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1.2 L’alienazione in Mar

1.2.2 Die entfremdete Arbeit

In Marx, dunque, la critica dell’alienazione diviene critica del capitalismo ed è all’interno dell’ambito socio-economico che la sua analisi si muove. Il lavoro salariato rappresenta la base ineliminabile che sorregge il sistema capitalistico e, allo stesso tempo, la radice da cui nascono e sono alimentati i diversi rami di alienazione. Quest’ultima, infatti, come è stato già accennato, pur descrivendo una precisa condizione, non è affatto univoca.

Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 Marx fa emergere quattro momenti di 67

alienazione intrinseci al lavoro salariato nella società capitalista: il rapporto con gli oggetti del proprio lavoro, con l’attività produttiva, dell’uomo con se stesso, degli uomini tra loro. Nel sistema capitalista, infatti, i proletari vivono una doppia frattura con il mondo oggettuale: in primo luogo essi non possiedono i mezzi di produzione necessari a soddisfare i loro bisogni primari, quindi a sopravvivere; in secondo luogo, ciò che essi producono con il loro lavoro non gli appartiene. In questa condizione, ogni proletario è dunque costretto a vendere la sua forza lavoro, la quale diviene a tutti gli effetti una merce, per poter accedere all’utilizzo di mezzi di produzione e ottenere, lavorando, il sostentamento a lui necessario. Egli cioè è costretto a diventare operaio e a farsi

Il Manifesto del partito comunista si conclude con una chiara dichiarazione di intenti: «I 66

comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Dichiarano apertamente che i loro fini possono essere raggiunti soltanto col rovesciamento violento di tutto l’ordinamento sociale finora esistente. Le classi dominanti tremino al pensiero d’una rivoluzione comunista. I proletari non hanno da perdervi che le loro catene. Hanno un mondo da guadagnare» (K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito comunista, trad. it. E. Cantimori Mezzomonti, Einaudi, Torino 2014, p.50).

K. Marx, Manoscritti Economico-filosofici del 1844, trad. it. N. Bobbio, Einaudi, Torino 2004. 67

schiavo del suo oggetto, perché solo in quanto operaio può mantenersi come soggetto fisico. 68

Oltre a ciò, rileva Marx: «l’oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si contrappone ad esso come un essere estraneo, come una potenza indipendente da colui che lo produce». Il lavoratore, cioè, produce qualcosa da lui totalmente separato, 69

in cui non si riconosce e che finisce per accrescere la sua condizione di schiavitù. In ciò consiste l’alienazione dell’operaio dal suo prodotto la quale dunque non va confusa con la mera oggettivazione (dimensione ineliminabile del lavoro) ma è vera e propria Entfremdung, in quanto l’oggetto prodotto diviene realmente una cosa esterna e indipendente che gli si contrappone ostile ed estranea. Volendo fare un parallelismo, 70

l’alienazione così concepita, come rileva Stefano Petrucciani riprendendo un’idea di 71

Allen Buchanan, richiama per alcuni aspetti il racconto di Frankestein o dell’apprendista stregone in cui i protagonisti producono e mettono in moto delle forze che finiscono per rendersi autonome, accrescersi e rivolgersi contro di loro. 72

Da questo quadro emerge la descrizione di un’attività lavorativa che è schiava del bisogno, luogo di estraneazione e, come tale, causa di dominio e sfruttamento. Essa è infatti svolta non per se stessa ma per pura necessità, ed è sottoposta alla somma regola del profitto per cui ciò che conta è solamente l’accumulazione di capitale. Per

Ivi, p. 70. 68 Ivi, p. 68. 69 Ivi, p. 69. 70

S. Petrucciani, Alienazione e critica sociale, "La società degli individui”, pp. 39-43. 71

L’alienazione così concepita è stata definita alienazione oggettiva in contrapposizione 72

all’alienazione soggettiva (o autoalienazione) descritta dalle altre tre dinamiche di alienazione così come le abbiamo elencate. In modo particolare il riferimento qui è alla lucida analisi di Adam Schaff il quale ripercorre il pensiero di Marx e le sue opere descrivendo i tratti caratteristici dell’alienazione come fenomeno sociale. Secondo Schaff il nucleo della

