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Una lingua di carattere Il carattere della lingua albanese

Nella sua struttura, l’albanese è una lingua più sintetica che analitica: questo significa che le cate- gorie grammaticali tendono a essere espresse con elementi morfologici combinati alla radice della parola (sintesi), e non da elementi separati (analisi).

I sostantivi sono contrassegnati per genere, numero, caso e hanno anche forme determinate (definite) e indeterminate (indefinite). La stragrande maggioranza dei nomi sono maschili o fem- minili, anche se ci sono rari esempi di nomi originariamente neutri, che ora si sdoppiano funzio- nando come maschili al singolare e femminili al plurale. Quanto al numero, i nomi compaiono al singolare e al plurale, come nella maggior parte delle altre lingue europee.

Esistono circa 100 formanti per il plurale, tra cui suffissi, umlaut (mutamenti delle vocali), cam- biamenti di consonanti finali e combinazioni delle varie strategie.

Il sistema nominale distingue cinque casi: nominativo, genitivo, dativo, accusativo e ablativo. Le terminazioni di genitivo e dativo sono sempre le stesse. I genitivi sono inoltre collegati ai so- stantivi che qualificano da un complicato sistema di particelle connettive: i, e, të, së, che spesso riflettono il finale della parola precedente: ad esempio gishti i dorës (“il dito della mano”), lëvizja e gishtit të dorës (“il movimento del dito della mano”).

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Le forme determinate e indeterminate del sostantivo sono segnate dalla presenza o dall’assenza di un articolo determinativo posposto. La declinazione del sostantivo mostra quindi due serie di desinenze: determinata e indeterminata.

La maggior parte degli aggettivi seguono il nome direttamente o sono preceduti da una particel- la connettiva, ad esempio djali trim (“il ragazzo coraggioso”), djali i vogël (“il ragazzo piccolo”).

Il sistema verbale albanese ha le seguenti categorie: tre persone, due numeri, dieci tempi, due diatesi e sei modi. Un modo verbale insolito che si trova in albanese è l’ammirativo, che viene utilizzato per esprimere stupore da parte di chi parla, ad es. bie borë (“sta nevicando”), rënka borë che si potrebbe rendere in certe varietà di italiano con “che sta nevicando!”.

Per via della sua graduale evoluzione che tende, come in tutte le lingue, a semplificare e uni- formare i mezzi grammaticali, l’albanese si è trasformato da una lingua precedentemente sintetica a una lingua sintetico-analitica, mantenendo tuttavia vivi, come si è visto, i meccanismi di sintesi. Questa sua natura deve essere tenuta in considerazione da chi insegna una seconda o terza lingua a un albanofono, abituato a cercare la realizzazione delle più significative categorie morfogram- maticali nel corpo della parola stessa. Soprattutto tali abitudini archetipali incidono sull’apprendi- mento di una seconda lingua negli albanofoni dai 12 anni compiuti in poi, quando ogni approccio a un sistema linguistico non è più acritico poiché la struttura della L1 si confronta con qualsiasi neostruttura in arrivo.

Per collocare bene l’albanese è opportuno osservarlo nei suoi stretti legami di vicinanza storica e culturale: quindi l’ubicazione che più corrisponde a questi requisiti è la Penisola Balcanica. La lingua albanese è considerata dagli studiosi come un componente assai significativo della cosid- detta Lega Linguistica Balcanica, che comprende lingue di gruppi diversi che hanno sviluppato convergenze nel corso della storia (cfr. capitolo 4). Tra i principali “balcanismi” possono essere elencati:

1. la posposizione dell’articolo determinativo, manifestazione dell’antica tendenza della lingua a posizionare tutte le terminazioni determinative alla fine del sostantivo;

2. l’uniformità della marca per genitivo e dativo (indefinito e definito, singolare e plurale); 3. il raddoppio degli oggetti diretti e indiretti per mezzo delle forme clitiche (cioè non accenta- bili) dei pronomi personali;

4. la scomparsa dell’infinito, sostituito da forme congiuntive o forme analitiche.

Osserviamo meglio quest’ultimo tratto (4) e quindi la questione dell’infinito verbale in albane- se. La perdita dell’infinito e la sua sostituzione con un verbo di modo finito (nel caso dell’albane- se è prevalentemente il congiuntivo) viene considerata uno dei principali tratti comuni dell’area linguistica balcanica. In modo quasi ripetitivo, da Sandfeld in poi, tale perdita è stata considerata come uno dei pochi tratti condivisi da tutte le lingue appartenenti alla Lega Linguistica Balcanica, le quali poi partecipano agli altri fenomeni in modo perlopiù non omogeneo.

