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Alienazione e ordine del discorso

Nel documento TEMPI E RITMI DELLA VENDITA AL CLIENTE (pagine 185-193)

IV PARTE: ANALISI DEI RISULTATI DI RICERCA E CONCLUSIONI

9.4 Alienazione e ordine del discorso

Quando raccontano della loro rappresentazione del futuro, i/le giovani adulti/e, soprattutto le donne, toccano il tema del lavoro domenicale e festivo. Emerge in alcune interviste, come per i/le più giovani (vedremo più avanti le specificità generazionali), una contraddizione tra il non voler lavorare la domenica per avere una vita sociale, ed essere però favorevoli alle aperture domenicali.

[Cosa pensi del fatto dei negozi sempre aperti?] Credo sia una cosa normale (…) [Come riesci a gestire il lavoro e la vita?] Non ho vita sociale, questa è la mia balance (…) La mia work-life balance, lavoro molto ed esco poco e quando esco coi miei colleghi alla fine del turno, andiamo a berci qualcosa, oppure andiamo nei club, ma succede tipo una volta al mese” (Londra_A4_Alice_F28).

Alice dice di non riuscire a conciliare in modo soddisfacente i tempi di vita e di lavoro, ma sostiene anche che il fatto che i negozi siano sempre aperti “è una cosa normale”.

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Non è prevista in questa rappresentazione del mondo una regolazione dei tempi, una regolamentazione, politica, urbana o nazionale. È un dato di fatto, ricorrono frasi come “devi fartene una ragione”, “ti devi abituare”, “devi adeguarti”, come abbiamo visto in precedenza, “devi calendarizzare la tua vita a seconda degli orari e dei giorni di lavoro” tutti i giorni della settimana, anche quando gli altri sono liberi di gestire il loro tempo.

“[Se dico le parole flessibilità e stabilità cosa ti viene in mente?] Non lavorare da *! (…) devi essere tu flessibile… (…) [Foto-stimolo: Queste foto sono state scattate di domenica in una giornata di sole e c’era un sacco di gente in Oxford Street, cosa pensi?] Che è perfettamente” (Londra_A4_Alice_F28).

Si tratta di una mancanza di coscienza della propria condizione. Non si pensa a se stessi, si pensa al cliente. Alice non riesce a elaborare una riflessione o una interpretazione personale, un giudizio individuale. Questa è una Caterina condizione di alienazione delle proprie emozioni e di mancanza di consapevolezza, di riflessione su se stessi.

Vi è sempre, anche qui, il tentativo di presentare la realtà più rosea. Pare sia un tabù, una cosa da non dire, una narrazione vietata: anche i commessi e le commesse sono influenzati dall’ideologia della liberalizzazione dei consumi e della deregolamentazione degli orari di apertura. Viene spesso sottolineata la differenza tra prima e dopo la modificazione dei tempi di consumo, e dunque di lavoro, anche da chi sostiene di essere soddisfatto/a dei tempi e ritmi ma racconta opinioni e pensieri in contrapposizione tra loro. Abbiamo visto prima che viene citato il passato come momento felice, e accade anche da parte di chi dice di essere soddisfatto/a della flessibilità temporale, di non avere problemi da quel punto di vista, per poi contraddirsi subito dopo dicendo invece che vorrebbe un lavoro dal lunedì al venerdì con orari fissi. Esattamente tale contraddizione è espressione dell’alienazione, è la forma che acquisisce il fatto di non essere consapevoli delle proprie percezioni ed emozioni, di non essere “presenti” a se stessi nella vita. È espressione di un pensiero che non riesce a svilupparsi dialetticamente con l’esperienza di tutti i giorni, un gap tra vita e pensiero, è

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l’espressione del fenomeno di cui scriveva Gallino, nella definizione di alienazione che abbiamo visto all’inizio di questo capitolo.

Le aperture domenicali sono percepite da alcuni/e come un’ingiustizia, perché a loro parere le motivazioni che erano state poste si sono rivelate false: non ci sono state assunzioni e i consumi non sono aumentati. Se un attore sociale ha n denaro da spendere, aprendo un giorno in più gli esercizi commerciali non aumenta la cifra di denaro spendibile, semplicemente ci sarà più concorrenza tra le aziende nell’aprire sempre per più tempo per attirare i clienti, che però avranno la stessa quantità di denaro n da utilizzare per i consumi. In questo periodo storico caratterizzato dal neoliberismo ha preso piede la narrazione del “sempre aperto”, il dare per scontato che aprendo di più i negozi ci sia conseguentemente più dinamismo nell’economia. Così non è, poiché il salario mensile da spendere nei consumi è lo stesso. Cecilia, Deborah, Mario, Rossella e Luca citano la competizione delle aziende negli orari di apertura:

“Pensa che noi… Adesso mi ricordo, è capitato anche che magari ci fossero le feste di Ascobaires [associazione dei commercianti della via, organizzano feste di strada, solitamente di domenica], magari * rimaneva chiusa perché erano di domenica, allora quelli dei negozi intorno a noi venivano: “Ma voi cosa fate? State aperti? No, perché se state aperti voi, stiamo aperti anche noi. Se no, se siete chiusi pure voi, cosa stiamo aperti a fare?” Capitava anche quello. Tanto noi siamo stati sempre aperti, quindi problemi non se ne pongono, però…” (Milano_A6_Cecilia_F34).

