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1.2 «Come, non che cosa»: ripensare la Entfremdung

1.2.1 La svolta formale

Ripercorrere la caratterizzazione del soggetto a cui Jaeggi si riferisce ci ha permesso di entrare all’interno del metodo attraverso cui la filosofa procede e di mettere in luce alcuni punti preliminari fondamentali per comprendere la sua rielaborazione del concetto di alienazione. Tra questi, in primo luogo, un elemento che è presupposto da quanto abbiamo sin qui detto ma che, come si può dedurre dal precedente capitolo, non può esser dato per scontato all’interno di una critica dell’alienazione: il soggetto della Entfremdung a cui la filosofa tedesca si riferisce è un sé, ovvero è il soggetto singolo, cioè non una classe sociale, non un popolo, non il Geist.168 Il secondo punto che vorrei richiamare è il posizionamento di questo sé all’interno di un paradigma che ho definito relazionale, in quanto fondante per il soggetto è la pluralità di relazioni in cui esso è coinvolto e in modo particolare la relazione col mondo. Infine, il terzo aspetto che dobbiamo tenere sempre presente è l’appropriazione del sé - sulla quale si fonda

Su questo aspetto ritornerò alla fine del capitolo, nel paragrafo 1.4. 168

quanto diremo - pensata come un riformulato processo di Bildung attraverso cui il soggetto esiste e diviene se stesso.

Una volta fissati questi tre elementi possiamo finalmente comprendere cosa Jaeggi intenda per alienazione. La definizione che lei stessa fornisce all’inizio del suo testo è la seguente: «L’alienazione è una relazione in assenza di relazione» e poco dopo aggiunge: «L’alienazione denota, quindi, non l’assenza di una relazione ma è essa stessa una relazione - per quanto deficitaria. Viceversa, il superamento dell’alienazione non significa il ritorno a un indifferenziato stato di unità con se stessi e con il mondo ma, di nuovo, una relazione: un rapporto di appropriazione».169 Anche ad una prima lettura risulta dunque evidente che la ridefinizione dell’alienazione poggia per Jaeggi sulle categorie che abbiamo sin qui preso in esame e in modo particolare sull’appropriazione e sulla relazione. L’alienazione si manifesta infatti proprio all’interno di quella relazione di appropriazione attraverso cui il sé si forma e ne rappresenta un disturbo, un’interferenza.170

Ciò che Jaeggi intende sottolineare fin da subito attraverso questa definizione è la necessità di allontanarsi da un’idea di alienazione concepita come perdita di legame ed estraneità assoluta; l’alienazione non indica la mancanza di una relazione ma piuttosto, si potrebbe dire utilizzando la stessa semantica, una relazione mancante con se stessi, con gli altri e con il mondo. Il primo elemento che mi sembra significativo notare in questa definizione è che anche il concetto di alienazione, come il soggetto, viene riposizionato all’interno di un paradigma relazionale. Con ciò intendo sottolineare due aspetti in cui si rende evidente l’originalità dell’autrice: in primo luogo l’alienazione è definita come una relazione, di un particolare tipo sì, ma pur sempre come una relazione. Jaeggi, cioè, reinterpreta tutte le categorie semantiche che abbiamo incontrato sin qui - quindi l’oggettivazione, la scissione, la reificazione, il dominio ecc. - innanzitutto come relazioni. Strettamente connesso a questo primo aspetto, in secondo luogo la ridefinizione compiuta dalla studiosa tedesca si pone al di là della divisione

Ivi, p. 35. 169

Per questo motivo, pur rappresentando il punto di partenza delle riflessioni della filosofa, la 170

ridefinizione dell’alienazione risulta pienamente comprensibile solo avendo chiarito la natura fluida e relazionale del soggetto e cosa si intenda per rapporto di appropriazione. Spero perciò che a questo punto risulti chiaro perché ho scelto di fare un percorso inverso rispetto a quello operato da Jaeggi, cioè partire dalla caratterizzazione del sé e dalla relazione di appropriazione per arrivare solo in un secondo momento alla definizione vera e propria di alienazione.

alienazione oggettiva-alienazione soggettiva171 insistendo sul tra. Ciò che va indagato, andando oltre la divisione soggetto-oggetto, sono le connessioni, occorre cioè porsi nel mezzo anziché muovere da una delle due parti. Scrive infatti Jaeggi: «[…] l’alienazione dal mondo implica l’alienazione da se stessi e, viceversa, il soggetto è alienato da sé in quanto è alienato dal mondo; di più, è precisamente questa interrelazione che rende il concetto così interessante».172

