1 Un giornale per la nazione italiana
1.2. Il ruolo della stampa e della letteratura nel disegno politico mazziniano
Il contesto storico in cui si colloca la fondazione dell'«Italiano» è quello successivo alla fallimentare seconda spedizione di Savoia, organizzata nel febbraio del 1834. Dopo l'espulsione dalla Francia122, Mazzini aveva trovato
119 Circa lo schema storiografico che faceva coincidere primato e decadenza, rimandiamo a un testo che a nostro avviso costituisce il punto di partenza di ogni riflessione sulla cultura del Risorgimento: ci riferiamo a Giulio Bollati, L'italiano, in Storia d'Italia, a cura di C. Vivanti e R. Romano, vol. I, I caratteri
originali, Torino, Einaudi, 1972, ripubblicato poi, insieme ad altri saggi in L'italiano. Il carattere nazionale come storia e come invenzione, Torino, Einaudi, 1983. Si vedano inoltre Marziano Guglielminetti,
«Decadenza» e «progresso» dell'Italia nel dibattito fra classicisti e romantici, in La Restaurazione in Italia.
Strutture e ideologie, Atti del XLVII Congresso di Storia del Risorgimento italiano, Roma, 1976, pp. 252-
296 e, a noi più vicino, Stefano Jossa, Nella terra di Dante, in AA.VV., Letteratura, identità, nazione, a cura di Matteo di Gesù, Palermo, :duepunti edizioni, 2009, pp. 43-58.
120 L'Italiano. Giornale letterario. Prospetto, BNCF Carte Vieusseux, 1, 2.
121 Cfr. Anne O'Connor, L'Italia: La Terra dei Morti?, in «Italian Culture», vol. 23, 2005, pp. 31-50. Su questi aspetti relativi alla discussione sull'identità italiana si rinvia al cap. 3.
122 Il governo francese era sulle tracce di Mazzini già dal maggio 1832, quando un esule italiano aveva ucciso a Rodez due compatrioti sospettati di essere delle spie e la vedova di uno dei due aveva accusato Mazzini di essere il mandante dell'omicidio. Nell'agosto del 1832 Mazzini ricevette l'ordine di lasciare la Francia e fu solo nei primi giorni del luglio 1833 che lasciò Marsiglia insieme a Giuditta
rifugio in Svizzera e, a seguito di una serie di spostamenti, si era stabilito a Grenchen, un villaggio di un migliaio di abitanti nel cantone di Soleure. Qui condivideva la quotidianità della sua vita di esule con Agostino Ruffini e Antonio Ghiglione, due giovani (Agostino aveva allora ventidue anni, Ghiglione ventitré) a cui era legato da un rapporto di lunga data, risalente ai tempi di Genova, e che nel caso di Agostino aveva l'aspetto di un'amicizia fraterna. Ai tre, poi, si univa spesso anche il fratello di Agostino, Giovanni e Angelo Usiglio , che allora risiedevano a Berna. Tra il 1833 e il 1836 – anni che coincidono con la permanenza di Mazzini in Svizzera – questo piccolo gruppo di esuli dette vita ad un sodalizio culturale, oltreché politico, da cui sorsero una serie di progetti letterari e a cui si deve la nascita del giornale parigino.
Nella strategia politica mazziniana, la pubblicazione di un giornale non significava né un ripiegamento, né una rinuncia all'azione: fin dal suo primo apprendistato politico, l'impegno sul versante pubblicistico e letterario era stato concepito da Mazzini come parte di un disegno più vasto, in cui alla letteratura e alla stampa era assegnata una funzione militante, come mostrano le esperienze giornalistiche della fine degli anni Venti, dapprima con l'«Indicatore genovese», quindi con l'«Indicatore livornese», entrambi soppressi dalla censura. Non è un caso, quindi, come sottolineato da Alessandro Galante Garrone, che negli anni Trenta-Quaranta Mazzini fosse «il più grande ispiratore o stimolatore di tutta la stampa periodica dell'emigrazione politica italiana»123. Ben consapevole del potere della stampa, per Mazzini i giornali rappresentavano uno strumento di cui servirsi per condurre una battaglia ideologica, volta a formare, indirizzare e organizzare l'opinione pubblica.
In un articolo che precedette di poco l'uscita del primo numero dell'«Italiano», Sulla missione della stampa periodica (1836), analizzando il ruolo ricoperto dalla stampa nella società europea della Restaurazione, Mazzini la definiva la «sola potenza dei tempi moderni», che si poneva «come interprete
Sidoli e ai fratelli Ruffini per dirigersi a Ginevra. Cfr. Roland Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come
religione civile Bari, Laterza, 2005 (I ed. 1997).
