3.1 «Avremo una difesa ed un indizio di noi»
3.3. Lo spiritualismo mazziniano tra democratismo francese e tradizione nazionale.
Dopo aver analizzato gli oggetti della critica mazziniana, passiamo adesso a descrivere le proposte del suo progetto di letteratura sociale, mostrandone l'articolazione in opposizione ai tre bersagli polemici individuati sopra.
Per prima cosa, contro la narrazione della decadenza, Mazzini auspicava che la nuova letteratura desse voce agli italiani del presente («A che risponder sempre nomi d'illustri spenti allo straniero che ci ricerca de' vivi?»). Lo stesso augurio, del resto, era stato formulato anche nel manifesto del giornale, là dove i monumenti del passato erano contrapposti agli artisti e agli scrittori contemporanei:
I nostri monumenti sono e belli, e splendidi e grandi, e ciò sta bene. Meglio per altro starebbe, se i nostri scrittori e gli artisti concordemente si dimostrassero vivi, e dassero [sic] segni splendidi a vista dello straniero, e si sollevassero all'altezza dei grandi monumenti e delle memorie che abbiamo.466
Contro il materialismo e la divinizzazione della ragione proclamata dalla Rivoluzione francese, poi, che avevano avuto tra i loro effetti l'atomizzazione sociale e una solitudine individuale sempre più profonda, Mazzini e i suoi raccomandavano un ritorno alla fede e la diffusione dello spiritualismo.467 Si trattava di un tema profondamente romantico, che apparteneva alla temperie culturale di quell'epoca e di cui erano consapevoli gli stessi protagonisti di questa vicenda, come testimonia anche una lettera di Giovanni Ruffini alla madre, che ci sembra interessante perché accenna al retroterra esistenziale di queste opzioni ideologiche:
Or si è operato una grande trasformazione nelle sue [di Mazzini468] idee e nei suoi
sentimenti, tutta di spiritualismo e di abnegazione di amore […]. Mi ha confessato spontaneamente di essersi sentita, un istante, trascinata nella strada dell'egoismo individuale. Al presente si è risvegliata, sente di avere una missione. Sono le
466 BNCF, Vieusseux, 1, 2.
467 Al ruolo fondamentale della religione all'interno del consorzio civile aveva dedicato la sua opera anche Benjamin Constant, un pensatore che Mazzini conosceva bene. Richiamandosi a Rousseau, infatti, Constant riteneva che la religione, introducendo una dimensione sovrannaturale nell'esistenza umana, permettesse di sacralizzare il contratto sociale. Su questo tema si rimanda al saggio illuminante di Tzvetan Todorov, Benjamin Constant. La passion démocratique, Paris, Biblio Essais, 2004.
468 Negli scambi epistolari dei Ruffini, per ragioni di segretezza, Mazzini è citato spesso come «la Cugina».
prediche di Paolino [Agostino Ruffini], La Mennais, e le vostre lettere (continuate a fare la modesta voi) sì, le vostre lettere che le hanno procurato questa scossa. Del resto, la è una crisi dell'epoca questa tendenza religiosa, specie nella gioventù. La Mennais
ha aperto la strada, ed altri stimoli ve la spingono. Anch'io n'ho subìto l'influenza, e me
ne sento più leggero e più forte. Dite lo stesso di Paolino469.
