1.3 «Tutta quasi la letteratura converge al Dramma»
1.7. Una spia alla testa del giornale: la figura di Michele Accurs
Entra così in gioco la figura di Michele Accursi, un personaggio che fu determinante per le sorti del giornale a cui, di lì a qualche mese, il gruppo mazziniano dette vita col concorso di una parte della comunità degli esuli italiani a Parigi.
1.7. Una spia alla testa del giornale: la figura di Michele
Accursi
Michele Accursi era conosciuto da tutti come un mazziniano della prima ora195. Nato a Roma nel 1802, dopo aver compiuto degli studi giuridici era divenuto un funzionario del tribunale della segnatura di giustizia dello Stato Pontificio; aveva aderito ancora giovanissimo alla Carboneria, per poi entrare in contatto con Giuseppe Mazzini col quale aveva iniziato uno scambio epistolare, assumendo lo pseudonimo di Michele Futuri. Alla fine degli anni Trenta risaliva anche il legame con Enrico Mayer196, che tra il 1828
193 Lettera di Agostino alla madre [Paris, 9 juillet 1835] in A. Codignola, I fratelli Ruffini .., op. cit., vol. I, p. 324. Montecuccoli è il nome con cui era conosciuto Giuseppe Lamberti all'interno della Giovine Italia.
194 Ivi, vol. I, p. 329. Lettera datata [Grenchen], 31 luglio 1835.
195 Per la ricostruzione del suo profilo biografico si rimanda a: Il Risorgimento Italiano. Dizionario
illustrato. Opera diretta dal prof. Michele Rosi, Milano, Vallardi, 1911-1920, vol. II, p. 16; Dizionario Biografico degli Italiani, ad vocem; Umberto Zanotti-Bianco, Mazzini. Pagine tratte dall'epistolario, Milano,
Istituto italiano per il libro del popolo, 1922. Alcuni riferimenti alla figura di Accursi si trovano anche in César Vidal, Louis Philippe, Mazzini et la Jeune Italie, 1832-1834, Paris, 1934, che il DBI non riporta in bibliografia. L'epistolario mazziniano, inoltre, contiene numerose lettere indirizzate ad Accursi da Mazzini. Alcuni accenni si trovano anche in: Arturo Linaker, La vita e i tempi di Enrico Mayer: con
documenti inediti della storia della educazione e del Risorgimento italiano (1802-1877), Firenze, Barbera, 1898.
A. Galante Garrone, Mazzini in Francia e gli inizi della Giovine Italia, in Mazzini e il mazzinianesimo. Atti
del XLVI Congresso di storia del Risorgimento (Genova, 1972), Roma, 1974; F. Della Peruta, Mazzini e i rivoluzionari italiani. Il “partito d'azione” 1830-1845, Milano, Feltrinelli, 1974.
196 Vedi A. Linaker, La vita e i tempi di Enrico Mayer, op. cit. Mayer, poi, farà parte del nucleo dirigente della congrega livornese della Giovine Italia (vedi F. Della Peruta, La democrazia toscana tra la prima e la
seconda Giovine Italia, in Francesco Domenico Guerrazzi nella storia politica e culturale del Risorgimento,
e il 1832 aveva risieduto a Roma, entrando poi a far parte della Giovine Italia fin dalla sua fondazione.
Sul finire del 1830, Accursi aveva preso parte alla cospirazione ordita a Roma da Ciro Menotti, nella quale ad elementi bonapartisti (tra cui Carlo Luigi Napoleone, il futuro Napoleone III) si affiancarono elementi di tendenze democratiche, come Giuseppe Andrea Cannonieri, colui che sarebbe divenuto uno dei direttori dell'«Esule»197..
