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Erlebnis e desiderio di soddisfazione immediata

Nel documento TEMPI E RITMI DELLA VENDITA AL CLIENTE (pagine 36-44)

Bauman pone l’esperienza dello spazio e del tempo al centro della sua riflessione: nella nostra realtà sociale "l’esperienza quotidiana insegna che il tempo non procede in linea retta", e ancora "il tempo non è irreversibile, nulla si perde per sempre e allo stesso modo nulla si ottiene e si possiede per sempre, e quello che accade spesso non vincola la forma del domani". A proposito degli scambi economici sottolinea come "la cultura delle carte di credito ha rimpiazzato quella dei conti di risparmio" (Bauman 2001, ed. it. 2010: 308). La nostra economia si fonda infatti sul meccanismo del debito e degli interessi finanziari di credito. Bauman descrive la nostra percezione del tempo e rileva come tutto venga ricondotto al motto carpe diem, trasfigurato nell’inafferrabile hic et nunc che questo scritto si propone di analizzare.

Scrive l’autore che:

"l’indifferenza alla durata trasforma l’immortalità da un’idea in un’esperienza e la rende un oggetto di consumo immediato (…) se l’"infinito" sopravvive alla trasmutazione, è solo come un’unità di misura della profondità o intensità della Erlebnis" (Bauman 2000, ed. it. 2002: 141).

In tal modo l’idea di derivazione positivista di progresso viene meno:

""progresso" non definisce alcuna qualità intrinseca della storia, bensì la fiducia in sé del presente" (Bauman 2000, ed. it. 2002: 150).

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Il progresso è messo in crisi dall’istantaneità, dal fenomeno che nella riflessione qui proposta viene chiamato di immediatizzazione. Il progresso "è un comprensibile, ma fuorviante e futile tentativo di "ontologizzare" tale sentimento di fiducia e sicurezza di sé", una sicurezza ontologica messa in crisi dalla realtà sociale in cui viviamo. La sperequazione nella possibilità di fruizione del - e di decisione sul - tempo è Chiaramente espressa da Bauman con queste parole:

"Per chi confida nel proprio potere di cambiare le cose, il "progresso" è un assioma. Per quanti, viceversa, avvertono che le cose sfuggono loro di mano, l’idea di progresso non viene neanche in mente e farebbe soltanto ridere qualora fosse menzionata" (Bauman 2000, ed. it. 2002: 150-151).

Ancora, Bauman sottolinea che "la portata e la velocità del movimento è ciò che fa la differenza tra esercitare il controllo e subire il controllo" (Bauman 2014: 34). L’insicurezza è alla base della nostra percezione della vita sociale, "le più infauste e dolorose tra le angustie contemporanee sono rese perfettamente dal termine tedesco

Unsicherheit, che designa il complesso delle esperienze definite in lingua inglese uncertainty (incertezza), insecurity (insicurezza esistenziale) e unsafety (assenza di

garanzie di sicurezza per la propria persona, precarietà)" (Bauman 2014: 13, al riguardo vedi anche Beck 1986). Emblematico è il fenomeno dell’insicurezza del lavoro, la precarietà della vita lavorativa:

"Il lavoro ha mutato carattere. È sovente un’operazione una tantum, l’attività di un bricoleur, mirata a quanto è a portata di mano, più il risultato di un’occasione presa al volo che il prodotto di un processo pianificato e programmato" (Bauman 2000, ed. it. 2002: 159).

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"la modernità solida corrisponde di fatto all’epoca del capitalismo pesante: del legame tra capitale e lavoro fortificato dalla reciprocità della loro dipendenza. La sopravvivenza dei lavoratori dipendeva dall’avere un lavoro: la riproduzione del capitale dipendeva dalla capacità di assumere manodopera" (Bauman 2000, ed. it. 2002: 166).

Questa condizione propria del mondo economico, il fatto che tutto sia liquido e non più solido come in epoca fordista, trova il suo contraltare nella vita del pensiero:

"La mentalità "a lungo termine" equivaleva a un’aspettativa nata dall’esperienza – e da quella esperienza costantemente e convincentemente corroborata – che i rispettivi destini di chi comprava e di chi vendeva il lavoro fossero strettamente e inseparabilmente interconnessi e lo sarebbero stati ancora per moltissimo tempo (praticamente per sempre), e che perciò elaborare un modo di coabitazione sopportabile fosse altrettanto "nell’interesse di tutti" di quanto lo fosse la negoziazione delle regole di convivenza civile tra gli inquilini di uno stabile" (Bauman 2000, ed. it. 2002: 168).