Contro il dubbio, lo scetticismo, la disperazione, lo spleen e tutte le diverse declinazioni della malinconia contemporanea, Mazzini predicava un ritorno al sentimento religioso come condizione per riunire gli individui attorno a un insieme stabilito di impegni e doveri. Benché fosse disponibile a riconoscere in questo fervore spirituale un attributo del romanticismo, «trasmesso da una donna all'Europa470» (riferendosi con ciò, evidentemente, a Mme de Staël), era alle tesi dei repubblicani francesi che Mazzini si richiamava e, in particolare, a quelle di Pierre Leroux471. Lettore del «Globe» fin dalla sua fondazione, Mazzini ammirava profondamente Leroux – che avrebbe conosciuto personalmente, a Londra, nel 1843 – di cui parlava in termini fortemente elogiativi, definendolo il più importante pensatore francese contemporaneo472. Negli anni Trenta, dalle pagine del «Globe» e della «Revue Encyclopédique», Leroux era intervenuto spesso con appelli indirizzati ai poeti e ai filosofi per una rifondazione estetica ed epistemologica del sapere. L'idea di letteratura sociale avanzata da Mazzini anche nel proemio dell'«Italiano» era fortemente debitrice nei riguardi del pensiero di Leroux: in particolare, Mazzini faceva propria l'analisi storica che leggeva la Restaurazione come un periodo dominato dal dubbio, causato dal processo di secolarizzazione innescato dalla Rivoluzione francese. Nel saggio intitolato De la poésie de notre époque, apparso a puntate sulla «Revue Encyclopédique», tra l'agosto e il dicembre 1831, Leroux descriveva l'attuale
469 Lettera di Giovanni Ruffini alla madre, 25 ottobre 1834, in C. Cagnacci, Giuseppe Mazzini e i fratelli
Ruffini. Lettere raccolte e annotate, Porto Maurizio, Tipografia Berio, 1893, pp. 46-7. Il corsivo è nostro.
470 E. J, Letteratura in Europa, art.cit., p. 4.
471 Per un primo inquadramento della figura di Pierre Leroux rinviamo a: P. Bénichou, La dissidence
saint-simonienne: Pierre Leroux, in Romantismes français, vol. I; Jacques Viard, Pierre Leroux et les socialistes européens, Actes Sud, 1983; Marisa Forcina, I diritti dell'esistente. La filosofia della «Encyclopédie Nouvelle» (1833-1847), Lecce, Milella, 1987; Vincent Peillon, Pierre Leroux et le socialisme républicain, Editions le
bord de l'eau, 2003. Sui rapporti tra Leroux e Mazzini si rimanda a: Leonardo La Puma, Il socialismo
sconfitto ..., op. cit. e Idem, Leonardo La Puma, Progetti e bisogni. Contributo all'epistolario di Pierre Leroux,
Firenze, Centro Editoriale Toscano, 1990. Per i rapporti di Mazzini con i repubblicani francesi si vedano anche le osservazioni di Antonio De Francesco, Ideologie e movimenti politici, in Storia d'Italia. Le
premesse dell'Unità, a cura di G. Sabbatucci e V. Vidotto, Roma-Bari, Laterza, 1994.
472 «[...] il est selon moi la plus forte tête de la France actuelle», scriveva nel 1840. Cfr. SEI, Epistolario IX, p. 424.
condizione di frammentazione sociale ricorrendo a categorie che ci sono familiari:
La société est en poussière, parce que les hommes sont désassociés, parce qu'aucun lien ne les unit, parce que l'homme est étranger à l'homme. Et il en sera ainsi tant qu'une foi commune n'éclairera pas les intelligences et ne remplira pas le cœurs473.
Mazzini condivideva con Leroux, e con molti altri pensatori di quest'epoca, la convinzione della necessità civile della religione che, sola, grazie alle sue potenzialità aggregatrici, avrebbe permesso il mantenimento del vincolo sociale.
Oltre a sottoscrivere il giudizio sul presente in quanto «état d'anarchie, de doute et de désordre», il programma mazziniano riprendeva altri punti qualificanti dell'umanitarismo socialista di Leroux, a cominciare dalla sua concezione profetica della poesia, a cui era assegnato il compito di alimentare nei lettori il bisogno di una «régénération sociale». In un altro passaggio tratto da De la poésie de notre époque, inoltre, Leroux parlava della poesia come di ciò che deve
nous apprendre quelle est la tendance de l'esprit humain, quel germe de progrès l'humanité porte actuellement dans son sein, quels désirs la tourmentent, quel est son sort d'aujourd'hui, quel sera son lendemain474.
In questi testi, quindi, ritroviamo le categorie che costituivano l'impalcatura del programma mazziniano: la celebrazione del legame sociale contro la frammentazione e l'egoismo; il ricorso alla fede contro il dubbio e lo scetticismo; e, infine, l'attività ermeneutica assegnata alla critica, il cui compito principale consisteva nella ricerca dei segnali («germe») della tendenza progressiva («tendance de l'esprit humain»), per affrancarsi dalle rovine, a cui Leroux faceva spesso riferimento nei suoi scritti, parlando di «débris du passé»475
. Su quest'ultimo punto, vale la pena citare un passo
473 Si tratta di una citazione tratta dal primo di una serie di articoli dal titolo Pierre Leroux, De la poésie
de notre époque, «Revue Encyclopédique», agosto, novembre, dicembre 1831. Il corsivo è nostro.