L’assenza dell’infinito verbale in quanto tratto unitario ha conosciuto varie modifiche e pre- cisazioni. Oggi si può sostenere che, anche se la scomparsa dell’infinito verbale rimane un feno- meno assai diffuso in tutti i Balcani, l’infinito non è proprio uscito di scena e questo può trovare conferma nei vari sistemi linguistici dei Balcani. Il suo percorso caratterizzato da assenze e presenze farebbe pensare, per dirlo con le parole di Joseph, “a un caso particolare di contatto linguistico più che a un balcanismo vero e proprio”. Infatti da un’accurata osservazione delle varietà scritte e parlate, in situazioni semiformali o informali risulta che, nella maggior parte del territorio albanofono (Kosovo compreso), l’infinito verbale viene normalmente usato, mentre è sconosciuto nelle parlate del sud. Viene usato altrettanto regolarmente in tutte le varietà substan- dard, neostandard e nei gerghi poco controllati. Non è presente nella norma prescrittiva standard e quindi non fa parte delle grammatiche accademiche o scolastiche, però viene spesso riportato come corrispettivo nella traduzione dei verbi neolatini come “amare”, “cercare”, “travailler”,

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“llamar” i quali vengono tradotti da me dashtë/me dashur, me kërku/me kërkuar, me punu/me

punuar, me thirrë/me thirrur.

Va tuttavia chiarito che l’infinito verbale albanese non è del tipo sintetico (un’unica parola come

amare o guardare) come quello delle lingue neolatine, ma è una forma analitica, composta da un

elemento che precede il verbo, me (in italiano “con”), più il participio passato del verbo stesso. Tutto ciò significa che ci si potrebbe imbattere in una confusione sia concettuale che terminologica durante l’insegnamento dell’italiano L2, dovuta proprio a questo rapporto contraddittorio che un albanofono ha con la categoria dell’infinito verbale.

Una particolare attenzione merita anche il punto (3), ossia il raddoppio degli oggetti diretti e indiretti attraverso i clitici dei pronomi personali. Questo raddoppio è tipico delle lingue balcani- che, e in particolar modo in albanese tali costrutti non solo sono legittimati dall’uso frequente ma vengono certificati anche da tutte le grammatiche ufficiali. Quindi in albanese è naturale e regolare dire (e scrivere) costrutti del tipo: mua më ka thënë (“a me mi ha detto”), ty të ka dhënë (“a te ti ha dato”), ai ta ka fshehur letrën ty (“lui te la ha nascosta la lettera a te”), ne na pëlqen dielli (“a noi ci piace il sole”). Anzi in quest’ultimo esempio uno scrutinio etimologico del clitico na vedrebbe in quella particella un clitico composto da ben due elementi, në + e = na, quindi con la ripresa sia del pronome personale ne (“noi”) sia del clitico e (“lo”) che riprende dielli (“sole”); quindi, se tradotto letteralmente in italiano, questo costrutto sarebbe: “a noi ci lo piace il sole”. Di conseguenza, tutto questo paradigma di costrutti, che dalle grammatiche scolastiche italiane verrebbe considerato errato, oppure verrebbe catalogato come manifestazione linguistica del parlato trascurato, per le grammatiche albanesi invece viene sempre regolarmente promosso in quanto tratto tipico. Va da sé, allora, che un albanofono al quale viene insegnato l’italiano L2 si imbatterà per la prima volta in vita sua in questa regola del tutto contraria alle sue abitudini linguistiche native. E se a questa forza contraria interna archetipale che si oppone allo standard L2 aggiungiamo anche un’altra for- za presente in tutte le lingue, quella dell’espressività (che spinge pure gli italofoni nativi a dire: a

me mi piace, a te ti ho detto, ecc.), è facile immaginare che costruzioni simili rimangano un osso

duro per l’insegnamento.

Un tratto ulteriore dell’albanese odierno, legato alla morfosintassi, è la tendenza verso l’ana- liticità. Questa è una caratteristica di altre lingue moderne come l’inglese, che ha perso tutte le desinenze del sistema nominale e quasi tutte le desinenze del sistema verbale, o le lingue romanze, che hanno perso le desinenze nominali, ma non quelle verbali. Questa tendenza è attiva anche nell’albanese. Così, nel sistema nominale, la distinzione fra genitivo, dativo e ablativo che hanno la stessa forma si fa tramite un elemento preposto, p. es. i një mali, një mali, prej një mali (rispetti- vamente in italiano: “di una montagna”, “da una montagna” e “per una montagna”. Nella struttura

i një mali, la i iniziale è l’articolo del genitivo). Ricapitolando: il genitivo ha come antecedente

l’articolo; l’ablativo ha una preposizione, mentre il dativo non ha nessun antecedente.

I pronomi personali e dimostrativi in albanese sono generalmente di origine indoeuropea. La lista dei pronomi personali è la seguente:

unë io ne noi

ti tu ju voi

ai/ajo egli/ella ata/ato essi/esse

Spendiamo due parole in merito all’uso dei pronomi personali in albanese e al loro legame con le forme verbali: il verbo in albanese presenta un paradigma grammaticale molto ricco e assai specifi- cato nelle desinenze, lasciando pochissimo spazio a dubbi che richiederebbero l’aiuto del contesto. Di conseguenza un albanofono, in situazioni di espressività neutrale, tende a non usare insieme

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verbo e pronome personale corrispondente, esattamente come in italiano. L’uso accoppiato di so- lito si riscontra nelle comunicazioni marcate, quando il mittente è intenzionato a fare chiarezza sul soggetto collegato al verbo, insistendo quindi sul pronome personale. Di conseguenza un alba- nofono tende a proiettare anche sulla L2 questa abitudine archetipale che vede l’omissione quasi abitudinaria del pronome personale.