Allo scoppio dei moti insurrezionali del 1831, recatosi nelle Legazioni, Accursi divenne segretario del generale Giuseppe Sercognani ed entrò a far parte del corpo di volontari che Sercognani voleva guidare dall'Umbria verso Roma per liberarla198
. Mentre le truppe sostavano a Terni, il 14 marzo 1831 Accursi pubblicò un opuscolo intitolato Declamazione di un libero romano alle
provincie unite d'Italia, in cui invitava gli italiani a combattere per
l'indipendenza nazionale, senza fare affidamento su aiuti stranieri199.
Sconfitto il moto rivoluzionario, allo scioglimento della colonna guidata da Sercognani, Accursi decise di tornare a Roma, confidando nelle voci che volevano che il papa avesse concesso un'amnistia agli insorti. Ma il 7 aprile del 1831 venne arrestato a Ponte Milvio e condotto nel carcere di Castel Sant'Angelo. Tra i principali capi d'accusa che gli furono ascritti dalla commissione presieduta da Monsignor Cappelletti, direttore generale di polizia, risultava la pubblicazione dell'opuscolo, che gli inquirenti avevano giudicato sedizioso, sufficiente quindi per quel solo motivo a escludere Accursi dall'amnistia. Tuttavia, dopo aver presentato istanza di scarcerazione a papa Gregorio XVI, nell'ottobre del 1831 Accursi riuscì ad ottenere di essere liberato. Nel novembre del 1832, però, il sequestro di alcune lettere compromettenti lo fece arrestare nuovamente.
197 F. Della Peruta, Mazzini e i rivoluzionari italiani, op. cit.
198 Il disegno di Sercognani di muovere su Roma era stato impedito dal ministro della guerra, generale Armandi. I protagonisti di questo episodio, alla fine dei moti insurrezionali, si ritroveranno tutti esuli a Parigi e daranno vita ad una serie di infuocate polemiche, attraverso articoli e pamphlets in cui si accuseranno reciprocamente dell'insuccesso della rivoluzione. Cfr. Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia
moderna. Dalla Restaurazione alla Rivoluzione nazionale (1815-1846), Milano, Feltrinelli, 1958; A. Galante
Garrone, Mazzini in Francia e gli inizi della Giovine Italia, in Aa.Vv., Mazzini e il mazzinianesimo, Atti del XLVI Congresso di storia del Risorgimento (Genova, 1972), Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento, 1974, pp. 191-234.
199 In un brano dell'opuscolo si legge tra l'altro: «Sé stessi a libertà rivendicarono gli Svizzeri e trionfarono; vittoriosi mirate i Belgi; la potenza delle libere armi Polacche gloriosissima in sanguinosa lotta contro la formidabile Moscovia … Anche l'Italia e per monti, e per fiumi, per luoghi di natura insuperabili, atta è ad invincibile difesa». Il passo è citato da A. Galante Garrone, Mazzini in Francia e gli
inizi della Giovine Italia, cit., p. 210 n., che aggiunge: «L'opuscolo ebbe in quei mesi una certa diffusione
in Italia e anche fra i nostri emigrati. E non ci sorprende che Michele Accursi, autore di questo scritto, dovesse fin dal primo momento ispirare fiducia a Mazzini, come uno di quelli che in Italia, durante i moti, avevano sentito la necessità di combattere».
È noto come il governo dello Stato pontificio incoraggiasse la delazione, assicurando l'impunità alle spie, ed è assai probabile che, nel corso di questa seconda carcerazione, Accursi abbia deciso di collaborare col Vaticano. In effetti, se gli episodi relativi alla vita di Accursi fin qui descritti corrispondono al profilo di un patriota che, in ragione del suo impegno a sostegno della causa nazionale, dovette anche subire delle persecuzioni, a partire dal 1832 Accursi divenne ufficialmente una spia al servizio dello Stato Pontificio: come è stato ampiamente dimostrato dalle ricerche condotte negli anni Venti del secolo scorso dal gesuita Ilario Rinieri, nel corso degli anni Trenta Accursi intrattenne un fitto scambio epistolare con Luigi Neri, direttore delle Poste pontificie, ciò che è ampiamente documentato da un voluminoso carteggio, in gran parte pubblicato dal Rinieri200
.
