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L’alienazione come relazione deficitaria

1.2 «Come, non che cosa»: ripensare la Entfremdung

1.2.2 L’alienazione come relazione deficitaria

Questa fenomenologia dell’alienazione ci permette di compiere un ulteriore passo all’interno del pensiero della filosofa e del suo modo di pensare la Entfremdung. La ridefinizione formale che da sola risulta vuota si riempie, si articola e assume funzione critica solo nella pluralità dei fenomeni che descrive. La diagnosi di alienazione, essendo quest’ultima un particolare tipo di relazione, emerge infatti necessariamente dall’interno, cioè nei contesti pratici, nelle esperienze concrete, nella vita quotidiana in cui le relazioni hanno luogo. L’alienazione come schema interpretativo deve perciò essere calato nella molteplicità dei fenomeni per divenire concetto critico, quindi, essere capace di vedere in atto il negativo e denunciarlo come tale. In questo senso, la definizione data da Jaeggi va intesa più come una lente attraverso cui leggiamo il particolare in cui siamo immersi, che non come un criterio di giudizio esterno e, pertanto, la critica dell’alienazione che ne emerge può essere definita di tipo immanente. È proprio in questo carattere di immanenza che va rintracciato per Jaeggi il valore e la peculiarità del concetto di alienazione: in quanto schema interpretativo della nostra relazione col mondo e con noi stessi, l’alienazione ci permette di vedere delle connessioni tra i fenomeni e di spiegare alcuni aspetti concreti che altrimenti non sarebbero riconoscibili o verrebbero fraintesi. In questo senso la Entfremdung è per Jaeggi un concetto produttivo.188

Muovendo da ciò mi sembra importante sottolineare alcuni elementi. In primo luogo, anche se la definizione da cui Jaeggi muove è univoca, non perdiamo attraverso di essa quella polivocità del concetto che abbiamo sottolineato essere una delle ricchezze della critica dell’alienazione. Riprendendo quanto abbiamo sostenuto nel primo capitolo, si potrebbe affermare che anche per la filosofa tedesca l’alienazione si dice in molti modi, nel senso che la relazione deficitaria con noi stessi e col mondo assume caratteristiche e dimensioni differenti. L’alienazione ha sempre il significato di un

Ivi, p. 60. 188

ostacolo in quel processo di appropriazione attraverso cui formiamo noi stessi, ma questo ostacolo si manifesta in forme e luoghi diversi, riguarda una pluralità di fenomeni, ci intralcia in più modi. Anche in Jaeggi perciò l’alienazione è perdita di senso, rapporto di dominio, sentimento di estraneità e perdita di libertà. Il contenuto dell’alienazione, cioè il negativo esperito nei fenomeni, varia infatti a seconda che il deficit abbia luogo nel rapporto che abbiamo con i nostri desideri, nella percezione delle nostre possibilità, nel nostro modo di vivere il ruolo sociale che ci compete, o anche nel modo in cui vogliamo qualcosa e nella capacità di esercitare la nostra libertà. Nel corso della sua analisi, infatti, accanto alle dimensioni che abbiamo visto emergere dalla fenomenologia, l’autrice si confronta anche con gli aspetti dell’alienazione concernenti la sfera del volere e della libertà. Il punto centrale è, ancora una volta, essere in grado di cambiare punto di vista: l’alienazione non riguarda ciò che si vuole ma il come si vuole qualcosa, nel senso che alienante è una volontà esercitata in maniera non libera, cioè, in cui il soggetto non dispone realmente del proprio volere. Detto diversamente: «si tratta del come e non del cosa si vuole, cioè io non devo volere qualcosa di determinato ma devo poter volere in modo libero o autonomo ciò che voglio. Non si può descrivere un “vero oggetto del nostro volere” ma solo un preciso modo di rapportarsi, nel proprio volere, a se stessi e all’oggetto voluto».189

L’alienazione nella dimensione della nostra volontà si presenta dunque come mancanza di libertà nel proprio volere e non come il volere qualcosa di sbagliato. Ma in che modo va intesa questa libertà?190 Jaeggi recupera da Isaiah Berlin la possibilità di intendere la libertà nella sua accezione negativa e positiva: nel primo caso si tratta della libertà intesa nel senso comune, come assenza di coercizioni; nel secondo caso - che ci interessa maggiormente - la libertà è collegata alla «capacità di realizzare obiettivi di

