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Ricostruzione di un problema attuale

Capitolo 1 Ripresa del concetto di alienazione nel dibattito filosofico contemporaneo: Rahel Jaegg

1.1 Verso un paradigma relazionale

1.1.2 La relazione di appropriazione

La caratterizzazione del sé che abbiamo sin qui ripercorso ci permette di fare luce su chi sia il soggetto per la filosofa tedesca, quindi, colui che potrebbe trovarsi a vivere in maniera scissa, estraniata, dominata, non libera. Allo stesso tempo essa ci permette di iniziare a comprendere la metodologia abbracciata dalla studiosa e in che modo la sua analisi della Entfremdung procede: la ridefinizione dell’alienazione segue dal ripensamento delle categorie che ne sorreggono e ne definiscono il concetto, e tra queste in modo particolare quella di soggetto. Ciò che Jaeggi compie, in un certo senso, è dunque quella che potremmo definire una meta-critica in quanto oggetto di analisi, di obiezioni e di un riposizionamento sono primariamente i concetti interni a quella costellazione che compone il concetto stesso di alienazione. Non soltanto critica dell’alienazione, dunque, ma anche critica dei presupposti su cui la critica dell’alienazione si basa.

La ridefinizione del sé rappresenta uno dei passaggi chiave in questo modo di procedere ed è un momento imprescindibile per comprendere il pensiero di Jaeggi in quanto attraverso di esso la filosofa intende allontanare la sua riflessione da ogni forma di essenzialismo. Quest’ultimo è inteso - non soltanto dalla filosofa tedesca -155 come un approccio volto a rintracciare degli immutabili che trascendono i fenomeni e la storicità. Per questo motivo esso è considerato inadatto alla teoria critica contemporanea che intende invece porsi da un punto di vista differente, più modesto potremmo dire, secondo cui i concetti assumono senso in maniera sociale e contestuale. Scopo della critica contemporanea è quello di rimanere aderente alla realtà - la quale è sempre storica e particolare - a cui rivolge lo sguardo e di indagare i fenomeni restituendo le loro dinamiche e gli elementi negativi156 che li caratterizzano. Il tentativo di evitare forme di essenzialismo non intende, nel pensiero di Jaeggi e degli

La critica all’essenzialismo è largamente diffusa nell’ambito della teoria critica 155

contemporanea. Come vedremo anche attraverso gli altri autori presenti in questo lavoro, il riferimento all’essenza o ad un carattere immutabile e atemporale dell’umano viene completamente meno e lascia lo spazio ad uno sguardo sempre radicato nella storia e nel particolare. Sulle criticità sollevate e lasciate aperte da tale approccio insisteremo in modo particolare nell’ultima parte del lavoro.

Sulla definizione di tale negativo si gioca la differenza tra i vari autori. 156

altri autori che prenderemo in esame, porsi come un rifiuto ad entrare all’interno dei fenomeni per comprenderli nella loro vera realtà; esso deriva piuttosto dalla volontà di allontanare la riflessione da modelli e definizioni atemporali e slegati dal contesto storico e sociale.

È per mantenersi fedele a questa impostazione che diviene particolarmente importante per la filosofa tedesca ripensare la caratterizzazione antropologica così come abbiamo appena visto, rinunciando cioè ad un soggetto il cui essere sia predefinito, immutabile e in questo senso fuori dalla storia. Tale punto di partenza serve all’autrice per impostare la sua analisi a partire da un punto di vista differente da quei difetti essenzialistici157 che hanno caratterizzato le teorie dell’alienazione. Siamo ora in grado di capire meglio perché Jaeggi non descrive mai il sé nei termini di una grandezza ontologica indipendente da quel processo di Bildung che passa attraverso le nostre azioni, il nostro rapporto col mondo e le relazioni che tessiamo in esso. Il soggetto emerge secondo la filosofa da un processo mai concluso e non può quindi dirsi in alcun modo predefinito o teleologicamente orientato. L’attenzione con cui Jaeggi intende allontanare dal suo lavoro qualsiasi riferimento ad un’essenza immutabile può inoltre essere scorta nella ridefinizione che essa compie dell’identificazione. Quest’ultima va reinterpretata come un’azione attiva che il soggetto compie in ciò che fa, sceglie, desidera, e va rifiutata invece l’idea che l’identificazione possa avvenire nei confronti di una qualche immagine del sé aprioristicamente definita, cioè, di un’essenza umana intesa nel senso di un modello immutabile nei confronti del quale il sé concreto, quasi come fosse una sua riproduzione, possa essere giudicato più o meno fedele.