Questo secondo aspetto ci permette di introdurre un ulteriore elemento di centrale importanza per comprendere la rielaborazione compiuta da Jaeggi, cioè un necessario cambiamento di prospettiva. La ridefinizione che abbiamo qui fornito e da cui la studiosa avvia il suo percorso, non è infatti da sola sufficiente a rendere nuovamente produttiva la categoria di alienazione. Per far sì che ciò avvenga occorre attuare quella che viene definita una svolta formale173 grazie alla quale si esca dall’idea per cui si è alienati da qualcosa e si esamini invece il carattere della relazione che si presenta come alienazione, così da poterne diagnosticare le varie forme di disturbo. Il cambiamento che la filosofa ritiene necessario è quello rispetto ad alcune interpretazioni classiche dell’alienazione tra cui, in primo luogo, quella che nelle prime pagine del lavoro abbiamo sottolineato provenire dalla tradizione religiosa, per cui l’alienazione rappresenta la caduta e l’allontanamento da uno stato paradisiaco originale.174 Allo stesso tempo Jaeggi rifiuta ogni impostazione preveda il riferimento ad

Di questa partizione dell’alienazione abbiamo già parlato nel capitolo precedente in modo 171

particolare nelle pagine dedicate a Marx e all’alienazione nel ‘900 (paragrafi 1.2 - 1.3). Il riferimento alle due dimensioni della Entfremdung viene evidenziato soprattutto nei contesti neomarxisti, come ad esempio nel già citato testo A. Schaff, L’alienazione come fenomeno

sociale.

R. Jaeggi, Alienazione. Attualità di un problema filosofico e sociale, cit., p. 30. 172

Ivi, p. 35.

173

Riprendendo quanto abbiamo già visto, penso ad esempio all’idealizzazione che Hegel fa 174

della pòlis greca alla quale guardare come modello di armonia perduta da cui ci si è allontanati sempre più, sino a giungere a quello che potremmo forse intendere come suo opposto, ovvero lo stato moderno permeato da una mentalità meramente strumentale.

un sé autentico175 che è stato tradito, deformato,176 dal quale si è fuoriusciti e verso il quale occorre ritornare. Se infatti, scrive: «si pensa l’alienazione come un “essere fuori da sé” e il suo superamento come un “tornare a sé”, l’alienazione è qualcosa come un “meccanismo incorporato di superamento”».177

Rimanendo agli autori già citati, la dimensione dell’autenticità è un elemento centrale 175

nell’ontologia esistenziale di Heidegger in cui il modo d’essere del Si rappresenta la perdita di se stessi.

La teoria dell’alienazione elaborata da Marx denuncia l’abbrutimento, nel lavoro estraneato, 176

di ciò che è propriamente umano ed è per questo stata lungamente oggetto di critiche antiessenzialistiche. Nei Manoscritti del 1844, infatti, la teoria dell’alienazione risulta legata alla visione feuerbachiana dell’uomo come Gattungswesen e in essa molti critici hanno evidenziato il rimando ad un’essenza umana immutabile. Una delle posizioni più forti e influenti a questo proposito è senza dubbio rappresentata da Althusser il quale elabora la famosa tesi della rottura

epistemologica su cui ancora oggi si discute all’interno del dibattito marxista. Secondo questa

tesi, esisterebbe una frattura tra il Marx delle opere giovanili, tra cui appunto rientrano i

Manoscritti del 1844, e quello delle opere della maturazione e della piena maturità; fino ai testi

del 1845 vi è infatti per Althusser un Marx ancora ideologico che lascia poi spazio, invece, ad un approccio più scientifico. All’interno di questa divisione, i Manoscritti e la tematica dell’alienazione vanno letti come il frutto di un Marx ancora legato all’antropologia di Feuerbach e vengono perciò giudicati da Althusser: «il testo più lontano che ci sia, teoricamente parlando, dall’alba che stava per spuntare» L. Althusser, Pour Marx, Editions François Maspero, Paris1965 (Per Marx, trad., it. F. Madonia, Editori riuniti, Roma 1972, p. 19). Secondo l’autore inoltre, dopo questa lunga notte rappresentata dai testi giovanili, Marx rompe con ogni antropologia ed umanesimo filosofici ed avvia una critica dell’essenza umana da lui concepita come ideologia. Jaeggi cita questa posizione di Althusser non tanto per condividere la critica a Marx, quanto piuttosto per sostenere che dopo di lui «la critica dell’essenzialismo è divenuta una sorta di “senso comune” della discussione filosofica contemporanea» (R. Jaeggi,

Alienazione. Attualità di un problema filosofico e sociale, cit., p. 68).