Rinieri aveva potuto consultare le Carte Neri conservate presso l'Archivio Segreto Vaticano, che contengono il carteggio tra Accursi e il funzionario pontificio201
. La sua ricostruzione poggia dunque su quel carteggio, di cui egli ha potuto pubblicare solo una parte – benché consistente – mentre altro materiale rimane inedito. A conclusione del suo lavoro, Rinieri non ha voluto formulare un giudizio definitivo sulla figura di Accursi, preferendo invece lasciare aperta la domanda circa la sua identità: se si sia trattato, cioè, di un agente provocatore al soldo del Vaticano, o piuttosto di un doppiogiochista fedele a Mazzini. Anche per tentare di rispondere a questa domanda, sarebbe auspicabile condurre un'indagine tra le carte che si conservano a Roma, da cui è lecito attendersi dati utili non solo alla ricostruzione della biografia del personaggio di Accursi, ma anche a meglio definire l'articolazione della compagine mazziniana. Tuttavia, una simile inchiesta supera i limiti che abbiamo imposto al nostro lavoro, poiché lo scopo che ci prefiggiamo è in primo luogo di effettuare una ricostruzione storiografica delle vicende relative all'«Italiano» e la figura di Michele Accursi ci interessa solo ai fini di una migliore comprensione del ruolo da lui svolto in merito alla vicenda del giornale. A questo scopo, quindi, ci serviremo della ricostruzione fatta da
200 Ilario Rinieri, Le cospirazioni mazziniane nel carteggio di un transfuga, «Il Risorgimento italiano», XVI (1923), pp. 173-212, 439-498, e XXI (1928), pp. 33-71; articoli poi ripubblicati a parte in Ilario Rinieri, Le
cospirazioni mazziniane nel carteggio di un transfuga, Casale, Tipografia Cooperativa Bellatore Bosco e C.,
1927. Sulla figura di Accursi è uscito di recente un volume: Giancarlo Parma, Michele Accursi: spia o
doppiogiochista mazziniano? Cento, Effeelle, 2007, che, riprendendo le carte analizzate da Rinieri, mi pare
non apporti contributi significativi alla comprensione della figura di Accursi.
201 Oltre a quelle carte, inoltre, presso l'Archivio di Stato di Roma si conservano anche i costituti del processo intentato a Michele Accursi nel 1832; mentre l'insieme delle Carte di Accursi si trova nella Miscellanea di carte politiche, n. 2803.
Rinieri, tenendo inoltre presenti le valutazioni, le integrazioni e i giudizi formulati dalla storiografia più recente.
La corrispondenza intrattenuta da Accursi con la Santa Sede, trascritta da Rinieri, si estende per un arco di tempo che dal 1833 arriva fino al 1836202. Il secondo arresto di Accursi si era protratto dal novembre del 1832 ai primi di marzo del 1833. Durante la reclusione, per provare il suo pentimento, Accursi stese due informative (di cui Rinieri fornisce un riassunto), con cui si proponeva di offrire al papa una serie di ragguagli su alcuni progetti di sollevazione tentati a Roma tra il 1830 e il 1832203. Grazie ai suoi buoni uffici, Accursi riuscì a ottenere la scarcerazione e, per svolgere più agevolmente il suo ruolo di spia, architettò uno stratagemma così da essere mandato in esilio in Francia: chiese, infatti, l'intervento dell'ambasciatore francese a Roma per sollecitare la propria scarcerazione, in modo che essa apparisse il frutto di una conquista della diplomazia francese. Su questo episodio è interessante leggere la ricostruzione piuttosto divertita che ne dà César Vidal, che, dopo aver lodato l'abilità del governo pontificio nel «recrutement des agents dans le camp ennemi», ricostruisce così l'episodio:
Il [scil.: il governo pontificio] sut acheter un intime de Mazzini, “gros bonnet de la Jeune Italie”, un certain Accursi, arrêté à la suite des événements de Bologne. Croyant agir en faveur d'un libéral injustement détenu, M. de Sainte-Aulaire, ambassadeur de France à Rome, sollicita et obtint la libération du détenu politique qui vint remercier son protecteur en promettant de ne pas oublier ce qu'il devait à la France; mais l'Ambassadeur, en se vantant d'avoir pu obtenir “immédiatement” l'élargissement d'Accursi, ignorait la véritable raison qui avait incité l'autorité pontificale à faire droit à sa requête. Accursi, auparavant, s'était offert de révéler à la police du Pape tous les secrets “de la Jeune Italie, de Mazzini et des autres chefs des sectes”; la démarche de l'Ambassadeur de France était venue à point pour prévenir
202 Con il 1836, infatti, «termina – scrive Rinieri - la corrispondenza di Michele Accursi, che io di propria mano trascrissi con molto studio nell'anno 1909. Essa però continua per gli anni seguenti, non potrei dire per quanti; ma per il mio allontanamento da Roma non mi fu dato di continuare dell'altro la mia fatica», cfr. Ilario Rinieri, Le cospirazioni mazziniane, cit., «Il Risorgimento italiano», XVI, p. 59.
