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1.2 «Come, non che cosa»: ripensare la Entfremdung

Capitolo 3 Fenomenologie dell’alienazione nella filosofia francese contemporanea

3.1 L’alienazione secondo Franck Fischbach

3.1.2 Una realtà intollerabile

Quanto abbiamo visto sin qui passando attraverso la reinterpretazione del concetto marxiano ci permette di comprendere meglio la critica mossa da Fischbach alla società contemporanea e il ruolo che il concetto di alienazione può ancora avere. Anticipando quanto vedremo, nella visione del filosofo francese quest’ultima ha di nuovo senso se e solo se attraverso di essa si descrive il non-rapporto che abbiamo col mondo o, meglio, la perte du monde che caratterizza la società odierna. Com’era per la condizione dell’operaio dell’ ‘800, anche l’alienazione contemporanea ha dunque a che fare con una perdita, una mancanza e, nello specifico, un allontanamento della nostra dimensione oggettiva.

Il primo elemento che deve essere sin da subito specificato è che tale perdita del mondo non va intesa come un modo di dire, né come una sorta di stratagemma teorico; la perte du monde è per Fischbach un fatto, anzi il fatto che caratterizza la società moderna in cui conduciamo le nostre esistenze. Il secondo elemento che vorrei 27

sottolineare è quello che possiamo concepire come un capovolgimento: non tanto la perdita dell’aldilà, della dimensione trascendentale, della fiducia in un mondo dopo la morte (questioni che pure occupano un ruolo centrale nel dibattito contemporaneo e penso in particolare al tema della secolarizzazione) caratterizzano l’epoca a noi 28

contemporanea, ma, innanzitutto, la perdita di questo mondo qui, la rottura del legame con esso.

Su tale aspetto Fischbach riprende in maniera evidente Deleuze il quale in Cinema 2 scrive: 27

«Il fatto moderno, è che noi non crediamo più in questo mondo» G. Deleuze, Cinéma 2.

L’image-temps, Minuit, Paris, 1985 (L’immagine- tempo, trad. it. L. Rampello, Ubulibri,

Milano1989) p. 223.

Basti pensare, ad esempio, all’importante lavoro di Charles Taylor a riguardo. Si veda il già 28

Secondo Fischbach il punto di partenza per comprendere la condizione dell’uomo odierno e denunciarne l’alienazione è prendere coscienza della perdita del mondo dell’immanenza all’interno del quale viviamo. Tale affermazione potrebbe sembrare a prima vista contraddittoria. Come si può, infatti, perdere qualcosa con cui siamo costantemente in contatto e da cui mai possiamo concretamente separarci? La rilettura dei Manoscritti da cui siamo partiti può a mio avviso risultarci estremamente utile per comprendere sin da subito tale aspetto. La perdita del mondo che caratterizza le società contemporanee va infatti intesa nei termini di quella dinamica di perdita dell’oggettività la quale rappresenta una privazione patologica e radicale che poco ha a che fare con una perdita meramente materiale. Essa significa la perdita di quell’unità organica che sta alla base della concezione dell’uomo come Naturwesen, come parte all’interno di un tutto naturale più ampio. Solo attraverso questi riferimenti possiamo subito iniziare a comprendere la profondità di «Ciò che si è prodotto nella modernità o ciò che la modernità ha prodotto» ovvero «la rottura del legame dell’uomo e del mondo».29

Nell’epoca in cui viviamo l’esistenza di questo mondo è divenuta problematica e 30

assieme ad essa, inevitabilmente, anche la nostra esistenza. È questa rottura tra noi e il mondo a rappresentare il terreno di indagine e di denuncia che un rinnovato concetto di alienazione può e deve percorrere. Esso viene dunque frainteso ogniqualvolta viene impiegato per descrivere l’estraniazione del proprio sé nel mondo perché non è tale dinamica a mostrarsi negativa per coloro che la subiscono. L’alienazione coincide piuttosto con la perdita, da parte del soggetto, del mondo, cioè con lo spossessamento del reale e la conseguente incapacità di percepirlo come proprio. Il mondo, ossia ciò in cui l’uomo vive e attraverso cui vive, è divenuto per l’uomo una cosa estranea. Ecco la rottura, ecco il problema, ecco l’alienazione.