123 A. Galante Garrone, F. Della Peruta, La stampa italiana del Risorgimento, in Valerio Castronovo, Nicola Tranfaglia, Storia della stampa italiana, Laterza, Roma-Bari 1979 p. 165.
fra il Popolo ed il Potere»124
. Nella sua concezione, poi, questo ruolo di mediazione tra il potere e le classi popolari era da considerarsi, più in generale, una prerogativa della funzione critica che spettava agli intellettuali. Sin dalle prime esperienze giornalistiche, la letteratura si era posta al centro degli interessi di Mazzini125
. Nei paragrafi che seguono concentreremo la nostra attenzione sul disegno di politica culturale elaborato da Mazzini nella seconda metà degli anni Trenta e sul ruolo assegnato all'«Italiano», ma desideriamo qui anticipare alcune coordinate interpretative che ci permetteranno di inquadrare fin d'ora il suo progetto letterario, anche in rapporto alla vicenda del giornale.
Le prime fasi di elaborazione della concezione teorica mazziniana maturarono in quel clima culturale che era parte della generale reazione spiritualista alle correnti filosofiche del XVIII sec. e risentiva dell'influenza del romanticismo tedesco, in particolare delle riflessioni dei fratelli Schlegel. Il pensiero del giovane Mazzini, che si era sviluppato a contatto con le teorie di Condorcet126, si arricchì anche grazie al confronto con i testi dello storicismo romantico, che sostenevano l'influenza del contesto storico, politico e sociale sulla letteratura. La lettura dell'opera di Mme de Staël, di Sismondi, Herder, Salfi e Ginguené (documentata dai continui riferimenti a questi autori presenti nello Zibaldone giovanile127) fornì a Mazzini lo schema interpretativo su cui edificare un sistema che vedeva nella letteratura il prodotto della storia, frutto di un «segreto vincolo, che connette l'indole e i progressi delle lettere colle vicende del viver civile e politico», come scriveva nel saggio D'una letteratura europea, apparso sull'«Antologia» nel 1829128.
Alla fine degli anni Venti, a rendere più mossa e articolata questa base teorica, si aggiunsero le sollecitazioni stimolate dalla filosofia francese
124 Giuseppe Mazzini, Sulla missione della stampa periodica, in «Jeune Suisse», gennaio 1836. Anche nel saggio D'una letteratura europea (1829), Mazzini aveva accennato alle trasformazioni a cui aveva dato luogo l'avvento della stampa, che aveva contribuito a rendere più facili gli scambi tra i popoli. 125 Al progetto culturale e letterario elaborato da Mazzini negli anni Trenta è dedicato il terzo capitolo di questo lavoro e ad esso si rimanda per un'analisi più dettagliata. Sui rapporti tra Mazzini e la letteratura esiste una letteratura critica piuttosto consistente e rimandiamo alla bibliografia riportata in fondo al presente lavoro.
126 L'Esquisse d'un tableau historique des progrès de l'esprit humain rappresentò per Mazzini una lettura fondamentale, tale da esercitare un'influenza duratura sul suo pensiero. Si veda quanto egli stesso ne scrive nelle Note autobiografiche, quando racconta che da adolescente portava l'Esquisse a messa, camuffandolo da breviario. Cfr. Giuseppe Mazzini, Note autobiografiche, a cura di Roberto Pertici, Milano, Rizzoli, 1986.
127 Giuseppe Mazzini, Zibaldone giovanile, a cura di A. Codignola, Imola, Galeati, 1967. Per l'analisi di questi scritti si rimanda a Francesco Luigi Mannucci, Giuseppe Mazzini e la prima fase del suo pensiero
letterario. L'aurora di un genio, Milano, Casa editrice Risorgimento, 1919, in cui l’autore prende in esame
quello che definisce il «substrato critico» dell'attività letteraria di Mazzini.
dell'incivilimento e dal neoplatonismo, che permisero a Mazzini di arricchire le sue riflessioni sulla storia e sul ruolo riservato alla letteratura nel processo di civilisation. Insieme agli altri giovani intellettuali dell'«Indicatore genovese», Mazzini fu un appassionato lettore dei corsi di Guizot e di Cousin che, pubblicati nel 1828, riscossero un notevole successo anche in Italia. Fu, quindi, grazie alla mediazione delle principali riviste europee – la «Revue Encyclopédique», il «Globe» e la «Revue des Deux Mondes» - che Mazzini poté entrare in contatto con l'eclettismo129 e, successivamente, con il pensiero dei sansimoniani130. Se, in seguito alla delusione e al disincanto che avevano colto i democratici all'avvento della Monarchia di Luglio, anche Mazzini si allontanò dal pensiero dei doctrinaires, considerati ormai gli ideologi della politica del juste milieu promossa dal governo orleanista131
; le riflessioni sull'arte prodotte nell'ambiente sansimoniano, invece, continuarono a esercitare su di lui un'influenza duratura, in particolare per ciò che riguardava il concetto di arte sociale, così come era stato concepito da Pierre Leroux sin da una serie di articoli usciti nel 1831 sulla «Revue Encyclopédique», De la poésie de notre époque132.