Ivi, p. 68. Qui risulta nuovamente evidente il collegamento con quanto abbiamo visto in 177

Hegel, in modo particolare per l’alienazione come processo di esteriorizzazione necessario al

Ridefinire l’alienazione come relazione deficitaria permette alla filosofa di allontanarsi da questi modelli178 in quanto ciò che il suo concetto intende diagnosticare sono i vari modi in cui le relazioni di appropriazione attraverso le quali ci realizziamo, cioè diamo realtà a noi stessi,179 presentano dei disturbi. Non vi è dunque alcuno spazio per un “prima” a cui tornare, né per un'essenza verso cui rivolgersi. In ciò consiste il cambiamento di prospettiva e ad esso segue la necessità di attuare una svolta formale, in quanto lo scopo dell’analisi critica non deve essere quello di indagare un’unità originaria dalla quale si è verificato un distacco, né la figura di un proprio sé precostituito dal quale ci si è allontanati; l’analisi deve piuttosto rivolgersi alle relazioni che intrecciamo, ai modi in cui esse vengono stabilite e vissute. La riflessione della filosofia ci spinge a cambiare prospettiva e a ragionare non più nei termini di un’alienazione da qualcosa poiché l’alienazione si manifesta in quello che si fa, nel come si vive e si tessono le relazioni.

Come è già iniziato ad emergere, tra Jaeggi e Marx è possibile cogliere numerosi punti di 178

differenza. Tuttavia, quando affermo che la ridefinizione operata da Jaeggi le permette di prendere distanza dai modelli precedenti, non intendo dire che la sua visione risulti del tutto inconciliabile con quella marxiana. La filosofa stessa si preoccupa di sottolineare la compatibilità presente tra la sua idea di appropriazione e l’impostazione marxiana la quale solo apparentemente può risultare essenzialista. Se è infatti vero che nelle pagine dei Manoscritti

Economico Filosofici del 1844 l’alienazione corrisponde all’estraneazione di qualcosa che è

proprio, non necessariamente il processo di riappropriazione aperto da Marx deve essere essenzialisticamente inteso come un tornare a ciò che si è perso. Il fulcro dell’analisi marxiana, sottolinea Jaeggi, va infatti rintracciato nel lavoro il quale è il luogo in cui si sperimenta la resistenza del materiale, è cioè un’attività in cui la realizzazione finale non sempre corrisponde all’intenzione da cui si è partiti. Questo scarto proprio del lavoro sgretola, secondo Jaeggi, le fondamenta di qualsiasi concezione precostituita e immutabile dell’uomo. Infatti, se il lavoro attraverso cui l’uomo si esteriorizza e si aliena è per definizione luogo di apertura all’incertezza, il movimento di riappropriazione con cui si fuoriesce dall’alienazione è in realtà un’appropriazione intesa nel senso di Jaeggi, cioè, non un percorso prefissato, ma un’esperienza aperta e un processo sconosciuto. Riletta in questo modo, l’alienazione e il processo di appropriazione che essa ostacola escono dalla interpretazione essenzialistica la quale è secondo la filosofa evidentemente inconcepibile per lo stesso Marx che definisce l’essenza umana qualcosa che si forma sempre nel mondo naturale e sociale. Si veda R. Jaeggi, Alienazione e libertà in Marx, in P. Garofalo, M. Quante (a cura di), Lo spettro è tornato!

Attualità della filosofia di Marx, cit. pp. 13-22.

«Il mio riferimento alla tematica dell’alienazione conduce piuttosto a un concetto di

179

realizzazione di sé inteso come processo del “dare-realtà-a-se-stessi” nel mondo […]» (Ivi, p.

