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1-9. “Nel momento in cui ci riscalda il terzo segno zodiacale, in un sentiero ameno, dove ancora si trova una parte di Fiesole (era un giorno festivo, e il tempio devoto pieno di bellezza, dove andavo con un altro intento e con un altro scopo (andavo) lentamente a bella posta), io vidi nel mondo una meraviglia nuova per la quale abbandonai il primo pensiero, anzi nient’altro stette (più) nella mia mente (da quel momento)”.

1. Nel tempo: “nel momento dell’anno”. L’incipit dal tono quasi favolistico ammanta da subito la scena di una dimensione fiabesca. Terzo segno: la costellazione dei Gemelli, nella quale il Sole si trova tra maggio e giugno, ovvero in primavera. Il periodo dell’anno, a cavallo tra la primavera e l’estate, spiega anche la scelta dell’utilizzo, in questo v., del verbo “scaldare”.

2. Ameno: l’aggettivo connota il sentiero nel senso di un vero e proprio locus amoenus, un luogo bucolico e idilliaco simile al Paradiso terrestre. Inoltre, contribuisce a continuare la caratterizzazione in senso fiabesco della scena già avviata dall’incipit («Nel tempo»).

3. Il v. indica, con una perifrasi, il contado di Fiesole, nel quale si trova il «sentiero ameno». Il riferimento puntuale alla città di Fiesole definisce con precisione il posto in cui è ambientato il componimento, ancorando, quindi, a un luogo reale il luogo e il tempo fiabesco delineati nei vv. precedenti.

4-6. La parentetica colloca gli eventi narrati entro un preciso cronotopo della lirica amorosa medievale, quello dell’innamoramento avvenuto in occasione della celebrazione di una festività in Chiesa (cfr. Dante, Vita nuova, 000). Tuttavia, Serdini varia questa topica, fingendo che l’innamoramento sia avvenuto non in Chiesa ma mentre il poeta percorre la strada per raggiungerla e, dunque, presenta sin da subito l’evento come una distrazione dall’intento di recarsi alla celebrazione ecclesiastica.

4. Festo: “festivo”. Adornezza: “bellezza”.

5. Devoto tempio: la chiesa. Perifrasi. Ingegno: “intento” (Pasquini).

6. Giva: “andavo”. Ant. Poet. La -a finale per la 1a pers. sing. dell’indicativo imperfetto è tipica della

lingua antica. Cfr. Rohlfs, par. 550. Effetto: “scopo” (Pasquini). A passo: “a passo d’uomo, lentamente”. In

prova: “a bella posta” (Pasquini).

7. Nova: “inaudita”. Lat. Cfr. Rohlfs, par. 107. Maraviglia nova: la donna amata, che con la sua bellezza provoca nell’amante uno stupore mai provato prima. Il sintagma riecheggia lo Stilnovo. Cfr. Lapo Gianni, 11, 6 («di raccontar sua maraviglia nova»).

8. Pensier primo: il pensiero iniziale, ossia lo scopo per il quale l’amante si stava recando a Fiesole prima di incontrare la donna, come già detto ai vv. 5-6.

9. Il v. mette l’accento sull’impossibilità dell’amante a dare importanza a qualsiasi altra cosa dopo l’incontro con l’amata, che con la sua magnificenza fa perdere di senso tutto il resto.

10-16. “Mi sembrò di vedere mille saette (provenienti) da un arco non fabbricato sulla nostra terra, ma se considero con attenzione la verità, uscirono dagli occhi di una bella donna e tutte hanno attraversato una colonna (fino a) raggiungere il cuore, la quale forza non fu mai di altri se non di Amore”.

10. Mille saette: le frecce scoccate dal dio Amore.

11. L’arco di Amore non è fabbricato sulla terra, ma è bensì un arco divino, dal momento che Eros è una divinità della mitologia classica. In nostro limo: “sulla nostra terra”, nel nostro mondo. Metonimia. Cfr. Dante, Pg., 17, 114 («amor nasce in tre modi in vostro limo»).

12. Se ‘l proprio n’estimo: “se considero con attenzione la verità”.

13. Il v. presenta un topos, quello degli occhi dell’amata da cui escono le saette d’amore, assai frequente nella poesia amorosa due-trecentesca.

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14. Colonna: senhal di Gian Colonna, in persona del quale è scritto questo componimento. Il senhal, di ascendenza petrarchesca (cfr. Rvf 269), è adoperato altrove da Saviozzo, 13, 63 («Colonna di giustizia»); 15, 33 («O colonna gentil, che già molti anni»).