Entfremdung marxiana è l’alienazione degli oggetti del lavoro la quale riguarda una relazione

oggettiva, quella appunto tra l’uomo e il prodotto della sua attività. L’estraneazione che emerge dal rapporto con la propria attività, con se stessi e con gli altri riguarda invece relazioni

soggettive in cui ciò che si aliena è l’uomo. Tra alienazione e autoalieazione così definite c’è

uno stretto rapporto causale in quanto il lavoro alienato (alienazione oggettiva) causa nell’uomo la privazione delle sue vere proprietà umane (alienazione soggettiva). A. Schaff, Entfremdung

als soziales Phanomen, Europaverlag, Wien 1977 (L’alienazione come fenomeno sociale, trad.

quest’ultima, che si basa proprio sullo sfruttamento della forza-lavoro, la qualità della vita degli operai non soltanto è irrilevante, ma diviene addirittura un pericolo; è infatti la paura di morire di fame il vero motore dell'enorme meccanismo sacrificale che è la produzione capitalista. Scrive Marx a tal proposito paragonando gli operai ad un esercito di soldati da sacrificare da cui la guerra industriale attinge73

Non per disciplina né per dovere i soldati di questo esercito sopportano le fatiche che sono loro imposte, ma soltanto per la dura necessità di fuggire la fame. […] Queste masse di operai, sempre più premuti dalla necessità non hanno neppure la tranquillità di trovar sempre un’occupazione; l’industria che li ha riuniti, li fa vivere soltanto se ne ha bisogno, e non appena può sbarazzarsene li abbandona senza darsi il minimo pensiero; e gli operai sono costretti ad offrire la loro persona e la loro forza al prezzo che gli si vuol accordare. E tanto meno sono pagati quanto più il lavoro che gli si offre è lungo, penoso, disgustoso; si vedono taluni che con un lavoro di sedici ore al giorno, in stato di fatica continuata, si acquistano a mala pena il diritto di non morire.74

Se il lavoro è tutto questo, esso è allora attività estraniante in cui non si è liberi, non si ha reale controllo di ciò che si fa, in cui semplicemente si sopporta sperando che il fine turno arrivi presto. A ciò va aggiunto che nella società capitalista l’attività lavorativa, estremamente frammentata e ripetitiva, risulta svuotata di ogni sua dimensione gratificante. Lontano dalla definizione aristotelica di attività specificatamente umana, il lavoro emerge piuttosto come ciò che distorce la dimensione umana e ostacola qualsiasi forma di autopoiesi ed autorealizzazione. Di conseguenza, l’uomo che vive in tali condizioni risulta fortemente alienato; costretto a vendersi e sfruttato, egli non ha alcun controllo su ciò che produce, né sull’attività che compie per svolgere la quale deve ridursi alla sua mera forza fisica. Qui ritroviamo quanto abbiamo intravisto in

Questa immagine degli operai come componenti di un vero e proprio esercito viene più volte 73

utilizzata da Marx per indicare la condizione dei proletari (lavoratori o non ancora tali) la cui esistenza è massimamente sacrificabile ed il cui numero varia a seconda delle esigenze di mercato. Si veda, ad esempio, K. Marx, Il Capitale, I, cit., pp. 815-824.

Ivi, p. 27. 74

Hegel: il lavoratore costretto a mansioni totalmente impoverite, è di fatto ridotto ad un’astrazione, al suo puro movimento.75

Ciò che avviene nel lavoro così vissuto è quello che Rahel Jaeggi definisce un fallimentare processo di riappropriazione in cui il lavoratore, oggettivandosi nella sua attività, non si riconosce né nel prodotto del suo lavoro, né in quello che fa, e finisce col concepirsi egli stesso come un mezzo, rispecchiando ciò che in lui vede il capitalista. Vi è quindi una doppia strumentalizzazione del lavoratore: in primo luogo da parte del proprietario della sua forza lavoro il quale vede in lui uno strumento da sfruttare finché possibile; in secondo luogo, da parte di se stesso in quanto: «Le attività, che si esercitano in modo alienato, si concepiscono non come scopo, bensì soltanto come mezzo. Allo stesso modo le capacità, che si acquisiscono nel lavoro o si impiegano, diventano un mezzo, così come lo diventiamo noi stessi». 76

Nella società capitalista quindi, il lavoro non ha nulla a che fare con quel processo di Bildung grazie al quale l’uomo si esteriorizza e, producendo, si produce egli stesso come uomo. Il lavoro è piuttosto un’attività disumanizzante che riduce gli uomini a dei

Nelle Note su James Mill (scritto che viene oggi considerato un quarto quaderno parigino) 75

Marx scrive che il lavoro ripetitivo e suddiviso: «fa dell’uomo un ente il più astratto possibile, una macchina che gira ecc., e lo trasforma in una malformazione spirituale e fisica» (K. Marx, Note

su James Mill, in K. Marx, E. Donaggio, P. Kammerer (a cura di), Manoscritti economico- filosofici del 1844 e altre pagine sul lavoro e alienazione, Feltrinelli, Milano 2018, pp. 295-342,

p. 321).