Rispetto alla fase in cui ha avuto nascita lo Stato Sociale, e che ha determinato la conquista dei diritti dei lavoratori, scrive Bauman che oggi "il principale ingrediente dello sfaccettato processo di mutamento è la nuova mentalità "a breve termine"". Nella realtà sociale odierna, aggiunge:

""Flessibilità" è la parola d’ordine del giorno, e quando viene applicata nel mondo del lavoro essa preconizza la fine del "lavoro così come lo intendiamo" e annuncia invece l’avvento del lavoro con contratti a termine o senza contratto, posizioni prive di qualsiasi sicurezza, ma con la clausola del "fino a ulteriori comunicazioni". La vita lavorativa è satura di incertezza" (Bauman 2000, ed. it. 2002: 169-170).

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Da un lavoro inizialmente a cottimo, totalmente precario e flessibile, tipico dell’epoca di Marx, attraverso una fase di negoziazione di diritti e di emancipazione, siamo giunti oggi ad una nuova fase di precarizzazione, ma generalizzata anche alle classi medie ancor più di quanto avesse profeticamente affermato lo stesso Marx. La categoria del tempo struttura non solo le relazioni di potere, ma la possibilità stessa di poter decidere e progettare, individuale e sociale. Citando Bauman:

"La funzione dei mezzi di sussistenza non è soltanto provvedere al sostentamento quotidiano dei lavoratori e delle persone a loro carico, ma anche – ugualmente importante – offrire quella sicurezza esistenziale senza la quale nè la libertà nè la volontà di realizzarsi sono concepibili e che rappresenta il punto di partenza dell’autonomia. Il lavoro così come è oggi non può offrire questa sicurezza, anche se molto spesso è in grado di garantire la sopravvivenza" (Bauman 2014: 181)

Come abbiamo visto per l’analisi del capitale in Marx e del denaro in Simmel, la forza dell’economia preme sulle vite degli individui e sulle istituzioni sociali. Oggi questo avviene in modalità più profonde poiché l’arena pubblica è assente (Gallino 2012, Bauman 2000), e prende il suo posto l’arena economica internazionale e globale del neoliberismo e del lasseiz faire.

Da un lato il lavoro può non essere routinizzato nella mansione come per l’operaio nella catena di montaggio - ma così sempre non è, pensiamo alle casse dei supermercati o ai magazzini della logistica. D’altro canto, questa mancanza di routinizzazione, non tanto nella mansione quanto invece nei tempi e nei ritmi di lavoro, non è una forma di libertà, ma un dato di fatto, non una scelta ma un’imposizione che genera spaesamento e incertezza.

Quando Bauman scrive che è fondamentale preservare la "autopoiesi delle potenzialità umane, in cui la creazione è la sola forma che la scoperta può assumere, mentre la scoperta di sé è il principale atto di creazione" (Bauman 2014: 241), sembra fare

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riferimento alla dialettica hegeliana della coscienza, che diviene autocoscienza attraverso la conoscenza: l’essere umano che conoscendo la natura come oggetto e trasformando se stesso in oggetto di conoscenza, diviene essere umano in sé e per sé. Questa possibilità di riflettere su se stessi, attraverso la socializzazione riflettere l’io nel sé e dunque nella società (Mead 2010, Mosconi 1990), questa riflessività di cui scriveva anche Giddens, appare intimamente legata alla possibilità di avere del tempo, non solo di essere disposti e pronti, ma anche di poterlo fare, di averne il potere.

Bauman a tal proposito scrive che la velocità "non aiuta il pensiero, e certamente non quello a lungo termine. Il pensiero richiede pause e riposo, abbisogna di "perdere tempo"" (Bauman 2014: 248). Facendo l’esempio di un pattinatore su di un lago ghiacciato rende Caterina la metafora del correre per restare fermi, della necessità di muoversi semplicemente per non rompere il ghiaccio, rimanendo tuttavia sullo stesso lago e dunque nella stessa condizione di insicurezza. In questa situazione di immediatezza e istantaneità l’autore inserisce perfettamente il fenomeno del consumismo, come desiderio, anzi "capriccio" (Bauman 2002, ed. it. 2003: 200), di una soddisfazione immediata e sempre nuova.

La felicità non viene raggiunta, e anzi non è questo il vero obiettivo:

"Non è forse vero che l’economia orientata al consumo promuove attivamente la disaffezione, indebolisce la fiducia e acuisce il sentimento di insicurezza?” (Bauman 2009: 50).

La felicità si riduce all’immediato, all’eterno presente (Melucci 1982) all’hic et nunc:

"La felicità è diventata un affare privato e una questione di qui e adesso" (Bauman 2002, ed. it. 2003: 271).

Dunque, non rimane altro fine che il consumo stesso. Ritorniamo sempre a questo: il denaro da mezzo diviene fine, l’uomo da fine diviene mezzo, la ratio della ragione illuministica nega se stessa: il progresso non ha più come scopo il benessere umano ma

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l’accumulazione e lo scambio di denaro. Il consumo, come l’insicurezza, ha una forza individualizzatrice:

"Il consumo è un passatempo letteralmente e irreversibilmente individuale, una sequela di sensazioni che può essere vissuta solo in modo soggettivo" (Bauman 2000, ed. it. 2002: 207).

