1.3 «Tutta quasi la letteratura converge al Dramma»
1.5. La «Rivista della Letteratura Europea»
Il progetto prevedeva che il giornale si stampasse a Genova160
, dove era da poco uscito il Chatterton, e raccogliesse i testi che il gruppo era venuto elaborando nel corso dei mesi in cui si era dedicato alla traduzione delle tragedie. Nell'«Italiano», infatti, sarebbero confluiti ben sei articoli tra quelli scritti dal gruppo mazziniano in quei mesi: il proemio del giornale, un articolo su Victor Hugo e il materialismo letterario in Francia insieme a uno scritto su Werner e i tragici tedeschi che, rielaborato, diventerà Della fatalità
considerata come elemento nel dramma, tutti scritti da Mazzini; un lavoro di
157 Lettera del 14 maggio 1835, in A. Codignola, I fratelli Ruffini, op.cit., I vol. p. 290.
158 Così ne riferiva Mazzini in una lettera a Melegari: «[...] dopo quattro mesi di revisione, in Genova, il volume, col quale volevamo incominciare una Biblioteca Drammatica teorico-pratica, è reso impossibile – scene intere biffées nell'Angelo d'Hugo, il primicerio, i discorsi della Tisbe – poi tutta la prefazione d'Hugo – poi mezzo il mio discorso, per esempio, tutto ciò che io v'avea messo di redenzione della donna – ed anche tutto ciò che io scriveva, lodando il Chatterton e [a] paragone dell'Angelo! - Contro il Chatterton v'è accanimento; una crociata di rimproveri da Roma alla revisione ecclesiastica genovese per aver lasciato stampare un libro che apologizza il suicidio» (Mazzini a Luigi Amedeo Melegari, Grenchen, 14 aprile 1836, IV vol., p. 314. Il corsivo è nel testo).
159 Vedi la lettera di Agostino alla madre, da [Grenchen] del 31 marzo 1836 (A. Codignola, I fratelli
Ruffini..., op. cit., vol. II, pp. 62-64).
Agostino Ruffini sulla condizione sociale della donna; un racconto di Gustavo Modena e una sua recensione sul teatro a Parigi161
.
La ricostruzione di questo progetto editoriale, che prende le mosse dalla
Biblioteca Drammatica, è riassunta in una lettera del 23 novembre 1835,
indirizzata al nobile milanese Gaspare Rosales da Agostino Ruffini e seguita da un lungo post-scriptum di Mazzini. I due si rivolgono al munifico Rosales, generoso finanziatore di numerose imprese mazziniane, perché conceda un supporto organizzativo ed economico a favore dell'ennesima iniziativa del gruppo mazziniano162.
La lettera di Agostino è un documento che ci consente di percepire l'irrequietezza, il fervore e la passione che dovevano animare questa comunità di giovani (il più vecchio era Mazzini, che nel 1835 aveva trent'anni) costretti all'esilio. Il nucleo della lettera era preceduto da una premessa in cui si descriveva la nuova strategia della Giovine Europa che, a seguito delle continue persecuzioni da parte delle polizie europee e dopo i recenti fallimenti insurrezionali, aveva deciso di dedicare parte delle proprie energie a «un travaglio mentale, e di penna», a un'attività di educazione morale e civile, da realizzarsi attraverso la stampa e la letteratura, allo scopo di risvegliare le coscienze e di costruire un ampio consenso intorno al progetto repubblicano163.
Proseguendo, Agostino forniva a Rosales il resoconto di un primo tentativo, fallito, di dar vita ad una «Rivista straniera letteraria bimestrale», progetto che rientrava a pieno titolo nella strategia politica della Giovine Europa.
