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1.2 «Come, non che cosa»: ripensare la Entfremdung

1.3 Un problema sociale

1.3.1 Alienazione e diagnosi della società

Per fondare e comprendere la ripresa del concetto di alienazione in Jaeggi, siamo partiti dalla concezione antropologica che ne sta alla base. Questa scelta, opposta rispetto al cammino che compie la filosofa nel suo testo, è stata motivata dal fatto che il soggetto dell’alienazione qui criticata è in ultima istanza un sé di cui è risultato essenziale chiarire le caratteristiche prima di poter comprendere quale significato ed estensione avesse la sua Entfremdung. Questo sé, come abbiamo visto, non è un soggetto astratto né un individuo isolato; egli vive nella società e attraverso di essa, in una relazione cooriginaria con se stesso, con gli altri e con il mondo in cui è immerso. Il soggetto singolo e la società possono dunque essere viste come due facce indivisibili di una stessa medaglia e per questo motivo l’analisi dell’alienazione non può fare a meno di passare attraverso le relazioni vissute, i fenomeni quotidiani, le esperienze concrete che hanno luogo nella e attraverso la società. In questo senso potremmo allargare

R. Jaeggi, Alienazione. Attualità di un problema filosofico e sociale, cit., pp. 73-74. 204

quanto detto all’inizio e affermare che il soggetto dell’analisi condotta da Jaeggi è sì un sé, ma un sé necessariamente sociale.205

Questo ampliamento nella definizione del sé ci permette, allo stesso tempo, di connotare meglio la ridefinizione dell’alienazione come relazione in assenza di relazione: questa, infatti, riguarda sempre il soggetto e il mondo, il sé e la società, la persona e le forme di vita in cui vive. Ciò conferma quanto abbiamo già detto - cioè che la critica dell’alienazione in Jaeggi risponde ad un paradigma relazionale in quanto va oltre la netta divisione soggetto-oggetto e si concentra sul loro nesso, sul tra - ma aggiunge anche che l’alienazione è sempre una relazione biunivoca206 e in quanto tale non riguarda mai solamente il soggetto (solipsisticamente inteso). È pertanto errato, nell’ottica della filosofa e della ripresa del concetto che stiamo qui delineando, pensare l’alienazione come fosse una sensazione meramente soggettiva e concentrare l’analisi solo sul soggetto “privato”. L’analisi dell’alienazione è sempre (anche) analisi della società nelle sue strutture e nelle sue istituzioni, nei rapporti che in essa si creano e nei comportamenti che attraverso di essa si plasmano. Come scrive Jaeggi

Il vissuto (soggettivo) dell’alienazione, il rapporto deficitario che si ha con il mondo, reagisce a corrispondenti deficit che riguardano il «lato del mondo»: il versante delle istituzioni politiche e sociali, i modelli di comportamento sociali disponibili, i rapporti di lavoro e di consumo o, più in generale, i modi di condurre la vita che sono socialmente offerti. Il concetto di alienazione concerne sempre entrambe le cose, in quanto mette a tema questo punto di sutura.207

La concezione del soggetto che sorregge il pensiero di Jaeggi assieme a quello di molti altri 205

autori (penso ad esempio a Fischbach di cui parleremo nel paragrafo 3.1, ed in generale agli autori inscrivibili alla teoria critica contemporanea) riprende in maniera evidente lo zoon politkon aristotelico assieme al modello hegelo-marxiano di un sé che si esteriorizza e si forma nella società. Parlando degli scopi e dei presupposti della filosofia sociale, Jaeggi e Celikates esplicitano questi riferimenti scrivendo: «[…] essa concepisce però gli esseri umani non quali individui isolati, ma quali membri di un mondo sociale, che dipendono da forme riuscite di vita sociale in comune non soltanto strumentali - quindi come zoon politikon o, riprendendo la formulazione di Marx, quale “animale che può isolarsi solo nella società”» (R. Jaeggi, R. Celikates, Filosofia sociale. Una introduzione, cit., p. 4).

Questa citazione è presa dalla postfazione che Jaeggi inserisce nella seconda edizione del 206

suo testo. R. Jaeggi, Alienazione. Attualità di un problema filosofico e sociale, cit., p. 336. Ibidem.

La ridefinizione dell’alienazione come processo di appropriazione del sé ostacolato o distorto non conduce, pertanto, ad un ridimensionamento del campo di indagine alle sole relazioni che il soggetto intrattiene con se stesso come fosse una monade isolata, né si riduce ad un discorso intimista. Al contrario, anzi, la categoria di alienazione così recuperata da Jaeggi mantiene un ruolo diagnostico nell’analisi di quella pluralità di strutture e istituzioni che compongono la società, in quanto il suo scopo e la sua potenzialità consistono nell’individuare e denunciare tutti quei fattori che si rivelano essere degli ostacoli e degli impedimenti ad una vita - la quale è sempre sociale - riuscita. Siamo quindi ora in grado di comprendere perché e in che misura l’alienazione, in questa ripresa contemporanea che assieme a Jaeggi abbiamo iniziato a delineare, possa essere considerata uno degli strumenti concettuali caratteristici della filosofia sociale208 intesa come settore disciplinare della filosofia pratica che «pone la questione di come gli uomini dovrebbero vivere e comportarsi».209

