1.10 «Bisogna dunque riporsi in via»
1.11. La breve stagione dell'«Italiano»
Pure in mezzo alle difficoltà legate alla distribuzione, alla censura e alla scarsità di mezzi economici, «L'Italiano» sembrava lentamente riuscire ad affermarsi e dopo il primo mese cominciavano ad arrivare le prime associazioni. Nel luglio del 1836, però, si verificò un episodio che risultò fatale per le sorti del giornale: Antonio Ghiglione, infatti, fu arrestato a Parigi dalla polizia francese.
Per leggere questa vicenda ricorreremo alle testimonianze dirette dei suoi protagonisti. La notizia cominciò a diffondersi subito dopo l'arresto e il 15 luglio 1836, in una lettera alla madre, Agostino scriveva:
Mauvaises nouvelles, ma toute bonne: la cousine a été arrêtée à Paris. Pourquoi? On ne sait, probablement à cause de certaines irrégularités dans ses papiers. Je trouve pourtant qu'on y va un peu lestement. Nous avons appris la nouvelle hier par Frédéric dont voici une lettre pour sa mère. On croyait que la cousine allait être mise en liberté tout de suite, et que sauf l'ennui rien de mal ne lui pouvait arriver. C'est ce dont je suis sûr moi-même, par conséquent je suis très tranquille là-dessus, et je compte de recevoir demain ou après demain au plus tard la nouvelle de son affranchissement. J'ai voulu t'en parler afin de te prémunir contre les exagérations,
qui ne font jamais défaut, en pareille occasion. Je sais positivement que la cousine n'a rien à se reprocher, et qu'elle ne court aucun danger.256
Le ragioni dell'arresto erano probabilmente dovute a irregolarità nei documenti di Ghiglione e i mazziniani si mostravano fiduciosi in una rapida soluzione della vicenda.
Dal canto suo, Ghiglione, dal carcere mostrava di preoccuparsi del buon andamento del giornale, come testimonia una lettera da lui inviata a Tommaseo, per pregarlo di sostituirlo negli incarichi redazionali. Si tratta di un biglietto inedito, risalente alla metà di luglio del 1836:
Monsieur – scriveva Ghiglione – Comme ma détention se prolonge d'une manière que jamais je n'aurais sû prévoir, j'ose vous prier, Monsieur, malgré le peu de connaissance qui passe entre nous, de vouloir bien vous charger des soins de mon journal – L'Italiano – pour le numéro qui doit paraître à la fin du mois. Je vais en prévenir mon associé, afin que pour ce qui concerne la redaction, il s'en rapporte entièrement à vous. Ayant mes papiers saisis, je vous prie, dans le cas qu'il manque matière pour ce numéro, de remplir la lacune avec quelqu'un de vos manuscrits. Veuillez pardonner cette peine que je vous donne à ma circonstance, et me croire sincèrement penetré d'estime et d'affection à votre égard. Je suis, Monsieur, Votre devoué Antoine Ghiglione, Préfecture de Police, 17 juillet 1836.257
A rendere ancora più precario il destino del giornale, poi, si aggiunsero le persecuzioni che da qualche mese Mazzini e i due Ruffini erano costretti a subire da parte del governo svizzero, che su pressione dell'ambasciatore francese Montebello, aveva decretato l'espulsione degli esuli dalla Confederazione. Tommaseo ne dava notizia a Vieusseux in una lettera del 26 luglio:
256 Agostino alla madre, 15 luglio 1836, vedi A. Codignola, I fratelli Ruffini, op. cit., p. 215. La «cousine» è Ghiglione, mentre Frédéric deve essere Federico Rosazza. La lettera è pubblicata anche da C. Cagnacci, Giuseppe Mazzini e i fratelli Ruffini. op.cit., pp. 116-117, che riteneva che in questa lettera Ruffini usasse un linguaggio cifrato e che il vero contenuto non fosse l'arresto della “Cugina”, ma altro. È interessante riportare anche la reazione di Maria Mazzini alla notizia: «Vedo purtroppo le sevizie generali! Anco a Parigi arrestato l'autore del dramma. Eh, che si tocca con mano la gran motrice verità di tutto codesto procedimento infame, quella cioè di spegnere le penne che sanno conoscere e dire la verità» (lettera del 23 luglio 1836, in Giuseppe Mazzini, Lettere di familiari e amici. 1834-1839, a cura di Sofia Gallo ed Enrica Melossi, Imola, Galeati, 1986, p. ).