In linea con questa posizione, Jaeggi rifiuta anche l’idea per cui possa esistere una sostanza separata e immutabile da cui il processo di formazione del sé scaturisce: il processo di appropriazione, infatti «non conosce nessun fuori».158 Questa impostazione antiessenzialista, ed anche antimetafisica di Jaeggi rappresenta senza dubbio un forte elemento di novità rispetto agli autori che abbiamo sin qui preso in esame, tuttavia essa rispecchia perfettamente il pensiero che si sviluppa tra la fine del ‘900 e gli inizi del nuovo secolo. Come è stato solamente accennato alla fine del capitolo scorso attraverso Foucault, negli anni ’60 e ’70 si inaugura una linea di pensiero definito poststrutturalista e postmodernista che decostruisce l’idea di soggetto in favore di

Così li definisce Honneth nella prefazione del testo da lui curata (Ivi, p. 7). 157

Ivi, p. 244. Corsivo mio. 158

un’identità fluida, ibrida e molteplice.159 Dopo Foucault e Deleuze,160 si potrebbe dire, ogni pensiero filosofico che intenda far riferimento ad un soggetto deve in qualche modo fare i conti con la visione poststrutturalista, sia che ne condivida gli assunti, sia che li rigetti.

L’analisi di Jaeggi, che emerge a fine ‘900, deve essere collocata in tale contesto. Compiendo un paragone temporalmente inverso, si potrebbero brevemente richiamare alcuni elementi tipici del pensiero poststrutturalista per mostrare come in essi siano presenti diversi punti di contatto con quanto abbiamo visto sin qui all’interno del pensiero di Jaeggi. Tra questi, primo tra tutti mi sembra essere l’idea per cui il sé sia strettamente contingente e abbia un potere auto-creativo, sia cioè capace di dare forma a se stesso e di crearsi attraverso l’esperienza. Accanto a questo, il rifiuto di ogni essenzialismo, che abbiamo sottolineato essere fondamentale per lei, segue quasi necessariamente dal carattere fluido del sé: all’interno di una impostazione che decostruisce il soggetto, qualsiasi rimando ad una concezione sostanzializzante ed

Abbiamo già visto come per Foucault l’individuo sia una creazione del potere che sorveglia e 159

punisce e plasma i soggetti. Di conseguenza, un pensiero critico che voglia rivolgersi contro questo potere non può in nessun modo fare leva sui diritti dell’individuo ma, al contrario, deve dirigersi verso la spersonalizzazione, cioè deve in un certo senso disfarsi dell’individuo decostruendo i dispositivi che l’hanno plasmato. In questa prospettiva qualsiasi rimando ad un sé unitario e fisso diviene sospetto e indice di quel potere che si vuole criticare. Decostruendo l’individuo, ciò che rimane è un sé fluido e libero da ogni categorizzazione e imposizione sociale. Un sé svuotato di ogni necessità e storicamente contingente che può continuamente inventarsi in maniera obliqua e che, dice Foucault: «heureusement on n'atteint jamais» M. Foucault, De l'amitié comme mode de vie, in Dits et écrits IV, Gallimard, Paris 1994 (J. Revel (a cura di), Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste 1961-1970: follia, scrittura, discorso, trad. it. G. Costa, Feltrinelli, Milano 1996), p. 165.

La visione poststrutturalista dell’individuo viene condivisa da molti altri autori tra i quali va 160

senza dubbio richiamato Gilles Deleuze. I suoi lavori su schizofrenia e capitalismo «sfondano», usando il suo linguaggio, l’idea standard di individuo e la disintegrano in mille piani mettendo bene in luce la natura ibrida e molteplice di ciascuno. La concezione del sé presente in Deleuze viene chiaramente espressa ne L’anti-Edipo in cui si legge: «Il compito della schizoanalisi è di disfare instancabilmente l’io e i suoi presupposti, di liberare le singolarità prepersonali ch’essi rinchiudono e rimuovono, di far scorrere i flussi ch’essi potrebbero emettere, di ricevere o di intercettare, di costruire sempre più lontano e sempre più finemente le schizza e i tagli ben al di sotto delle condizioni di identità, di smontare infine le macchine desideranti che investono ognuno e lo raggruppano con altri. Ciascuno è infatti un groupuscule e deve vivere così […]» G. Deleuze, F. Guattari, Capitalisme et schizophrenie : l'anti Oedipe, De Minuit, Paris 1965 (L’anti-

essenzializzante dell’identità diviene non solo criticabile ma persino inaccettabile. Il sé infatti non è mai un’unità pre-strutturata che si dà fin dall’inizio, ma è composto da mille piani ed è immerso in molteplici processi attraverso cui si inventa senza mai dirsi concluso.