474 Ivi, novembre 1831, p. 413.
475 Circa la poesia di Lamartine e Hugo, Leroux dichiara che la loro è una «pensée qui va se loger dans les débris du passé». E continua: «Ô malheur à l'artiste d'être ainsi en dehors de son tems! Malheur à l'artiste qui, voyant son époque indécise flotter entre le passé et l'avenir, sans destinée, se déchire ainsi
tratto dall'«Encyclopédie Nouvelle» di Leroux e Jean Reynaud, dove il termine «ruines» ricorre nella stessa accezione che possiede nel pensiero di Mazzini, in quanto resto di un passato che deve essere superato. Vi leggiamo, infatti:
Nous ne faisons pas de l'histoire pour faire de l'histoire; nous ne remuons pas les
ruines du passé pour le plaisir de troubler les cendres des morts dans leurs tombeaux;
nous étudions l'histoire et nous nous occupons du passé en vue de l'avenir476.
Se Leroux costituiva senz'altro uno dei principali riferimenti teorici di Mazzini, il suo spiritualismo, però, aveva anche un'altra origine, che del resto era richiamata esplicitamente nel proemio. Mazzini, infatti, rivendicava l'origine italiana di questa corrente filosofica, che lo spingeva ad affermare senza mezzi termini:
la scuola italiana è scuola di spiritualismo; e l'Europa l'ebbe da voi [scil.:
Italiani]477.
Risiedevano qui, dunque, le vere radici del primato italiano rivendicato da Mazzini. Dopo la fase analitica rappresentata dalla Rivoluzione francese, il testimone della storia doveva ora passare all'Italia che, richiamandosi alla tradizione del pensiero spiritualista, doveva portare a termine l'auspicata sintesi sociale.478 Era quella la storia che doveva essere raccontata e celebrata sulle pagine del giornale: sul primo numero dell'«Italiano», infatti, spetterà ad Agostino Ruffini dedicarsi a questo compito con l'illustrare la filosofia di Tommaso Campanella.479
lui-même, et finit par n'avoir pas d'autre religion sociale que le culte de l'art, la religion de l'art». Ivi, dicembre 1831, p. 643.
476 Voce “Conciles” dell'«Encyclopédie Nouvelle». Mazzini si portava sempre in viaggio l'«Encyclopédie Nouvelle» (cfr. M. Forcina, I diritti dell'esistente, op.cit.). Il corsivo è nostro.
477 Ivi, p. 3. Allo stesso tempo, Mazzini si rivolgeva quindi agli italiani che continuavano a guardare alla Francia, che «ha eretto lo scetticismo a formola filosofica», accusandoli di essere «servi ad esempi stranieri, servi d'un secolo spento, servi d'una scuola francese che anche la Francia rinnega» (p. 3). 478 Questa idea del primato italiano si arricchiva quindi di note antifrancesi, in polemica con la strategia politica di Filippo Buonarroti, che vedeva nella Francia il paese che avrebbe dovuto portare a termine la rivoluzione, estendendola anche agli altri stati europei. Sugli scontri tra Mazzini e Buonarroti rimandiamo in particolare a: A. Galante Garrone, Filippo Buonarroti e i rivoluzionari dell'Ottocento, Torino, Einaudi, 1951; Maria Grazia Melchionni, Uno statuto per l'Italia nella strategia rivoluzionaria degli
esuli (1831-1833), Pisa, Domus Mazziniana, 1991.
