LE LINGUE SLAVE ORIENTAL
5. Alcuni aspetti morfo-sintattic
In questo paragrafo ci limiteremo a trattare quelli aspetti che differenziano notevolmente il sistema morfosintattico delle lingue slave orientali da quello dell’italiano, e che costituiscono una difficoltà per l’apprendente. In generale si può affermare che laddove una delle due lingue poste a confronto articoli il sistema in modo più complesso, presentando distinzioni che nell’altra lingua mancano (si pensi all’uso dei casi per il nome assente in italiano), questo aspetto non costituisce una difficoltà per l’apprendente. Diversamente, l’assenza di alcune categorie e distinzioni (nelle tre lingue slave manca l’articolo e non è presente una distinzione formale tra condizionale e congiuntivo), oppure la differente articolazione di un medesimo spazio di significazione (l’uso dell’aspetto nelle lingue slave che copre in parte le funzioni dei tempi dell’indicativo dell’italiano, v. sotto) danno luogo a fenomeni di transfer dalla L1 che solitamente si traducono in “errori”.
Per quanto concerne il nome, le tre lingue slave orientali, come già accennato, presentano il si- stema dei casi; ciò implica che oltre al nominativo, che indica il soggetto della frase e costituisce la “forma di citazione” con cui il nome è registrato sul dizionario, il nome presenta altre forme, dette casi, ottenute aggiungendo una desinenza al nome, oppure sostituendo la desinenza del nominati- vo. I casi, che sono 6 in russo e bielorusso (nominativo, genitivo, dativo, accusativo, strumentale e prepositivo) e 7 in ucraino (che presenta anche il vocativo), permettono di codificare in modo di- retto molti dei complementi che in italiano sono introdotti da preposizione (per es. il complemento di termine, introdotto da a o per in italiano, può essere reso semplicemente con il caso dativo: rus.
podarok mame “un regalo per la mamma”, lett. “regalo.nom mamma.dat”). Questo però non com-
porta l’assenza delle preposizioni, che vengono usate insieme ai casi (per es. il complemento di termine e fine introdotto da per in italiano, può essere espresso in russo dalla preposizione dlja che regge il caso genitivo: igry dlja detej “giochi per bambini”, lett. “giochi.nom per bambini.gen”).
I nomi si declinano secondo tre modelli flessivi o declinazioni, che si distinguono per la forma che il nome prende al nominativo; esiste una certa corrispondenza tra declinazioni e genere. Per esempio in russo nella prima declinazione ci sono solo nomi maschili e neutri, mentre nella terza solo femminili.
Una distinzione grammaticale assente in italiano, di cui le lingue slave orientali presentano traccia, è l’animatezza: i nomi maschili della prima declinazione dispongono all’accusativo di due
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desinenze distinte, una per gli animati (ovvero umani e animali) e una per gli inanimati: questa caratteristica riguarda anche il plurale dei nomi della seconda e terza declinazione. La presenza dei casi solitamente non determina fenomeni di transfer per l’apprendente slavo, mentre problemi si possono verificare con il genere: nelle lingue slave orientali i generi sono tre, maschile, femminile e neutro, e la corrispondenza di maschile e femminile con l’italiano è chiaramente solo occasio- nale. Gli errori più frequenti relativi all’assegnazione di genere riguardano i nomi femminili in -e (1), spesso considerati maschili, e i maschili in -a (2), a cui gli studenti slavi tendono ad associare il genere femminile:
(1) a. il carne macinato b. il suo immagine
c. il fonte d’ispirazione (Tandem)2
(2) Federico Fellini è la regista che segna veramente un’epoca (Tandem)
Più complessa invece è la comparazione tra i sistemi verbali delle lingue slave orientali e dell’ita- liano. Queste lingue infatti dispongono di una categoria grammaticale assente in italiano, ovvero l’aspetto. Tale categoria, che si manifesta in due forme (perfettivo e imperfettivo), permette di evi- denziare diversi “aspetti” dell’azione: l’aspetto imperfettivo (ipfv) si concentra sullo svolgimento
dell’azione, che viene descritta come progressiva o abituale, l’aspetto perfettivo (pfv) invece si
focalizza sul completamento dell’azione, che viene vista come finita, compiuta. Uno stesso verbo pertanto può presentare due forme di infinito con lo stesso identico significato, ma distinte in base all’aspetto:
(3) rus. gotovit’ (ipfv) – prigotovit’ (pfv) “preparare; cucinare”
Questa distinzione si mantiene anche all’imperativo e all’indicativo, dove si associa però a un si- stema dei tempi molto meno complesso dell’italiano. In russo, per esempio, oltre al presente (solo
ipfv), esistono due forme di futuro e due di passato, una per ciascun aspetto. Gli esempi (4)-(5)
illustrano la differenza di significato tra i due aspetti al passato:
