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ORGANIZZAZIONE TERRITORIALE E PARTECIPAZIONE DEMOCRATICA

Presente come imprenditore e come urbanista nella società italiana degli Anni Cinquanta, Olivetti salda i criteri di pianificazione economica e urbanistica. Secondo Marcello Fabbri, architetto, la sua vera originalità come fautore di una politica del territorio è nella sua capacità di utilizzare contributi diversi e di riuscire a integrare i vari linguaggi disci­ plinari in un progetto di organizzazione terri­ toriale che includesse anche la forma della partecipazione democratica.

L'urbanistica italiana, così come è stata "rifondata" da Adriano Olivetti, non è un "pro­ getto di felicità", secondo la facile battuta circolata anche in questo convegno. Fra l'altro, ciò avrebbe presupposto un, ottimismo che non era fra i caratteri del personaggio. Se voglia­ mo deviare per questi sentieri psicologici - che d'altronde non mi competono - mi sembra che l'indicazione olivettiana sia piuttosto quella di combattere le cause dell'infelicità, che egli certamente identificava con le cause materiali della diseguaglianza fra gli uomini. Della diseguaglianza e della solitudine; e in questa indicazione e in questa ricerca era presente - credo in maniera drammatica - tutta la sua angoscia, anche biografica; nel suo personalismo comunitario era presente quello che Geno Pampaioni ha definito come "sacrificio

di prestigio culturale": l'attività di urbani­ sti e di architetti, come ogni altra azione culturale e politica, praticata sempre come "esempio di ordinaria amministrazione", di modestia ad altissimo livello; di eliminazione delle differenze fra 1'"opportunità" di ciascu­ no. Siamo al di là di una storia e di una cri- ticà (dell'architettura, dell'urbanistica, della cultura) attente ai personaggi, ai prota­ gonisti, e quindi ancora inadatte ad afferrare la sostanza di chi si proponeva come finalità esistenziale un'azione collettiva.

Se esaminiamo infatti l'attività di Olivet­ ti come urbanista, dobbiamo adottare criteri ben diversi da quelli della storia dell'urbani­ stica e della storia dell'architettura ancora diffusi. Adriano non "progetta" secondo metodi tradizionali e canonizzati: non gli si può ascrivere nessuna opera "disegnata". L'evoluzio­ ne dell'urbanistica olivettiana va seguita attraverso una storia di operazioni organizza­ tive complesse, che coinvolgono un grande nume­ ro di operatori insieme a masse di utenti (...) ma sono tutte segnate dalla sua personalità, al di là degli apporti originali dei singoli operatori. Tutti i piani significativi della storia urbanistica italiana sono segnati dalla sua perspnalità: si tratta di centri di media entità visti nel rapporto con i loro territori. Parlo del Piano di Ivrea, naturalmente, ma anche del Piano di Assisi, di Giovanni Astengo esemplare come individuazione di equilibrio dinamico di un'area interpretata nell'evoluzio­ ne dei processi storici -, parlo soprattutto del Piano di Matera e di tutta la storia dell'im­

pegno di Adriano in Basilicata, su cui è utile svolgere alcune considerazioni che permettono di cogliere in concreto i punti innovativi.

Il primo punto riguarda 1'inscindibilità fra nuovi processi produttivi e intervento urbanistico: alla base del Piano di Matera vi era lo studio per lo sviluppo agricolo del comprensorio materano, di Nallo Mazzocchi Aleman­ ni. E' utile ricordarlo anche per non limitare ad una sola dimensione "industriale" l'angolo visuale olivettiano. Il secondo punto è dato dal modo in cui fu organizzata la conoscenza della città di Matera, del tutto misteriosa e sconosciuta, se non attraverso le immagini di Carlo Levi. L'-indagine di Friedmann costituì il primo esempio di ricerca-intervento, in cui i gruppi di lavoro agivano già come organiz­ zatori di cultura e organizzatori sociali. Si attuava una identità fra mezzi e fini e una accezione del "fare politica" su cui cresce­ una generazione di intellettuali alla cui storia non è qui il caso di accennare (ma basti ricordare Rocco Scotellaro) e che ritroviamo lungo il percorso della cultura meridionale, ad esempio attraverso la storia di "Nord e Sud" e di "Basilicata". Un terzo punto infine va ricordato, ed è l'uso degli strumenti conosci­ tivi architettonico-urbanistici per l'analisi della struttura sociale e culturale; senza quel contributo (che Quaroni approfondirà in seguito negli studi su Grassano), le scienze sociali da sole forse non sarebbero riuscite a penetrare con altrettanta capacità di sintesi nel tessuto della realtà materana.

i no.di dell'itinerario olivettiano con le tema­ tiche che ci trovano maggiormente impegnati : con i "lavori in corso", come ho detto all'ini­ zio. Anzitutto l'uso di strumenti "non fisici" per l'organizzazione di città e territori, che appare oggi come la via per quella "ricon­ versione urbanistica" che sembrava matura al momento del cambiamento di segno nel governo delle istituzioni decentrate; e che appare sempre più come parte integrante di una cultura di governo della sinistra (o di una cultura della sinistra di governo), purtroppo ancora lacunosa. Ancora: il nodo centrale della "ricom­ posizione", Anzitutto ricomposizione teorica e scientifica fra varie discipline, nella loro interazione operativa, e nello stesso tempo continua verifica e modifica delle ipotesi e delle proposte, attraverso un'azione sociale e culturale continua che faccia della parte­ cipazione un elemento di validità ed effica­ cia scientifica nel processo di piano (e non una consultazione liturgica, come accade spesso). E infine: cogliere, attraverso tutte le sue manifestazioni, la cultura autonoma e originale, l'identità dei luoghi, e riproporla come organiz-zazione sociale e produttiva proiettata nel futuro.

Esemplifichiamo, sui lavori in corso per gli Anni Ottanta: il Piano per il parco del Ticino, per il parco del Pollino, e a partire dall'intervento di Cervellati a Bologna, tutta la ricerca che sempre più si amplia dalla sempli­ ce accezione del "riuso" alla più complessa apertura verso la "cultura materiale"; e ricordo ancora le proposte uscite dal concorso per

i Sassi di Matera, che si ricollegano anche concettualmente alle linee del progetto olivet- tiano.

Non solo quindi rimangono in piedi le vie di ricerca e di intervento avviate da Adriano Olivetti, ma alcune di queste appaiono come le sole vie possibili per affrontare problemi non differibili. Per concludere, mi limiterò ad accennare - in questa stagione di sviluppo e di crisi del decentramento - alla via di un intervento culturale complessivo, quale ci deriva dal progetto olivettiano, come la sola strada che può permettere di riaffrontare seriamente i problemi del Mezzogiorno: trasfor­ mare la condizione di isolamento e di emargina­ zione in coscienza della propria identità come struttura culturale dell'autonomia, a partire non da una generica "acculturazione", ma dalla coscienza della propria storia e dalla capacità di individuare le proprie risorse e di utilizzar­ le. Ma questo è un capitolo di un più generale obiettivo: i luoghi, i modi della produzione gestiti in funzione del modo di essere degli uomini nella società, e non viceversa, la produ­ zione di ricchezza e l'uso delle risorse in funzione dell'arricchimento di tutta la vita associata, in termini di responsabilità e di partecipazione politica, di cultura, di uso del tempo libero, di ricomposizione (libera­ zione) fra tempo libero e lavoro.

ORGANIZZAZIONE DEL TERRITORIO