• Non ci sono risultati.

Etica della ricerca

Nel documento TEMPI E RITMI DELLA VENDITA AL CLIENTE (pagine 70-74)

II PARTE: DISEGNO E METODOLOGIA DELLA RICERCA

5.3 Etica della ricerca

Oltre al principio della riflessività, al centro di questo lavoro empirico vi è anche l’etica come responsabilità, nei confronti sia dei partecipanti alla ricerca che della più ampia collettività. Mi sono dunque posta come obiettivo, ancor prima di iniziare il lavoro empirico, di cercare di fare ricerca mantenendo sempre in mente un obiettivo pratico e in parte politico: dare una restituzione ai partecipanti alla ricerca, che potesse essere utilizzata e rielaborata anche per finalità di policy. La teoria della Action Research sottolinea, al pari della Grounded Theory, la ciclicità e il principio di integrazione del processo di ricerca, ma oltre a questo definisce la ricerca come azione politica e i soggetti interessati come partecipanti attivi e non passivi. Si tratta di unire conoscenza e intervento, ricerca e azione (Lewin 1944, 1946, 1947, 1948, Sgritta 1988). Seppur maggiormente utilizzato finora nell’area disciplinare di psicologia, educazione e formazione, questo approccio offre utili spunti di riflessione per le modalità che propone sul come fare ricerca sociale nella pratica del lavoro di campo. Il fine della Ricerca-azione è ristabilire il rapporto tra ricerca di base, volta alla costruzione di teorie e modelli, di rielaborazioni teoriche, e ricerca applicata intesa anche come azione politica o comunque come riflessione utile alle istituzioni e a policy makers (Utera 1979). Si tratta di una prospettiva teorico-metodologica che si discosta dal positivismo e che pone il ricercatore al centro del dibattito come soggetto attivo. Il concetto chiave è il costrutto di campo: il contesto sociale e l’analisi di questo sono fondamentali nella costruzione di teoria (Colucci 2005). Inoltre, il ricercatore è egli stesso parte del campo. In opposizione alle concezioni comportamentiste che pongono come centrale la causalità

stimolo-70

risposta e il ruolo del rinforzo, si afferma che è necessario considerare tutte le circostanze contestuali nella loro totalità (Lewin 1946, 1947, 1948). Collaborando con l’antropologa Margaret Mead, Lewin, teorico della Action Research, elaborò e praticò nei suoi studi un modello metodologico che non considerasse solo i fattori psicologici ma anche i fattori cosiddetti ecologici. Essi interagiscono con i soggetti e sui soggetti, e soprattutto lo fanno anche con il ricercatore stesso, in un processo di reciproca influenza (Reason 1994, Reason e Bradbury 2001). Viene superata così la separazione tra studioso e oggetto di studio: il ricercatore assume un ruolo attivo e si differenzia dai soggetti solo per le sue competenze e per il suo punto di vista. Lo sguardo del ricercatore diviene quindi il più aperto possibile, per essere in grado di analizzare la totalità del campo sociale (Sgritta 1988). L’accento è posto sulla riflessività e sulla auto-riflessività del ricercatore.

L’elemento cardine è sempre l’integrazione di teoria e pratica, ma anche l’agire sulla realtà sociale durante le fasi del lavoro di campo: non solo osservare ma anche incidere sulla realtà studiata. Il rapporto dialettico tra i fattori e le forze che interagiscono influenzandosi reciprocamente si traduce in pensiero ma anche in azione. La conoscenza della realtà è considerata come connessa con l’azione e viceversa, la realtà sociale muta con l’azione dei soggetti ed il contesto influenza a sua volta l’azione. L’agire diviene dunque parte integrante della ricerca. Gli aspetti centrali sono dunque la riflessione continua sui processi di costruzione di conoscenza, e sul rapporto tra conoscenza esperta e senso comune, in un’ottica critica e di partecipazione democratica al processo, la riflessività dei soggetti e l’auto-riflessività del ricercatore, l’intersoggettività, per cui le pratiche discorsive ed il linguaggio hanno un ruolo fondante nella co-produzione di significati (Blumer 1986). Per il modello della Ricerca-azione i principi metodologici fondamentali sono dunque il superamento della distinzione tra pensiero e azione e l’apertura verso prospettive differenti e innovative nella costruzione di teoria, compresa l’azione sulla realtà sociale studiata. La Action Research è un processo, di analisi e produzione di significati, contestuale, situato, dialettico, dinamico e relazionale, ciclico a spirale, secondo uno schema concettuale circolare ma aperto (Utera 1979, Boog, Coenen e Keune 2001, Reason 1994, Reason e Bradbury 2001). Questo approccio

