3.1 «Avremo una difesa ed un indizio di noi»
3.4. Indizi di futuro tra le rovine
In mezzo alla desolazione dello scenario descritto nel proemio, dominato dalle rovine di ciò che non era se non un «cadavere d'epoca», Mazzini segnalava tuttavia gli «indizi» di una possibile rinascita («indizii delle tendenze più generali e de' bisogni più gravi»).495
Il concetto di indizio – secondo quanto abbiamo già detto nel secondo paragrafo del cap. 1 – era centrale nella concezione della storia di Mazzini: richiamandosi tanto all'idealismo che al sansimonismo “riformato” di Leroux, egli vedeva nel progresso una linea ascendente e continua, una sintesi di movimento storico e di provvidenza496. Se la realtà era governata da leggi eterne, allora il compito dell'arte era di cogliere nei fatti quel tanto di ideale che vi era racchiuso, mentre alla critica spettava quello di individuare, tra le rovine, gli indizi di futuro (o, per ricorrere alle parole di Leroux, «quel germe de progrès l'humanité porte actuellement en son sein»497
). All'interno dell'insieme composito e indistinto delle reliquie del passato, quindi, le rovine rappresentavano il polo negativo, lo scarto, il rifiuto di cui disfarsi, laddove gli «indizi» costituivano quello positivo, in quanto segni del passato da conservare e traccia per procedere verso il futuro. Secondo la sua stessa
492 In un articolo pubblicato nel 1837, Mazzini dirà della filosofia di Cousin: «Cousin bandì freddamente, che il Bello non poteva condurre all'Utile, ma conduceva soltanto a se stesso; l'Arte, quindi, espressione, come dicevamo, del Bello, era condannata ad essere inutile». Cfr. Giuseppe Mazzini, Condizioni presenti della letteratura in Francia.
493 La «poesia popolare ha invaso ogni cosa». Cfr. G. Mazzini, Ai poeti …, art. cit. 494 E. J., Letteratura in Europa, art cit., p. 9.
495 Ivi, p. 2.
496 Cfr. N. Badaloni, L'idealismo mazziniano, op.cit., e P. Voza, Letteratura e rivoluzione passiva, op. cit. 497 P. Leroux, De la poésie de notre époque, art. cit., novembre 1831, p. 413.
definizione, infatti, Mazzini vedeva in essi le «conquiste irrevocabilmente operate dall'epoca spenta».498
C'è una figura, che Mazzini richiama in un suo saggio, che sembra incarnare la funzione che egli attribuisce alla letteratura. Si tratta della maga di Endor, il personaggio biblico che compare nel libro di Samuele, capace di evocare lo spirito dei morti. Nel saggio sul Dramma storico (1830-1), Mazzini paragonava il suo ruolo a quello dello scrittore drammatico:
Evochi l'ombre del passato, ma come la maga d'Endor, per costringerle a rivelar l'avvenire, o meglio le leggi che generarono ciò che fu, dominano quel che è, e creeranno quel che sarà; tale è l'ufficio dello scrittore drammatico499.
Tuttavia, in base all'assunto per cui in un'età di crisi può esserci solo critica d'arte e non arte, questa attività necromantica può a buon diritto considerarsi una caratteristica essenziale della funzione critica.
Tra gli indizi di futuro, quindi, da Mazzini segnalati nel proemio, quello che avrebbe posto le basi del rinnovamento letterario consisteva in un recupero della lezione di Dante: da lì infatti era necessario ripartire per conoscere «il segreto dell'Italia e le norme d'una letteratura nazionale»500.