Per vedere nello specifico quali siano le implicazioni di questa perdita e ciò che essa oggi comporta, mi sembra importante tentare di comprendere le sue cause. Perché abbiamo perduto il mondo? Fischbach risponde a questa domanda inizialmente in maniera quasi istintiva dicendo: «Perché il mondo non è più tale che noi possiamo ancora crederci, non è più tale che possiamo ancora considerarlo come nostro, né

Fischbach cita direttamente Deleuze da cui prende in prestito queste parole (F. Fischbach, 29

Sans objet.Capitalisme, subjectivité, aliénation, cit., p.7).

Ivi, p. 8. 30

come un mondo per noi». Non possiamo più credere a questo mondo né possiamo 31

considerarlo come nostro perché esso è divenuto intollerabile e invivibile nella sua quotidianità. L’origine del suo ragionamento è dunque la presa d’atto dell’insopportabilità della vita di tutti i giorni, vita che è per una larga parte delle 32

persone realmente penosa, difficile, motivo di sofferenza e, non di rado, senza speranza alcuna. Scrive chiaramente lo studioso per esplicitare la sua posizione su tale aspetto

Non faccio parte di coloro i quali, oggi, vorrebbero rilanciare la filosofia critica poggiando sulle fonti del quotidiano e della vita ordinaria. Il punto di partenza mi sembra debba essere al contrario fornito dalla constatazione del carattere invivibile della vita ordinaria e del carattere intollerabile dell’esistenza quotidiana per la grande maggioranza dell’umanità vivente sotto il regime del capitale globalizzato, cioè dalla constatazione di un esaurimento delle risorse del quotidiano […]. È per questo che, secondo me, ci sono oggi più elementi in una sociologia della miseria del mondo che in una filosofia della vita

ordinaria. 33

Sotto l’odierno regime capitalista globalizzato il reale è divenuto intollerabile nella sua quotidianità e l’esistenza ordinaria è ormai avvertita come invivibile e intollerabile dalla grande maggioranza dell’umanità. In questo senso, l’intollerabile non è, come saremmo portati a pensare, una situazione eccezionale, né un fenomeno transitorio, ma al contrario, è il mondo ordinario della banalità quotidiana. 34

Ivi, pp. 8-9. 31

La denuncia dell’insupportable è una tematica che troviamo anche in Emmanuel Renault il 32

quale rappresenta uno dei riferimenti essenziali per Fischbach. Renault mette a tema l’insopportabile attraverso il concetto di sofferenza sociale nel quale rilegge in chiave critica quella che è solo in apparenza una sensazione meramente psichica e individuale. La connessione tra sofferenza e ciò che è intollerabile - inteso nel senso che stiamo qui delineando in Fischbach - è molto forte in quanto: «Il proprio del termine “sofferenza” è quello di poter essere impiegato per enunciare l’insopportabile». In tal senso, ci mostra Renault, la sofferenza esprime molto più di un qualcosa che ci dà fastidio e vorremmo sempre fuggire; la sofferenza come enunciazione dell’insopportabile diviene un concetto polemico e critico della società (E. Renault, Souffrances sociales, cit., p. 86).

Ibidem. 33

Ibidem. 34

La vita di tutti i giorni risulta depauperata e svilita e l’uomo contemporaneo si trova a vivere una realtà insopportabile che chiude ogni spiraglio di speranza e fiducia. Per questo motivo, oggi, non è possibile credere al mondo in cui si vive, avere fede in esso e percepirlo come qualcosa di cui siamo parte. Esso, lontano dall’essere un luogo in cui sentirsi a casa propria e realizzarsi, è il palcoscenico di quella sofferenza che ci opprime e ci schiaccia sempre più. Anche in questo aspetto mi sembra interessante sottolineare un ulteriore capovolgimento operato da Fischbach: ciò che è intollerabile non è un qualcosa di straordinario, come ad esempio, un delitto efferato o un crimine spaventoso che balza agli onori della cronaca; intollerabile è l’ingiustizia ordinaria in cui si è costretti a vivere la propria quotidianità.

Questo aspetto risulta a mio avviso particolarmente importante perché mette in luce la profondità della lacerazione del rapporto uomo-mondo. Denunciare l’intollerabile come qualcosa di eccezionale avrebbe significato mantenere ancora aperta la possibilità di un qualche rapporto, una qualche fiducia in un mondo che a volte viviamo come insopportabile ma che possiamo ancora percepire come nostro nel resto del tempo. Ponendo l’uguaglianza tra ciò che è ordinario e ciò che è intollerabile Fischbach afferma invece la radicalità dello squarcio nel legame uomo-mondo. Per questo motivo abbiamo sin dall’inizio parlato di una perdita del mondo e non di una deviazione nel rapporto con esso.