Il Mazzini co' suoi due soci sono braccati in Isvizzera d'un modo crudele. Il Giornale, interprete loro, è morto. [...] Non possono mettere il naso fuori dal loro nascondiglio. E nondimeno scrivono, e sperano. Se tanta energia fosse a meglio! Con tutte le ragazzate, convien pur dirlo, il Mazzini è ammirabile. [...] Gli scrissero di qui, ch'io non amo il suo stile (vero), né lui (falso). […] Il Ghiglione, autore dell'Alessandro de' Medici (poca cosa, ma molta a petto all'Alessandro del veterinario Gherardi258) fu carcerato a Parigi: né valsero mediazioni; lo tennero lì più di quindici
giorni: poi lo cacciarono di Francia. E senza dire il perché259.
L'11 agosto, sulla vicenda Ghiglione, Agostino aggiornava la madre, informandola del suo rilascio, avvenuto il 25 o il 26 luglio260. La liberazione del giovane mazziniano era stata possibile, pare, grazie all’intervento di A. de Vigny in persona.261 A quanto si diceva, le autorità francesi avevano imposto a Ghiglione l'obbligo di abbandonare la Francia, ma in realtà, egli non lasciò Parigi, continuando invece a risiedere sul suolo francese per molti anni ancora.262
È probabile che, una volta scarcerato, il giovane avesse appreso di essere stato estromesso da Accursi da quello che riteneva essere anche il suo giornale. Da una serie di accenni sparsi nelle lettere, infatti, ci sembra di poter evincere che Accursi, approfittando dell'assenza di Ghiglione, si fosse impossessato definitivamente della guida del giornale.
Così Tommaseo riferiva a Capponi circa gli sviluppi di questa vicenda:
258 Si trattava di Giuseppe Gherardi (Arezzo 1794 – Firenze 1866), in esilio a Parigi dal 1831, e appartenente all’ala più radicale degli esuli, quella che gravitava attorno a Filippo Buonarroti. In contatto con Mazzini, nel 1833 divenne segretario della Società dei Veri Italiani. È l'autore di due drammi storici, Bianca Cappello (1833) e Alessandro de' Medici (1835) e, sotto questa veste, avremmo occasione di riparlarne nel cap. 4. Per la bibliografia si rimanda alla voce curata da Giuseppe Monsagrati sul Dizionario Biografico degli Italiani.
259 Tommaseo a Vieusseux, Carteggio inedito ..., op. cit., p.155. Sulla drammaticità della situazione che Mazzini stava vivendo, si può leggere la sua lettera ad Anne Courvoisier risalente all’agosto di quell’anno: «Le n. 3 de l'Italien vous est-il parvenu? J'ai écrit pour qu'on vous l'adresse directement de Paris. Veuillez me dire si on le fait. Je n'ai pas pu le lire moi-même. L'envoi nous en a été retardé. Vous voudrez bien garder l'Italiano comme une sorte de souvenir. Les articles que j'y écris, sont signés E.J. Il doit y avoir dans le troisième numéro quelque chose sur l'avenir de la musique, et je regrette beaucoup de ne pouvoir entendre votre jugement sur des idées que j'ai à peine ébauchées; mon style est passablement obscur, et, de plus, la langue italienne n'est pas encore faite au genre d'idées que je cherche à exprimer. Dans le 4, il y aura probablement un acte de Die Schulde par Mullner traduit par mon ami Augustin. Nous travaillons, Dieu sait comment, sans livres, sans tranquillité, sans calme, et sans mouvement, sans ciel, sans musique; le peu de facultés que j'avais, s'en va. Nous penserons ailleurs» (Epistolario, vol. II, SEI, pp. 57-58).
260 Cfr. C. Cagnacci, Giuseppe Mazzini e i fratelli Ruffini ..., op. cit., pp. 125-126. 261 Cfr. Jean-Pierre Lassalle, Alfred de Vigny, 2010, p. 232.
262 Lettera di Mazzini alla madre dell'1 settembre 1836: «Una cosa ch'io m'era dimenticata sempre di dirvi, è che l'autore del dramma, ch'io v'avea detto essere andato a Londra, ha ottenuto di rimanersi in Parigi, non so se provvisoriamente o definitivamente» (SEI, Epistolario, V, p. 86).