Parlando anche a nome dei suoi compagni d'esilio, quindi, Agostino denunciava «il marcio sonno de' peninsolari», a cui contrapponeva il desiderio che animava lui e i suoi compagni di «travagliare utilmente per la patria»:
161 Vedi la lettera di Agostino Ruffini a Gaspare Rosales, infra.
162 Gaspare Rosales era stato tra i principali finanziatori della seconda spedizione di Savoia.
163 Ricordando questa stagione, nelle Note autobiografiche, Mazzini avrebbe scritto: «La via dell'azione a ogni modo era chiusa; e la questione letteraria mi parve campo ad aprirmela quando che fosse». Su questo punto si rinvia anche a quanto affermato da F. Della Peruta circa la tendenza di Mazzini «a considerare la Giovine Europa non tanto come una organizzazione cospirativa mirante alla preparazione di un'azione a breve scadenza quanto come un centro di elaborazione e diffusione di idee omogenee». Questa tesi è ripresa anche da P. Voza, in Letteratura e rivoluzione passiva, op.cit., p. 51. Va rilevato, tuttavia, che Mazzini non abbandonò mai la strategia rivoluzionaria e che l’impegno sul fronte letterario, insieme all’attività giornalistica, si affiancarono alla continua pianificazione di iniziative insurrezionali.
Poiché l'arringo politico è chiuso per ora, e gli Italiani non vogliono di forti bevande, noi ci serrammo dolenti, ma non sfidati, muti, ma inconcussi ne' principî, attorno Mazzini, dicendo: non siamo più politici, siamo critici e letterati, indietreggiamo. Prendiamo le mosse da un punto letterario. Poiché umanità non possiamo predicare in politica, predichiamo umanità letteraria. Poiché non si vogliono udire i nomi di Rienzo e di Burlamacchi, nominiamo Dante e Vico. Poiché dottrina, e progresso graduato, sono le parole sacramentali dell'epoca, e siamo dottrinari, e graduariamente progressivi, nella forma almeno, scriviamo per l'Italia cose vere; ma letterarie, cose vere, ma dolcemente e mitemente dette, sicché i Governi stessi non se ne adontino, parliamo di progresso, ma letterario, di unità ma di
unità di lingua, di umanità, e di nazionalità, ma semplicemente sotto il riguardo artistico164.
Dietro al paravento del pensiero doctrinaire165 («siamo dottrinari, e graduariamente progressivi, nella forma almeno», dichiarava Agostino), il brano dichiarava esplicitamente di voler fare un uso strumentale della letteratura, piegandola a fini politici, in modo da alimentare la coscienza nazionale attraverso un discorso identitario che riuscisse a scuotere «il marcio sonno de' peninsolari»166.
Ben oltre l'affermazione di un rapporto di interdipendenza tra letteratura e società, si arrivava a fare del discorso letterario una veste con cui mascherare un messaggio di propaganda politica. Molti anni dopo, nelle
164 Agostino Ruffini e Giuseppe Mazzini a Gaspare Rosales, Bagni di Grange, 23 Novembre 1835, in
Lettere inedite di Giuseppe Mazzini ad alcune de' suoi compagni d'esiglio, op. cit., pp. 55-56. Il corsivo è
nostro. La lettera è citata anche da Emilia Morelli nell'opuscolo L'esilio di Mazzini e dei fratelli Ruffini, già citato. La Morelli ritiene che questa lettera sia emblematica della «scarsa politicità dei Ruffini», per cui si domanda se «esistevano, nei Ruffini, le premesse per l'azione politica e se si può veramente parlare di mutamenti o di abbandoni ideali». Emilia Morelli, se ritiene che il legame di Giovanni con Mazzini fosse motivato anche da ragioni ideali, oltreché di affetto, pensa invece che Agostino si sia trovato in quell'avventura un po' per caso e avanza l'ipotesi che «probabilmente la polizia sarda non l'avrebbe incriminato, come non incriminò il fratello maggiore Ottavio, se fosse rimasto a Genova» (pp. 13-14). Se è vero che anche in quegli anni Agostino non condivise che in parte le iniziative politiche mazziniane, crediamo però innegabile che egli si sia impegnato con passione nel collaborare alla elaborazione di un progetto letterario che risentiva fortemente delle idealità che animavano la Giovine Italia.
165 Agostino poneva il progetto sotto l'insegna del pensiero doctrinaire e della teoria del progresso graduale, ma questa adesione filosofica ci sembra puramente formale e rispondente a ragioni di opportunismo politico, poiché il gradualismo avrebbe consentito di celare la carica eversiva insita nel disegno politico di cui il giornale voleva farsi portavoce. Non a caso, si parla di “forma”.