Ivi, p. 75. 189

Per avere un quadro sintetico di come Jaeggi intende la libertà si veda R. Jaeggi, R 190

Celikates, Filosofia sociale. Una introduzione, cit,. pp. 39-48. In questa sorta di compendio della filosofia sociale, gli autori prendono in esame diversi concetti che questa disciplina ha in comune con la filosofia politica, l’indagine sociologica, la filosofia morale, ecc. per analizzarli e riposizionarli all’interno del loro approccio e della loro metodologia. Un capitolo del testo viene dedicato alla libertà la cui nozione viene ampliata: secondo i due autori non si può intendere la libertà solamente come mancanza di coercizione (libertà da…) ma occorre introdurre anche un’idea di libertà positiva (libertà di…) e mantenere insieme questi due aspetti.

valore».191 In questa seconda accezione essere liberi significa essere padroni di se stessi in un senso più ampio che chiama in causa la responsabilità di fronte al proprio volere e alle proprie azioni, e la capacità di identificarsi in ciò che si fa. Riprendendo una citazione di Robert Pippin, Jaeggi scrive: «solo le azioni e i propositi che io posso collegare a me stesso, così che possano essere attribuiti a me o contare come miei sono istanze di libertà».192 In questo senso, essere liberi - inteso nell’accezione positiva del termine - significa poter attribuire a se stessi ciò che si fa, ciò che si sceglie e si vuole, significa cioè essere presenti a se stessi nella propria vita. Detto diversamente, essere liberi significa non essere alienati, cioè, vivere un rapporto di appropriazione riuscito con se stessi e con il mondo.

Siamo dunque giunti ad un passaggio centrale per comprendere la ridefinizione che stiamo qui esaminando: l’alienazione rappresenta la perdita della libertà193 intesa positivamente come capacità di condurre la propria vita e di comprenderla come propria.194 L’alienazione costituisce infatti un impedimento a quel processo di appropriazione che è estrinsecazione, relazionalità, identificazione, rapporto col mondo, fluidità, fare/farsi del sé attraverso cui il soggetto forma se stesso. In quanto tale, la Entfremdung rappresenta dunque un’opacità nella relazione di appropriazione di se

R. Jaeggi, Alienazione. Attualità di un problema filosofico e sociale, cit., p. 76. 191

Ivi, p. 77. 192

Nel testo che Jaeggi scrive con Celikates la ridefinizione della libertà muove 193

dall’individuazione dei concetti ad essa contrapposti tra i quali i due autori inseriscono l’alienazione. L’alienazione rappresenta dunque a tutti gli effetti un ostacolo all’essere liberi in quanto, si legge: «non sono libero quando divento “estraneo a me stesso” nelle cose che faccio; sono invece libero se posso identificarmi con le cose che faccio, e non esperisco le mie proprie attività e i miei propositi come se fossero imposti dall’esterno, mediante dei meccanismi anonimi» (R. Jaeggi, R Celikates, Filosofia sociale. Una introduzione, cit., p. 40).

Occorre qui precisare che con proprio non bisogna intendere solamente ciò che è prodotto 194

da noi, ciò che possediamo e controlliamo personalmente, ma ciò che è risultato di un corretto processo di appropriazione. In questo senso può essere percepito come proprio anche qualcosa che originariamente ci era estraneo. Jaeggi a tal proposito sostiene: «Avere un rapporto di appropriazione con gli avvenimenti (non controllabili) della propria vita significa però che ci si deve poter mettere in un rapporto (affermativo) con questo “estraneo” o incontrollabile. L’alienazione non è l’estraneità o il divenire estraneo dei risultati delle azioni in sé, ma l’interruzione, la distorsione di un processo nel quale le azioni producono risultati (incontrollabili) con i quali ci si deve mettere in rapporto, di cui bisogna riappropriarsi» (R. Jaeggi, Alienazione.

stessi la quale contrasta l’idea di libertà positiva come l’abbiamo definita. Rovesciando quanto abbiamo detto sin qui, possiamo comprendere che per Jaeggi il superamento dell’alienazione, quindi la possibilità di essere positivamente liberi, consiste in una relazione di appropriazione di se stessi riuscita, cioè, nella possibilità di appropriarsi della propria vita senza ostacoli e di essere accessibili a se stessi in ciò che si fa.195

