• Non ci sono risultati.

La comunicazione non verbale

IL TAMIL E LE LINGUE DRAVIDICHE

Popolazione 8 gruppo meridionale

7. La comunicazione non verbale

La comunicazione non si realizza esclusivamente mediante gli enunciati che emettiamo ma anche attraverso il modo in cui ci muoviamo nello spazio fisico occupato e dai movimenti del corpo. Importante dunque prestare attenzione al non detto dell’interlocutore e interpretare correttamente la sua comunicazione non-verbale che utilizza modalità variabili nelle diverse culture.

134 Il tamil e le lingue dravidiche

a. Spazio e contatto fisico

Nella comunità tamil, i parlanti mantengono una certa distanza e non invadono lo spazio l’uno dell’altro. Il contatto fisico è contemplato solo in legami di amicizia e tra individui dello stesso sesso. Non è strano o improbabile vedere due maschi adulti passeggiare per mano.

b. Occhi

Se i due interlocutori non godono del medesimo status o appartengono a generazioni o sessi diffe- renti gli occhi del parlante subordinato sono rivolti verso il basso a lato.

c. Tono della voce

Squillante nelle conversazioni tra donne ma moderatamente basso nell’interazione tra interlocutori con distanza sociale.

d. Gesti

Buongiorno, Arrivederci, Grazie

Le mani congiunte davanti al petto o al volto (Figura 3), rispetto alla nostra mano alzata (Fi- gura 4) sono il gesto forse più noto quando si pensa all’India. Si usa per salutare, assieme alla parola vaṇakkam (buongiorno o arrivederci), e per ringraziare, assieme alla parola naṉṟi. Non so. Non ho capito.

Per comunicare di non sapere o non aver com- preso qualcosa si usano una o due mani ruotate (Figura 5) e non solo rivolte verso l’alto come in italiano (Figura 6). Il gesto può essere ac- compagnato dalla parola terille “non so” (= TP;

teriyātu in TS) o da un’espressione del volto.

Che cosa? Chi? Perché?

Il tipico gesto interrogativo e per il quale gli ita- liani sono conosciuti nel mondo (Figura 8a-8b) è realizzato da un par-

lante tamil come indi- cato dalla Figura 7. È accompagnato da un lieve ma deciso movi- mento dell’avambrac- cio ed eventualmente da un verbale ēṉ “per- ché”, eṉṉa “cosa”, yār “chi”.

No. Non voglio. Basta, è abbastanza

Per esprimere negazione a una richiesta o un’offerta si usa un movimento dinamico della mano che parte dalla base del polso: il palmo, rivolto verso l’interlocutore, è agitato vivacemente (Figu- ra 9). Non si realizza come in italiano tramite il movimento dell’indice (Figura 10a, b) o l’oscil-

Figura 4. Figura 3.

Figura 6. Figura 5.

135 Cristina Muru

lazione del capo da destra verso sinistra e viceversa (Figura 11a, b). Può essere accompagnato da un’enunciazione verbale come vēṇṭām “non voglio” che in italiano può essere esemplificato dal gesto alla Figura 12.

Se la negazione ri- guarda un’offerta, ad esempio di ulteriore di cibo, può essere accompagnato dalla parola pōtum “è ab- bastanza (non ne vo- glio più)”.

Sì. Va bene

Se in Italia affermia- mo qualcosa muoven- do la testa dall’alto verso il basso e vice- versa (Figura 14a), un parlante tamil lo farà realizzando un gesto simile alla nostra ne- gazione (Figura 13a). Il movimento consiste in un’oscillazione del

capo a destra e sinistra a partire dal tratto cervicale. Si tratta di un vero e proprio dondolio del capo. Comune a entrambe le lingue è il segno dell’ok (Figure 13b, 14b).

Figura 9.

Figura 12. Figura 11b.

Figura 11a.

Figura 10a. Figura 10b.

Figura 13a. Figura 13b.

Figura 14b. Figura 14a.

136 Il tamil e le lingue dravidiche

Stai attento, la mia pazienza ha un limite! Anche questo è un gesto dinamico in cui il dito indice è rivolto verso l’interlocutore e viene mosso freneticamente per avvisare o minacciare qualcuno (Figura 15) in alternativa all’immobi- lità dell’indice rivolto verso l’alto o l’interlocu- tore che si osserva spesso in italiano (Figura 16). Lasciami riflettere…

Questa è la tipica postura assunta da chi sta pensando. E ringraziando Neela e Franco26 per essersi resi disponibili a collaborare, conclu- diamo questa panoramica sul tamil invitando proprio a riflettere su quanto sia indispensabi- le, soprattutto nella micro-società scolastica, un approccio attento alle diversità e alla loro valo- rizzazione. Perché è solo a partire dalla com- prensione e dalla contemplazione delle diversi- tà che si possono formare individui armoniosi e rispettosi, capaci di vivere in comunità.