Nella lettura di Campanella proposta da Agostino Ruffini, il filosofo calabrese era inserito nel novero dei «restauratori della filosofia italiana»480
, elemento di una «catena» che, iniziata con Pitagora, proseguiva con Giordano Bruno, Leonardo e Galileo, per giungere fino a Vico481. Ruffini faceva di Campanella una sorta di precursore del mazzinianesimo e si serviva del suo pensiero per argomentare le proprie tesi contro il liberalismo e l'individualismo materialista. Secondo la sua interpretazione, infatti, era nel pensiero italiano del Cinque e Seicento che si dovevano rintracciare le radici di un'idea di società solidale e del principio dell'associazionismo482. Ruffini, quindi, vedeva nel tentativo di armonizzare il bene individuale con quello collettivo il tratto caratterizzante del pensiero filosofico e politico di Campanella che, secondo l'interpretazione che ne dava, mirava allo «sradicamento dell'amor proprio a favore del comune amore»483.
Infine, ed è questo il terzo punto del nostro schema, era ancora una volta allo spiritualismo e alla fede che Mazzini e i suoi facevano appello per contrastare i nuovi sostenitori del Romanticismo. A questo scopo, Mazzini convocava Victor Hugo, nel suo ruolo di capofila del movimento romantico francese e, alludendo a una poesia dei Chants du Crépuscule, Que nous avons le
doute en nous, dichiarava:
Tra il grido che l'Hugo mandava a' giovani nella prefazione all'Hernani e il lamento che suona per entro a' suoi Canti del Crepuscolo, corre una vita intera di delusioni che si spegne in un gemito d'impotenza. Nel XXXVIII° Canto, il condottiero dell'impresa romantica in Francia rivela il segreto dell'anima sua, e a un tempo quello di tutta una scuola: il Dubbio: il dubbio, dopo tante speranze il dubbio, dopo tante fatiche: il dubbio, dopo tanti anni d'una guerra iniziata e condotta con audacia veramente titanica, in cerca d'un nuovo mondo!484
480 Ivi, p. 21.
481 Ivi, p. 21 e p. 32. Va segnalato, inoltre, che, sulle tracce di Michelet, Mazzini interpretava la filosofia francese dell'incivilimento come uno sviluppo delle intuizioni vichiane (cfr. N. Badaloni, L'idealismo
mazziniano, in Storia d'Italia, La cultura, vol. III, Dal primo Settecento all'Unità, Torino, Einaudi, 1973, pp.
962-96).
482 Ancora nelle Note autobiografiche, contro il materialismo, Mazzini proclamerà la necessità di «riannodare la tradizione filosofica italiana dei secoli XVI e XVII, tradizione di sintesi e spiritualismo». 483 Tommaso Campanella, art. cit., p. 27.
484 E.J., Letteratura in Europa, art. cit., p. 6. Nella sua poesia Hugo parlava del dubbio come del marchio distintivo della generazione nata subito dopo la Rivoluzione francese: «C'est notre mal à nous, enfants des passions/ Dont l'esprit n'atteint pas votre calme sublime;/ A nous dont le berceau, risqué sur un abîme,/ Vogua sur le flot noir des révolutions».
Il caso di Hugo, quindi, acquistava una valenza emblematica agli occhi di Mazzini, come dimostrano due articoli dedicati allo scrittore francese, uno apparso sul «Subalpino» nel 1838, ma risalente a quello stesso 1836, l'altro pubblicato nel fascicolo di settembre dell'«Italiano»485. In quest'ultimo, Mazzini denunciava quello che ai suoi occhi appariva come una sorta di tradimento dei valori dell'«insurrezione romantica»: se le prime opere di Hugo, infatti, erano nate sotto il segno dello spiritualismo,
perduta ogni fede di rinnovamento, [Hugo] immiserisce oggi nelle angustie d'una formola antisociale e retrograda che rovina fatalmente l'Arte nel materialismo486.
La condanna del nuovo romanticismo era sancita dal ricorso a un verbo denominale («rovina») che conferma l'iscrizione della «formola» romantica all'interno della categoria negativa delle rovine.487
Il nucleo della critica mazziniana contro gli esiti del romanticismo contemporaneo – quello di Hugo, ma anche quello di Byron – muoveva dalla denuncia dell'art pour l'art (la «teorica rovinosa» dell'arte per l'arte) e dell'assenza di impegno civile. Anche su questo punto, Mazzini era in sintonia con l'analisi di un altro critico di parte democratica, Louis Blanc. Dalle colonne della «Revue Républicaine» - rivista a cui Mazzini stesso collaborava – Louis Blanc denunciava il romanticismo definendolo «l'égoïsme en littérature»488, per schierarsi decisamente dalla parte della letteratura sociale:
La littérature a été d'abord religieuse et idéale, puis sceptique et égoïste. Qu'elle devienne sociale et civilisatrice, et elle ne sera pas restée étrangère aux progrès des temps et aux besoins de l'humanité489.