Sebbene il pensiero letterario di Mazzini continuasse a trasformarsi e ad arricchirsi anche nel corso degli anni seguenti, alcuni assunti resistettero
129 Sull'influenza del pensiero di Victor Cousin nel Risorgimento si rimanda al saggio di Salvo Mastellone, Victor Cousin e il Risorgimento italiano (dalle carte dell'Archivio Cousin), Firenze, Le Monnier 1955. Per una ricostruzione della temperie culturale francese nel periodo che qui prendiamo in esame si vedano in particolare Paul Bénichou, Le Sacre de l'écrivain (1750-1830). Essai sur l'avènement d'un
pouvoir spirituel laïque dans la France moderne (1973) seguito da Le temps des prophètes, doctrines de l'âge romantique, (1977), raccolti ora in Romantismes français, vol. 1, Paris, Gallimard, 2004. Nelle Note autobiografiche, Mazzini ricorda gli anni «nei quali ci venivano, aspettate con ansia, di Francia, le lezioni
storiche di Guizot e le filosofiche di Cousin, fondate su quella dottrina del Progresso che contiene in sé la religione dell'avvenire, che splendeva, rinata da poco, nei discorsi eloquenti di quei due e che non prevedevamo dovesse miseramente arrestarsi un anno dopo all'ordinamento della borghesia e alla carta di Luigi Filippo» (p. 26). Sull'«Indicatore genovese» del 4 ottobre 1828, Lorenzo Damaso Pareto recensì il Cours de philosophie di Cousin.
130 Sul sansimonismo in Italia e sui rapporti intrattenuti da Mazzini con quella corrente di pensiero si rinvia a: Renato Treves, La dottrina sansimoniana nel pensiero italiano del Risorgimento, Torino, Giappichelli, 1973; Leonardo La Puma, Il socialismo sconfitto. Saggio sul pensiero politico di Pierre Leroux e
Giuseppe Mazzini, Milano, Franco Angeli, 1984; Riccardo Faucci, Antonella Rancan, Transforming the economy: Saint-Simon and his influence on Mazzini, in «History of Economics Ideas», Pisa, XVII/2009/2,
pp. 79-105. Pur non riguardando direttamente Mazzini, è comunque da tenere presente il volume di Francesco Pitocco, Utopia e riforma religiosa nel Risorgimento. Il sansimonismo nella cultura toscana, Bari, Laterza 1972, perché chiarisce molti aspetti relativi alla ricezione del sansimonismo in Italia. Si veda, inoltre, Mirella Larizza Lolli, II Sansimonismo (1825-1830), Un'ideologia per lo sviluppo industriale, Torino, Giappichelli, 1975.
131 Giunto in Francia, Mazzini può vedere da vicino i suoi modelli, e ne riceve un'amara delusione: quei filosofi non sono che dei moderati (vedi S. Mastellone, Victor Cousin …, op. cit., p. 36). La formulazione di una condanna esplicita dell'eclettismo la troviamo in Foi et Avenir, la brochure politica scritta da Mazzini nel 1835, dove tra l'altro si legge: «Noi respingiamo ogni dottrina di eclettismo e di transizione, ogni formola imperfetta e senza vita contenente l'esposizione d'un problema senza tentativo per scioglierlo: ci separiamo da ogni scuola tendente a congiungere vita e morte e a rinnovare il mondo con una sintesi estinta».
132 Pierre Leroux, De la poésie de notre époque, «Revue Encyclopédique», agosto, novembre e dicembre 1831.
immutati, a costituire le basi della sua teoria della letteratura: li analizziamo brevemente perché ci permettono di comprendere meglio la politica culturale promossa sulle pagine dell'«Italiano».
L'ossatura della concezione letteraria di Mazzini poggiava su una visione della storia che cercava di unire in un tutto coerente movimento storico e provvidenza 133 , nel tentativo di fare della rivelazione di Dio una manifestazione nel tempo: da ciò derivava una sorta di religione civile e aconfessionale, che ai dogmi del cattolicesimo sostituiva gli ideali di libertà, uguaglianza e progresso134. Per rendere operativi questi ideali e farne il patrimonio della collettività, Mazzini reputava essenziale l'opera degli artisti e il ricorso alla funzione critica degli intellettuali: il concetto di “critica” va inteso qui in senso largo, come attività di indirizzo culturale e politico, che ha come suo fine ultimo quello di rivelare le leggi (l'ideale) che si nascondono dietro alla realtà storica multiforme e complessa, indicando le tendenze135 da seguire e quelle da respingere.
