contro il padre si è trasformato in armistizio, poi comprensione e infine identificazione con la figura genitoriale.

Quanto alla struttura narrativa, Il male oscuro non segue più l’impianto tipico del romanzo ottocentesco, costruito sulla narrazione di una vicenda dall’inizio alla fine, secondo un ordine sostanzialmente cronologico; qui siamo in presenza di una struttura aperta in cui il resoconto della vicenda si svolge attraverso un percorso tematico, affrontando questioni diverse, ma tutte legate alla nevrosi del protagonista.

L’impianto del racconto tende quasi ad assumere la forma aperta del “diario”, in cui il resoconto di un nevrotico mescola verità e bugie39. Sono caduti i parametri oggettivi e l’unità del soggetto la cui anima si rivela non più come sede di autenticità, ma come un luogo di scissione e di compresenza di verità opposte; in

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A tal proposito ricordiamo che nella prefazione de La coscienza di Zeno il dottor S. avverte il lettore dell’assoluta inattendibilità del testo che sta per leggere dichiarando a proposito di Zeno: “Se sapesse quante sorprese potrebbero risultargli dal commento delle tante verità e bugie ch’egli ha qui accumulate!”. Da segnalare inoltre che già all’inizio della prefazione il dottor S. usa il termine novella per definire il memoriale di Zeno, a voler dunque sottolineare l’ambiguità del resoconto.

tal senso, la struttura aperta del Male Oscuro ci pone una concezione della vita ugualmente problematica e policentrica.

Berto cerca di esprimere la sua volontà di liberazione dal proprio male attraverso un processo catartico che non vuol essere condizionato né limitato in alcun modo da pause o da tutto ciò che ha a che vedere con i vincoli della punteggiatura. E questa sua volontà è chiarita dall’autore stesso in Appendice al romanzo, dove scrive:

La grande paura – spiega – era di fermarmi e forse fu questa paura che mi fece trovare un modo di scrivere, sembra, abbastanza nuovo: periodi interminabili che corrono per pagine e pagine senza punti, con pensieri che si collegano l’uno all’altro in apparente libertà – sono, in fondo, le associazioni della psicoanalisi – ma con un costante desiderio di ordine, di logica, di chiarezza.

Questo desiderio di scrivere che si può definire ineluttabile e indispensabile è, a nostro avviso, strettamente correlato con la “paura” di Berto, il quale, anche a proposito del proprio bisogno di scrivere il romanzo, ricorre ancora una volta a questo termine:

Quando nel 1963 buttai giù Il male oscuro – racconta Berto a Piancastelli – ero si può dire ancora in analisi (la cura era stata interrotta , ma solo dopo aver letto il manoscritto l’analista stabilì che ormai potevo nuotare senza sugheri) e, dato che grosso modo era la storia della mia vita interpretata psicoanaliticamente, mi venne naturale di scriverla con gli stessi strumenti usati in analisi, ossia sforzandomi di abolire quanto più potevo la connessione ragionata tra un pensiero e l’altro, ma mantenendo come avevo sempre fatto la tendenza a costruire ogni frase secondo la sintassi classica. La prima stesura la buttai giù in due mesi con una grande paura di non arrivare alla fine.