R. Jaeggi, Alienazione e libertà in Marx, in P. Garofalo, M. Quante (a cura di), Lo Spettro è 76

moncherini e degrada ogni relazione sociale. Persino il naturale ed elementare 77

bisogno di respirare aria pura o di potersi muovere viene messo da parte dagli operai i quali sono chiamati a essere schiavi ascetici ma produttivi. Questa degradazione non 78

rimane però circoscritta all’orario lavorativo; ridotto ad una bestia in fabbrica, l’operaio conduce un’esistenza disumanizzata anche a casa e nel tempo libero il quale, illusoriamente libero, risulta ugualmente scandito dalle leggi del sistema capitalista. Il tempo trascorso fuori dalla fabbrica è infatti dedicato al soddisfacimento di quei bisogni che ben poco hanno di umano, i quali servono, come negli animali, a garantire la mera sopravvivenza. Ecco l’alienazione: nel sistema capitalista i lavoratori sopravvivono, niente più. Ad essi, sottolinea Marx, viene persino tolto il sentimento di potersi sentire da qualche parte veramente a casa. Il posto di lavoro è infatti luogo di totale annichilamento dal quale non vedono l’ora di andarsene, ma anche l’abitazione a cui tornano a fine turno non è più qualcosa che appartiene loro. Piccole e sporche come fogne, le case nelle città ormai sovrappopolate e divenute giganteschi dormitori dell’industria, sono infatti sempre di qualcun altro, di un padrone a cui occorre pagare l’affitto se non si vuol finire in mezzo alla strada. Questo aspetto risulta ancor più significativo se si riprende la già citata definizione di Entfremdung per cui è estraneo ed estraniato tutto ciò che non appartiene all’heimischer Umwelt, all’ambiente domestico. La costante impossibilità dei lavoratori di sentirsi in un luogo che sia propriamente il

Nella sua approfondita analisi dell’alienazione in Marx, Ollman arriva a chiedersi cosa rimane 77

delle caratteristiche distintive dell’uomo dopo che sono state erose dalla società capitalista caratterizzata dall’alienazione così come la stiamo delineando. Secondo Ollman: «Per Marx il “moncherino” della natura umana che rimane, non è né uomo, né animale, né semplice materia. È, nella terminologia marxiana, un’astrazione. […] l’uomo è riuscito a diventare tutto quello che non è» B. Ollmann, Alienation. Marx’s Conception of Man in Capitalist Society, Cambridge University Press, London - New York 1971 (Alienazione. La concezione marxiana dell’uomo

nella società capitalista, trad. it. P. Stefani, Armando Editore, Roma 1975, p. 202). L’analisi di

Ollman rimane ancorata ad un’interpretazione feuerbachiana di Marx basata su una natura umana ben definita da cui l’alienazione rappresenterebbe un allontanamento peggiorativo. Questa posizione, diffusa e sostenuta da vari interpreti, ha dato vita a numerose critiche sulla matrice essenzialista dell’alienazione marxiana le quali hanno condotto, nel dibattito odierno, ad un superamento di questa impostazione. Come vedremo nel corso del lavoro, ciò non ha necessariamente condotto ad un rifiuto della concezione marxiana ma piuttosto ad una rilettura della sua teoria e dell’idea di uomo che da essa emerge.

«Questa scienza (l’economia politica) della mirabile industria è parimenti la scienza 78

dell’ascesi, e il suo vero ideale è l’avaro ascetico ma usuraio, e lo schiavo ascetico ma

loro, di sentirsi a casa, è dunque diretto sinonimo della permanente condizione di Entfremdung in cui essi conducono la loro esistenza.

In questa condizione di precarietà ed estraniamento, di soppressione dei loro bisogni umani gli operai sono mossi da un unico desiderio, quello per il denaro, vero e proprio potere (Vermögen) che può ogni cosa: «può mangiare, bere, andare a teatro e al ballo, se la intende con l’arte, la cultura, con le curiosità storiche, col potere politico, può viaggiare; può insomma impadronirsi per te di tutto quanto […]». Quello per il denaro 79 80

è l’unico desiderio non meramente animale che caratterizza il lavoratore il quale, però, più ne diviene avido più appesantisce la sua catena. Il denaro è infatti la ricompensa 81

ingrata per una vita totalmente alienata, fatta di sfruttamento e miseria; è lo zuccherino che il domatore dà all’animale da circo dopo averlo frustrato e costretto in gabbia. Volere più denaro significa dunque accrescere la propria alienazione senza riuscire a scorgere che, necessariamente, più si ha, meno si è.