485 G. Mazzini, Angelo tiranno di Padova, «Subalpino», 1838. Edizione Nazionale degli Scritti di Mazzini, vol. VIII, Letteratura II e E. J., Potenze intellettuali contemporanee. I. Vittore Hugo, in «L'Italiano», settembre 1836, pp. 201-8.
486 Ivi, p. 203. Il corsivo è nostro.
487 Nel saggio Delle condizioni dell'odierna letteratura in Italia (1846), Carlo Tenca riprendeva il giudizio mazziniano sul romanticismo, condannandolo per aver perso il suo antico vigore. Circa l'influenza di Mazzini sul pensiero di Tenca si rinvia a Giovanni Pirodda, Mazzini e Tenca. Per una storia della critica
romantica, Padova, Liviana, 1968.
488 Louis Blanc, Influence de la société sur la littérature, in «Revue Républicaine», I, 1834, pp. 276-283. 489 Ivi, p. 283.
Quanto a Hugo, in una recensione al suo dramma Angelo Tyran de Padoue (1835), Blanc diceva del suo autore:
Il a détruit. Il n'a pas fait autre chose […] Sa gloire est d'avoir dissipé au vent de sa parole toutes ces règles aristotéliques, toiles d'araignée où venaient se prendre les mouches et même les moucherons de la littérature. Il n'a donc pas été chef d'école, il n'a pas été novateur. Il a été révolutionnaire.
Come si vede, anche nell'analisi di Louis Blanc tornava l'equiparazione tra romanticismo e rivoluzione, intesi come movimenti che non erano riusciti a portare a termine le premesse da cui muovevano e che, in fondo, avevano contribuito a produrre uno stato di anarchia. La sola distruzione, rilevava Louis Blanc, di per sé è insufficiente, per questo i romantici, una volta proclamata l'emancipazione dall'imitazione, avrebbero dovuto aggiungere:
Imitez la nature pour un but philosophique et social! Que la liberté dans l'art ne devienne pas un vagabondage inutile!
Argomenti analoghi erano adottati da Mazzini nella recensione ad Angelo: affiancandolo al modello esemplare del Chatterton di Alfred de Vigny490, in cui «l'individualità <è> armonizzata col pensiero sociale», Mazzini individuava nel prevalere dell'individuale sul sociale il limite più grave dell'opera di Hugo («l'individualità predominante il pensiero sociale»491
). La polemica mazziniana contro il nuovo romanticismo, infine, comprendeva anche un altro aspetto: fedele al canone ermeneutico – di derivazione romantica – della letteratura come espressione della società, Mazzini censurava i nuovi romantici alla Hugo perché erano giunti a negare quel postulato per rivendicare, al suo posto, l'autonomia di ogni espressione artistica. Oltre a Hugo, dunque, il suo bersaglio polemico si estendeva all'estetica di Cousin che, frutto di una sintesi tra platonismo e idealismo tedesco, attribuiva all'arte un valore autonomo, rifiutando di sottometterla a
490 Per una trattazione più approfondita di quest'opera, che riveste un ruolo centrale nella concezione drammaturgica di Mazzini, si rinvia al cap. 4 di questo lavoro.
fini etici o didattici. Si trattava, insomma, di una concezione dell'arte antitetica a quella mazziniana fondata su un contenuto etico.492
Ma i tempi erano cambiati: come Mazzini aveva dichiarato in Ai poeti del
XIX secolo, dopo la Rivoluzione di luglio ogni manifestazione artistica che
non prendesse atto della presenza del popolo sulla scena pubblica era del tutto anacronistica493. L'unica strada da percorrere per superare la crisi politica e culturale, quindi, era quella di una letteratura impegnata e popolare, che consacrasse il poeta «a un alto ministero sociale».494