203 Nelle due informative, Accursi forniva anche una descrizione della federazione romana della Giovine Italia, facendo tra gli altri i nomi di Enrico Mayer, Pietro Sterbini, Giuseppe Cometti e Giuseppe Andrea Cannonieri e sostenendo che, in seguito alla sua carcerazione e alla fuga di Cometti e Sterbini, l'organizzazione era stata scompaginata. Rinieri sottolinea come Accursi si presentasse agli occhi delle autorità pontificie non già come una «volgare spia» ma come uno che, ravvedutosi degli errori commessi, era divenuto un «settario convertito» che «intendeva di prestar l'opera di un impiegato al servizio del suo sovrano e al bene pubblico dello Stato, pensando insieme a risarcire il male da lui fatto nell'ultima ribellione con un'opera che fruttasse un bene tanto maggiore». Ilario Rinieri, Le cospirazioni mazziniane nel carteggio di un transfuga, Casale, Tipografia Cooperativa Bellatore Bosco e C., 1927, p. IV.
toute interprétation malencontreuse touchant l'élargissement du prisonnier. Exilé des États Romains, Accursi, ceint de l'auréole du banni politique, prit, la tête haute, la route de France pour aller espionner ses anciens amis qu'il vendit sans scrupules, et rien ne devait transpercer de son double jeu204.
In base alla sua ricostruzione, Rinieri ritiene di poter affermare che Accursi sia giunto a Parigi alla fine del mese di aprile del 1833, anche se è solo col mese di luglio di quell'anno che si apre la raccolta accursiana dell'archivio Vaticano. Qui di seguito presentiamo un breve estratto del carteggio, che ci interessa per mettere in luce sia le misure adottate da Accursi per gestire i suoi rapporti con la Santa Sede, sia i modi con cui riuscì a introdursi nell'ambiente dei mazziniani in esilio.
Nelle lettere del luglio 1833, l'attenzione di Accursi era rivolta al progetto d’insurrezione che dal Meridione avrebbe dovuto estendersi al resto della penisola, per ottenere poi un sostegno militare dalla Savoia205; nel mese di agosto, invece, segnalava che «il gran maneggio era in Svizzera»206 e contemporaneamente rispondeva in modo difensivo alle insistenti richieste provenienti da Roma di fornire gli elenchi dei congregati della Giovine Italia. Accursi riuscì a sottrarsi a questo incarico dichiarando che solo Mazzini possedeva quegli elenchi e il solo fatto di fargliene domanda l'avrebbe insospettito.207
In base a quanto riportato da Rinieri, sappiamo che a Parigi Accursi aveva stretto rapporti di collaborazione con Armand Carrel208, il direttore del «National». Nella lettera del 2 settembre 1833, Accursi sostiene che Carrel gli avrebbe proposto di andare in Svizzera con lui, cosa che in effetti egli fece nel settembre di quell'anno. Scopo di quella missione era di stabilire dei contatti con l'ala radicale del partito liberale per tentare una discesa sull'Italia dalla Svizzera209
.
