2 «L'Italiano» e i rapporti con l'ambiente politico e intellettuale francese e italiano.
2.5. Libertà individuale, giustizia sociale e suffragio universale nel dibattito tra liberali e democratic
Data la sua natura di «foglio letterario», la maggior parte degli articoli dell'«Italiano» vertevano su argomenti inerenti la letteratura; ampio spazio, tuttavia, era dedicato anche ad altre materie, come testimoniano le rubriche in cui il giornale era suddiviso: critica letteraria, critica storica, critica drammatica, teatro, estetica353, documenti inediti, economia pubblica, filosofia, morale, scienza e studi orientali, studi italiani. Dedicheremo i prossimi due capitoli al progetto culturale dell'«Italiano» e all'analisi della sua proposta letteraria; nelle pagine che seguono, invece, ci concentreremo sugli scritti di argomento politico ed economico, che occupano un posto importante nell'impianto complessivo della rivista. L'analisi di questi articoli, inoltre, ci permetterà di far luce su alcuni aspetti relativi all'articolazione degli schieramenti ideologici dentro alla redazione del giornale.
Dopo la religione, e la filosofia, - scriveva Mazzini in una lettera a Melegari dell'aprile 1836 – l'Economia è tutto – e l'Economia non esiste ancora: accennami un
351 Lettera del 28 luglio 1836, in N. Tommaseo, G. Capponi, op. cit., pp. 455-6. La pretesa di «farsi incolpabile co' puntolini» rinvia alla pratica della direzione di operare dei tagli preventivi sui brani giudicati pericolosi.
352 Lettera a Capponi dell'11-[14] ottobre 1836. Il corsivo è nel testo.
353 Sotto questa etichetta viene pubblicato il saggio mazziniano sulla Filosofia della musica, che si estende per tre articoli, tra il giugno e l’agosto del 1836.
libro, su cui avviare la gioventù – è terreno vergine – forse, i San Simoniani soli ne han dato indizii354.
Gli articoli di argomento strettamente economico pubblicati sul giornale furono quattro: Alcune idee sul commercio degli italiani in Oriente, cagione e fonte
del suo incivilimento, di Un Inglese; Principi di Economia pubblica (Senior) di N.; Osservazioni sulla conversione delle rendite pubbliche nel Regno di Napoli, del
barone Corvaja; la recensione al Saggio sulla spesa privata e pubblica, di F. Canuti. Accanto ad essi, poi, vanno segnalati altri due contributi di carattere giuridico: un articolo di Tommaseo in cui recensiva un testo di Sismondi dedicato al sistema elettorale e la prolusione di G.D. Romagnosi a un suo corso di giurisprudenza.
Pur non potendo parlare di una posizione unitaria del giornale in campo politico ed economico, tuttavia, è possibile rilevare un modello comune di riferimento. Mentre sembrava più o meno condivisa l'adesione al liberismo economico, come si ricavava anche dal breve articolo di Un Inglese che celebrava la funzione civilizzatrice del commercio, i collaboratori dell'«Italiano» proclamavano al tempo stesso la necessità dell'intervento dello stato, ai fini di una più equa distribuzione delle ricchezze, contestando in tal modo quel processo di specializzazione dell'economia, che si stava affermando in Inghilterra nel corso dell'Ottocento e che tendeva a separare l'ambito di azione dell'economia da preoccupazioni di ordine politico e morale. Favorevole a una politica di assistenza sociale era, per esempio, la tesi espressa da N. nell'articolo citato sopra che recensiva il saggio di N. W. Senior. In contrasto con gli economisti inglesi – e con i loro seguaci, come Arrivabene – che contestavano l'assistenzialismo pubblico, «L'Italiano» si richiamava alla lezione di Romagnosi e alla sua «civile filosofia», che saldava diritto e morale.355 Non era un caso, quindi, che sul giornale fosse pubblicata, in due puntate, la prolusione di Romagnosi al corso di giurisprudenza teorica, dove si parlava del diritto come di uno strumento necessario per
354 Lettera del 14 aprile 1836. G. Mazzini, SEI, vol. XI, Epistolario, vol. IV, p. 314.
355 N. Badaloni, L'incivilimento di Romagnosi, in Storia d'Italia, La cultura, vol. III, Dal primo Settecento
all'Unità, Torino, Einaudi, 1973, pp. 941-944. Per un quadro d’insieme sul pensiero economico italiano
nell’Ottocento si rinvia a Roberto Romani, L'economia politica del Risorgimento italiano, Torino, Bollati Boringhieri, 1993.
