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Alcune osservazioni sulla circolazione del giornale in Italia

2 «L'Italiano» e i rapporti con l'ambiente politico e intellettuale francese e italiano.

2.4. Alcune osservazioni sulla circolazione del giornale in Italia

Il primo numero dell'«Italiano» comparve alla fine di maggio del 1836. Diversamente dal suo precedente diretto, «L'Exilé», in cui tutti gli articoli erano pubblicati nella doppia versione italiana e francese, sull'«Italiano», se si escludono due articoli di Tommaseo, presentati anche in traduzione francese, tutti i contributi erano scritti esclusivamente in italiano. Questo dato sembrerebbe confermare la tesi a cui abbiamo accennato nel primo capitolo, che vede nell'«Italiano» un giornale di critica che, secondo il disegno mazziniano di «critica educatrice», si proponeva di collaborare alla                                                                                                                

fondazione di una letteratura nazionale, anziché proporre una «storia della letteratura italiana 'a episodi'» come era stato nel caso dell'«Exilé»330

.

All'uscita del primo numero del giornale in molti, a cominciare da Mazzini e da Agostino Ruffini, si mostrarono insoddisfatti della qualità del risultato331

. Del resto, già la pubblicazione del manifesto non era stata accolta positivamente e, scrivendone alla madre, tra le righe Agostino sembrava attribuirne la responsabilità alle scelte della direzione, ma soprattutto a Ghiglione e alla sua natura di artista:

Je suis bien aise que le prospectus ait trouvé un favorable accueil chez vous, mais c'est la seule victoire qu'il ait remportée. En général on a applaudi à l'idée du Journal, mais on a été mécontent du prospectus. [...] Il fallait exposer un ensemble de doctrines littéraires et on ne l'a pas fait. Mais s'il plaît chez vous tant mieux332.

Quanto al primo numero, sia Mazzini che Agostino lamentavano la quantità di errori di stampa e lo scarso numero di pagine333

. Agostino così ne scriveva alla madre:

Nous avons reçu aujourd'hui le premier numéro du journal italien qui s'imprime à Paris. À tout prendre ce numéro n'est pas mal, mais pourtant il pourrait être

                                                                                                               

330 Si veda in proposito la lettera di Mazzini a E. Mayer del 26 gennaio 1837 in cui, richiamandosi al proemio dell'«Italiano» scrive tra l'altro che oggi «s'aspetta una critica educatrice che partorisca tra noi effetti pari ai partoriti nella Germania dalla critica filosofica, madre della loro letteratura. Noi, vera critica educatrice per le lettere non abbiamo». Lettere di Giuseppe Mazzini ad Enrico Mayer …, op. cit., pp. 8-9. Sull'«Exilé» si rinvia all'articolo già citato di A. Nacinovich, Letteratura e educazione nazionale …, art. cit., p. 15.

331 Vedi anche Vieusseux, che a Tommaseo scrive: «L'Italiano n° 1 è arrivato: non posso dire di essere contento del tutto; ci voleva altro proemio, e per un primo fascicolo altre cose meglio insieme coordinate. Aspetto per scrivere all'Accursi che il Molini abbia avuto il pacco da Livorno, e potuto fare il dovuto annunzio» (lettera del 26 giugno 1836). Molini era un libraio fiorentino. In una lettera a Rosales dell’estate del 1836, Mazzini fa riferimento al giudizio negativo espresso sul giornale anche da F. Ugoni; scrive, infatti: «All'indirizzo consueto, riceverete, se lo trovo, il terzo volume dell'Italiano – per Ugoni – Sono del suo parere, generalmente parlando, quanto all'est est, non non. Il giornale non mi piace».

332 Lettera di Agostino alla madre, [Grenchen], 22 maggio 1836: A. Codignola, I fratelli Ruffini ..., op. cit., II vol., p. 145. Anche Mazzini, in una lettera alla madre del 22 aprile di quell'anno, rimarca che «alla direzione vi sono dei giovani buonissimi, ma distratti, ed artistes all'estremo grado». Agostino in quei mesi aveva un motivo personale di irritazione nei confronti di Ghiglione, dovuto ad un prestito consistente che sua madre aveva fatto a Ghiglione e che quest'ultimo sembrava aver dimenticato. 333 Vedi Mazzini, in una lettera alla madre: «il giornale di cui v'ho parlato escirà; forse buono, ma troppo ristretto. Son quarantotto grandi facciate a due colonne; ma per un giornale che avrebbe a distinguersi, è troppo poco: con tre o quattro articoli lunghi è finita. Quindi difetto di notizie straniere, letterarie, scientifiche, etc. bensì, so le ragioni della ristrettezza: e sono irrecusabili, dacché la prima è la mancanza di fondi. Se il giornale verrà ammesso, e se i buoni s'abbuoneranno, i primi frutti verranno consecrati all'ampliazione; ma perché siffatte imprese letterarie, che tornerebbero tutte in onor del paese presso l'estero, non sono esse aiutate dall'interno? …». Nel secondo fascicolo compare un'Errata, preceduta da questa segnalazione a mo' di scusa: «Emendiamo da alcuni errori più gravi, scorsi per imperizia di stamperia straniera, il primo fascicolo, posta cura, affinché ne' seguenti non ricorra simile bisogno».