166 Circa il compito assegnato alla letteratura italiana di rappresentare l'identità di una nazione che ancora non esisteva, si rinvia ai lavori fondativi di storia culturale di Alberto Mario Banti e Paul Ginsborg, rimandando in particolare a: Alberto Mario Banti, La nazione del Risorgimento. Parentela,
santità e onore alle origini dell'Italia unita, Torino, Einaudi, 2000; Id., Il Risorgimento italiano, Bari, Laterza,
2008; Id., Sublime madre nostra. L’idea di nazione dal Risorgimento al fascismo, Bari, Laterza, 2011; oltre all'Annale 22 della Storia d'Italia, curato insieme a Paul Ginsborg e uscito nel 2007. Sulle ideologie che hanno contribuito a rafforzare la credenza di un'Italia che è sempre stata unita, si rinvia a Antonio Gramsci, Quaderno 19. Risorgimento italiano, introduzione e note di Corrado Vivanti, Einaudi, Torino 1975.
Note autobiografiche, Mazzini sintetizzerà con una formula efficace questa
rifunzionalizzazione della letteratura a fini politici, affermando:
La letteratura era per noi mezzo, non fine. Poche parole mutate qua e là dal lettore basterebbero a fare degli Scritti che seguono (scil.: gli scritti che Mazzini presentava e commentava nelle Note autobiografiche) un'insistente chiamata alla gioventù per sorgere e fondar coll'armi la Patria»167.
Nel passaggio della lettera a Rosales che abbiamo citato, a concetti dai contorni potenzialmente eversivi per i governi degli stati italiani, quali
progresso, unità e nazionalità, era associato l'aggettivo letterario, allo scopo di
annullarne la pericolosità, fungendo da lasciapassare per sfuggire alle maglie della censura governativa.
Questa lettera, dunque, testimoniava l'adesione di Agostino al programma letterario che Mazzini era venuto elaborando nel corso di quegli anni: prendere le mosse «da un punto letterario», come si diceva nella lettera, significava mirare alla fondazione di una letteratura nazionale, quale ausilio per la costruzione della nazione italiana. Subito dopo, però, si precisava che un’identità nazionale poteva sorgere solo grazie al confronto e allo scambio con le altre culture europee: con questa proposta, infatti, il gruppo mazziniano esortava gli intellettuali italiani a sollevare lo sguardo oltre i confini nazionali, convinto che per fondare una buona letteratura nazionale occorresse «frugare attentamente nei progressi, indietreggiamenti, genio particolare, etc. – delle altre», perché
il progresso ideale, letterario sta nell'armonizzamento di ciascheduna letteratura nazionale alla letteratura-tipo che ha per codice la natura, per soggetto l'umanità, per limite le curve dell'universo.
Più in dettaglio, il progetto culturale del gruppo prevedeva la creazione di una letteratura nazionale per mezzo dell'educazione del gusto e del sentimento,
e facendo l'uffizio di specchio ustorio, concentrando cioè nell'Italia nostra tutti i raggi, che sarebbe in noi, raccogliere dalle meditazioni, e ricerche nei principî mondiali della letteratura assolutamente considerata, e sulle indoli speciali delle letterature dei popoli.
Secondo l'immagine allegorica usata da Agostino, dunque, la rivista era chiamata a svolgere la funzione di uno specchio ustorio che, alimentato dai raggi benefici delle altre letterature, doveva produrre un incendio purificatore, dalle cui ceneri poteva sorgere una nuova letteratura.
Le cautele e i mascheramenti che i mazziniani avevano adottato, tuttavia, si mostrarono completamente inefficaci di fronte al potere della polizia del Regno di Savoia, che sorvegliava tutte le mosse del gruppo mazziniano: non fu difficile per il Ministro degli Interni scoprire che dietro alla «Rivista straniera letteraria bimestrale» si celava Mazzini e questo bastò per negare l'autorizzazione alla stampa168.