Nel lavoro svolto assieme a Robin Celikates, Jaeggi tenta di mettere in luce le peculiarità della filosofia sociale come disciplina separata tanto dalla sociologia, quanto dalla filosofia morale e dalla filosofia politica,210 eppure allo stesso tempo in stretto contatto con esse. Rispetto alla sociologia con cui condivide tematiche e campi di indagine, la filosofia sociale si differenzia innanzitutto per il suo approccio alle questioni «non solo da una prospettiva descrittiva ma anche normativa e valutativa, nonché analitica e ontologico-sociale».211 Se, ad esempio, la sociologia descrive le relazioni lavorative caratterizzanti la società odierna, compito della filosofia sociale è, accanto a

Oltre all’alienazione, Jaeggi e Celikates considerano strumenti concettuali caratteristici della 208

filosofia sociale la reificazione e l’ideologia, e anche nozioni positive come il riconoscimento, la cooperazione e la solidarietà.

R. Jaeggi, R. Celikates, Filosofia sociale. Una introduzione, cit., p. 4. 209

Va segnalato che nel testo i due autori sottolineano che distinguere la filosofia sociale dalla 210

filosofia politica e dalla filosofia morale - quindi dagli altri settori disciplinari della filosofia pratica - non è facile né può sempre essere fatto in maniera definita. In modo particolare con la filosofia politica, immaginare una netta «divisione del lavoro» sarebbe addirittura «fuorviante» poiché «non è affatto così facile distinguere tra i fenomeni della vita sociale, ai quali appartengono anche ambiti come la famiglia, e che si collocano “ al di sotto” delle istituzioni strutturate politicamente della vita comune, e l’ambito fenomenico delle istituzioni statali o politiche» (Ivi, p. 5). Ciò che caratterizza la filosofia sociale oltre al suo campo di indagine, che è appunto condiviso con altre discipline, è piuttosto un determinato approccio olistico.

Ivi, p. 2. 211

questo, anche quello di chiedersi e valutare che cosa siano oggi il lavoro e tutta quella serie di rapporti che esso determina. Per quanto riguarda il confronto con la filosofia politica e la filosofia morale, invece, ciò che caratterizza in maniera forse più forte la filosofia sociale è proprio la sua domanda sull’alienazione. Il carattere formale e allo stesso tempo diagnostico di questo concetto risulta infatti centrale nell’analisi che la filosofia sociale fa delle istituzioni e delle pratiche sociali. Questa si svolge su due livelli: in primo luogo indaga il come, cioè in che modo la vita individuale e collettiva riuscita - che nel lessico di Jaeggi equivale a dire una vita positivamente libera, quindi, non alienata - dipende dalle istituzioni e dalle pratiche prese di volta in volta in esame;212 in secondo luogo evidenzia, denuncia e analizza le possibili patologie e gli aspetti problematici interni a tali istituzioni e pratiche. Tornando all’esempio del lavoro, mentre la questione del degrado dei lavoratori e della giusta retribuzione possono essere sollevate anche dalla filosofia morale e dalla filosofia politica, solo la filosofia sociale si chiede quale specifica funzione il lavoro abbia nello sviluppo individuale e collettivo, e se quella particolare mansione, o il sistema preso in analisi, sia alienante o meno.

La Entfremdung che abbiamo descritto sin qui ha dunque un ruolo fondamentale nella critica della società contemporanea e delle sue istituzioni perché si focalizza sul come dei rapporti personali, interpersonali e sociali denunciandone gli sviluppi distorti che ostacolano una vita riuscita anziché favorirla. Come scrive Jaeggi nelle pagine finali del suo lavoro: «Il problema dell’alienazione conduce, così inteso, alla questione della qualità del nostro rapporto con le pratiche e le istituzioni sociali e alla formulazione di richieste nei confronti di esse - in quanto esse sono le condizioni sovraindividuali che rendono possibile la determinazione di sé e la realizzazione di sé».213 In questo senso quanto abbiamo affermato prima - cioè che il concetto di alienazione rielaborato da

Questo primo scopo/orizzonte di indagine sottende che le pratiche e le istituzioni sociali 212

vengano considerate delle condizioni per la riuscita della vita dei singoli. Ciò mi sembra risultare perfettamente in linea con quanto abbiamo visto fin qui in Jaeggi e in modo particolare con la sua concezione antropologica. In quanto “animale che può isolarsi solo nella società” l’uomo è essenzialmente legato, nel suo sviluppo, alle istituzioni e alle pratiche sociali che possono quindi favorire la riuscita della sua vita, o essere motivo e luogo di alienazione, degradazione e perdita di libertà. Come scrivono Jaeggi e Celikates: «il sociale - pratiche, istituzioni e relazioni sociali - deve essere inteso quale condizione costitutiva dell’individualità e della libertà» (Ivi, p. 4), per questo diviene centrale indagarne la forma, come questa prima direzione della filosofia sociale si prefigge.