Il ricorso ad un approccio formale che accompagna la ridefinizione data da Jaeggi rappresenta dunque un ulteriore elemento di novità all’interno della critica dell’alienazione. Accanto ad un fenomeno da denunciare, l’alienazione è per la filosofa un come che serve a valutare la pluralità delle relazioni in cui siamo immersi. I processi di appropriazione attraverso i quali ci realizziamo possono infatti essere riusciti o meno e l’alienazione serve ad indicare questo secondo caso e a comprendere i disturbi che fungono da impedimento od ostacolo. Attraverso la ridefinizione operata da Jaeggi, l’alienazione diviene quindi, per dirlo con una formula, un indice della qualità delle relazioni attraverso cui ci appropriamo di noi stessi. Questa svolta formale all’interno della teoria dell’alienazione da un lato permette a quest’ultima di rendersi autonoma dai singoli fenomeni, nel senso che essa diventa un modello di critica trasversale applicabile ad ogni relazione - sia essa il modo in cui ci rapportiamo con noi stessi, o col nostro lavoro, o con gli altri, o con la società in cui viviamo, e indipendentemente dal fatto che ci troviamo o meno in un sistema capitalista.180 Dall’altro lato, però, in quanto relazione deficitaria che si manifesta all’interno del processo di realizzazione del sé, l’alienazione ha sempre necessariamente un volto e un luogo, e si manifesta nel particolare, nelle nostre scelte, nelle nostre azioni, nei nostri desideri.

Si può comprendere ora più facilmente per quale motivo lo spostamento di prospettiva operato da Jaeggi vada di pari passo, nella sua analisi, con il ricorso ad uno sguardo fenomenologico in grado di cogliere l’alienazione nei fenomeni quotidiani. Se scopo dell’analisi è comprendere il come delle relazioni, diviene difatti necessario fare propria una metodologia che indaghi la concretezza dei fenomeni, che sappia cogliere le loro dinamiche interne ed evidenziare in essi gli elementi di disturbo. La relazione deficitaria oggetto di indagine è infatti quella del nostro sé nel suo processo di appropriazione, processo che come abbiamo visto è estrinsecazione, relazione col mondo e con gli altri, e si svolge attraverso le nostre scelte e il nostro agire. Il terreno di indagine dell’alienazione è perciò il particolare in cui queste relazioni hanno luogo e, conseguentemente, il metodo utilizzato deve essere in grado di vedere e comprendere i singoli fenomeni al fine di poter cogliere ciò che in essi non va. A questa necessità

Qui mi sembra risulti evidente un’altra grande differenza con l’alienazione marxiana la quale 180

è indissolubilmente legata alla critica del sistema economico capitalista. La svolta formale operata da Jaeggi permette invece di intendere l’alienazione come uno schema interpretativo applicabile ad ogni condizione materiale.

risponde il ricorso ad uno sguardo fenomenologico il quale va dunque inteso più nella sua accezione etimologica che in senso husserliano.

L’alienazione come tema quotidiano181 assume un ruolo rilevante e non potrebbe essere altrimenti nella ripresa del concetto da parte di Jaeggi. Ciò si può intuire facilmente anche guardando alla struttura del suo testo sulla Entfremdung, in cui la parte centrale è dedicata all’esame di quattro situazioni estrapolate dalla vita di tutti i giorni dalle quali la filosofa parte per ricostruire diverse dinamiche di alienazione da se stessi. In linea con quanto abbiamo detto, i casi presi in esame sono situazioni concrete - i cui protagonisti potrebbero benissimo essere i nostri amici, i nostri colleghi o noi stessi - nella descrizione delle quali vengono rilevate e analizzate alcune criticità che nel capitolo precedente avremmo collocato nella sfera dell’autoalienazione. La vita di un giovane ricercatore che mette su famiglia e si trasferisce in campagna dalla città, le azioni di un redattore ambizioso che imita i modi di fare del suo capo, la crisi interiore di una femminista convinta, e ancora, il comportamento di un professore di fronte alle critiche che gli vengono mosse diventano per Jaeggi il luogo in cui scorgere in atto l’alienazione nelle sue molteplici dimensioni.