Da questo contesto anche il rapporto con gli altri risulta estremamente estraniato. Nella società capitalista, infatti, l’altro è o il capitalista-lupo mannaro «le cui crudeltà nella caccia al guadagno non sono state neppure superate da quelle commesse dagli Spagnoli nella caccia all’oro durante la conquista dell’America», o un operaio rivale 82

che potrebbe rubare il posto di lavoro, una posizione migliore, un migliore stipendio. Inoltre, sottolinea Marx, nel sistema capitalista le relazioni tra gli uomini risultano anch’esse deviate in quanto ad ogni rapporto viene conferita quella che Lukács definisce «un’oggettualità spettrale» che rende totalmente opaco il vero legame 83

Ivi, p. 125. 79

Qui ritroviamo quanto abbiamo accennato in Moses Hess: il denaro, astrazione del potere 80

umano, diviene massimamente potente e venerato come un vero e proprio Dio nella società capitalista. Questa “devozione”, al pari della credenza religiosa in Feuerbach, finisce col rendere gli uomini ancora più schiavi ed estraniati.

Scrive Marx nel Capitale: «all’interno del sistema capitalistico, tutti i metodi per elevare la 81

forza produttiva sociale del lavoro si attuano a spese dell’operaio individuale; tutti i mezzi di sviluppo della produzione si capovolgono in mezzi di dominio e sfruttamento del produttore, mutilano l’operaio riducendolo ad un frammento d’uomo […]. Ne segue perciò che, nella misura in cui il capitale accumula, la situazione dell’operaio, qualunque sia la sua mercede, alta o

bassa, deve peggiorare» (K. Marx, Il Capitale, I, cit., pp. 820-821).

Citazione dell’economista britannico John Wade riportata da Marx (Ivi, p. 350). 82

G. Lukács, Geschichte und klassenbewusstsein, Berlino 1923 (Storia e coscienza di classe, 83

sociale tra gli uomini. Questa tendenza alla reificazione (Verdinglichung) per cui a 84

tutto, anche ai rapporti umani, viene conferito il carattere di cosa è allo stesso tempo una conseguenza di quell’estraniazione che abbiamo descritto sin qui, e un’ulteriore fonte di alienazione che spezza i legami umani e sostituisce ad essi quelli tra merci. Le relazioni sociali reificate sono quindi rapporti disumanizzati in cui la relazione con gli altri è delegata ad una potenza estranea (il denaro) che fa da medium e svuota, di fatto, l’uomo di ogni autentica socialità. 85

La reificazione ci aiuta a mettere in luce un ulteriore aspetto dell’alienazione marxiana: i prodotti, le attività e i rapporti alienati non solo sono tali, ma sono fissati in questa loro estraneità e appaiono come se fossero naturalmente così. Ciò che è alienato non viene avvertito come tale. La scissione e l’estraniazione sono radicate a tal punto che lo stato delle cose appare come qualcosa di naturale, di “cosale,” e non si percepisce la sua distorsione. Riprendendo la similitudine già citata con il racconto di Frankenstein e dell’apprendista stregone, è come se Frankenstein una volta creato il

La reificazione rappresenta un elemento centrale in tutto il pensiero marxiano ed in modo 84

particolare nell’analisi dell’alienazione. A tal proposito mi sembra interessante quanto sottolinea Adam Schaff per il quale la reificazione, accanto all’alienazione oggettiva, rappresenta il nucleo dell’alienazione. A suo avviso la problematicità di quest’ultima è da osservare nel fatto che nella società gli uomini producono determinate cose (oggetti ma anche idee ed istituzioni) le quali però si sviluppano in maniera autonoma secondo logiche estranee e finiscono così per diventare una forza che va contro gli scopi per cui era stata creata, che sovrasta l’uomo e giunge a dominarlo. Questa forza, e in questo sta la potenza della reificazione, diviene un elemento concreto, una “cosa” autonoma che si erge contro l’uomo. Cfr. A. Schaff, L’alienazione

come fenomeno sociale, cit., pp. 67-69.