Il secondo elemento che mi sembra importante riprendere riguarda il carattere diagnostico del concetto di alienazione che stiamo qui esaminando e la sua funzione critica. Come abbiamo detto, la categoria di Entfremdung serve a comprendere i fenomeni, a mettere in luce dei nessi che altrimenti rimarrebbero nascosti, a cogliere il negativo e a denunciarlo come tale. In questo senso essa può essere definita diagnostica, in quanto non si limita ad assolvere una funzione descrittiva; la descrizione di un fenomeno o di una situazione come luogo di un rapporto di appropriazione non riuscito ha già infatti in sé un aspetto valutativo poiché implica un giudizio di alienazione. Jaeggi dunque non rimane sul solo piano che ho in precedenza definito della metacritica. L’analisi delle categorie fondamentali che compongono il concetto di alienazione le serve per fare in modo che questo venga riposizionato e riabilitato della sua funzione critica, la quale viene esercitata nell’analisi dei fenomeni sociali e delle relazioni umane.

La svolta formale non intende costituire per Jaeggi un abbandono del carattere critico della teoria dell’alienazione il quale rappresenta al contrario, per la filosofa, un elemento fondamentale nella difesa e nel recupero del concetto di Entfremdung. Il concetto di alienazione che stiamo qui esaminando rappresenta uno strumento critico in quanto ci permette di operare un giudizio: focalizzandosi sulla qualità delle relazioni degli individui con se stessi e il mondo, esso distingue i rapporti riusciti da quelli disturbati. Occorre aggiungere però, che il giudizio che rintracciamo nella critica dell’alienazione emerge sempre da criteri normativi interni in quanto per la filosofa tedesca non è concepibile

Riprendendo e rovesciando le dimensioni dell’alienazione emerse dall’analisi 195

fenomenologica, Jaeggi scrive: «si è se stessi in modo non alienato quando si è presenti nelle proprie azioni, quando si governa in maniera indipendente la propria vita invece di essere trascinati da essa, ci si appropria in maniera indipendente dei ruoli sociali, ci si riesce a

identificare con i propri desideri e si è coinvolti nel mondo - in breve, quando si riesce ad

appropriarsi della propria vita (come propria) e si è accessibili a se stessi in ciò che si fa» (Ivi, p. 233).

che qualcosa possa essere giudicato universalmente e aprioristicamente alienante. Il giudizio di alienazione si esercita solamente nel particolare e muovendo da esso.196

Riassumendo, la teoria critica dell’alienazione descrive e valuta in Jaeggi il modo in cui le relazioni dei soggetti con se stessi e col mondo hanno luogo. Da ciò possiamo notare che la critica si rivolge verso due direzioni: in primo luogo, come abbiamo già detto, guarda al soggetto stesso che è il vero chi dell’alienazione; in secondo luogo, la critica si rivolge però anche al contesto sociale in cui il soggetto vive e, richiamando una categoria cara a Jaeggi, alle forme di vita197 all’interno delle quali i soggetti conducono la propria esistenza. Non bisogna infatti dimenticare che una delle peculiarità che possiamo riscontrare in questa nuova teoria critica dell’alienazione è il superamento della divisione tra soggetto e oggetto in favore di un paradigma relazionale capace di porsi nel mezzo. Il campo di indagine in cui la critica dell’alienazione deve porsi è quindi quello dell’interrelazione tra dimensione soggettiva e dimensione oggettiva, le quali non sono separabili. Il giudizio di alienazione può dunque essere rivolto al rapporto del soggetto con se stesso - come nel citato caso del mancato riconoscimento dell’individuo con i suoi desideri - ma anche alle istituzioni sociali in cui il soggetto si esternalizza e instaura relazioni di natura differente. Il concetto di alienazione recuperato da Jaeggi

Su questo aspetto e sulle problematicità da esso sollevato insisteremo in modo particolare 196

nell’ultimo capitolo di questo lavoro.