Questo ennesimo fallimento, tuttavia, non bastò a scoraggiare il gruppo mazziniano, che a quel punto tentò di pubblicare il giornale a Lugano, dove risiedeva Rosales e dove aveva sede anche la tipografia di Giuseppe Ruggia, l’editore a cui si doveva la pubblicazione di molte opere vietate in Italia169
. Il gruppo, infatti, era convinto che moderando ulteriormente i toni e aumentando le cautele
si addombreranno così bene i nessi che sono tra la letteratura e la politica […] che la proibizione dell'introducimento, e circolamento nell'Italia non possa prevenire [sic] che da mero capriccio, o ira della Svizzera [...]170.
A questo punto Agostino cedeva la parola a Mazzini, a cui spettava il compito di illustrare a Rosales «lo spirito regolatore della loro critica». Per dar conto dei principî a cui il giornale avrebbe dovuto ispirarsi, Mazzini gli inviava dunque un suo breve saggio, che doveva fungere da introduzione al
168 Per la pubblicazione del giornale, Mazzini si era affidato ad alcuni amici che risiedevano a Genova, tra cui il solito Bettini. Per ottenere l'autorizzazione alla stampa era necessario presentare una richiesta al Ministro degli Interni del Regno di Savoia e, a questo scopo, uno degli amici genovesi si era recato personalmente a Torino. Cfr. A. Codignola, I fratelli Ruffini …, op. cit.
169 Su Giuseppe Ruggia, di cui parleremo anche nel cap. 2, si rinvia a: Giuseppe Martinola, Un editore
luganese del Risorgimento: Giuseppe Ruggia, Lugano, Fondazione Ticino Nostro, 1985; Maria Iolanda
Palazzolo, Le case editrici luganesi e la formazione della cultura nazionale, in Immagini della nazione nell'Italia
del Risorgimento, Roma, Carocci, 2002.
170 Lettera di A. Ruffini e G. Mazzini a Rosales, 23 novembre 1835, in Lettere inedite di Giuseppe Mazzini
giornale: si tratta di un testo che altro non è se non un primo abbozzo di quello che di lì a qualche mese sarebbe divenuto il proemio dell'«Italiano».
Richiamandosi alle categorie sansimoniane, Mazzini vedeva nell'età presente un'epoca di grave crisi («un cadavere d'Epoca») che imponeva il ricorso alla classe degli intellettuali, come a una guida capace di indicare le modalità di superamento di quel malessere sociale e culturale171. Per il tramite dell'immagine ricorrente delle rovine, in mezzo a cui sono disseminati alcuni indizi, Mazzini vedeva nella critica lo strumento capace di rivelare l'essenza nascosta sotto la superficie delle cose o, per usare le sue parole, «l'alito che vien dal secolo», «l'incognita dell'epoca che sta per sorgere»172. «L'ufficio della critica – dichiarava Mazzini – è santo», e subito dopo ricordava la natura sacra dell'arte che, invece, la società retta dalle leggi dell’utilitarsimo materialista tentava continuamente di negare.
Questa presa di posizione permette di rilevare l'ambivalenza dell'atteggiamento di Mazzini verso la letteratura: da un lato strumento di propaganda, subordinato al discorso politico; dall'altro, fenomeno di natura sacra; questa contraddizione, del resto, come sottolineato da Paul Bénichou, apparteneva a tutto il movimento sansimoniano, che oscillava tra una concezione dell'arte al servizio della politica e un'altra che, invece, ne faceva la guida dell'azione politica173.
Dopo la rivoluzione incompiuta del romanticismo174
, Mazzini riteneva giunto il momento di guardare avanti per procedere ad un'«opera di fondazione» il cui fine ultimo era rappresentato dalla creazione di una letteratura nazionale, da intendersi come parte della più vasta letteratura europea: si trattava di un progetto a cui pensava da tempo, almeno da quando nel 1829 aveva pubblicato D'una letteratura europea. Lo scopo della
171 In realtà, Mazzini si richiamava piuttosto al pensiero di Pierre Leroux, contestando come lui l’idea sansimoniana di una successione di epoche critiche ed epoche organiche, a cui contrapponeva la tesi del progresso come una linea ascendente, in cui i periodi di crisi non possono provocare una recessione al grado di sviluppo precedente. Circa l’influenza del pensiero di Leroux su Mazzini vedi infra. 172 Questi concetti ritorneranno, identici o con lievi variazioni, nel proemio dell'«Italiano».