Stefano Petrucciani mette bene in luce l’alienazione presente nelle relazioni sociali mediate 85

dal denaro le quali rappresentano, come egli le definisce, una cooperazione alienata anziché

umana. Scrive Petrucciani: «nel rapporto di denaro l’uomo subisce (a favore di questo

mediatore) un processo di svuotamento, di sottrazione o, per usare il termine marxiano, di alienazione. Nel rapporto di denaro, innanzitutto, l’uomo è spogliato della sua socialità; non interagisce più consapevolmente con gli altri, ma si limita a mettere in vendita quello che possiede (i suoi prodotti o il suo lavoro) e a comprare quello di cui ha bisogno; l’uomo delega ad una potenza estranea (il denaro, appunto) la sua relazione con l’altro uomo; si genera così una relazione cosalizzata (reificata) e disumanizzata» (S. Petrucciani, Reificazione: avventure di un

concetto, in C. Giorgi (a cura di), Rileggere Il Capitale, Manifestolibri, Roma 2018, pp. 151-164,

mostro che lo minaccia, soffrisse di amnesia e non fosse più in grado di riconoscere ciò che gli sta davanti come una sua creazione. 86

In conclusione, questo breve percorso attraverso la descrizione marxiana dell’alienazione ci permette di cogliere ancora una volta la plurivocità di questo concetto. In una condizione di alienazione non si possiede ciò che si è prodotto attraverso il proprio sé e vi è pertanto espropriazione, estraneazione e sfruttamento; in secondo luogo, non ci si identifica con ciò che si fa né si può determinare la propria attività alla quale si è costretti per necessità e di conseguenza non si è liberi né si dispone di alcun potere; infine, le relazioni con gli altri e con se stessi, le quali risultano spogliate di ogni senso, strumentalizzate e reificate, impediscono qualsiasi forma di riconoscimento e divengono al contrario causa di scissione. Il lavoro estraniato del 87

sistema capitalista causa e alimenta tutti questi processi che ci restituiscono l’immagine di un uomo totalmente abbrutito, schiavo di un sistema che lo schiaccia e a cui egli tutto sacrifica, come nell’immagine del carro di Juggernaut evocata dallo stesso Marx. 88

Nel capitalismo non vi è quindi più spazio per una concezione del lavoro che, riprendendo Hegel, lo intenda come un’inquietudine creatrice, come un processo 89

attraverso cui l’uomo si media, cambia, esplora e si autotrasforma plasmando la sua identità. Il lavoro si manifesta piuttosto come una necessità distruttrice che tutto aliena.

Su questo “tutto” e sulla plurivocità del concetto appena sottolineata si sono fondate le molteplici interpretazioni del concetto marxiano di alienazione il quale, già di per sé ricco, è stato diluito sino ad arrivare ad essere usato come sinonimo di ogni condizione negativa della vita umana. Al versante opposto di questa dinamica, invece, molti interpreti hanno ritenuto il concetto di alienazione il risultato di un pensiero ancora 90

acerbo, romantico, persino "non marxiano” perché troppo vicino a Feuerbach e Hegel, e

Questo aspetto è messo in luce in S. Petrucciani, Alienazione e critica sociale, cit., p. 40. 86

Anche Rahel Jaeggi insiste su questo elemento di plurivocità del concetto marxiano di 87

alienazione (R. Jaeggi, Alienazione e libertà in Marx, cit., p. 18). K. Marx, Il Capitale, I, cit., p. 821.

88

Su questo aspetto L. Pennacchi, La fecondità della teoria dell’alienazione, in C. Giorgi (a cura 89

di), Rileggere Il Capitale, cit., pp. 133-150.

Tra i quali ricordiamo Althusser che considera i Manoscritti il testo più lontano, dal punto di 90

vista teorico, dal Marx marxiano. A tal proposito L. Parinetto, Teorie dell’alienazione. Hegel,

l’hanno pertanto considerato una sorta di abbaglio fortunatamente smaltito dal Marx maturo. A mio avviso, un giusto mezzo di aristotelica memoria tra le due opposte posizioni ci permetterebbe di recuperare la ricchezza e la capacità critica del concetto marxiano di alienazione senza però rischiare di renderlo un vuoto eco.

Come vedremo nel corso del lavoro, la critica contemporanea dell’alienazione sembra porsi in questa direzione in quanto si misura con Marx, ne riprende le tematiche tentando di risolverne le problematiche e, confrontandolo con le mutate condizioni economico-sociali, ne trattiene ciò che giudica utile per l’analisi della società contemporanea.