204 César Vidal, Louis Philippe, Mazzini et la Jeune Italie, op.cit., pp. 30-31.
205 Si veda soprattutto la lettera del 31 luglio 1833. Cfr. I. Rinieri, Le cospirazioni mazziniane …, cit., pp. 468-9.
206 Lettera del 12 agosto. Ivi, pp. 472-473.
207 Accursi così si giustificava: «[...] il trarre per lettera da lui questo genere di notizie, voi conoscer dovete essere cosa impossibile, perché egli ha la corrispondenza, egli solo: con quale pretesto dunque domandargli qual'è la congrega tale? Chi sono i nomi delle congreghe tali? Come si posson fare tali domande senza destar sospetti, e chi prudente lo oserebbe col pericolo di rischiar tutto e non saper altro?».
208 Carrel era in corrispondenza con Mazzini, che aveva conosciuto a Marsiglia nel 1832.
209 Vedi la lettera del 15 settembre 1833, in cui afferma: «l'oggetto della mia missione è di abboccarmi con qualche capo del partito ultra-liberale svizzero, per vedere cosa si potrebbe dalla Svizzera per fare
Nel settembre del 1833, Accursi smentiva le voci che volevano Mazzini rifugiato in Svizzera per sostenere, invece, che si trovava a Lione: ciò era palesemente falso, dato che già dal luglio precedente Mazzini era stato costretto a lasciare la Francia per rifugiarsi, in un primo tempo, a Ginevra. Nelle lettere di quei mesi, inoltre, in più occasioni Accursi raccomandava ai suoi referenti di evitare ogni persecuzione contro Mazzini, perché a suo giudizio esse avrebbero avuto come unico effetto quello di farlo spostare da un luogo a un altro, senza per questo diminuirne il potere.
Il carteggio di Accursi proseguiva, quindi, fino al 1836, l'anno in cui uscì «L'Italiano», che però non viene quasi menzionato nelle lettere210.
L'impressione che si ricava dalla lettura del carteggio è che le rivelazioni che Accursi voleva far apparire come clamorose, fossero in realtà poca cosa, e comunque tali da non essere di grande utilità per il governo dello Stato Pontificio. La principale preoccupazione di Accursi, infatti, era quella di conservare il proprio ruolo di informatore, fatto che, secondo quanto riferito da Codignola, gli garantiva un salario mensile di seicento lire211. Per questo, essendo consapevole del fatto che la Santa Sede non aveva i mezzi per verificare la correttezza delle sue informazioni, cercava soprattutto di fornire relazioni che mantenessero vivo l'interesse dei suoi interlocutori. Come rilevato dallo storico del Risorgimento Lajos Pàsztor, «gli stava più a cuore il suo interesse personale, che il salvaguardare l'interesse politico del governo di Roma»212
.
Per il suo interesse personale, comunque, non aveva esitato a fare delle rivelazioni che risultarono decisive per la sorte di alcuni affiliati alla Giovine Italia. In base alla ricostruzione fatta da Arianna Arisi Rota, infatti, il ruolo svolto da Michele Accursi all'interno del processo intentato nel 1833, in una discesa in Italia: quanti uomini, quali armi etc., infine porre questo partito di concerto colla Giov. Ital., perché aiuti i progetti sull'Italia» (pp. 485-486).