«pareggiare fra i privati l'utilità mediante l'inviolato esercizio della comune libertà».356
Fin dagli anni Venti il problema della proletarizzazione causata dai processi d’industrializzazione, e delle tensioni sociali che potevano derivarne aveva suscitato anche in Italia l'attenzione di una parte dell'ambiente intellettuale e sulle maggiori riviste erano comparsi numerosi articoli che proponevano approcci diversi alla questione, spesso reagendo alle tesi dei pensatori sansimoniani.357 Sulle pagine dell'«Italiano», la questione del pauperismo era agitata nell'intervento di Corvaja a sostegno della bancocrazia, il sistema finanziario da lui teorizzato e fondato sulla nazionalizzazione delle banche, per mezzo del quale il barone siciliano auspicava la realizzazione di un progetto di riforma sociale che risentiva di influssi sansimoniani.358 Per mezzo della bancocrazia, Corvaja si proponeva di «diminuire i proletarii», ciò che avrebbe avuto come conseguenza quella di «far disertare le file degli agitatori» e rendere più stabile lo Stato e il governo.
Influenze sansimoniane – rintracciabili anche nel pensiero di Mazzini, soprattutto riguardo al concetto di associazione – si affiancavano a quelle del pensiero economico italiano, che veniva richiamato, per esempio, nella recensione di F. Canuti.359 Questi, infatti, celebrava la stagione delle riforme compiute nel corso del Settecento nel campo della «scienza della legislazione» (e citava quindi Beccaria, Filangieri, Genovesi, Verri e Galiani), i cui effetti avevano influenzato non solo la storia italiana ma quella
356 Giandomenico Romagnosi, Documenti inediti. Orazione inaugurale di Romagnosi al corso di
giurisprudenza teorica (I), in «L'Italiano», fasc. 3, luglio 1836, p. 111.
357 Pensiamo soprattutto a Ribellioni d'operai in Inghilterra, pubblicato sull'«Antologia »nel 1826 e a Del
pauperismo britannico scritto da Romagnosi sugli «Annali Universali di Statistica» nel 1829. Echi
sansimoniani sono rintracciabili anche nello scritto di R. Lambruschini risalente al 1833, Del problema
del pauperismo, che avrebbe dovuto uscire sull'«Antologia», ma che non poté poi apparire in seguito alla
soppressione della rivista. Rispetto alla questione della proletarizzazione della società, Lambruschini dichiarava che si trattava di un problema sentito da tutta l'Europa e che «se un sentimento di generosa benevolenza non ci movesse a provvedere ai mali dei popoli, dovrebbe almeno spingerci a ciò una prudenza …» (cfr. Scritti pedagogici di Raffaello Lambruschini, a cura di Guido Verucci, Torino, UTET, 1974 , pp. 19-20).
358 Bar. C. [barone Giuseppe Nicola Corvaja], Economia pubblica – Osservazioni sulla conversione delle
rendite pubbliche nel Regno di Napoli, in «L'Italiano», fasc. 5, settembre 1836, pp. 224-6. Treves contestava
l'adesione di Corvaja al sansimonismo perché, diversamente dai sansimoniani, egli proponeva un sistema che non voleva sovvertire l'ordine sociale. Cfr. Renato Treves, La dottrina sansimoniana nel
pensiero italiano del Risorgimento, seconda edizione ampliata con l'aggiunta di un nuovo saggio
dell'autore e di un saggio di Guido Maggioni, Torino, Giappichelli, 1973, pp. 149-152.