Tale è la condizione dell’uomo contemporaneo il quale si trova nel mondo come all’interno di una situazione puramente ottica e sonora, scrive Deleuze rendendo in 35

maniera chiara ciò che Fischbach intende qui denunciare. Questa immagine mi sembra descriva perfettamente la situazione in cui ci troviamo: viviamo nel mondo come degli automi che vedono e ascoltano ciò che accade loro e semplicemente portano avanti le loro vite come personaggi passivi di un mauvais film in cui sono capitati. Scrive Deleuze: «abbiamo perduto il mondo e non crediamo ad esso né, di conseguenza agli avvenimenti che ci accadono, l’amore, la morte, come se essi non ci riguardassero che a metà. Non siamo noi a fare del cinema, è il mondo che ci appare come un brutto film». 36

In una tale condizione, distaccati e privati del mondo di cui siamo parte, non siamo più capaci di immaginare né di fare una realtà diversa. L’uomo contemporaneo in

G. Deleuze, Cinéma 2. L’image-temps, cit., p. 223. 35

Ibidem. 36

quanto automa spirituale è totalmente incapace non soltanto di agire per cambiare le 37

cose, ma anche di pensare un mondo altro, sia esso terreno o non. L’individuo moderno è dunque caratterizzato da quella che Fischbach definisce una doppia perdita, di questo e di un altro mondo. Tale aspetto mette a mio avviso in luce due elementi. In primo luogo lo studioso capovolge nuovamente il pensiero comune in quanto pone la perdita della trascendenza come diretta conseguenza della perdita del mondo dell’immanenza. Non è una radicale presenza al mondo materiale e solo in esso a causare il distacco dalla fede e l’incapacità di credere a qualcosa d’altro; è la perdita di questo mondo in cui poggiamo i piedi e della possibilità di credere ad esso che occlude ogni possibilità a qualsiasi altra fede e credenza. Fischbach arriva a questa riflessione grazie anche ad Hannah Arendt la quale, egli sostiene: «ha perfettamente visto che le cose non sono 38

avvenute nel modo che comunemente si crede». Non soltanto, infatti, la filosofa ha 39

compreso che la perdita della relazione col mondo della trascendenza non è prima, essa ha anche ben evidenziato che il soggetto moderno non è affatto ripiegato nel mondo terreno

[…] anche se ammettiamo che l’età moderna cominciò con un’improvvisa e inesplicabile eclissi della trascendenza, della fede in un’aldilà, da ciò non consegue affatto che questa perdita abbia rigettato gli uomini nel mondo. Al contrario, l’evidenza storica mostra che gli uomini moderni non furono proiettati nel mondo, ma in se stessi. Una delle tendenze della filosofia moderna a partire da Cartesio, e forse il suo più originale contributo alla filosofia, è stato un interesse esclusivo per l’io, in quanto distinto dall’anima o dalla persona o dall’uomo in generale, un tentativo di ridurre tutte le esperienze, nei confronti del mondo come di tutti gli altri esseri umani, a esperienze tra l’uomo e se stesso. 40

Il secondo elemento che vorrei inoltre sottolineare è che la perdita vissuta dal soggetto senza-mondo è da considerarsi doppia in un duplice senso: da un lato, come abbiamo detto, significa la perdita di questo mondo e, conseguentemente, di qualsiasi altro; dall’altro, è l’incapacità degli individui di pensare e di agire. Ciò rende evidente

Ivi, p. 221. 37

In particolare si veda il già citato H. Arendt, Vita Activa. La condizione umana. 38

F. Fischbach, Sans objet.Capitalisme, subjectivité, aliénation, cit., p. 10. 39

H. Arendt, Vita Activa, cit., p. 187. 40

quanto dicevamo prima attraverso Deleuze: la condizione dell’uomo moderno è quella di uno spettatore totalmente impotente, rilegato in se stesso e per questo incapace di agire sia a livello pratico, sia sul piano del pensiero perché privato della sua capacità di immaginare un mondo che possa sentire davvero suo. In questo senso l’uomo contemporaneo è ridotto ad essere un voyant cioè uno spettatore bloccato ed 41

impotente di fronte ad una tragedia che lo riguarda ma dinanzi alla quale rimane indifferente. Per lui non c’è più niente da fare se non rassegnarsi all’intollerabile. 42