L'Italiano comincia a patire. L'Accursi si separò dal Ghiglione, al quale aveva
promesso cento franchi al mese; e poi, vedendo ch'e' poteva far senza di lui, li negò. Tutti dicono l'Accursi romano nell'ossa, e speculatore: ma in queste cose più specula chi meno specula, come in tutte.263
Intorno al mese di ottobre, poi, tra gli esuli cominciò a circolare la voce che a Roma qualcuno aveva inviato una lettera anonima con i nomi dei collaboratori del giornale.
Fu scritta a Roma di qui lettera anonima, – scriveva Tommaseo a Capponi – dati i nomi degli scriventi nell'Italiano, e le sigle corrispondenti, con altri nomi di chi non ci scrive; detto, ci badino; il giornale, approfittando del facile adito aperto, piglierebbe a un tratto spiriti politici violenti, e scoppierebbe, a guisa di bomba, nel Campo vaccino. L'editore non dispera coprire la spesa, e vuol seguitare per ora.264
Non passò molto tempo, quindi, che Ghiglione, probabilmente poggiando anche su questa voce messa in circolo non sappiamo da chi, lanciò contro Accursi l'accusa di essere una spia. Secondo il racconto fatto da Tommaseo a Vieusseux:
Il Ghiglione, [...] adontato del modo come l'Accursi si sgabellò di lui, fecesi accusatore d'esso Accursi; e [...] trovò quelli della «G. Italia» disposti a credere e a soffiare nel fuoco. C'è chi difende l'Accursi [...]. Questi non si fa più vedere né a me né ai soliti. Ma s'eglino dimostrano che l'Accursi è birbante, dimostrano insieme sé esser stati coglioni; cosa che di nuove dimostrazioni non ha oramai di bisogno265.
La comunità degli esuli sembrava, dunque, condannata a continue divisioni e fratture. Anche in questo, caso l'accusa mossa da Ghiglione nei confronti di Accursi decise della sorte del giornale che, già assai precaria, ne risultò definitivamente compromessa. Tra i collaboratori dell'«Italiano» e tra i suoi fiancheggiatori ci fu chi prese posizione a favore dell'uno o dell'altro e chi invece preferì non pronunciarsi. Quando la voce giunse a Mazzini, questi
263 Tommaseo a Capponi, 12 [-17] agosto 1836, op. cit., p. 460. Vedi anche la lettera dell'11[-14] ottobre 1836: «L'Accursi da molti si grida essere spia: perché non si sa di dove pigli i danari, e perché il Ghiglione sbuffa dell'essere stato soppiantato come un ragazzo. Io né affermo né nego: ma sto a vedere, e a compiangere» (N. Tommaseo, G. Capponi, Carteggio inedito ..., op. cit., p. 499).
264 Tommaseo a Capponi, 11-14 ottobre 1836, N. Tommaseo, G. Capponi ..., op. cit., pp. 481-2. 265 Tommaseo a Vieusseux, Carteggio inedito ..., op. cit., p. 177.
decise immediatamente di rompere ogni relazione con Accursi, benché non disponesse di prove certe e, invece, dubitasse delle accuse rivolte contro il direttore del suo giornale266 . In una lettera a G. Rosales, quindi, raccomandava:
[...] tu, ed ogni tuo e nostro amico sospendete, e non abbiate mai contatto alcuno politico coll'Acc. e avverti chi vuoi, ma con riguardo debito: perché dove non è luce di sole, non si può, né si deve giurare l'infamia di un uomo – e si deve cercar di salvare chi potesse cadere, sotto l'ugna.267
Interrotti i suoi rapporti con Accursi268, Mazzini decise al tempo stesso di sospendere la sua collaborazione al giornale, oltre a non prendere posizione a favore di Ghiglione: questo atteggiamento di equidistanza compromise in modo irreversibile i suoi rapporti con Ghiglione, il quale, umiliato dal mancato sostegno di Mazzini, ruppe ogni rapporto con lui personalmente, come anche con l’organizzazione politica da lui diretta.269
Quanto ai due direttori, Accursi chiese di potersi difendere pubblicamente, arrivando a sfidare Ghiglione a duello.