mieux. Ce n'est pas que les articles soient mauvais: au contraire, sous ce rapport-là je crois qu'on sera content, si pourtant on aimes les arguments sévères et sérieux. Mais on y trouve beaucoup de fautes d'impression, il est vrai que c'est le premier numéro, c'est-à-dire un essai, et les ouvriers imprimeurs sont presque tous français. Mais pour les numéros suivants on aura tant de soins qu'on y trouvera bien moins de fautes, et j'ose presque dire qu'il n'y en aura point334.

Mazzini, dal canto suo, era particolarmente irritato a causa dei tagli apportati al proemio, che a suo dire rischiavano di pregiudicarne il senso complessivo. Del resto, non era il solo a lamentarsi degli interventi censori della direzione, di cui anche Tommaseo era stato vittima. Da quanto si evince dai carteggi, all'origine di questi interventi ci sarebbe stato lo scrupolo eccessivo dei due direttori che, più realisti del re, per non incorrere nelle maglie della censura, avrebbero eliminato interi brani giudicati troppo arrischiati, per sostituirli con dei puntini di sospensione, che avevano il compito di segnalare le espunzioni.

Anche Mazzini così ne riferiva a Gaspare Rosales:

L'Italiano è uscito: e, ut adimpleantur scripturae, non so chi s'è divertito a non

mutilare per ragioni di prudenza, ma a mutare in cinquanta luoghi il mio articolo d'introduzione, a farmi dire cose che non ho mai voluto dire, spropositi, scempiezze, cose orrende: - benissimo. A Parigi, gl'italiani gridano che tradisco letterariamente l'Italia, perché dico che oggidì stiamo male335.

La comunità italiana a Parigi, infatti, non aveva gradito il tono generale del proemio, giudicato troppo severo nei confronti dell'Italia e tale da nuocere al suo buon nome perché, riportava Mazzini, «non istà bene mostrarsi così allo straniero».336 Non solo: secondo quanto riportato da Tommaseo, a testimonianza delle divisioni che minavano la comunità italiana, subito dopo l'annuncio dell'uscita del nuovo giornale, un altro                                                                                                                

334 Agostino alla madre, [Soleure], 7 giugno 1836: A. Codignola, I fratelli Ruffini ..., op. cit., II vol., p. 166. 335 Lettera di Mazzini a Rosales del giugno 1836. SEI, Epistolario, vol. IV. Un riferimento ai tagli che il proemio dovette subire si trova anche in una lettera alla madre del 7 giugno 1836, in cui scrive: «[...] chi sa se avrete avuto l'Italiano. Dove mai lo abbiate avuto, giova notare a Filippo [scil.: Bettini], come il primo articolo specialmente, trovato troppo ardito da chi dirige la redazione, sia stato goffamente in più luoghi mutilato» (SEI, Epistolario, vol. IV, p. 366). Anche Tommaseo era tra quelli che il proemio di Mazzini non aveva soddisfatto e a Vieusseux scriveva: «Avevano ben ragione di dire che a trent'anni s'impinconisse. Se la sentivano a venticinque; e parlavano di coscienza. Il buon uomo [scil.: Mazzini] giudica l'Italia qual'era dieci anni fa, e se la piglia co' romantici. In ogni cosa il buon vecchio vagella» (lettera del 30 maggio 1836).

gruppo di esuli italiani aveva tentato di dar vita a una rivista concorrente. Così ne scriveva infatti Tommaseo:

La terra di Francia non pare assai buona per gli aranci italiani. Escito il manifesto del giornale che sapete, eccoti, al solito, altri che imprendono una Revue italienne: un avvocato piemontese, un marchese maceratese, un nobile milanese uccisor d'un tedesco, e un marchese genovese che ci speculava sopra. Ed eccoti quelli dell'Italiano che dicono: L'idea nostra prima era questa: noi … […] noi, diceva l'Italiano, faremo la Revue italienne, e abbiam pronto ogni cosa. Scissura. I marchesi sullodati non se la dicono con la Giovane Italia: l'avvocato piemontese vuol barcheggiare, ma non gli riesce. La prima società cadde per la minaccia della seconda, e la seconda cadrà per le dicerie della prima. E né l'una né l'altra, anco unite …337

Il giorno successivo, poi, Tommaseo tornava su quella vicenda per concludere:

... né anco unite farebbero. Il marchese vuole speculare, ripeto: il direttore dell'Italiano è un avvocato della curia romana, il qual, dicono, si diverte a far debiti. Non ne so nulla. Ma so che a far andare un giornale e' non mi par buono. E prima che il tanfo di quegli aranci svanisca, ci vuol di gran cloro338.

Secondo Isidoro Del Lungo e Paolo Prunas, curatori del carteggio Tommaseo-Capponi, tra i protagonisti di questa vicenda ci sarebbero stati: Giacomo Ricci, marchese maceratese, Carlo Dembowsky, nobile milanese che nel 1833 aveva ucciso in duello un ufficiale austriaco, e Antonio Rovereto, marchese genovese.339 Non abbiamo trovato tracce di questa revue italienne, che ambiva a far concorrenza all'«Italiano», ci risulta, tuttavia, che un'altra rivista comparve subito dopo l'uscita del giornale diretto da Accursi e Ghiglione: si trattava dell'«Ape italiana rediviva», fondata da Niccolò Bettoni ed evidentemente legata alla sua «Ape italiana»340. Di essa sappiamo che fu                                                                                                                

337 Lettera di Tommaseo a Capponi del 14-[16] aprile 1836, in N. Tommaseo, G. Capponi, op. cit., pp. 407- 408. Con l'allusione agli aranci Tommaseo si riferisce al prospetto dell'Italiano, che in exergo riportava un verso del lied di Mignon tratto dal Wilhelm Meister: «Kennst du das Land wo die Citronen blühn?». 338 Ivi, p. 409.

339 Sia Dembowsky che Rovereto avevano fatto parte della Giovine Italia. Cfr. F. Della Peruta, Mazzini e

i rivoluzionari italiani..., op. cit.

340 Bettoni aveva fondato «L'Ape italiana» nel 1824; nel corso degli anni quel giornale aveva subito una lunga serie di metamorfosi, diventando «La Vespa» nel 1827 (collaboratori Felice Romani e Giacinto Battaglia) e «La Farfalla» nel 1828, con Defendente Sacchi come coadiutore di Bettoni. Cfr. M. Berengo,

annunciata sulla Bibliographie française e che vi collaborò anche Antonio Zanolini341

con un articolo su Rossini342 .

Circa la penetrazione del giornale in Italia, di cui abbiamo parlato anche nel primo capitolo343, Mazzini, in una lettera alla madre del luglio 1836 dichiarava:

il giornale italiano è entrato dappertutto quasi, in Toscana, e negli stati del Papa; credo anche in Torino; ma per Genova vi sarà forse distinzione onorevole […]. Metternich ha chiesto a Thiers « l'anéantissement de la presse périodique»344.

A fronte delle dichiarazioni dei collaboratori, non disponiamo di molti riscontri relativi alla circolazione del giornale. È certo, tuttavia, che «L'Italiano» oltrepassò i confini del Regno delle Due Sicilie: lo attestano, infatti, sia la pubblicazione del suo prospetto sulle «Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia»345 (foglio periodico che si pubblicò a Palermo tra il 1832 e il 1840), sia una recensione del giornale apparsa sull'«Omnibus» di Napoli, il giornale diretto da Vincenzo Torelli. Il giornale napoletano non si mostrava tenero nei confronti dell’«Italiano» e lo attaccava principalmente per il suo stile, che giudicava astratto e fumoso. Più in generale, l’«Omnibus» deplorava il costume degli italiani che erano soliti compiangere la condizione della penisola, rappresentandola in uno stato di eterna decadenza. Gli attacchi mossi da Mazzini nel proemio agli intellettuali italiani, quindi, dovevano essere dispiaciuti al giornale napoletano, dove si poteva leggere questa esortazione a cantare le lodi dell'Italia piuttosto che a condannarne i difetti:

a meglio pregiarla si cangi corda alla lira e modo al canto; si mostri essa bella, quale è, a tutti; l'italiano si proclami glorioso non infelice, la nostra poesia sia pure una volta di dolci ricordanze non di mali […]346.