(4) Na kuxne povar gotovil bliny
In cucina il cuoco preparava.ipfv crêpe.pl
“In cucina il cuoco preparava le crêpe”
(5) Povar prigotovil vkusnye bliny
Il cuoco ha preparato.pfv gustose crêpe.pl
“Il cuoco ha preparato delle crêpe gustose”
In (4) l’ipfv coglie l’azione nel suo svolgimento; questa interpretazione è attivata anche dalla pre-
senza del complemento di luogo, che introduce una descrizione di ciò che sta avvenendo in cucina. In (5) il pfv, invece, sottolinea il risultato dell’azione svolta (la preparazione delle crêpe) e infatti si
associa all’aggettivo qualificativo vkusnye “gustose; buone”. L’informazione veicolata dall’aspet- to può essere resa in italiano mediante i tempi dell’indicativo (imperfetto in (4) e passato prossimo 2 Gli esempi di “errore” riportati sono ripresi e adattati da un corpus di italiano L2 di studenti russofoni (talvolta
bilingui russo-ucraino e russo-bielorusso) raccolto dall’autrice di questo capitolo nell’ambito di un progetto di tandem tra apprendenti russofoni e italofoni realizzato presso l’Università di Roma Tre.
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in (5)), oppure ricorrendo a perifrasi e costrutti che sottolineino, appunto, il valore aspettuale. Per esempio, il significato ipfv del verbo in (4) potrebbe essere reso dalla costruzione progressiva
“stava preparando”, mentre il significato pfv del verbo in (5) potrebbe essere esplicitato dalla lo-
cuzione “ha finito di preparare”.
Nella ricerca di corrispondenze tra il sistema dell’aspetto slavo e quello dei tempi italiano, gli apprendenti slavi tendono a estendere l’uso dell’imperfetto a tutti i contesti che in russo prevedono l’ipfv, come ad esempio in presenza di complementi di durata di tempo: tale operazione è causa di
errori come quello riportato in (6), che continuano a essere prodotti con una certa frequenza anche in fasi piuttosto avanzate della conoscenza dell’italiano:
(6) Egli non vedeva il suo nonno per molti anni (Tandem)
Le tre lingue slave orientali (come del resto la maggior parte di tutte le lingue slave, fatta eccezione per quelle meridionali) non possiedono articoli determinativi, mentre possono utilizzare il numera- le “uno” se vogliono sottolineare che il referente è indeterminato. Le funzioni svolte dall’articolo in italiano (ad esempio introdurre un referente già noto a chi parla o, viceversa, nuovo) possono essere compensate dall’ordine delle parole, che in queste lingue è più libero che in italiano; la se- quenza Soggetto-Verbo-Oggetto, considerata basica, ovvero non associata a particolari funzioni di messa in rilievo, può essere infatti mutata in base a criteri di rilevanza: la posizione iniziale nella frase si associa al “tema” del discorso, ovvero un elemento noto al parlante, o comunque prece- dentemente già introdotto, che rappresenta l’argomento di discussione. Il tema, che non coincide necessariamente con il soggetto grammaticale, viene seguito dall’informazione nuova che lo ri- guarda (il “rema”); se si segue tale progressione, lo scambio informativo procede dal “dato” verso il “nuovo”. Gli esempi (7) e (8) mettono in risalto una corrispondenza tra l’ordine delle parole in russo e l’uso degli articoli in italiano: la distribuzione dell’informazione tra data e nuova, che in russo viene segnalata dall’ordine assunto dal soggetto e dal complemento di luogo nella frase, in italiano viene espressa anche mediante l’uso degli articoli:
(7) Lampa stoit na stole
Lampada sta su tavolo “La lampada sta sul tavolo”
(8) Na stole stoit lampa
Su tavolo sta lampada “Sul tavolo c’è una lampada”
Tuttavia l’ordine delle parole da solo non basta a coprire tutti gli usi dell’articolo in italiano, e l’u- nica generalizzazione valida è che i nomi indeterminati tendono a non essere posti prima del verbo, dal momento che andrebbero a occupare la posizione del tema, che, come detto, è determinato. Una frase come (9), per esempio, non può contare in russo sull’ordine delle parole per segnalare se il complemento oggetto “studente” è già noto o sconosciuto a chi parla e al suo interlocutore, infatti, come mostrato dalla traduzione italiana, sono ammissibili entrambe le interpretazioni: (9) Ja vstretila studenta
“Ho incontrato lo / uno studente”
La difficoltà che si incontra nell’individuare e comprendere le diverse funzioni dell’articolo de- terminativo in italiano, e soprattutto l’impossibilità di stabilire corrispondenze biunivoche con
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strategie adottate nella propria lingua materna, costituisce per i parlanti di lingue slave orientali la principale causa di errori in italiano; tale difficoltà si riflette anche nell’uso delle preposizioni articolate, che vengono sia omesse (10a) che aggiunte a contesti che non le prevedono (10b): (10) a. Il parco di villa è fantastico!