Le Forme di vita (Lebensformen) rappresentano l’altro campo d’indagine, assieme 197

all’alienazione, a cui Jaeggi deve il suo successo nel panorama filosofico contemporaneo. Alla loro definizione e critica la filosofa dedica un ampio lavoro - pubblicato per la prima volta nel 2014 - in cui ritroviamo molti degli elementi che abbiamo incontrato sin qui. Per citarne alcuni: la netta rinuncia ad ogni forma di essenzialismo e sostanzialismo, l’adozione di una critica immanente che, in linea con l’impostazione di Horkheimer e Adorno, emerge a partire dal negativo, la categoria di appropriazione così come l’abbiamo delineata la quale risulta centrale per comprendere il rapporto reciproco tra il singolo e la forma di vita. Volendo tentare di definire che cosa Jaeggi intenda per Forme di vita si potrebbe dire che esse sono, letteralmente, degli insiemi inerti di pratiche sociali (inert ensembles of social practices). Questa definizione può però rischiare di non restituire la complessità racchiusa nel concetto e mi sembra perciò utile riportare uno dei molteplici modi usati da Jaeggi per descrivere ciò di cui sta parlando: «Le forme di vita si presentano come insiemi di pratiche sociali o, secondo la formulazione di Lutz Wingert, come “insiemi di pratiche ed orientamenti” e sistemi di comportamento sociale. Esse includono attitudini e condotte abituali con un carattere normativo che concerne la collettiva condotta di vita, sebbene esse non siano strettamente codificate né istituzionalmente vincolate» (R. Jaeggi, Critique of Forms of Life, cit., p. 65).

ricopre una funzione diagnostica che - come vedremo in modo particolare nel paragrafo successivo - rende possibile una critica sociale.

Vi è infine un ultimo aspetto essenziale alla comprensione del concetto di alienazione che stiamo qui analizzando. La ricchezza e la produttività di questa categoria sta per la filosofa, come abbiamo ripetuto, nella sua capacità di mettere in luce ciò che funge da ostacolo nel vivere la propria vita. Per questo motivo il terreno in cui il concetto si muove sono i rapporti concreti in cui il continuo processo di appropriazione si articola, mentre ogni presupposto metafisico ed essenzialistico risulta abbandonato. In linea con questa impostazione, il “risultato” della critica non può essere cercato al di fuori delle relazioni o delle forme di vita in cui l’alienazione viene evidenziata. Non vi è in Jaeggi - e non vi può essere - la speranza in una società altra in cui finalmente gli uomini vivranno in maniera non alienata e liberi da ciò che li schiaccia,198 né la possibilità di intraprendere un percorso verso una riconciliazione definitiva di tutte le scissioni. La disalienazione procede sempre nel particolare, così come l’alienazione, e non può mai essere rappresentata da una condizione raggiungibile una volta per tutte.

Ciò può essere dedotto anche da quanto abbiamo detto esaminando l’alienazione come perdita di libertà.199 Attraverso la definizione di libertà positiva siamo infatti giunti a definire la contro-alienazione come possibilità di appropriarsi della propria vita e di essere accessibili a se stessi in quello che si fa. Entrambe queste condizioni sono però delle modalità di relazione con se stessi e col mondo che, in quanto tali, risultano continuamente rimesse in gioco nel fluire dell’esperienza e nell’inarrestabile processo di formazione di se stessi. Si può dunque affermare che allo stesso modo in cui il concetto di alienazione risulta riposizionato all’interno di un paradigma relazionale in cui il focus è il come dei rapporti, anche il suo opposto è coinvolto nello stesso cambiamento di

In questo aspetto dobbiamo notare un’altra differenza fondamentale con la teoria 198

dell’alienazione elaborata da Marx in cui è essenziale la fiducia nella realizzazione di una società totalmente altra la quale è rappresentata dal comunismo. Una società libera dall’alienazione è per Marx non solo possibile, ma necessaria, ed è verso di essa che la rivoluzione deve attuarsi e muoversi.