                                                                                                               

341 (Bologna 1791-1877). Partecipò ai moti del '31, in seguito ai quali andò in esilio a Parigi.

342 Si veda l'articolo di Marco Salvarani, Rossini, un patriota senza importanza?, in «Rassegna Storica del Risorgimento», 1995.

343 Cap. 1, par. 10.

344 Lettera di Mazzini alla madre del 15 luglio 1836, G. Mazzini, SEI, vol. XI, Epistolario, vol. IV.

345 Il prospetto dell'«Italiano» apparve sulle «Effemeridi» l'1 marzo 1836, quindi due mesi prima dell'uscita del giornale.

Nella recensione dell'«Italiano», comparsa sul numero del 16 luglio 1836, l'articolista dell'«Omnibus» paragonava il giornale degli esuli al «Geronta Sebezio», l'opuscolo che in quegli anni si stampava a Napoli ad opera di Domenico Bocchini (1775-1840), magistrato liberale, ed erudito, che con la sua opera ambiva alla divulgazione di un sapere arcano, riproponendo un filone ermetico di ascendenza pitagorica347, ed era per questo fatto oggetto del sarcasmo della stampa partenopea. Il recensore dell'«Omnibus», quindi, aveva raccolto i passi di alcuni dei contributi apparsi nel primo numero dell'«Italiano», col preciso intento di «far ridere le brigate»348 e riportava una serie di frasi estrapolate dal contesto, senza analizzarle, né descriverle, giudicandole tanto oscure quanto gli arcani del Sebezio. Offriva quindi ai propri lettori un florilegio di dichiarazioni, neologismi e solecismi raccolti dal primo numero del giornale:

[...] Di mezzo a questi dubbi è sortita in noi una idea ferma - Gli scrittori troveranno adito alle pagine di questo giornale – rivestire di luce e di simpatia gli argomenti (Non si tratta di quelli fatti con tanta grazia da maestro Aristotile)349. Il

bisogno di svellersi dalla fastidiosa realtà della vita – Le riforme intrascurabili – Gli inserti notevoli – Veglia l'arme del Genio […] Avere nell'arsenale della testa parate le armi a far duelli – avere nella testa un ordigno che stritola gli affetti come una macina da mulino – leggere in una pagina vergognosa della testa – gli occhiali turchini pesano i manoscritti come la bilancia del pizzicagnolo pesa il cacio e la carta – la docilità de' capegli manda spruzzi di gioia sullo spirito buono – Afferrare un lembo di sonno ec. ec. ec. E così scrive e sentenzia questo Italiano in Parigi!350

Era proprio a questa recensione che si richiamava Gino Capponi nel brano di una lettera a Tommaseo in cui, sentenziando una morte precoce per il foglio parigino, scriveva:

Ma l'Italiano farà poca fortuna, con quel formato e que' fogli sciolti, e la fiacca pretensione di farsi incolpabile co' puntolini. L'Omnibus di Napoli ha scritto un

                                                                                                               

347 Cfr. G. M. Cazzaniga, Ermetismo ed egizianesimo a Napoli dai Lumi alla fratellanza di Miriam, in Storia

d'Italia, Annali 25, L'esoterismo, a cura di Gian Mario Cazzaniga, Torino, Einaudi, 2010, pp. 547-566.

348 Curiosità. L'Italiano, foglio letterario. Primo fascicolo. Maggio – Parigi- Officio dell'Italiano, in «L'Omnibus», sabato 16 luglio 1836.

349 Questo inciso è del recensore. 350 Ibidem.

articolo insolente contro il Discorso proemiale, pure la cosa migliore che il buono

ejulante abbia scritto mai. Se ha da vivere rincalzatelo con qualche articolo di peso351.

La sigla E.J., usata da Mazzini per firmare i suoi articoli, offriva un'occasione troppo ghiotta perché i due corrispondenti non ne approfittassero per esercitare la loro ironia sferzante sulle teorie letterarie, che non condividevano, del “lamentoso” Mazzini. Nell'ottobre del 1836, Tommaseo recuperava quella formula in una lettera in cui si mostrava scontento dell'andamento generale del giornale:

Coll'Italiano io me la piglio un po' sotto gamba, perché di serietà sono stufo; e perché non posso pigliare in sul serio le ejaculazioni aeree dell'eja ergo incarnato352.

2.5. Libertà individuale, giustizia sociale e suffragio