Riferimenti bibliografici

Per i dettagli e gli approfondimenti bibliografici v. <scheda web: Riferimenti e approfondimenti bibliografici>.

§ 1. Annamalai 2006; Kolichala 2016; Krishnamurti 2003; Ethnologue;

§ 2. Abbi 2016; Annamalai 2016a,b; Asher 2008; Bashir 2016a; Chevillard 2012; Kolichala, 2016 § 3. Annamalai 2016a; Britto 1986; Chevillard 2012; Ferguson 1959; Schiffman 1996, 1998, 2016 § 4. Bashir, 2016; Bright 1998;

§§ 5-6. Annamalai & Steever 1998; Asher 1985; Hock 2016; Krishnamurti, 2003; Lehmann 1998; Schiffman 1999; Steever 1998; Subbarao 2008, 2016;

§ 7. si basa sull’esperienza personale.

Bibliografia basica di riferimento

Asher, R.E. (1985), Tamil, New York, Routledge.

Britto, F. (1986), A Study on the Theory with Application to Tamil, Washington D.C., Georgetown University Press.

Hock, H.H., Bashir, E. (a cura di) (2016), The Languages and Linguistics of South Asia. A Com-

prehensive Guide, Berlin-Boston, Mouton De Gruyter.

Lehmann, T. (1993), A Grammar of Modern Tamil, Pondicherry, PILC.

Steever, S.B. (a cura di) (1998), The Dravidian Languages, London-New York, Routledge.

26 Neela Manasa Bhaskar è dottoranda presso il CSMC dell’Università di Amburgo (Centre for the Study of Manuscript

Cultures), il dottor Franco Carola è psicologo sociale e dello sviluppo, psicoterapeuta. Vorrei esprimere anche la mia gratitudine a Giovanni Ciotti (Centre for the Study of Manuscript Cultures) per i preziosi commenti alla prima versione di questo contributo.

Figura 18. Figura 17.

Figura 16. Figura 15.

Capitolo 9

IL TAGALOG (PILIPINO)

Giulio Soravia – già Università di Bologna

1. Introduzione

C’è sempre qualcuno che ride quando sente dire che la lingua delle Filippine si chiama pilipino, eppure questo nome – davvero un po’ buffo per le nostre abitudini linguistiche – contiene già una lezione su come affrontare l’incontro con lingue diverse.

Sembra sempre che le lingue di paesi lontani debbano essere difficilissime e i loro suoni im- pronunciabili. Quasi impossibile impararle. Beh, per i filippini l’italiano è decisamente difficile e pronunciare farfalla può essere un problema. Pensare che è invece una parola così facile! Ma per John, il nostro studente, riuscire a non dire più parpalla era stata una conquista.

John sapeva tante altre cose che nessuno sospettava quando era arrivato in classe e avevano scoperto insieme il suo paese d’origine, i suoi usi e le sue storie. Lui sapeva parlare tagalog cosic- ché attraverso la lingua che è una specie di enciclopedia della vita e degli usi di un popolo aveva condiviso un’esperienza indimenticabile.

Ma prima di tutto vediamo di capire di che cosa stiamo parlando. Avevamo detto che la lingua delle Filippine è il pilipino e quindi? Perché adesso tagalog e non pilipino?

Innanzitutto nelle Filippine ci sono due lingue ufficiali, l’inglese e il tagalog. Fino a un recente passato, negli anni Settanta, c’era anche una terza lingua, lo spagnolo, ma ora non c’è più e vedre- mo poi perché. L’inglese è una lingua che è entrata in uso con la presenza americana nell’Arcipe- lago poco più di un secolo fa, il tagalog invece è una lingua che si parla da secoli nelle isole… ma il pilipino che c’entra?

La questione può apparire complessa e cercheremo di chiarirla. In fondo è una storia che ricorda l’Italia ai tempi di Dante e quindi non così astrusa. La realtà è che le lingue ufficiali nei paesi del mondo non sempre sono le uniche parlate in quei paesi e non sempre sono automaticamente scelte senza difficoltà. Nelle isole Filippine le lingue ufficiali sono l’inglese e il pilipino: queste sono le lingue dell’amministrazione, dei discorsi ufficiali, della burocrazia e della scuola. La gente invece parla 171 lingue diverse.