Così Tommaseo riassumeva la fine ingloriosa del giornale:
266 Cfr. la lettera a Melegari del novembre 1836: «Di Accursi che devo dirti? Delle accuse formolate, neppur una è veramente certa. Non lo credo traditore, non ho almeno alcun dato per crederlo tale. Non pertanto, mi hanno tanto noiato e posto in impiccio con questo pettegolezzo, e tutti appellandosi a me, ch'io ho finito per dichiarare, a scarico di coscienza, che nessuna delle accuse mi pareva fondata, e per rompere nello stesso tempo corrispondenza con ambe le parti. Così, ben inteso, ho scontentato tutti, ma non importa». (SEI. Epistolario vol. IV).
267 Giuseppe Mazzini, Lettere inedite di Giuseppe Mazzini ad alcuni de' suoi compagni ..., op.cit., p. 172. 268 Mazzini riallaccerà i rapporti con lui quando Accursi andrà a Londra nel corso del 1838 e gli fornirà delle giustificazioni tali da scolparlo ai suoi occhi. Cfr. la lettera di Maria Mazzini al figlio, dell'11 aprile 1838: «Dunque l'autore dell'Alessandro fu quello che pose lo scisma a carico di quel meschino? Ma cosa è? Fu in buona fede? Fu per malignità? O per esser forse lui anco uno dei tanti pervertiti, cambiati, comprati e che so io? La fisionomia che vidi una sol volta di tal giovine non mi ebbe nulla affatto d'accaparrante, né di simpatico! Per il meno io scorgeva un'aria d'orgoglio scientifico! Chi lo sa se sarà stato mosso da invidia? Comunque godo che siesi sventata ogni cosa a carico del vero. Ma, il ripeto, quel letterato autore non mi ebbe mai nulla di simpatico e sono assai contenta che non l'abbiate fra voi come una volta a fare il signore, mangiar bene, etc. alle vostre spalle! Può darsi che io sia ingiusta, così credendo e ragionando; ma io lo crederei così. Quello che mi fa sommo piacere egli è che il povero calunniato ottenga il buon impiego che dici! E l'avrà, lo spero» (Giuseppe Mazzini, Lettere di
familiari e amici, op. cit., vol. II, p. 492).
269 F. Della Peruta annovera Ghiglione tra i “tepidi”, che durante l'esilio si distaccarono da Mazzini: «come P. Berghini ed E. Mayer, i quali rifiutavano in sostanza di cooperare ai lavori della rinata associazione mazziniana; come il regicida mancato Antonio Gallenga, incline a sperare la libertà da un principe italiano; come A. Ghiglione, uno dei capi della congrega genovese del 1832-33, che declinava l'invito di aderire alla nuova Giovine Italia e rompeva poi i rapporti con Mazzini [...]» (F. Della Peruta,
Mazzini e i rivoluzionari, op. cit., p. 318). Nelle sue Memorie fino al 1839, Tommaseo accenna al fatto che
Ghiglione non avrebbe apprezzato la posizione equidistante assunta da Mazzini in merito alle sue accuse contro Accursi e che questa vicenda gli provocò una «lacrimevole neghittosità d'animo e d'intelletto». Tommaseo, inoltre, giudicava che, pur non ritenendo Accursi colpevole, tuttavia era chiaro come da questa vicenda egli ne fosse uscito «tinto».
L'”Italiano” è morto. Il Mazzini dichiarò non potere affermare l'Accursi spia, ma non volere più scrivere nel suo giornale. Altri confermarono il non liquet, altri non credettero mai vera l'accusa. L'Accursi chiedeva dagli accusatori dichiarazione scritta della innocenza sua: i più la negarono. Il Ghiglione, provocato a duello, disse che sì, purché all'ultimo sangue. Mutarono discorso e, grazie a Dio, non se ne fece niente. Ora il Ghiglione detto studia medicina e dai liberatori vive in tutto diviso.270
La crisi del giornale, del resto, arrivava proprio nel periodo più critico per Mazzini e i Ruffini, che tentavano invano di controbattere agli attacchi mossi loro contro dalle diplomazie europee, che si conclusero con l'ennesimo provvedimento di espulsione emesso nei loro confronti: nel dicembre del 1836, infatti, Mazzini fu costretto a lasciare la Svizzera, diretto a Londra insieme ad Agostino e a Giovanni Ruffini.
Con il fascicolo uscito il 31 ottobre del 1836 l'esperienza dell'«Italiano» si chiudeva definitivamente. Che la crisi fosse ormai insanabile era chiaro anche a Tommaseo, che scrivendo a Capponi annotava col solito pungente sarcasmo: «L'Italiano imbestialisce: che nasca dal titolo?».