Dante era l'opzione primaria sui cui si doveva fondare l'edificio della costruzione identitaria. Col proporre il modello dantesco, Mazzini si serviva della mediazione di Foscolo e accennava al commento foscoliano della Divina
Commedia, di cui negli anni seguenti si farà egli stesso curatore,
pubblicandolo a Londra nel 1842501
. Foscolo, infatti, consentiva a Mazzini di convogliare Dante e il messianismo delle lettere nel serbatoio del Risorgimento per farne un eroe politico, il «profeta della nazione», colui che,
498 Ivi. p. 6. Questa definizione del concetto di indizio sembra possedere alcune analogie con quella di
tradizione in Leroux, che la considera come il sigillo che garantisce l'avanzare del progresso: «Le
principe général de certitude dans l'ordre de la vie humaine collective est le consentement actuel, manifesté par la tradition actuelle de l'humanité». Vedi P. Bénichou, La dissidence saint-simonienne:
Pierre Leroux, in Romantismes français, op. cit., vol. I.
499 G. Mazzini, Del dramma storico, artt. citt., in «L'Antologia», ottobre-dicembre 1831, p. 43. 500 E. J., Letteratura in Europa, art cit., p. 1.
501 Divina Commedia di Dante Alighieri illustrata da Ugo Foscolo, Londra, Pietro Rolandi, 1842. Sulla rilettura mazziniana di Dante, che si incrocia con quella di Foscolo, rinviamo a Luigi Russo, Il tramonto
del letterato, Bari, Laterza, 1960; Walter Binni, Ugo Foscolo storia e poesia, Torino, Einaudi, 1982; Erminia
Irace, Itale glorie, Bologna, Il Mulino, 2003; C. Del Vento, Un allievo della rivoluzione ..., op. cit.; S. Jossa,
Nella terra di Dante, in AA.VV., Letteratura, identità, nazione, a cura di Matteo di Gesù, Palermo,
:duepunti edizioni, 2009; G. M. Cazzaniga, Dante profeta dell'unità d'Italia, in Storia d'Italia, Annali 25,
L'esoterismo, a cura di G. M. Cazzaniga, Torino, Einaudi, 2010, pp. 455-475; Fabio Di Giannatale, Dante e gli esuli italiani nel Risorgimento, Teramo, [s.n.] 2003; Id., Esilio e Risorgimento. Il mito dantesco in Francia nella prima metà dell'Ottocento, in Escludere per governare. L'esilio politico fra Medioevo e Risorgimento, a
prendendo le distanze sia dalla Chiesa che dall'Impero, aveva raffigurato nel Veltro la profezia dell'unificazione politica della nazione italiana502
.
Questa operazione di rilettura e di recupero dell'opera di Dante prendeva le mosse da un vecchio articolo, scritto da Mazzini nel 1827 (ma pubblicato molto tempo dopo, nel 1838, per volontà di Tommaseo503
) e intitolato
Dell'amor patrio di Dante. Qui, infatti, con tono grave e dottrinale, Mazzini si
rivolgeva agli italiani e li esortava: «Apprendete da lui [scil. da Dante] come si serva alla patria natia, finché l'oprare non è vietato»504.
Il personaggio di Dante consentiva a Mazzini di legare saldamente letteratura, amore di patria e azione politica, prestandosi più di ogni altro a simboleggiare il modello mazziniano di intellettuale engagé. La sua condizione di «proto-esule per la libertà»505
, inoltre, ne aumentava la carica simbolica, dato che nell'immaginario risorgimentale più di ogni altro l'esule era visto come una figura eroica, un martire della libertà506.
A proposito di questo legame tra letteratura e politica, Stefano Jossa inscrive Mazzini tra gli intellettuali che hanno sfruttato il mito di Dante per proporne un ruolo anti-letterario, perché nel corso del Risorgimento:
bisognava costruire l'opposizione tra azione e ozio, impegno etico e vanità estetica, romanticismo e classicismo: Dante era il nome ideale a tale scopo507.
Il progetto letterario mazziniano, in effetti, attribuiva alla letteratura una funzione che potremmo definire performativa e su questo aspetto torneremo anche nelle prossime pagine508.