b. Nel questo film hanno fatto i suoi primi ruoli due famosi attori russi (Tandem)
Inoltre, gli apprendenti russofoni frequentemente replicano in italiano la libertà sintattica ammessa dalla loro lingua, omettendo l’uso di pronomi obbligatori, come nell’esempio (11), tratto da una chat relativa all’organizzazione di una cena:
(11) I prodotti alimentari possiamo comprare vicino a casa mia, c’è il Carrefour (Tandem) Per concludere questa breve trattazione relativa all’ordine delle parole nelle lingue slave orientali, bisogna aggiungere che l’aggettivo solitamente precede il nome a cui si riferisce, con cui concorda per genere, numero e caso.
Nelle tre lingue slave orientali il verbo “essere” non possiede forme al presente, eccetto una for- ma residua di 3a persona singolare (rus. est’, ucr. je, biel. ësc’), che può essere utilizzata occasio- nalmente anche per le altre persone: una frase come Lui è mio amico viene normalmente realizzata come “lui – mio amico”, sostituendo la forma del verbo con un trattino allungato. Il verbo “essere” compare invece come copula al passato e al futuro. “Essere” inoltre funziona come verbo ausiliare per la formazione del tempo futuro ipfv in russo:
(12) Povar budet gotovit’ vkusnye bliny
Cuoco essere.fut.3ps preparare gustose crêpe.pl
“Il cuoco preparerà gustose crêpe”
La forma del verbo “avere” invece non svolge funzione di ausiliare, pertanto la scelta della forma corretta tra essere e avere costituisce un’evidente difficoltà per l’apprendente, sia nel caso di verbi intransitivi che riflessivi, come mostra il seguente esempio:
(13) Lui ha sentito un po’ triste (Tandem)
Le costruzioni possessive, che in italiano si costruiscono con avere, in russo invece sono realizzate come costruzioni esistenziali-locative, predicando la presenza della cosa posseduta presso il pos- sessore. Anche in questo caso il presente del verbo “essere” può essere omesso:
(14) U brata (est’) mašina
Presso fratello.gen (è) macchina
“Mio fratello ha la macchina”
Per indicare stati fisici o psicologici, nelle tre lingue sono molto frequenti costrutti impersonali realizzati mediante una forma predicativa invariabile, che le grammatiche classificano in modo piuttosto forviante come un avverbio: l’esperiente, ovvero colui che si viene a trovare nello stato descritto dal predicato, viene indicato al caso dativo, pertanto, diversamente dalle corrispondenti costruzioni dell’italiano, il soggetto “logico” non costituisce il soggetto grammaticale della frase, identificato dal caso nominativo:
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(15) ucr. meni xolodno rus. mne xolodno me.dat freddo.avv
“ho freddo” (16) ucr. meni sumno
rus. mne grustno me.dat triste.avv
“sono triste”
In generale, l’elevata presenza di costrutti impersonali ha alimentato la credenza, chiaramente molto discutibile, che a queste lingue si associ una visione fatalista dell’esistenza, in cui il parlante ha uno scarso controllo sul suo stato fisico e psichico.