Arrivati a questo punto la radicalità della perdita che contraddistingue la nostra esistenza diviene finalmente evidente. È in questa condizione che il concetto di alienazione può e deve trovare oggi il suo terreno di indagine, nella perdita del mondo e nell’esperienza che facciamo di noi stessi come osservatori impotenti e distaccati, privati del reale e, di conseguenza, di noi stessi. Scrive infatti Fischbach

Si inizia a comprendere meglio in cosa possa consistere l’alienazione intesa come perdita del mondo, come perdita del legame col mondo: essa è tutta interna all’esperienza che facciamo di noi stessi come di spettatori impotenti nel pensiero e nell’azione, bloccati nella posizione di chi vede meglio che mai il mondo come intollerabile, ma resta pietrificato davanti allo spettacolo di questo intollerabile.43

La perdita del mondo e la conseguente incapacità di agire sul reale risultano fortemente alienanti e si manifestano sul piano soggettivo nella figura dell’uomo contemporaneo incapace di agire, totalmente svuotato e sradicato. Detto diversamente, ciò che rimane al soggetto senza-oggetto è vivere in maniera mutilata e attutita, come fosse il fantoccio di un uomo. Per questo motivo senza mondo e fuori dal mondo, la soggettività contemporanea non può dirsi in alcun modo sana; al contrario essa si rivela «psicotica, completamente contratta in se stessa, totalmente separata e recisa da ogni legame col mondo circostante (una Umwelt)». 44

Ancora una volta Fischbach riprende Deleuze il quale afferma che la rottura del legame 41

uomo-mondo rende l’uomo un voyant «colpito da qualcosa di intollerabile nel mondo e messo di fronte a qualcosa di impensabile nel pensiero» (G. Deleuze, Cinéma 2. L’image-temps, cit., pp- 220-221).

F. Fischbach, Sans objet.Capitalisme, subjectivité, aliénation, cit., p. 11. 42

Ivi p. 14. 43

Ivi, p. 16. 44

La separazione dal mondo che caratterizza il soggetto moderno non va dunque vista in alcun modo come una sua liberazione né come una dichiarazione di autentica autonomia. Essa è al contrario la traccia di una profonda alienazione e di un totale svuotamento. Per questo motivo il pensiero di Fischbach ci invita a diffidare dal modello, ovunque idolatrato, di soggetto autonomo, disimpegnato, totalmente concentrato su se stesso e disinvolto - inteso nel senso letterale del termine - in quanto manifesta qualcosa di estremamente patologico. Esso va infatti in opposizione alla descrizione dell’uomo come Naturwesen - come parte all’interno di un tutto più ampio che è appunto il mondo che lo circonda - e fa del soggetto isolato una realtà originaria da porre al centro di tutto. Tale modello priva l’uomo del suo mondo e nasconde questa perdita dietro un’illusoria autonomia che è in realtà una condizione di alienazione non troppo diversa da quella che abbiamo descritto attraverso i manoscritti parigini. Il soggetto è infatti privato di quella dimensione oggettuale fondamentale alla sua autopoiesi e allo sviluppo delle sue potenzialità ed è pertanto ridotto ad essere un vuoto automa al servizio di un sistema contro cui non può opporsi. Il self-made man viene cresciuto con l’illusione di poter fare e diventare qualsiasi cosa ma in realtà non può 45

essere nient’altro che un impotente prodotto del sistema. Spiega infatti Fischbach: «il 46

soggetto ritiratosi dal reale, il soggetto de-oggettivato, svuotato di ogni sostanza non è altro che il soggetto prodotto dal capitalismo in quanto soggetto che conviene ad esso e che è omogeneo al suo funzionamento».47

Fischbach nota a tal proposito quella che egli definisce un’ingiunzione paradossale: il 45

soggetto contemporaneo - e in modo particolare il lavoratore contemporaneo - è spinto ad agire come soggetto libero e autonomo ma gli viene costantemente sottratto e impedito l’accesso a tutta quella serie di condizioni e mezzi oggettivi che davvero gli permetterebbero di essere tale (Ivi, p. 256).

Tale elemento di impotenza viene più volte sottolineato da Fischbach il quale lo riconosce 46

come segno evidente dell’alienazione contemporanea: «Consiste in questo il secondo aspetto dell’esperienza di alienazione vissuta da colui che non è niente di più che un voyant: dopo lo stupore e la “pietrificazione”, l’alienazione è un’esperienza vissuta di impotenza» (Ivi, p. 13).