210 Nel 1836, scrive Rinieri, «la cosa che gli [ad Accursi] accattò fama in Italia, fu la fondazione da lui eseguita di una rivista letteraria e scientifica, a cui diede per titolo L'Italiano» (I. Rinieri, Le cospirazioni
mazziniane, «Il Risorgimento Italiano», vol. XXI, p. 55). Sempre sul giornale mazziniano, Rinieri
aggiunge: «Quali poi fossero le intese dell'Accursi con Roma relativamente al L'Italiano, non mi è dato di conoscere, perché mancano, o meglio non ho rinvenuto le lettere che ne parlino. Nel corso di quest'anno 1836, nel quale anno il giornale nacque e morì, non ne trovo se non una menzione fuggitiva nella lettera degli 8 giugno. Dalla quale però si scorge, che il corrispondente romano ne aveva avuto notizia e ne era pienamente a giorno». (Cfr. Rinieri, p. 35). L'argomento che invece stava al centro di molte delle lettere inviate da Accursi alla Santa Sede nel corso del 1836, riguardava la preparazione di una cospirazione organizzata dagli esuli italiani in collaborazione col governo spagnolo, che avrebbe dovuto essere guidata da Gaetano Borso di Carminati e prevedeva l'invasione dell'Italia.
211 A. Codignola, I fratelli Ruffini ..., op. cit., vol. I, p 279, n.1.
212 Lajos Pàsztor, Osservazioni sull'edizione nazionale degli scritti di Mazzini, «Rassegna storica del Risorgimento», XL (1953), p. (pp. 53-68).
Lombardia, contro l'organizzazione mazziniana, «ebbe dirette conseguenze sull'andamento dell'inquisizione, nel momento in cui fu resa nota la lista dei corrispondenti di Mazzini, utilizzata dagli inquirenti per aggiungere conferme a notizie peraltro già acquisite».213
L'ambiguità della condotta di Accursi, alla fine, non sfuggì al governo pontificio: quando, nel gennaio del 1836, il cardinale Lambruschini venne nominato segretario di stato, Accursi cadde in disgrazia e la Santa Sede gli fece intendere che disponeva di fonti più attendibili per il reperimento delle informazioni.214 A conferma dei sospetti delle autorità pontificie, Rinieri cita una nota, probabilmente di mano del direttore delle poste dello Stato pontificio, in cui si dichiara che Accursi servì infedelissimamente il governo pontificio, riferendogli «non le cose più essenziali».
1.8. Dalla «Rivista della Letteratura Europea» all'«Italiano»
La presenza delle spie – sia reali, sia supposte tali – costituiva un fenomeno ricorrente, che si affacciava in moltissime delle iniziative promosse dagli esuli, in molti casi pregiudicandone inevitabilmente la riuscita.215Abbiamo visto come l'esilio di Accursi a Parigi si inquadrasse all'interno della sua attività di spionaggio, come dimostrato dai rapporti frequenti e dettagliati che trasmetteva al rappresentante del governo pontificio. Durante
213 Arianna Arisi Rota, Il processo alla Giovine Italia in Lombardia 1833-1835, Milano, Franco Angeli, 2003, p. 55.
214 «A Roma la fiducia in lui si mantenne illimitata fino all'anno 1836, quando al Bernetti successe il Lambruschini nella segreteria di Stato; e decadde affatto con l'avvenimento di Pio IX» (I. Rinieri). Nella lettera del 18 novembre 1836, Accursi faceva riferimento alla cattiva opinione che Lambruschini aveva di lui: «Il governo dite che dice sapere cose importanti da altra parte? Se per cose importanti vuol dire la presentazione del ragazzo Bonaparte innanzi una caserma di soldati, è un'importanza da far ridere. Se parla di altre cose, rispondo che noi possiamo sapere le vere macchinazioni che si tramano all'estero o all'interno in relazione coll'estero, e che si attaccano all'alta propaganda; non possiamo certo sapere quelle che pretestano le polizie, quando vogliono ricorrere a misure di rigore, né quelle oscure di qualche individuo, o prezzolato dalle polizie istesse per conoscere persone male pensanti, o guidate da un pazzo fanatismo».
215 Si veda quanto riporta S. Mastellone in Il progetto politico di Mazzini ..., op. cit., p. 32: «Gli emigrati politici sapevano di essere sorvegliati dalla polizia francese, nonché da spie assoldate dall'Austria e dai