359 F.C. [Filippo Canuti], Economia Pubblica. Saggio sulla spesa privata e pubblica. Dialoghi di T. Della Valle.
dell'Europa intera360
, per estendersi, nel corso del XIX sec., all'opera di autori come M. Gioia, G. Pecchio e Romagnosi. Nella lettura fattane da Canuti l'eredità di quella stagione fertile era stata quindi raccolta da una serie di giornali che alimentavano in quel tempo «una felice tendenza di progresso»361
: gli «Annali universali di statistica» di Lampato; il «Progresso» di Napoli; il «Giornale Agrario» di Firenze; gli «Annali Civili del Regno delle Due Sicilie» e la «Biblioteca Economica Italiana» di Napoli.
Accanto a Romagnosi, agli «Scrittori classici italiani di economia politica»362 e agli influssi sansimoniani, c'era un altro pensatore col quale una parte dei collaboratori dell'«Italiano» manteneva aperto il dialogo, per quanto in mezzo a numerosi contrasti: si trattava di Simonde de Sismondi. Il ginevrino era particolarmente caro ai fiorentini del Vieusseux per la sua proposta di un sistema anti-industriale che tesseva le lodi del sistema mezzadrile (Nouveaux principes d'économie politique, 1819); ma anche quanti non accettavano il suo modello economico, si riconoscevano tuttavia nei rilievi critici da lui mossi contro l'industrialismo. Nel 1831, subito dopo essere partito per l'esilio, anche Mazzini si era fermato a Ginevra per conoscere Sismondi e negli anni seguenti aveva tentato a più riprese di coinvolgere il ginevrino nel progetto della Giovine Italia, chiedendogli anche di collaborare al giornale. Sismondi, però, si era sempre rifiutato perché giudicava il giornale troppo militante e perché non condivideva l'idea mazziniana di popolo, ritenendo che esso rappresentasse il peggior nemico dei liberali, a causa della mancanza di educazione che lo rendeva facile al tradimento.363
Un intellettuale che nel corso del suo esilio in Svizzera si era avvicinato al pensiero di Sismondi, eleggendolo a suo consigliere in materia di politica ed economia, fu F. Ugoni364. All'inizio degli anni Trenta Ugoni aveva iniziato a collaborare con la casa editrice di Giuseppe Ruggia che, attiva a Lugano dal 1823 al 1842, era dedita soprattutto alla stampa di quei libri italiani contemporanei che nella penisola erano stati proibiti dalla censura. Le opere
360 Si veda su questo punto anche Giuseppe Pecchio che nella Storia dell'economia pubblica in Italia (1829), sottolineava come gli economisti italiani fossero riusciti ad esercitare una positiva influenza sui governi: Pietro Verri e Cesare Beccaria in Lombardia, Antonio Genovesi e Gaetano Filangieri a Napoli, Pompeo Neri in Toscana (cfr. M. Isabella, Risorgimento in esilio …, op. cit.).
361 Ivi, p. 293.
362 Il riferimento è alla collezione di Pietro Custodi realizzata tra il 1803 e il 1816. 363 R. Sarti, Giuseppe Mazzini..., op. cit., p. 57.
del catalogo di Ruggia riuscivano a raggiungere l'Italia attraverso il contrabbando e per pubblicarle e smerciarle l'editore ticinese ricorreva spesso alla collaborazione degli esuli italiani, soprattutto tra quanti erano stati costretti a espatriare dopo la repressione seguita ai moti piemontesi e lombardi del 1821. Tra questi figuravano i fratelli Camillo e Filippo Ugoni, traduttori e curatori di numerose opere per conto di Ruggia365. Era stato Filippo Ugoni a presentare Sismondi a Ruggia, di cui così gli parlava in una lettera risalente al settembre 1831:
L'amico Ruggia merita tutto dagli affezionati alla causa nostra. La sua stamperia in Lugano è una batteria formidabile contro i nostri nemici. Davvero egli s'è meritato lo Spielberg mille volte; e spesso gli oscuranti di questo cantone e gli oscurantissimi di Milano lo hanno fatto soffrire molto anche nella borsa; egli protegge qui i liberali d'Italia non solo come stampatore, ma in ogni modo che può.366
Da quell'incontro era nata una collaborazione che si era protratta nel corso degli anni: Ruggia, infatti, nel 1833 stampò la Storia compendiata delle
Repubbliche italiane dei secoli di mezzo di Sismondi e, sempre dai suoi torchi,
uscì Delle speranze e dei bisogni d'Italia, un opuscolo di ventidue pagine, che Ugoni aveva tradotto dall'appendice all'Histoire de la Renaissance scritta da Sismondi in seguito all'occupazione francese di Ancona del febbraio 1832, in cui il ginevrino esortava la Francia a raccogliere l'appello alla libertà proveniente dagli stati italiani367
.