71

metodologico è stato integrato dalla teoria psicologica della Gestalt e dalla prospettiva socio-costruzionista, secondo cui la realtà è una costruzione sociale, un prodotto dell’esperienza intersoggettiva degli individui e dei gruppi, che viene negoziato discorsivamente. Si pone al centro l’interazione e il linguaggio, la co-produzione di significati condivisi e lo smascheramento e disvelamento di significati impliciti, in un’ottica squisitamente sociologica. Si prediligono il lavoro di campo e gli strumenti di ricerca che valorizzino il ruolo costruttivo del linguaggio e che permettano l’analisi approfondita e critica del discorso, come interviste e osservazioni, sottolineando sempre che a definire la strategia da adottare sarà il contesto, l’obiettivo e gli interrogativi di ricerca (Susman e Evered 1985, Reason e Bradbury 2001). Questo approccio ha avuto un seguito rilevante in diversi campi della psicologia sociale e in generale nello studio delle relazioni. Dalla Ricerca-azione nelle organizzazioni, nelle cooperative e negli studi di comunità, alla Action Research femminista, tale approccio ha sempre avuto un’ottica critica, di decostruzione di significati e di produzione di conoscenza volta all’azione e al cambiamento sociale (Reason 1994, Gatenby e Humphries 2000). Ho deciso fin dall’inizio di porre come punto centrale di questo lavoro empirico l’etica della ricerca, intesa come responsabilità del ricercatore verso la collettività. Per questo motivo ho quindi scelto di approfondire, prima di iniziare a condurre interviste e focus group, l’approccio della Ricerca-azione: questo mi ha aiutata a ripensare il mio ruolo di ricercatrice e a riflettere sul come pormi nei confronti dei partecipanti. Questo per far in modo che la ricerca condotta fosse non solo scientificamente valida ma anche socialmente rilevante, e soprattutto utile ai partecipanti stessi. Pertanto, sono state effettuate interviste a lavoratori, lavoratrici, funzionari e delegati sindacali, sia nel caso italiano che nel caso inglese, durante le quali sono state discusse le condizioni di lavoro, i tempi e ritmi e le problematiche di lavoro, sempre nell’ottica di poter contribuire ad un miglioramento degli stessi grazie anche a questa ricerca (al termine del lavoro è anche prevista una restituzione in forma di breve report ai/alle partecipanti della ricerca). Inoltre, al termine delle interviste sono stati dati, qualora ce ne fosse bisogno, suggerimenti o indicazioni sulla normativa inerente ai tempi e ai ritmi di lavoro, il lavoro domenicale e festivo, in entrambi i contesti di ricerca. Sono stati organizzati focus group

72

anche in questa prospettiva: lavoratori e lavoratrici si sono incontrati sia per discutere le tematiche di mio interesse sia perché volevo che avessero un primo luogo di incontro per confrontarsi sulle loro condizioni di lavoro, seppur anche solo come inizio in questa direzione. Questi infatti non si conoscevano tra loro, ed erano addetti vendita di negozi diversi e di settori differenti (telefonia e abbigliamento), uniti solo dalla mansione e dal luogo, il corso o la high street. Hanno avuto così modo di parlare e definire collettivamente le loro problematiche, nel dialogo e nella relazione. Per molti lavoratori e lavoratrici il fatto stesso di sapere che altri sono nella loro stessa condizione, e di parlarne liberamente al di fuori dell’ambito lavorativo (con persone al di fuori del cerchio di conoscenze del negozio in cui lavorano e che non possono quindi riferire a responsabili o manager) è un modo per non sentirsi soli, per comprendere che non si tratta di problematiche personali, ma anzi di questioni sociali, per cui sarebbe auspicabile trovare soluzioni collettive, dunque politiche. Questo per tentare di far diminuire la percezione di solitudine, ansia, stress e alienazione che, come vedremo, alcuni/e di loro provano.

73

C

APITOLO

6

Nel documento TEMPI E RITMI DELLA VENDITA AL CLIENTE (pagine 70-74)