Questo è il numero che viene dato da una pubblicazione specializzata nell’elencare le lingue del mondo, Ethnologue. Altre fonti discordano, ma forniscono sempre dei numeri impressionan- ti. Ma perché spaventarci? Anche in Italia si parlano decine di lingue diverse, solo nella regione dell’Emilia Romagna si parlano almeno il bolognese, il modenese, il reggiano, il piacentino e il parmense. Inoltre il romagnolo è un folto gruppo di lingue diverse e ancora ci sono il ferrarese e la lingua dei Sinti giostrai… Insomma l’italiano, la lingua fiorentina del Trecento, è diventata la lingua ufficiale in Italia, ma fino a cent’anni fa solo il 2% della popolazione lo conosceva e ancora oggi i cosiddetti dialetti evidenziano l’esistenza di lingue diverse.

138 Il tagalog (pilipino)

Così nelle Filippine quando si decise che occorreva una lingua per tutti, per capirsi meglio e avere un punto di riferimento univoco, si dovette decidere in modo drastico. Che confusione si sarebbe ottenuta con tutte quelle lingue? Una sola bastava e per varie ragioni il tagalog sembrava la più adatta. Era la lingua che si parlava nella capitale Manila e nella zona circostante, dei missionari l’avevano studiata nel passato e l’avevano utilizzata per predicare il Vangelo. C’erano scrittori che avevano usato il tagalog per opere letterarie, insomma l’unico problema reale è che gli altri, quelli che non parlavano tagalog come lingua madre si sentivano un po’ esclusi, discriminati. Così per non farli sentire cittadini di serie B si inventò il pilipino, cioè la lingua tagalog ripulita da parti- colarismi, utilizzando parole che erano più diffuse di altre, insegnandola nelle scuole e promuo- vendone l’uso nei media. Insomma questo tagalog non era proprio uguale a quello che si parlava quotidianamente, bensì un tagalog codificato e definito che sarebbe stato chiamato pilipino, per sottolineare cioè che non era la lingua di una sola etnia del paese, ma la lingua di tutti!

Va da sé che problemi ce ne furono, ma in fondo le lingue parlate nelle Isole Filippine sono molto simili fra di loro. Si tratta di lingue che hanno la stessa origine, come vedremo, e si assomi- gliano strutturalmente, hanno molte parole in comune. Insomma il pilipino, codificato a tavolino, divenne la lingua dello stato che si chiama Repubblica delle Filippine (Republika ng Pilipinas) da dove proviene il nostro studente John.

Può sembrare una questione di poco conto. In fondo se il pilipino dev’essere la lingua dell’am- ministrazione, degli usi ufficiali, dei documenti e della letteratura usiamola senza problemi. Poi quando si sta in famiglia, o al bar con gli amici o quando si scrive una lettera a un parente lontano, ognuno userà la lingua che sente più adatta a esprimere i suoi sentimenti, che lo colloca in un am- biente più rilassato, che gli ricorda atmosfere e condivisioni più “sue”. Chi o che cosa ci impedisce di conoscere più lingue? Abbiamo qualche perplessità? Ma guardate bene: anche noi parliamo in modo diverso in diverse situazioni. Certe parole ci richiamano più dell’immagine neutra di ciò che significano. Se degli amici di Padova si ritrovano per mangiare assieme i galani, non occorrerà specificare che siamo a carnevale, ma oltre all’immagine dei dolci ci evocheranno altre occasioni, piacevoli o spiacevoli, in cui ci eravamo trovati davanti a un vassoio di questi. Ma dei toscani resteranno perplessi davanti a questa parola. Con loro occorrerà parlare di stracci, e un milanese preferirà dire chiacchiere.

Così ogni lingua contiene elementi della storia, espressioni della cultura, evoca situazioni e pro- voca dibattiti: è uno strumento per comunicare, ma è anche un’enciclopedia che ci svela il modo di concepire il mondo di chi lo parla, e i tagalog non costituiscono l’etnia più numerosa, essi sono solo al secondo posto con 14 milioni mentre il primo posto spetta ai parlanti di etnia bisaya (oltre 20 milioni). Altre importanti etnie sono gli ilocani (10 milioni), gli hiligaynon (8 milioni), i bikol e i waray-waray (3,5 milioni ciascuno). Ci ricordano il valore delle diversità.

Torneremo su ciò. Ora cerchiamo di capire chi erano i popoli che abitavano l’Arcipelago quan- do fu scoperto dagli europei.