Fischbach riprende a tal proposito alcuni passaggi dell’Anti-Edipo di Deleuze e Guattari (Ivi, 47

L’idea di soggetto come entità separata dalla realtà, de-mondanizzata, opposta 48

all’oggetto e de-oggettivata (nel senso che abbiamo chiarito in precedenza) rappresenta qualcosa di patologico e di alienante, un modello totalmente agli antipodi di ciò che è la realizzazione dell’uomo. Il punto di contatto con quanto abbiamo visto nella rilettura dei Manoscritti operata da Fischbach diviene dunque evidente. La perdita del mondo che caratterizza l’epoca moderna è indice di alienazione poiché taglia il legame uomo- mondo, impedisce l’oggettivazione necessaria all’uomo per lo sviluppo delle sue capacità e lo rende così un soggetto vuoto e impotente; allo stesso modo, nell’analisi del lavoro salariato la privazione degli oggetti - nel senso dei mezzi di produzione e del prodotto del lavoro - causa la Entfremdung e la Entäßerung del lavoratore il quale risulta perciò abbrutito e persino privato della sua dimensione passiva.

Le dinamiche che abbiamo evidenziato nei Manoscritti non sono quindi qualcosa di superato e risolto. Esse continuano ancora oggi a permeare la società ed è per questo motivo che un concetto di alienazione correttamente ripensato è estremamente utile alla comprensione delle patologie e dei fenomeni potenzialmente negativi che caratterizzano la nostra epoca. Un perfetto esempio di ciò mi sembra essere rappresentato dalla lettura che del concetto di interpassività elaborato da Žižek compie Fischbach. Tale idea, perfettamente contemporanea e apparentemente lontana dal mondo del lavoratore salariato di metà Ottocento, può secondo il filosofo francese rendere perfettamente conto dell’alienazione come perdita e trasferimento di passività odierne.

Žižek elabora il concetto di interpassività intendendo attraverso di esso l’altro lato della medaglia dell’interattività, ovvero il processo in cui è l’oggetto che sto utilizzando o l’altra persona con cui sto interagendo ad essere passivo al posto mio, ad essere affetto da ciò che sto facendo o guardando. L’esempio forse più conosciuto per spiegare tale fenomeno - sebbene ormai già superato - è quello del videoregistratore attraverso cui è possibile appunto accumulare un enorme numero di film. Il fatto di possedere molte 49

Nello studio della soggettività moderna centrale è il riferimento a Žižek. In particolare si veda 48

S. Žižek, The Ticklish Subject. The Absent Centre of Political Ontology, Verso, London 1999 (Il

soggetto scabroso. Trattato di ontologia politica, trad. it. D. Cantone, L. Chiesa, Raffaello

Cortina, Milano 2003).

Tale esempio può essere rimpiazzato perfettamente dagli odierni decoder con cui salviamo 49

programmi e film che possiamo rivedere o, ancora meglio, dalle piattaforme in cui accumuliamo materiale che, già sappiamo, non visioneremo mai per intero.

registrazioni, ci dice Žižek, non significa che effettivamente ne godremo guardandole perché la realtà dei fatti conferma che, al contrario, non avremo tempo per vedere la maggior parte di esse. Ciò di cui noi godiamo effettivamente, quindi, è del semplice fatto di averle a disposizione mentre soltanto l’oggetto attraverso cui li abbiamo registrati è “direttamente toccato” dai film. In questo va colta l’interpassività: «Benché io non guardi realmente quei film, la sola consapevolezza che le pellicole che amo siano archiviate nella mia videoteca mi dà una profonda soddisfazione, permettendomi talvolta di indulgere alla dolce arte del far niente, come se il videoregistratore le stesse, in qualche modo, guardando per me, al mio posto».50

Tale concetto ci permette di compiere, secondo Fischbach, un cambiamento di prospettiva fondamentale: il fulcro della dinamica evidenziata dal filosofo sloveno non sta nel fatto che l’oggetto che utilizzo sia attivo al mio posto - dinamica classicamente considerata centrale nella teoria dell’alienazione - ma nel fatto che esso sia passivo al posto mio. Ecco cosa c’è di veramente inquietante nei nuovi media «il fatto che le macchine digitali ci privano della dimensione passiva del nostro vissuto: esse sono “passive per noi”». Possiamo facilmente constatare questo fenomeno mentre 51

guardiamo un programma tv o una serie televisiva in cui vengono utilizzate delle risate