É una gratificazione che:

"Rimane seducente solo fintanto che il desiderio resta non soddisfatto" (Bauman 2009: 51).

Il concetto stesso di precarietà della vita è un concetto temporale, la vita sociale, come dicevamo citando Giddens, si struttura attraverso corsi e ricorsi, e l’insicurezza che deriva dalla mancanza di routine cerca sollievo nel consumo, trovandovi invece non una cura ma un ennesimo aggravio, utile comunque a chi ne fa profitto. L’insicurezza data dalla scarsa presa dell’attore sociale sulla propria vita e sul proprio lavoro, in ultima analisi sul proprio tempo, crea oltre alla sfiducia anche la paura per l’altro da sé, per il diverso, il capro espiatorio da allontanare. Scrive Bauman:

"È stato dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il rilievo oggi attribuito alla criminalità e ai pericoli che minacciano l’incolumità fisica degli individui e i loro averi è intimamente collegata al "senso di precarietà", e procede di pari passo con la deregulation economica e la conseguente sostituzione del concetto di solidarietà sociale con quello di responsabilità sociale" (Bauman 2007: 17).

Secondo Bauman "quasi sempre, la produzione di consumatori significa la "produzione di "nuove e migliori" paure" (Bauman 2002, ed. it. 2003: 208), non certo di valori o conoscenze, ma solo di paure, “capricci". Dal disincanto del mondo (Weber 1923,

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Giddens 1971) alla soddisfazione immediata nella modernità liquida (Bauman 2007°, 2007b, 2009, 2013):

"La vita frammentata tende ad essere vissuta episodicamente, come una serie di eventi non connessi. L’insicurezza è il punto in cui l’essere si suddivide in frammenti e la vita in episodi. A meno che in qualche modo non si neutralizzi lo spettro ossessivo dell’insicurezza, la restaurazione della fede in valori stabili e durevoli ha ben poche prospettive di successo" (Bauman 2007a, ed. it. 2010: 203).

Per concludere, la più grande trasformazione nel passaggio dalla modernità ad oggi, oltre ad essere spaziale, fenomeno denominato globalizzazione, è temporale, fenomeno che abbiamo denominato immediatizzazione. Quest’ultima si differenzia dall’accelerazione sociale per essere intrinsecamente legata alla frammentazione, all’atomizzazione e alla precarizzazione della vita sociale. Nel mondo del lavoro flessibile essa ha il suo esempio paradigmatico, nel contesto del commercio e dei servizi di vendita diretta a clienti che, come vedremo, domandano gratificazione immediata e istantanea, nelle società interessate dal fenomeno del consumismo. Nota Bauman, citando a sua volta Sennett e Beck:

"Qualche tempo fa Richard Sennett tornò in una panetteria di New York visitata trent’anni prima per una ricerca. Scoprì, con il senno di poi, che il "tempo routinizzato" di cui i panettieri si erano in passato lamentati e che avevano finito col detestare creava nondimeno "un’arena nella quale i lavoratori potevano avanzare le proprie richieste, un’arena che conferiva potere". La routine, conclude Sennett, "può avvilire, ma anche proteggere. La routine può disgregare il lavoro, ma può anche ricostruire una vita". Ma la routine è l’ultima cosa che si può trovare nell’odierno regime di dominio che (per

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parafrasare Beck) prepara la scena per la ricerca di soluzioni biografiche a condizioni sistemiche" (Bauman 2002, ed. it. 2003: 61).

Sennett scrive il suo testo, qui citato da Bauman, nel 1998 (Sennet 1998, 2003, 2006). Oggi vi sono studi sui disturbi generati dalla flessibilità, anche dai tempi e ritmi lavorativi (Gallino 2005, 2007). Nella proposta analitica qui delineata ho tentato di ricondurre il fenomeno all’ambito che gli è proprio, quello sociale, per evitare che una condizione sociale venga percepita solo come individuale. Si tratta di una consapevolezza che rende necessaria la solidarietà, ma anche la responsabilità accademica affinchè condizioni sistemiche non vengano trasformate in condizioni biografiche. La sensazione di solitudine del cittadino globale deriva anche e soprattutto da questo: dal dover affrontare individualmente delle problematiche che sono invece sociali. La diagnosi può essere un primo passo verso la cura, citando per l’ultima volta Bauman:

"Oggi la sociologia è necessaria più di quanto lo sia mai stata in passato. Il compito in cui i sociologi sono esperti, quello di recuperare il legame perduto tra afflizione oggettiva e esperienza soggettiva, è diventato più urgente e indispensabile che mai" (Bauman 2000, ed. it. 2002: 251).

Il tempo è costruito socialmente. Le riflessioni qui proposte a partire dai testi di Marx, Simmel, Giddens e Bauman, mostrano quanto il lavoro e il sistema economico improntato sulla filosofia del denaro siano importanti nella costruzione sociale della categoria del tempo.

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