Tra la visione del sé elaborata da Jaeggi e la critica poststrutturalista del soggetto sono dunque rintracciabili importanti punti di contatto. Nonostante ciò, sostenere che l’impostazione antropologica della filosofa sia totalmente identificabile con il poststrutturalismo costituirebbe senza dubbio un errore. Accanto agli elementi di continuità risulta infatti interessante notare un tentativo da parte di Jaeggi di prendere distanza da questa impostazione rispetto alla quale la formulazione dell’appropriazione del sé che abbiamo delineato sin qui trova un suo margine di originalità. Quest’ultimo va rintracciato principalmente in ciò che abbiamo detto prima: il sé è sempre prodotto ma è anche dato per Jaeggi, e c’è quindi un doppio movimento del processo del divenire che oscilla tra un’inventare (tipico tema poststrutturalista) e un riscoprire. Come la filosofa scrive: «Se l’appropriazione di sé, come abbiamo visto, è un processo in cui il trovare e l’inventare, il costruire e il ricostruire sono cooriginari, allora il processo di appropriazione fa sempre i conti con l’esistenza di qualcosa di precedente che recupera e trasforma».161 La formazione del sé non è cioè qualcosa di assoluto - nel senso di totalmente slegato - in quanto ci sono sempre dei condizionamenti precedenti da cui l’appropriazione muove e con cui deve fare i conti. Vi è per la filosofa sempre qualcosa di cui ci si appropria, quindi qualcosa che c’è già, ma che prende forma solamente all’interno del processo di appropriazione. Ciò che viene rigettato è dunque l’idea che l’appropriazione possa essere intesa come creazione del sé dal nulla, mentre invece non è in discussione il fatto che non esista alcun sé prima del processo di appropriazione - altrimenti verrebbe meno l’antiessenzialismo a cui tanto tiene Jaeggi.

In questo senso, il processo di appropriazione elaborato si pone in continuità con la visione poststrutturalista mantenendo però una certa originalità rispetto ad essa. Ciò che sta particolarmente a cuore alla filosofa è chiarire che il processo di realizzazione così come viene inteso nella sua analisi, cioè l’appropriazione, non deve essere frainteso nei termini di pura invenzione e il soggetto che lo compie non deve mai essere

R. Jaeggi, Alienazione. Attualità di un problema filosofico e sociale, cit., p. 275. 161

scambiato con un creatore onnipotente.162 Per comprendere questa sua originalità è utile richiamare un esempio a cui lei stessa si riferisce, cioè la differenza aristotelica tra poiesis e praxis: mentre nella prima vi è la produzione di un qualcosa, quindi di un oggetto esterno, nella seconda lo scopo è l’esecuzione stessa dell’azione. Il processo di appropriazione che stiamo qui tentando di delineare deve essere inteso nella direzione di questo secondo modello, quello appunto della prassi. Secondo Jaeggi infatti il sé è un «processo pratico-sperimentale in cui si è coinvolti»163 e non un’opera d’arte che ciascuno fa di se stesso.164

Nel paradigma del sé come opera d’arte possiamo rintracciare alcuni elementi che non troviamo invece nel modello antropologico di Jaeggi. In primo luogo l’immagine dell’opera d’arte richiama il procedimento della produzione di qualcosa, l’oggetto artistico appunto, da parte di qualcuno, generalmente l’artista. Di conseguenza, il sé come opera d’arte risulta essere allo stesso tempo soggetto della produzione ed oggetto prodotto, rimanendo dunque incastrato in un paradigma della produzione che è lontano dall’appropriazione come l’abbiamo sin qui descritta. In secondo luogo, l’opera d’arte può essere intesa nei termini di un’invenzione originale e può dunque rappresentare una creazione nuova che non deve tener conto di alcun condizionamento o determinazione. Ciò ha due conseguenze importanti: innanzitutto, quanto abbiamo detto prima, cioè il ritorno ad un’idea di creazione del soggetto ex nihilo che non prevede qualcosa che esista già prima e, accanto a questo, l’impossibilità di individuare dei criteri di valutazione nella creazione del sé. L’idea di una creazione assoluta del sé, senza alcun orientamento e senza alcun condizionamento preesistente, non lascerebbe infatti alcuno spazio per l’individuazione di criteri di giudizio grazie ai quali poter valutare se la formazione del sé possa dirsi riuscita o disturbata.