R. Jaeggi, Alienazione. Attualità di un problema filosofico e sociale, cit., p. 316. 213

Jaeggi intende essere descrittivo e critico - risulta ancora più chiaro. In quanto strumento di analisi della qualità del rapporto del sé con la dimensione sociale intesa nella sua pluralità di aspetti (pratiche, istituzioni, relazioni, fenomeni), il concetto di alienazione permette di evidenziare ciò che non va, quindi dove e perché questo rapporto risulta distorto, e, di conseguenza, giudica che dovrebbe essere diversamente.

La dimensione lavorativa214 che abbiamo preso ad esempio come settore di applicazione per distinguere le peculiarità della filosofia sociale, è uno dei campi di indagine in cui il concetto di alienazione così ridefinito e orientato risulta non solo applicabile ma, mi sembra di poter dire, analiticamente essenziale.215 Prima di vedere quale ruolo critico il concetto di alienazione - inteso nella svolta formale operata da Jaeggi - possa assumere nell’odierno mondo del lavoro, occorre comprendere se e in che modo si possa oggi ancora parlare di alienazione lavorativa.

Se, facendo un passo indietro, si guarda all’entfremdete Arbeit così come l’abbiamo delineato in modo particolare attraverso Marx, l’alienazione emerge da mansioni ripetitive ed estremamente suddivise, da ritmi di lavoro prolungati e da uno sfruttamento insostenibile, e ancora, dalla separazione dagli oggetti del proprio lavoro,216 da condizioni disumane che abbrutiscono i lavoratori e li pongono in competizione l’uno contro l’altro. Inoltre, l’attività lavorativa da cui questa alienazione emerge è il lavoro industriale incentrato sulla fabbrica e basato principalmente sul modello tayloristico della catena di montaggio. Attraverso Marx, l’alienazione derivante dal lavoro nella

Jaeggi nel corso della sua ripresa e ridefinizione dell’alienazione, non si sofferma mai sulla 214

critica del mondo del lavoro il quale emerge solo secondariamente nelle sue pagine dai casi di analisi fenomenologica che abbiamo visto nei paragrafi precedenti. Quando Jaeggi parla del ricercatore che si trasferisce in campagna con la famiglia o del professore di fronte alle critiche che riceve, lo fa non perché interessata ad analizzare la loro condizione professionale in quanto causa di alienazione. La filosofa vuole solamente definire - e in un certo senso “riempire” - il concetto di alienazione come relazione in assenza di relazione vedendolo in atto in situazioni quotidiane. In linea con questo intento, nei casi presi in esame l’oggetto privilegiato dall’analisi non è il lavoro, ma il rapporto dei soggetti con se stessi, con le loro azioni, con le loro scelte. Il rapporto tra alienazione e dimensione lavorativa viene inserito da Jaeggi solamente nella postfazione alla seconda edizione del suo libro, in cui al tema vengono dedicate nello specifico alcune pagine.

Per questo motivo, pur non rappresentando un tema centrale all’interno dell’analisi di Jaeggi 215

ho scelto di soffermarmi su di esso.

Intesi sia come prodotti, sia come mezzi di produzione. 216

società capitalista può dunque essere definita come disumanizzazione, strumentalizzazione, espropriazione, sfruttamento e dominio.

Spostandoci al panorama contemporaneo ci si rende facilmente conto che, rispetto al contesto industriale classico descritto dai Manoscritti Economico-Filosofici del 1844, il mondo del lavoro risulta oggi profondamente cambiato.217 Jaeggi sottolinea in modo particolare due aspetti secondo lei paradigmatici: il lavoro oggi non ha più solamente a che fare con la produzione di un prodotto (a tal proposito è sufficiente pensare a tutto il settore dei servizi oggi tanto sviluppato che nell’analisi marxiana confluiva invece nella sfera del lavoro non produttivo) e dunque non può più essere interamente concepito come un’attività creativo-produttiva; accanto a questo, il lavoro odierno non necessariamente risulta spersonalizzante e sottoposto ad una routine ripetitiva ma si assiste, al contrario, ad una crescente «soggettivizzazione del lavoro».218 Di fronte a questi cambiamenti strutturali sembra porsi subito un problema: si può ancora parlare di alienazione? Venendo infatti meno l’identificazione tra lavoro e attività produttiva, impersonale e ripetitiva, almeno una parte della critica elaborata da Marx sembrerebbe svuotata del suo contenuto e con essa, l’alienazione lavorativa che denunciava. La posizione che Jaeggi assume a tal proposito - e che mi sento di condividere appieno - è che nella società contemporanea «il mutamento di forma del lavoro […] non conduce ad un superamento, ma ad un mutamento di forma dell’alienazione».219 Il mondo lavorativo - questa è la tesi - è dunque ancora oggi foriero di alienazione e rapporti estranianti, ma lo è in maniera diversa rispetto a prima.