Nonostante la stima professata nei riguardi di Sismondi e il dissenso che contemporaneamente aveva cominciato a esprimere verso la strategia politica della Giovine Italia, Ugoni aveva contestato le tesi avanzate da Sismondi in un articolo intitolato Conseils d'un ami aux réfugiés patriotes (1834) nel quale, oltre a condannare aspramente la seconda spedizione di Savoia del febbraio di quell'anno – un atto avventato che aveva compromesso centinaia di esuli e la cui riuscita avrebbe avuto come effetto secondario quello di rovesciare il governo di Ginevra, il più illuminato d'Europa – Sismondi
365 Sull'attività delle case editrici nel Ticino, si rinvia a M. I. Palazzolo, Le case editrici, op. cit. Per conto di Ruggia, Camillo Ugoni aveva tradotto i Saggi sopra il Petrarca di Ugo Foscolo, gli articoli di Goethe su Manzoni e il discorso introduttivo alle tragedie e alle liriche di Manzoni.
366 Lettera del 12 settembre 1831. Cfr. G. Martinola, Un editore luganese del Risorgimento ..., op. cit., cap. 11.
esortava gli italiani ad affidarsi alla politica estera dei governi più illuminati, e in particolare alla Francia, che avrebbe potuto spingere i principi della penisola a staccarsi dall'Austria e a fare delle concessioni ai propri sudditi. In sintesi, il consiglio che Sismondi intendeva rivolgere agli italiani era quello di «contrefaire les morts», in attesa di tempi migliori368
.
A questo articolo – che, giunto del tutto inaspettato, aveva suscitato l'indignazione di Mazzini – Ugoni aveva risposto con una lettera inviata a Sismondi nel novembre 1834, in cui contestava la tesi di un possibile sostegno all’Italia da parte del governo francese, notando altresì che la Francia non avrebbe consentito ai vari sovrani della penisola di conservare il loro potere. Nella conclusione, poi, Ugoni dichiarava:
a me dunque pare che sia vano il volgersi a tutti i sovrani d'Italia per ottenere da loro dei miglioramenti. Io avrei voluto ch'ella invece si fosse volto ai popoli incitandoli all'istruzione, ad unirsi più che ponno coll'aumentare fra essi le conoscenze. […] Io temo che se gli esuli volessero s'effacer interamente i nostri compatriotti si scoraggerebbero assai. Essa non sa forse di quanta utilità allo sviluppo del liberalismo in Italia siano stati gli scritti di Pecchio, di Berchet e di altri.
Mazzini stesso potrebbe rendere un gran servigio alla nostra patria se volesse abbandonare le sue utopie369.
Questa polemica non aveva comunque scalfito il rapporto di collaborazione tra Ugoni e Sismondi e nel 1835 il patriota bresciano aveva tradotto per Ruggia Du suffrage universel (1834), un testo in cui il ginevrino contestava l'estensione del diritto di voto alle masse popolari. In quello stesso anno, inoltre, Ugoni aveva dato alle stampe lo scritto Realtà non utopie, in cui si dichiarava favorevole a un governo di tipo federale e a un sistema elettorale di tipo censitario. I motivi di disaccordo con Mazzini stavano dunque aumentando.