Vivere la propria vita in maniera estranea può infatti assumere diversi significati, come abbiamo visto nel corso del primo capitolo: scissione, inautenticità, spossessamento, dominio, estraneità verso se stessi e il mondo, ecc. Attraverso i quattro esempi di vita quotidiana Jaeggi intende restituire una fenomenologia dell’alienazione182 che ricostruisca il concetto passando attraverso il suo contenuto concreto, ovvero la sua manifestazione quotidiana in questa molteplicità di fenomeni. In particolare, le dimensioni dell’alienazione che vengono rintracciate guardando ai casi concreti sono quattro: il senso di impotenza e la perdita di controllo sulla propria vita all’interno della quale ci si sente come intrappolati, la perdita di autenticità nei ruoli sociali, la scissione interiore, e infine l’indifferenza come estraneità dal mondo e perdita

Ivi, p. 87. 181

Come lei stessa afferma nell’introduzione: «Ciascuno dei quattro capitoli di questa seconda 182

parte è basato sulla descrizione di una situazione concreta, grazie alla quale varie dimensioni dell’alienazione possono essere illustrate e analizzate. Questi esempi- che possono essere intesi come una sorta di “fenomenologia” dell’alienazione (o come una macroanalisi del fenomeno dell’alienazione) - cercano di assicurare il punto di partenza per la ricostruzione concettuale del concetto» (Ivi, p. 33).

del proprio sé.183 Ognuno di questi aspetti viene interpretato come indice di un disturbo nella relazione di appropriazione attraverso cui diventiamo noi stessi e in quanto tale viene giudicato fenomeno di alienazione. La perdita di potere e di controllo sulla propria vita significa infatti che il processo di appropriazione delle proprie azioni - ricordiamo che il sé è per Jaeggi ciò che fa e ciò in cui si identifica - si è interrotto e che non riusciamo a percepire la fluidità in cui siamo immersi, cioè la possibilità e l’apertura che sempre ci caratterizzano. In questo senso Jaeggi scrive: «Sono reificate e “alienanti” quelle situazioni che non possono essere comprese come campo di possibilità e come procedimento sperimentale».184 Allo stesso tempo, l’inautenticità si manifesta quando si veste un ruolo sociale in cui non riusciamo ad articolare noi stessi e percepiamo una scissione interna quando non ci identifichiamo con i desideri che pure proviamo, ma che non rispondono alla concezione che abbiamo di noi stessi. Quest’ultima viene infatti così intesa dalla filosofa

Parlare di concezione di se stessi implica due momenti. Primo: non solo noi facciamo e vogliamo certe cose, ma ci rapportiamo al fatto di farle e di volerle, ci comprendiamo

come qualcuno che fa e che vuole queste cose. Secondo: avere una concezione di sé

significa mettere questi singoli aspetti in un contesto. Ciò significa che una concezione di

È evidente che i casi presi in esami da Jaeggi non riescano ad esaurire la descrizione dei 183

fenomeni contemporanei di alienazione, ma come abbiamo già accennato, non è questo l’intento che muove la filosofa nel suo lavoro. Jaeggi non prende in esame queste quattro situazioni di vita in quanto esempi esaustivi, né vuole tentare di fornire uno spettro completo delle manifestazioni di alienazione. Il suo intento esplicito è quello di ricostruire ed elaborare il concetto di alienazione come relazione in assenza di relazione passando per il concreto.

Ivi, p. 115. 184

sé […] è un principio di organizzazione interno, il tentativo di dare ai nostri desideri e alle nostre azioni un contesto e di dare a questo un senso.185

Infine, l’ultima dimensione dell’alienazione presa in esame da Jaeggi nel suo percorso fenomenologico riguarda il sentirsi estranei rispetto al mondo, fenomeno che è concepito dalla filosofa come una «separazione illusoria»186 in quanto noi ci determiniamo sempre e solo attraverso il contatto con esso. Di conseguenza, l’indifferenza rispetto a ciò che ci circonda non significa mai un interruzione del rapporto con il mondo, ma è piuttosto indice dell’impossibilità di appropriarsene in maniera attiva, cioè di dargli significato e di renderlo in questo senso proprio. Accanto a ciò va ricordato che nella concezione del sé elaborata dall’autrice, il rapporto col mondo è cooriginario al rapporto che ognuno ha con se tesso. Ciò implica che l’estraneità, intesa nei termini di incapacità di appropriarsi del mondo, ha necessariamente delle ripercussioni sul piano personale: «l’indifferenza nei confronti del mondo è legata all’indifferenza nei confronti di se stessi. Il mondo divenuto ormai privo di vita e di significato va di pari passo con un soggetto che diventa privo di vita e di significato».187

Attraverso l’analisi fenomenologica quindi, il concetto di alienazione qui rielaborato si