15. Tutte: le «saette», v. 10. Han passato: “hanno attraversato”. Ritrovare: “raggiungere”.

16. Forza: la capacità di trafiggere il cuore dell’amante con le proprie frecce infuocate. Fia: ant. lett. 17-25. “Non vi è cuore di tigre o del più rigido serpente che ella non ferisse, o di qualsiasi fiera più indomita e selvaggia; non (vi è) arma temprata sull’Etna che ella non spezzasse, non un diamante o qualsiasi gelida pietra preziosa, né le cose del mondo crudeli per natura. Ella mi accende, mi apre e chiude, ed entra insieme più dentro ai miei pensieri, in modo tale che non è in mio potere immaginarlo”.

17-19. I vv. evidenziano la capacità della donna amata di modificare la natura stessa del mondo animale, dal momento che la sua bellezza e la sua dolcezza sono tali che riescono persino a rendere docili e mansueti animali feroci e selvaggi.

17. Aspe: “serpente”.

18. Ella: la donna amata. Piegasse: “ferisse”, rendendolo inoffensivo. Per l’utilizzo del verbo “piagare” in contesto amoroso cfr. Petrarca, Rvf 297, 10-11 («e ‘l dolce sguardo / che piagava il mio core»), anche se nel

Canzoniere la capacità di ferire propria dell’amata assume un’accezione negativa, dal momento che, non

ricambiando l’amore dell’amante, lo ferisce, mentre in Serdini il verbo ha una connotazione negativa, dal momento che la donna riesce, attraverso le proprie qualità, ad addolcire l’indole di animali feroci per natura.

19. Fera: “animale feroce”. Ant. Lett. Cfr Rohlfs, par. 87. Rude: “selvaggia” (Pasquini). Fera più indomita

e più rude: il sintagma riecheggia, anche se soltanto sul piano letterale, Dante, Pg., 6, 98 («costei ch’è fatta

indomita e selvaggia»), ma lì la «fiera» (Pg., 6, 94) diventata feroce e ribelle è una metafora per definire l’Italia. 20-22. I vv. continuano a mettere in evidenza il potere della donna di modificare, grazie alle proprie virtù, la natura dell’intero creato: così, dopo il mondo animale, la sua capacità trasfiguratrice investe il mondo minerale.

20. Tempra: “arma temprata”. Mongibèl: l’Etna. Tempra in Mongibel: si tratta delle armi forgiate, secondo la mitologia, da Efesto sull’Etna, la cui tempra è data, quindi, oltre che dal materiale, anche dalla mano divina che le ha modellate. Nonostante questo, però, le qualità della donna sono talmente elevate da riuscire persino a scalfire degli oggetti creati da un dio.

21. Fredda: “gelida per via della propria lucentezza” (Pasquini). Iaspe: “pietra preziosa”. Hapax. 22. Crude: “crudeli”.

23-25. Dopo aver elencato, nei vv. precedenti, gli effetti benefici provocati dalla perfezione della donna sul mondo naturale, questi vv. passano a indicare le conseguenze sull’animo dell’amante.

23. M’accende: il verbo è usato assai frequentemente nella poesia amorosa per definire il momento dell’innamoramento, che spesso è indicato come un “accendersi”, un “divampare” del fuoco della passione amorosa. Mi disserra e chiude: “mi apre e mi chiude”. I verbi riecheggiano, per l’immagine dell’apertura/chiusura provocata sul cuore di qualcuno, Dante, If., 13, 58-60 («Io son colui che tenni ambo le chiavi / del cor di Federigo, e che le volsi, / serrando e disserrando, sì soavi»). M’accende, mi disserra e chiude:

tricolon.

24-25. Gli effetti provocati dalla donna non investono soltanto la sfera dei sentimenti e della passione (v. precedente), ma si ripercuotono anche sull’aspetto più propriamente razionale, dal momento che è su di lei che si rivolgono tutti i pensieri dell’amante, al quale non è lasciato spazio per nient’altro.

25. L’immaginar: “il pensare”, inteso in questo caso come la generica capacità raziocinante. Non è in mia

forza: “non è nelle mie possibilità” (Pasquini).

26-32. “ Io non posso raffigurarmene soltanto l’aspetto fisico, tanto mi serra e soffoca gli organi dell’udito, e la lingua ne trema per una cosa che, non che ad altri, a me sembrava incomprensibile; ma, se mi fosse comprensibile, di modo che io potessi dire quello che sento dentro di me, Amore, io credo che sarei contento”.

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26. Non ne posso aver sola la scorza: “non posso raffigurarmente soltanto l’aspetto fisico” (Pasquini).

Scorza: “aspetto esteriore, parvenza” (TLIO). Cfr. Boccaccio, Comedia, 2, 25-26 («e più adentro alquanto che

la scorza / possa mostrar della tua deitade»).

27. Gli organi del suon: “gli organi dell’udito”, le orecchie. Perifrasi. M’avvinghia e preme: “mi serra e soffoca” (Pasquini). Dittologia. Cfr. «mi disserra e chiude», v. 23.