L’opposizione alienazione-libertà viene più volte ribadita da Jaeggi e costituisce un punto 199

centrale per comprendere il suo pensiero. In un breve saggio dedicato all’alienazione in Marx, Jaeggi riprende sinteticamente i punti centrali della sua rilettura del concetto di alienazione e tra questi Jaeggi sottolinea: «la condizione per la realizzazione della libertà è il superamento dell’alienazione» (R. Jaeggi, Alienazione e libertà in Marx, cit., p. 22).

prospettiva: la disalienazione è un modo di vivere la relazione con se stessi e, in particolare, è un rapporto riuscito con se stessi e col mondo.200

Vivere in maniera libera e poter disporre di se stessi non sono mai, dunque, condizioni permanenti né può esistere una società in cui il processo di appropriazione di sé sia totalmente liberato dal conflitto. Tuttavia ciò non viene interpretato da Jaeggi come una sconfitta della critica dell’alienazione, né tantomeno rappresenta ai suoi occhi una condanna del concetto di alienazione all’inutilità. Al contrario, ciò che Jaeggi sostiene è che la

Entfremdung può essere oggi recuperato come concetto filosofico utile alla comprensione della società, se e solo se risulta liberato da ogni traccia di essenzialismo e paternalismo, e slegato da qualsiasi ideale di riconciliazione. Mentre abbiamo già discusso del primo, gli altri due “difetti” da cui la riformulata teoria dell’alienazione tenta di sbarazzarsi possono essere rintracciati in quanto stiamo qui dicendo. Per paternalismo Jaeggi intende una sorta di “spocchia” attribuibile al concetto classico di alienazione che, tradendo il carattere immanente della critica, pretenderebbe di poter definire in maniera oggettiva cosa è buono e cosa è sbagliato.201 Nell’ottica paternalistica così come viene criticata dalla filosofa «qualcosa potrebbe allora essere considerato - oggettivamente - buono per qualcuno senza che questi - soggettivamente - lo ritenga tale» e, al contrario, «una forma di vita potrebbe essere criticata come sbagliata dal punto di vista dell’alienazione, senza che a ciò corrisponda una sofferenza

Scrive Jaeggi sintetizzando quanto stiamo dicendo: «Se l’alienazione, come io ho proposto, 200

deve essere compresa come “relazione in assenza di relazione”, il superamento dell’alienazione non deve significare un ritorno a una unità, che non sia in sé scissa, tra il sé e il mondo o la riproduzione di una uguaglianza essenziale. Essa è sempre una relazione, una relazione di appropriazione. […] Questa relazione di appropriazione dovrebbe essere compresa in questo modo come relazione produttiva e come un processo aperto nel quale l’appropriazione significa sempre entrambi: integrazione come trasformazione del dato. Così l’analisi dei processi d’alienazione non rinvierebbe più a un “punto archimedico” al di là dell’alienazione» (Ibidem).

Contro ogni paternalismo Jaeggi sostiene che il bene «non è dato quale metro esterno e 201

atemporale da applicare a una realtà cattiva». In linea con questa affermazione, quindi, scrive: «Non c’è alcun metro originario, né alcun criterio esterno al quale commisurare la società e a partire dal quale essa si lasci criticare. Tale criterio, dunque, deve trovarsi in essa, senza nondimeno essere identico alla società per come essa di fatto è. La “vita buona” esiste, allora, nella misura in cui è una possibilità sempre esistente insita nella realtà - al di là della deformazione della realtà stessa» (R. Jaeggi, Forme di vita e capitalismo, cit., p. 45).

percepita soggettivamente».202 Il secondo problema che ogni riformulazione del concetto di alienazione dovrebbe risolvere secondo Jaeggi, è il riferimento ad un’ideale di riconciliazione perseguibile e raggiungibile. Secondo questa impostazione risulterebbe lecito pensare ad una realtà libera da tensioni e da conflitti e orientare la critica verso un’unità in quanto fine ultimo della disalienazione. Ciò è presente, ad esempio, all’interno della teoria critica elaborata da Marx in cui la società comunista rappresenta il superamento del capitalismo e, con esso, dell’alienazione. Una simile posizione risulta totalmente inconciliabile con quanto abbiamo detto sin qui. La teoria critica dell’alienazione elaborata da Jaeggi si propone di rimanere costantemente nell’immanenza e tenta di far emergere il positivo come superamento, nel particolare, del negativo.203

Ci si potrebbe chiedere, arrivati a questo punto, che cosa rimanga della critica dell’alienazione se essa non può fornire criteri etici oggettivi, né rischiarare il percorso verso una completa disalienazione, cioè, quale possa essere il suo ruolo oggi all’interno del nuovo paradigma inaugurato da Jaeggi. La risposta, o almeno un tentativo, ci viene fornito dalla stessa filosofa che ci invita ancora una volta ad abbracciare una nuova prospettiva