Jaeggi prende distanza da ogni concezione si fondi sull’idea di un soggetto inteso come 162

creatore assoluto di se stesso e scrive: «Questa idea della formazione di sé sembra andare di pari passo, per certi aspetti, con un volontarismo che ha i tratti di una Hybris. Da dove viene infatti l’attore che improvvisamente è dotato di così tanto potere di azione da potersi “creare come un’opera d’arte”? Chi crea il creatore qui? O si tratta qui non solo di una creatio ex nihilo ma anche di una creatio senza creatori» (Ivi, p. 276).

Ivi, p. 277. 163

L’immagine del sé come opera d’arte è presente, ad esempio, negli ultimi scritti di Foucault il 164

Questa implicazione, che l’autrice scorge dietro l’immagine del sé come opera d’arte, risulta di centrale importanza perché in essa è in gioco la possibilità stessa di recuperare la categoria di alienazione. Una visione antropologica che implichi la totale assenza di criteri valutativi nel processo di formazione del sé significherebbe, infatti, il venir meno delle condizioni di esistenza del concetto stesso di alienazione. Di conseguenza, nessun giudizio di alienazione risulterebbe possibile. Si comprende perciò che per Jaeggi il darsi di uno spazio normativo costituisce un elemento imprescindibile senza il quale la sua intera analisi della Entfremdung verrebbe meno, ed è dunque sulla questione della normatività che va rintracciata un’altra grande differenza tra la formulazione del sé come appropriazione e l’dea di soggetto come invenzione.

Si comprende ora perché Jaeggi insiste nel descrivere il sé come «risultato di una prassi che consiste nell’interazione con ciò che è altro»,165 definizione attraverso cui si rende evidente la distanza tra la sua impostazione e qualsiasi pensiero attribuisca al soggetto la possibilità di prodursi in maniera incondizionata e totalmente nuova. La definizione data da Jaeggi ci aiuta però a mettere in luce anche un altro aspetto: il soggetto di cui stiamo parlando non potrebbe in alcun modo essere letto attraverso l’immagine dell’opera d’arte perché la sua formazione avviene sempre in mezzo agli altri e tramite gli altri. Non dobbiamo infatti dimenticare la caratterizzazione del sé che abbiamo delineato nelle pagine precedenti: per Jaeggi il soggetto prende forma solo nel suo legame col mondo e con gli altri, quindi, con la società. In questo senso, non solo il sé non si crea dal nulla, ma neanche, si potrebbe dire, da solo; siamo sempre e soltanto «coautori di noi stessi».166 Per questo motivo Jaeggi scrive: «L’appropriazione di sé significa quindi una formazione di sé senza però l’onnipotenza di un demiurgo che inventa se stesso».167 Essa non coincide con l’idea di invenzione del sé né però, al lato opposto, ricade nel riferimento ad un’essenza immutabile.

Il confronto con la visione poststrutturalista ci ha aiutato a definire meglio la costituzione del sé che stiamo indagando e a comprendere l’originalità dell’idea di appropriazione proposta dalla filosofa. Come si intuisce già da questa prima parte, l’appropriazione rappresenta il vero fulcro della concezione antropologica elaborata dalla filosofa e forse, si potrebbe dire, di tutto il suo pensiero. Ciò che primariamente

Ivi, p. 278. 165 Ibidem. 166 Ibidem. 167

descrive il soggetto al quale ci stiamo riferendo è infatti il processo di appropriazione di se stesso nel quale egli è costantemente immerso. Ogni aspetto della caratterizzazione che abbiamo seguito fin qui è servito, di fatto, a comprendere in che modo il processo di appropriazione vada inteso e con quali modelli non vada invece confuso. Volendo arrivare ad una prima conclusione di quanto si è detto sin qui, si potrebbe perciò dire che il chi dell’analisi di Jaeggi è un sé che si costituisce attraverso una continua relazione di appropriazione con se stesso e col mondo. In questo senso, il riferimento antropologico che sorregge la categoria di alienazione risulta posizionato all’interno di quello che si potrebbe definire un paradigma relazionale il quale caratterizza, come vedremo nel resto del capitolo, la ripresa e la rielaborazione della categoria di alienazione da parte della filosofa.