Quanto al secondo indizio proposto da Mazzini nel proemio, legandosi all'impostazione anti-materialista tipica del pensiero mazziniano, proponeva il ricorso a una poetica incentrata sul cuore, sul sentimento e sul valore della fede509
. Da questo punto di vista, se il principale riferimento teorico in ambito
502 Cfr. E. Irace, Itale glorie, op. cit., pp. 139-150.
503 Su questa vicenda si veda Andrea Bocchi, L’amor patrio di Dante tra Mazzini e Tommaseo, in Nuova Rivista di Letteratura Italiana, 2010 - N.1-2 , pp. 387-400.
504 Un Italiano [Giuseppe Mazzini], Dell'amor patrio di Dante, «Subalpino», 1838.
505 Amedeo Quondam, Risorgimento a memoria. Le poesie degli italiani, Roma, Donzelli, 2011. 506 Silvia Tatti, Esuli e letterati: per una storia culturale dell'esilio risorgimentale ..., cit., pp. 89-100. 507 S. Jossa, Nella terra di Dante, op. cit., p. 47.
508 Usiamo qui il concetto di performativo nel senso in cui lo impiegano A. M. Banti e P. Ginsborg nell’introduzione al loro vol. sul Risorgimento.
509 Richiami a questa impostazione teorica sono ricorrenti in tutti i suoi scritti, ma sono sviluppati in modo più esteso nell'introduzione alla traduzione di Chatterton, di cui parleremo più a lungo nel cap. 4. Nonostante l'abiura nei confronti del romanticismo “degenerato”, infatti, Mazzini restava fedele alla poetica del movere. Cfr. Basil Munteanu, L'éternel débat de la “raison” et du “cœur”, in Constantes
letterario restava Mme de Staël, al sentimento era tuttavia associata anche una valenza politica tale da farne – secondo l'accezione assegnatagli anche da Leroux – la forza che spettava all'arte suscitare per sconfiggere la frammentazione sociale.510 Su questo aspetto, vale la pena riportare una frase di P. Bénichou sul valore del sentimento nel pensiero sansimoniano:
la primauté du sentiment accrédite les Beaux-Arts en même temps que la Religion; sentiment, religion, beaux-arts, poésie s'identifient et se mêlent dans un concept global; ce sont les noms divers de l'instinct qui associe les hommes et fonde les sociétés, et dont le contraire se nomme égoïsme511.
La letteratura, quindi, doveva portare il suo contributo in questa direzione e nell'«Italiano» non mancavano gli appelli a seguire la strada del cuore, del sentimento e della fede. Tra gli articoli che trattavano di questo soggetto, ve n'era uno in particolare che occupa un posto importante nell'articolazione dell'impostazione critica del giornale. Si tratta del testo di Niccolò Tommaseo, Della letteratura presente in Italia512
, in cui l'autore passava in rassegna la letteratura italiana degli ultimi decenni. Qui ci interessa soffermarci su un aspetto particolare dell'analisi di Tommaseo: contro una certa tendenza a una poesia che predicava l'odio e l'ira («L'odio e lo sdegno cominciano ad essere conosciuti cosa prosaica; si comincia ad intendere che Dante, e i grandi tutti, son grandi non perché maledicono, ma perché credono ed amano»)513, Tommaseo proponeva a modello l'opera di Manzoni che, intrisa di fede e di passione, mirava a «predicare il bene»:
Fede ed affetto: - dichiarava quindi Tommaseo – ecco l'altezza della poesia Manzoniana. La nuova generazione verso quelle cime s'avvia514.
dialectiques en littérature et en histoire, problèmes, recherches, perspectives, 1967, pp. 219-233; A. Battistini, E.
Raimondi, Retoriche e poetiche dominanti, in Letteratura italiana, vol. III, t. I, Teorie e poesia, Torino, Einaudi, 1984, pp. 5-339.
