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Altri esaurimenti: la perdita di biodiversità

Nel documento Nuovi sguardi sulle scienze cognitive (pagine 116-122)

Luciano Cel

3. Altri esaurimenti: la perdita di biodiversità

Il giovane disegnatore di fumetti Randall Munroe, creatore della webcomic xkcd17, ha realizzato un grafico nel quale compaiono le bio-

16 Anche in questo caso esiste almeno un tentativo di valutare le conseguenze psicologiche di questo fenomeno: Lambert J. G., Lambert G. P. (2011).

masse, in peso, dei mamiferi terrestri, elaborando dati provenienti da uno studio di Vaclav Smil. La figura che ne emerge mostra la propor- zione tra gli animali “amici dell’uomo” rispetto a quelli selvatici:

Figura 6: L’Umanità e i “suoi amici”. Fonte: https://xkcd.com/1338/

Come mostrato da Cardinale et al. (2012) lo studio della perdita di biodiversità è un argomento relativamente recente in ecologia perché «solo negli ultimi 20 anni sono stati fatti progressi di rilievo per com- prendere come la perdita di biodiversità influisca sul funzionamento dell’ecosistema e quindi delle società umane. Dopo il Summit sulla Terra del 1992 a Rio de Janeiro, l’interesse per la comprensione di come la perdita di biodiversità influisca sulle dinamiche e il funzio- namento degli ecosistemi e la fornitura di beni e servizi è cresciuto enormemente»18.

Lontani dal (senso dell’) equilibrio: qualche aspetto cognitivo del nostro modo di vivere nel presente

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Sono stati lanciati ripetuti allarmi sulla perdita di biodiversità a se- guito delle attività umane19, mentre ricercatori come Hull et al. (2015), offrono ipotesi alternative sull’estinzione di specie del passato: in certi casi una scarsità di ritrovamenti ossei non permette di stabilire con chiarezza se, in una determinata zona, si sia effettivamente in presenza di un fenomeno estinzione oppure di una semplice scarsità di quella specie legata all’habitat.

Nelle parole dei ricercatori: «Le attività antropogeniche hanno portato alla rarità di molte specie di flora e fauna precedentemente abbondanti. La rarità di massa sembra una estinzione […] perché i taxa, precedentemente abbondanti, diventano così rari da non essere più facilmente osservati. Precedentemente gruppi abbondanti e ecolo- gicamente importanti […] non possono effettivamente essersi estinti, ma scendendo al di sotto della soglia di abbondanza necessaria per eseguire i loro ruoli ecologici, diventano “fantasmi” ecologici»20. Possiamo notare che anche in questo caso non è in questione il fatto che l’attività umana sia causa dell’estinzione, ma viene affrontato solo il problema metodologico in relazione all’incapacità/impossibilità in taluni casi di distinguere le cause. Ritornando al “dirupo di Seneca” di Bardi, questi autori propongono la seguente immagine:

Figura 7: La sequenza di eventi tassonomici e dell’ecosistema in relazione all’estinzione non è chiara. Fonte: Hull et al. (2015), p. 348.

4. Conclusioni

Rimanendo all’interno di una prospettiva antropocentrica, Dennis Meadows, uno degli estensori del rapporto I limiti dello sviluppo21, in una intervista ha illustrato un altro aspetto psicologico che ci

19 Sul web se ne possono trovare diversi. Tra i più autorevoli, sebbene non aggiornatissimo, c’è quello del WWF: http://d24qi7hsckwe9l.cloudfront.net/ downloads/rapporto_biodiversita_wwf_2013.pdf

20 Hull et al. (2015), p. 346. Traduzione mia. Per un punto di vista differente si veda: Ceballos et al. (2017).

rende ciechi nei confronti del futuro: «Dovrebbe cambiare la natura dell’uomo. Siamo tuttora programmati come 10.000 anni fa. Visto che uno dei nostri antenati poteva essere attaccato da una tigre, non si poteva preoccupare del futuro ma solo della propria sopravvivenza. La mia preoccupazione è che, per motivi genetici, non siamo adatti a fare i conti con problemi di lungo termine come i cambiamenti cli- matici. Fino a che non impareremo a farlo, non ci sarà modo di risol- vere problemi simili. Non c’è niente che possiamo fare. La gente dice sempre: “Dobbiamo salvare il pianeta”. No, non dobbiamo. Il pianeta si salverà in ogni modo da solo. L’ha già fatto. Talvolta gli ci vogliono milioni di anni, ma comunque ce la fa. Non dobbiamo preoccuparci del pianeta ma della razza umana»22. Una questione illustrata chiara- mente dall’immagine seguente:

22 Intervista rilasciata originariamente da Dennis Meadows a Rainer Himmelfreundpointer e pubblicata dalla rivista «Format» il 6 marzo 2013. Ripresa sul blog di Ugo Bardi all’indirizzo: http://ugobardi.blogspot.it/2016/01/non-possiamo- piu-fare-niente.html

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Figura 8: Interessi dell’uomo inquadrati nello spazio e nel tempo. Ogni indivi- duo si colloca in una certa posizione nel diagramma: la maggioranza tuttavia è interessata esclusivamente ai problemi della propria famiglia o degli amici in un futuro a breve termine. Altri guardano più avanti, o a un ambito più ampio rappresentato da una città o una nazione. Soltanto pochi hanno una prospettiva realmente globale, estesa ai vari e complessi problemi dell’intero mondo in un futuro non troppo vicino (La didscalia è quella originale in Me- adows et al. (1972)).

Il mondo è estremamente complesso e difficile da comprendere, ma la consapevolezza di dove vada l’umanità può essere un traguardo raggiungibile. In questi termini anche la matematica e la statistica si pongono come strumenti utili per una migliore comprensione delle

dinamiche cognitive sottese alla percezione del mondo, alla colloca- zione dell’uomo nella natura.

Bibliografia

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