Tanto il poeta che il critico, quindi, dovevano porsi al servizio della società: la funzione etico-civile che Mazzini assegnava alle lettere, se da un lato risentiva del magistero foscoliano136 – modello con cui egli si confronterà lungo tutta la sua carriera – al tempo stesso si era arricchita grazie alle riflessioni dei sansimoniani sul ruolo sociale dell'arte.
133 Su questo punto si rimanda all'analisi dell'idealismo mazziniano proposta da Nicola Badaloni e ripresa anche da Voza, che fra l'altro sottolinea il «protagonismo apostolico e missionario della cultura» nel pensiero di Mazzini: Nicola Badaloni, L'idealismo mazziniano, in Storia d'Italia, La cultura, vol. III, Dal primo Settecento all'Unità, Torino, Einaudi, 1973, pp. 962-96 e Pasquale Voza, Letteratura e
rivoluzione passiva. Mazzini, Cattaneo, Tenca, Bari, Dedalo libri, 1978, pp. 15-74. Sulla religione civile di
Mazzini, si segnalano gli studi di Simon Levis Sullam, e in particolare: «Fate della rivoluzione una
religione». Aspetti del nazionalismo mazziniano come religione politica (1831-1835), in «Società e storia»,
ottobre-dicembre 2004, pp. 703-730; Id., «Dio e il Popolo»: la rivoluzione religiosa di Giuseppe Mazzini, in
Storia d'Italia, Annali 22, 2007; Id., L'apostolo a brandelli. L'eredità di Mazzini tra Risorgimento e fascismo,
Bari, Laterza, 2010. 134 Cfr. cap. 3.2.
135 Il concetto di tendenza appartiene al linguaggio tecnico mazziniano e serve a designare tanto le forme transitorie che la letteratura assume all'interno di un particolare periodo storico, che possono essere sia retrograde, che progressive; quanto il vero movimento progressivo della storia, che spetta agli intellettuali individuare. Nello scritto Della Giovine Italia, risalente al 1832, Mazzini precisa inoltre che «le tendenze non nascono a caso, non prevalgono per capriccio di pochi: emergono da' bisogni, trionfano col voto dei più». Il termine, poi, ricorre in molti altri dei suoi scritti: in D'una letteratura
europea (1829); nel Saggio sopra alcune tendenze della letteratura europea nel XIX secolo (1829); nell'articolo Del romanzo in generale e anche dei Promessi Sposi (1830-1831). Altri riferimenti, poi, si trovano nel saggio
sulla Fatalità come elemento del dramma, nella prefazione al Ventiquattro Febbraio, ecc.
136 Accanto a Dante, Foscolo rappresentava un riferimento imprescindibile per Mazzini e per la sua concezione militante della letteratura: Foscolo, infatti, era colui che gli aveva insegnato «la connessione delle lettere col viver civile» (cfr. l'introduzione di Mazzini all'edizione luganese degli Scritti politici
inediti di Foscolo). Il mito foscoliano alimentato da Mazzini mirava a farne un modello per i giovani
italiani ma, come sottolineato da Christian Del Vento, soltanto dopo averlo depurato «dalla matrice illuministica e materialistica del suo pensiero» (cfr. Christian Del Vento, Un allievo della rivoluzione. Ugo
La direzione del progresso, per Mazzini, muoveva verso lo sviluppo della socialità e, nel momento storico attuale, assumeva l'aspetto particolare di una lotta per l'affermazione delle nazionalità oppresse. Il pensiero mazziniano – sorto in seno alla temperie culturale dell'età della Restaurazione e cresciuto grazie al confronto continuo con le principali correnti di pensiero europee – inscriveva la lotta nazionale in una dimensione europea, in cui lo scambio e la contaminazione tra le diverse culture avrebbero consentito l'acquisizione di un'identità politica, oltre che culturale137. Nell'articolo D'una letteratura
europea138, Mazzini parlava di una «tendenza europea» che doveva essere assecondata, per cui ogni letteratura nazionale
quando non voglia condannarsi alle inezie – dovrà inviscerarsi in questa tendenza, aiutarla, dirigerla – dovrà farsi europea.
Appare chiaro, tuttavia, come questa dimensione sovranazionale rappresentasse soprattutto un'aspirazione, un ideale a cui tendere solo una volta compiuto il rinnovamento della letteratura nazionale. Nella visione di Mazzini, infatti, il confronto con le altre tradizioni letterarie era funzionale all'auspicato processo di rinnovamento della letteratura italiana, che costituiva il fulcro del suo progetto: sollevare il proprio sguardo oltre i confini nazionali, ma per tornare poi a concentrarlo su di sé, rinnovato grazie al contatto con le altre letterature.
La nuova letteratura, allora, se non voleva essere un vuoto esercizio formale, esiliandosi dalla società e dalla storia, doveva diventare una letteratura sociale, nazionale, europea e popolare.