510 Secondo un allievo di Leroux, Grégoire Champseix: «[Le sentiment] indique à l'homme, en l'introduisant dans le monde de l'harmonie, une vie réglée sur cette harmonie, lui fait concevoir ses rapports avec tous les êtres et surtout avec ses semblables, et l'élève, par la beauté qu'il lui découvre, à l'amour du bien, du beau et du vrai dans toute sa grandeur. Son nom générique est moralité. Citato in Neil McWilliam, Rêves de bonheur, op. cit., p. 217.
511 P. Bénichou, Le Temps de prophètes, in Romantismes français, op. cit., vol. I, p. 716.
512 A.Z. [Niccolò Tommaseo], Della letteratura presente in Italia, in «L'Italiano», fasc. 1, maggio 1836, pp. 11-21.
513 Riteniamo che qui Tommaseo, alluda alla corrente letteraria costituita dalla linea Foscolo – Byron – Guerrazzi, che De Sanctis, elaborando una categoria dello stesso Mazzini, denominerà in seguito «scuola democratica».
Nonostante le numerose divergenze teoriche che lo separavano da Mazzini, Tommaseo condivideva l'impostazione generale dell'«Italiano» e il progetto di una letteratura nazionale e socialmente impegnata. Tuttavia, un punto sul quale i due intellettuali divergevano radicalmente riguardava proprio il giudizio su Manzoni, da Mazzini valutato in modo fortemente negativo a causa dell'immobilismo politico che emanava da tutta la sua opera. Come aveva dichiarato infatti in un articolo pubblicato un anno prima nella «Revue Républicaine», De l'art en Italie, la scuola di Manzoni poteva riassumersi in un «[...] cri habituel: Tournez vos yeux vers le ciel!»515
.
Se il cattolico Tommaseo, dunque, poteva accettare la rassegnazione tipica dell'opera di Manzoni, per Mazzini essa non rappresentava che la variante cristiana della disperazione byroniana e, come tale, era da respingere in modo categorico, perché la letteratura non doveva limitarsi a «predicare il bene» individuale, ma doveva piuttosto concorrere alla realizzazione del bene sociale.
Entro questo progetto mazziniano di una letteratura impegnata, sociale e popolare, a questo punto dovrebbe risultare più chiara l'opzione primaria di Dante, che faceva parte del più vasto disegno volto a superare la Decadenza rinascimentale, attraverso il ricorso al mito alternativo delle repubbliche medievali, in linea col modello sismondiano. Era, lo ripetiamo, lo stesso diagramma da cui, un paio di decenni più tardi, sarebbe sorta la Storia della
letteratura italiana di De Sanctis516.
Per tornare, quindi, alla funzione antiletteraria assegnata a Dante, di cui parla Jossa, è forse opportuno sottolineare che Mazzini – insieme a molti altri intellettuali europei – condivideva l'aspirazione a includere la letteratura nella lotta ideologica e per questo aderiva a quel «codice progressista» che negava ogni autonomia all'arte517. Non solo quindi rivendicava una funzione politica e civile per la letteratura, ma giudicava negativamente ogni forma letteraria che non aspirasse a incidere sul presente e a farsi strumento di
515 Giuseppe Mazzini, De l'art en Italie. À propos de Marco Visconti, roman de Thomas Grossi, in «Revue républicaine», aprile 1835, tomo V, p. 211.
516 Cfr. il numero monografico di «Laboratoire italien» dedicato alla categoria di «Risorgimento delle lettere» e, in particolare, Stéphanie Lanfranchi, Le Risorgimento delle Lettere de Francesco De Sanctis relu
par Benedetto Croce et Giovanni Gentile, in «Laboratoire italien», Risorgimento delle Lettere: l'invention d'un paradigme, (13), 2013.
517 Cfr. Roberto Tessari, Il Risorgimento e la crisi di metà secolo, in AA.VV., Letteratura italiana. 1: Il letterato
lotta. Fu su queste stesse premesse, del resto, che si costituì il canzoniere risorgimentale, che intonava un canto di riscossa per esortare gli italiani a reagire a tre secoli di decadenza.518