173 «Tout se passe – scrive Bénichou – comme si le saint-simonisme ne pouvait pas se décider à choisir entre une conception de l'Artiste comme servant du Temple, héritée du catholicisme médiéval, et la tendance moderne qui le sacre révélateur aux dépens du dogme disqualifié. Comme modernes, comme hommes de la génération romantique, les saint-simoniens inclinent vers cette dernière vue; comme fondateurs d'une religion dogmatique, la première s'impose nécessairement à eux» (P. Bénichou, Le
sacre de l'écrivain, in Romantismes français, vol. I, p. 719).
174 Nella lettera a Rosales, Mazzini scriveva tra l'altro: «Il Romanticismo, struggendo il vecchio edificio e riconsacrando gli ingegni dalla servitù della imitazione alla primitiva indipendenza, alla libera potenza di creazione, ha spianato la via: poi s'è ritratto, perché, privo d‘un concetto unitario, il Romanticismo era impotente a cacciare le basi del nuovo edificio». Su questo aspetto della polemica anti-romantica di Mazzini torneremo anche nel cap. 3.
nuova rivista, quindi, come suggeriva il titolo e come aveva già scritto anche Agostino, era l'istituzione del «dogma della Letteratura Europea». Coerentemente con lo stile profetico che pervadeva il testo, la tappa finale di questo cammino veniva descritta ricorrendo ad un'immagine religiosa, simboleggiata dal «Pantheon di tutte le letterature nazionali». Per la sua edificazione, però, era necessario un lavoro di ricerca preliminare, che consisteva nel «raccogliere, dalla nostra e da tutte le straniere letterature, elementi all'innalzamento di questo Pantheon», scopo che, appunto, la nuova rivista si prefiggeva.
La necessità di questo lavoro di ricerca sulle letterature nazionali spiega, dunque, la ragione di una rivista che, nelle sue fasi preliminari, avrebbe dovuto chiamarsi appunto «Rivista della Letteratura Europea» e che solo in seguito a una serie di vicissitudini prese per titolo «L'Italiano». Questo cambiamento – di cui più avanti renderemo conto – non pregiudicherà la dimensione europea che contraddistingueva il programma originario. Una conferma della natura sovranazionale dell'«Italiano», infatti, si trova in una lettera inviata da Mazzini a Enrico Mayer nel gennaio del 1837, a pochi mesi dalla fine della breve esperienza del giornale parigino, e poco dopo l'inizio del suo esilio a Londra. In questa lettera, oltre a richiamare le ragioni ideologiche che lo avevano condotto ad intraprendere la pubblicazione di un giornale di critica letteraria (da lui chiamata «critica educatrice»), Mazzini ribadiva l'urgenza di un'operazione d'indirizzo culturale che «L'Italiano» non aveva potuto che abbozzare:
Il primo lavoro da farsi – scriveva Mazzini – è un rendiconto, un bilancio delle condizioni attuali; sapere a che punto s'è dentro e fuori: fuori specialmente, perché
se oggi la letteratura debb'essere nazionale nell'intento e nella forma, certo dev'essere europea nella sostanza e nei principi generatori. Perché l'Italia possa sperare quando che
sia un'iniziativa di nuova letteratura da conoscere l'Europa letteraria. A conoscerla non bastano alcune traduzioni o notizie di fatto isolate, sconnesse. È necessario entrar più addentro nello studio dei capolavori stranieri che non s'è fatto finora; ridurli a tendenze: estrarne l'idea; anatomizzarla, studiando; non imitarla servilmente o rifiutarla in tutto e per tutto come oggi s'usa. Bisogna, insomma, fondare
una critica italiana sulla letteratura straniera175.
Ecco dunque chiaramente esplicitato l'intento programmatico da cui muoveva la pubblicazione del nuovo giornale: la fondazione di una critica
italiana da attuarsi grazie alla conoscenza, al confronto e al dialogo con le
altre letterature europee.