“Per competizione sì, perché come dicevo prima, una volta che sta aperto uno è normale che devono stare aperti tutti. Però se stessimo tutti chiusi… io penso che la crisi non è che la combattiamo stando aperti la domenica” (Milano_T5_Deborah_F27).

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“La presunzione che se stai aperto si guadagni di più. Anche se in realtà è un dato che viene sconfessato, noi lavoravamo con la domenica chiusa e si facevano le stesse attivazioni, forse anche di più” (Milano_T3_Mario_M35).

“Noi adesso fatturiamo di più la domenica che il sabato e, comunque, fatturiamo meno degli anni precedenti. Quindi, la gente non è che compra… (…) con i fatturati non sono minimamente andati ad avere nessun tipo di guadagno. Anzi, hanno più spese, perché c’è un giorno in più da gestire” (Milano_A10_Rossella_F32).

“Tempo fa si stava chiusi la domenica, aprendo la domenica si pensava di fare qualcosa di più anche a livello di posti di lavoro, invece i posti di lavoro comunque rimangono gli stessi, non ci sono agevolazioni finanziarie lavorando la domenica, e la gente comunque, le vendite non sono aumentate, si sono soltanto diluite durante la settimana. Quindi non …” (Milano_T1_Luca_M35).

Questi/e lavoratori e lavoratrici restituiscono l’immagine reale: le aperture non determinano un aumento del fatturato del negozio. Comunque, anche i/le pochi/e che citano questo fatto, non si pongono il problema da un punto di vista riflessivo: lavorano e basta, senza problematizzare. Accennano soltanto il tema. Il dato interessante e da decostruire è la narrazione dell’aumento dei consumi, che il “sempre aperto” dovrebbe teoricamente stimolare.

Nel periodo storico economico del fordismo, dell’industria pesante, per superare la grande crisi, la Grande Depressione del 1929, l’economista Keynes teorizzò di reagire provocando un’espansione della domanda, non certo attraverso una flessibilizzazione dei tempi di apertura nel commercio, ma tramite un forte intervento pubblico. L’obiettivo era tentare di aumentare due fattori: l’occupazione, per far accrescere la capacità di acquisto degli attori sociali non occupati rendendoli lavoratori e lavoratrici,

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e aumentare i salari, per accrescere i consumi dei già occupati. Lo Stato dunque, secondo l’economia keynesiana, avrebbe dovuto far aumentare n per far accrescere i consumi e per rendere più dinamica l’economia (Dasgupta 1985).

La maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici dicono durante le interviste che le aperture domenicali e festive non sono necessarie. Dicono di lavorare in tempi non sociali senza una motivazione reale, questo li fa sentire in qualche modo deumanizzati, percepiscono di non essere considerati al pari degli “altri” che non lavorano la domenica. Comunque, non problematizzano, continuano a lavorare in queste condizioni e basta. Vedremo poi come si traduce questa condizione a seconda del genere e dell’età. Questi commessi e commesse in entrambe le vie commerciali sostengono che non è necessario che lavorino le domeniche e i festivi. La cosa importante è che dicono anche che la loro opinione non conta, che alla società non interessa chi sta dall’altra parte del bancone. Si dicono impotenti e inascoltati. Riporto degli esempi:

[What do you think about the shops and stores being always open, on Sundays on holidays?] It’s not necessary. I used to work in a store and we never open on Sundays because ... So, people get used to it. So, we are not like a hospital. We are not like a pharmacy. What they are going to buy is never an urgent. And also, we are open until 7:00 ... My store opens until 7:00 so it was enough for most of the people but the store I am working now open at 9:00, 9:30. This is more than enough so we don’t need to work on Sundays” (Londra_A10_Stefan_M34).

“Io posso fare a meno di fare shopping la domenica. Poi... Capisco che c’è chi magari no. Però... In realtà, non lo capisco. Però, è uguale. Purtroppo, il mio pensiero non vale molto” (Milano_A4_Fiorella_F30).