Un’eco del dibattito che seguì queste prese di posizione si ritrova anche sulle pagine dell'«Italiano», dove Tommaseo si era assunto il compito di recensire un'altra opera di Sismondi, le Études sur les constitutions des peuples
368 Cfr. F. Della Peruta, Mazzini e i rivoluzionari …, pp. 224-7 e Jean-Yves Frétigné, Giuseppe Mazzini. Père
de l'unité italienne, Paris, Fayard, 2006, pp. 149-150.
369 Giuseppe Calamari, Lettere di Camillo e Filippo Ugoni al Sismondi, in «Rassegna Storica del Risorgimento», maggio 1938, pp. 676-7. Il corsivo è nostro.
libres (Parigi, 1836), in cui l'autore tornava a condannare il suffragio
universale.
Tommaseo contestava in modo radicale la tesi di Sismondi e, in una lettera a G. Capponi che riprendeva vari passaggi del suo articolo, forniva una sintesi delle sue opinioni:
E vi parlerò di Sismondi, giacché il Sismondi vi piace; e vi dirò che molte cose io trovo da lodare in quel suo libro, tranne una che mi pare pestifera, e nella quale peccano tutti i liberatori, savii e matti: il disprezzo del popolo. “Le moltitudini, e' dice, stanno a opinioni bell'e trovate”. Ma le opinioni bell'e trovate son sempre le meglio: e se vi si mescola errore, la colpa è di chi non sa dileguarle. Innanzi che disprezzare il popolo, ammaestratelo; e nell'ammaestrarlo, imparerete più cose da lui, che non glie ne avrete a insegnare. Non si tratta ora di consultare le moltitudini intorno a cose che le non sanno, alla California o alla China; si tratta di domandar loro; volete voi essere governati da tale o da tale? E s'e' non conoscono né chi sia il governante né che sia buon governo, questo è segno che l'ora della libertà non è giunta, e che i pochi sapientissimi e virtuosissimi non potranno col senno loro supplire al senno che manca ne' più370.
Nel suo articolo, intitolato Del disprezzo delle moltitudini, Tommaseo aggiungeva:
Or il Sismondi disprezza le moltitudini; egli distingue gli uomini di muscoli e gli uomini di pensiero; il Sismondi crede che i braccianti non pensano, e che i pensatori pensano sempre bene [...]. Nessuno dice che i calzolai debbano giudicar di pittura: ma i calzolai pensano anch'essi. E chiamarli animali muscolari, è bestemmia: è sinonimo della carne da cannone371.
Su questo punto l'opinione di Tommaseo coincideva pienamente con quella di Mazzini, che considerava l'atteggiamento degli intellettuali nei confronti del popolo un fattore discriminante, tale da produrre una separazione netta tra due forme di pensiero e di azione politica. Nel 1838, Mazzini sintetizzò il proprio pensiero in proposito in un articolo pubblicato sul «Tail's Magazine» che, dedicato alle Études sur l'économie politique di
370 Tommaseo a Capponi, 11-[15] giugno 1836, in, N. Tommaseo, G. Capponi, «Carteggio inedito dal 1833
al 1874», a cura di I. Del Lungo, P. Prunas, Bologna, Zanichelli, 1911-1932, vol. I, pp. 436-7.
371 A.Z. [N. Tommaseo], Del disprezzo delle moltitudini, frammento di lettera intorno ad una recente opera del
Sismondi, metteva in luce le divergenze fondamentali fra il proprio pensiero e quello liberale. Mazzini, quindi, individuava due schieramenti che, per quanto entrambi favorevoli alla dottrina del progresso, divergevano su un punto essenziale: da una parte stavano quelli che dicevano: «Tutto pel popolo, ma nulla per opera del popolo»; dall'altra quanti invece affermavano: «Tutto pel popolo, e coll'opera del popolo»372. Era chiaro che Sismondi faceva parte del primo schieramento, che vedeva nel popolo un minore bisognoso di tutela, mentre Mazzini rivendicava la propria appartenenza al secondo gruppo.