Infine, un altro aspetto che caratterizza le lingue slave è la regola della doppia negazione che si applica con regolarità in presenza di pronomi e avverbi negativi (“nessuno”, “niente”, “neanche”, ecc.): gli apprendenti slavi tendono a estendere tale regola a contesti analoghi dell’italiano, in cui tuttavia non sono richieste due negazioni, come nell’esempio (17), tratto da una chat relativa all’organizzazione di una cena tipica italiana:
(17) Neanch’io non sono un’esperta [di vino] ma vado a prenderlo in enoteca così gli chiedo […] (Tandem)
Per quanto riguarda la formazione delle parole, le tre lingue slave orientali si servono di mecca- nismi simili all’italiano: per esempio dal verbo si può derivare per mezzo di un suffisso il nome dell’agente, per indicare colui che compie l’azione indicata dal verbo: cfr. it. scriv-ere > scrit-
tore, legg-ere > let-tore, rus. pisa-t’ “scrivere” > pisa-tel’ “scrittore”, čita-t’ “leggere” > čita-tel’
“lettore”. I verbi, in particolare, fanno grande uso di prefissi per modificare l’aspetto: sempre dal verbo pisat’ (ipfv) si forma mediante prefisso la forma pfv na-pisat’ con lo stesso medesi-
mo significato di “scrivere”. Tuttavia ci sono anche casi in cui l’aggiunta del prefisso permette di formare un nuovo significato: do-pisat’ “finire di scrivere”, za-pisat’ “registrare; annotare”,
pere-pisat’ “trascrivere; riscrivere”. Anche la composizione in queste lingue è un meccanismo
molto produttivo, soprattutto se confrontata con l’italiano. Per fare un esempio, dalla radice del verbo russo pad-a-t’ “cadere” si formano i composti vod-o-pad “cascata” (lett. “acqua-vr3-
cadere”), sneg-o-pad “nevicata” (lett. “neve-vr-cadere”), zvezd-o-pad “stelle cadenti; pioggia di
stelle” (lett. “stella-vr-cadere”).
<scheda web: I composti con troncamento>
Un’altra caratteristica delle lingue slave riguarda l’uso dei suffissi diminutivi (dmn) con fun-
zione valutativa. Questi suffissi si associano soprattutto al nome, ma possono modificare anche aggettivi e avverbi, e sotto forma di particelle (ptcl), il verbo:
(18) rus adresoček ne dadite-ka?
indirizzo.dmn non date-ptcl?
“Non è che mi dareste l’indirizzo?”
3 Nei composti le radici lessicali sono solitamente collegate tra loro da una vocale di raccordo (VR), che in russo
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Come mostra la traduzione dell’esempio (18), mentre in italiano è l’uso del condizionale a rendere cortese la richiesta, in russo lo stesso effetto si ottiene usando la forma diminutiva del nome (adres > adres-oček “indirizzo”) e aggiungendo la particella -ka al verbo.
Rispetto all’italiano, i suffissi diminutivi vengono utilizzati non tanto per indicare dimensioni ridotte, quanto piuttosto per esprimere l’atteggiamento del parlante verso il referente o l’interlocu- tore: le forme di diminutivo possono veicolare simpatia, affetto, confidenza e cortesia. Il fenomeno diventa particolarmente evidente con i nomi propri: una Ekaterina sarà chiamata con il suo nome per esteso solo in contesti formali, altrimenti ci si rivolgerà affettuosamente a lei come Katja, o
Katjuša, Katjuxa, Katëna, Katjunja, ecc. Lo stesso avviene con i nomi maschili (Aleksandr > Saša, Šura, Sanja, Aleksaša, ecc.). Un’altra caratteristica legata all’uso dei diminutivi di persona che
spesso disorienta i parlanti italiani è data dal fatto che uno stesso diminutivo funziona sia al femmi- nile che al maschile: per esempio Saša vale sia come diminutivo di Aleksander che di Aleksandra. Infine, nel russo colloquiale è particolarmente attivo un tipo di composti in cui si osserva una curiosa convergenza tra il fenomeno del troncamento e l’uso dei diminutivi: a partire da struttu- re [agg + n] è possibile creare nuove denominazioni eliminando il nome, troncando l’aggettivo
e unendo a questo un suffisso diminutivo-affettivo, generalmente -ka: bezlimitka “tariffa flat” <
bezlimitnyj tarif lett. “illimitata tariffa”, kreditka “carta di credito” < kreditnaja karta lett. “credito.
agg carta”.