Anche Sofia, Laura ed Emanuela sottolineano che non è necessario che loro lavorino sempre (ovviamente, su turni), che i negozi siano aperti sempre:

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“Noi non salviamo vite umane e sono d’accordo che ci sia ventiquattro ore su ventiquattro la Polizia, che ci sia il pronto soccorso… A noi è capitato la Vigilia di Natale qualcuno che chiedesse: “Domani siete aperti?” “No, ma è Natale.” “Ho capito, ma se domani mi sveglio e non so cosa mettere?” Allora diciamo che per comprare delle magliette e dei pantaloni, stando aperti la sera fino alle nove al pubblico, anche chi esce dall’ufficio, chi lavora al pomeriggio ha tempo la mattina, quindi tempo per comprare i vestiti ce n’è. Non siamo un bene di prima necessità. No, è solo togliere tempo alle nostre vite, alle nostre famiglie per una cosa che si potrebbe evitare” (Milano_A5_Sofia_F44).

“Chi non lavora la domenica non può capire. Cioè, tu una domanda così…a uno che non lavora la domenica non la puoi fare [intende la domanda “perché vai nei negozi la domenica” ai clienti]. [Perché?] Non lo so, non lo so. Perché alla gente non gliene frega un cazzo di te che stai là” (Milano_T7_Laura_F27).

“Io non ci vado a fare la spesa la domenica. Non capisco perché uno il giorno di Natale dovrebbe andare in stazione centrale, a fare magari la sostituzione delle Sim perché ti hanno regalato il telefono nuovo. Puoi aspettare anche un giorno. (…) Ormai la gente pretende di avere tutto sempre, ci si può organizzare senza sfruttare” (Milano_T9_Emanuela_40).

Emerge dunque Chiaramente l’insoddisfazione di questi/e lavoratori e lavoratrici. Dicono che per il resto della società non conta quello che loro pensano. Molti/e addetti/e percepiscono di non contare nulla per la società. Marina dice che non vende farmaci, ma servizi telefonia e di telecomunicazione, che il suo lavoro, la sua funzione, non è così importante da dover lavorare le domeniche e i festivi.

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“I turni, i giorni di lavoro, questo costante far girare l’economia e tenere costantemente aperti, sempre e comunque, e quindi come se fosse, come se vendessimo farmaci o cibo, in realtà era un servizio di telefonia di comunicazione, che è importante, però non così tanto” (Milano_T4_Marina_F33).

Durante tutte le interviste emerge il fatto che non è necessario che i negozi siano aperti. Come abbiamo sottolineato, alcuni/e intervistati/e ne parlano se sollecitati sul tema, pochi/e hanno pensato prima alla questione, altri semplicemente danno per scontato che sia così, che ormai sia un dato di fatto. Bisogna ricordare, per comprendere la situazione, che spesso tali lavoratori e lavoratrici sono gli stessi e le stesse che si recano a fare shopping nei giorni festivi e la domenica. Come abbiamo accennato viene detto in molte interviste. Per concludere, molti/e lavoratori e lavoratrici hanno interiorizzato la narrazione, l’ordine del discorso (Foucault 1971) del “sempre aperto”, tanto da non pensare che possa essere un gesto solidale, nei confronti di chi come loro lavora nei negozi, evitare di andare a fare shopping le domeniche e i giorni festivi. La lamentela è individualizzata, spesso non c’è solidarietà ma competizione e individualismo, mancanza di consapevolezza. Vedremo poi come questo può influenzare i lavoratori e le lavoratrici nelle diverse fasi della transizione all’età adulta, soprattutto i/le più giovani.

Un’ultima considerazione contestuale. Abbiamo visto quali sono i tempi e ritmi di lavoro degli/delle addetti/e alla vendita in Oxford Street e in Corso Buenos Aires. Tali tempi e ritmi, flessibili e destrutturati, come sottolineato all’inizio del capitolo sono sia tempi di lavoro che tempi di consumo. Ricordiamo i modelli di tempo:

- Tempo fattivo condiviso - Tempo riflessivo per sé

- Tempo fattivo di lavoro-consumo

Anche il contesto sociale in cui sono immerse le vie commerciali, e le altre aree di consumo, viene condizionato da questi tempi e ritmi destrutturati e flessibili. È un

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fenomeno che interessa tutta la società, un processo di trasformazione sociale dei tempi di lavoro-consumo. Nelle città metropolitane, a partire dalle zone commerciali contemporanee, vi è sempre meno tempo per la condivisione, e ancor meno tempo per sé, per la riflessione e l’introspezione. Si tratta di processi di de-routinizzazione e

destrutturazione che non riguardano solo i lavoratori e le lavoratrici dei contesti qui presi

in esame e che sono comunque legati alle liberalizzazioni dei consumi. Addetti e addette alla vendita sono testimoni privilegiati di questi processi, poiché la loro vita quotidiana si svolge nei luoghi di consumo.

Vedremo ora quali sono le modalità relazionali che si vengono a creare nei negozi, e quali strategie e pratiche di resistenza e resilienza tentano di mettere in atto addetti e addette sul posto di lavoro. Poi analizzeremo nello specifico le differenze di genere e di età nel condizionamento della vita quotidiana causato da tempi flessibili e destrutturati.

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