28. Treme: “trema”. Lat. La lingua ne treme: l’impossibilità dell’amante di esprimere a parole la bellezza dell’amata e il sentimento provato per lei è un topos assai frequente della poesia amorosa medievale. Cfr. Dante, Vn, 17, 3 («ch’ogni lingua deven tremando muta»).

29. Strana: “incomprensibile”. Le dinamiche dell’innamoramento sono talmente forti e provocano cambiamenti così repentini nella mente e nell’animo dell’amante che egli non riesce a comprenderne l’intima essenza.

30. Piana: “comprensibile”. Cfr. «strana», v. precedente. 31. Cfr. v. 29.

33-38. “Io comporrei poesie così dolcemente e con un’armonia tale, che io renderei bendisposti gli dei che l’hanno resa degna in cielo per sempre; e credo che io la renderei benevola, anche se avesse un cuore durissimo e la porterei giù dal cielo”.

33. Il v. è presente in maniera identica altrove in SAVIOZZO, 54, 9 («Io cantarei sì dolce e con tal cetra»).

Cantarei: “comporrei poesie” Cfr. Dante, Pg. 1, 4-5 («e canterò di quel secondo regno / dove l'umano spirito

si purga»). La forma “cantarei”, presente per due volte in Saviozzo, è attestata altrove solo nell'anonimo testo fiorentino del Duecento Il mare amoroso («E cantarei inanzi la mia morte») (OVI). Dolce: “dolcemente”.

Cetra: “poeticità, armonia”. Metonimia. La cetra, strumento per eccellenza del poeta lirico, viene qui assunta

a simbolo di armonia e poeticità.

34. Placarei: “renderei bendisposti” (TLIO). La capacità poetica dell’amante è talmente elevata da riuscire persino a rendere benevoli gli dei. la forma del futuro in -arò è di regola a Siena. Cfr Rohlfs, par. 587.

35. Il v. colloca, per via della sua perfezione, la donna amata in cielo accanto agli dei, secondo un topos assai frequente nella poesia amorosa medievale.

36. Ancora: “anche”. Quella: la donna amata. Umile: “benevola”, in contrapposizione a «cuor di petra» del v. successivo.

37. Mille volte: rafforzativo. Petra: Toscanismo. Cfr. Rohlfs, par. 87. È il termine per eccellenza delle 'petrose' dantesche. Cfr. Dante, Rime, 100, 12-13 («La mente mia, ch'è più dura che petra / in tener forte imagine di petra»); 101, 5 («Si è barbato ne la dura petra»); 101, 9 («Che non la move, se non come petra»); 101, 18- 19 («Più forte assai che la calcina petra. / La sua bellezza ha più virtù che petra»); 101, 26 («Sì fatta, ch'ella avrebbe messo in petra»); 101, 34 («Di me; che mi torrei dormire in petra»); 101, 39 («La fa sparer, com'uom petra sott'erba»); 102, 11-12 («Che fosse fatta d'una bella petra / per man di quei che me' intagliasse in petra»); 102, 13 («E io, che son costante più che petra»); 102, 15-16 («Porto nascoso il colpo de la petra, / con la qual tu mi desti come a petra»); 102, 18-19 («Tal che m'andò al core ov'io son petra. / E mai non si scoperse alcuna petra»); 102, 22 («Che mi potesse atar da questa petra»); 102, 26 («L'acqua diventa cristallina petra»); 102, 41 («Quando la miro, ch'io la veggio in petra»); 102, 56-57 («In tal stato, questa gentil petra / mi vedrà coricare in poca petra»); 102, 62 («Tal, che con tutto ch'ella mi sia petra»); 103, 2-3 («Com'è ne li atti questa bella petra, / la quale ognora impetra»). Simbolo della della durezza e dell'indifferenza dell'amata, la parola viene recuperata da Saviozzo nella canzone con lo stesso significato.

38. Rapirella: “la rapirei, la porterei giù”. Legge Tobler-Mussafia. Più alto ostelo: il cielo. Perifrasi. 39-48. “Ma loro mi hanno messo un velo davanti agli occhi, ottenebrandomi la vista, dal momento che sanno che io non domino l’arte poetica e mi straziano in questo modo; qualche volta, se mi mostrano la sua effigie, sempre più bella, e la sua grazia inaudita, quasi nello stesso momento me la portano via, quasi dicessero: «Adesso disperati!». E in questa maniera mi ha conciato Amore e mi ha messo in un affanno tale, dopo che mi ha messo in guerra contro gli dei.”.

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39. Lor: gli dei. M’han fatto innanzi agli occhi un velo: “mi hanno messo un velo davanti agli occhi, mi hanno ottenebrato la vista”. Il v. riprende, sia dal punto di vista linguistico, sia per il tema degli dei che obnubilano la vista dell’amante con un velo per impedirgli di vedere la realtà, Petrarca, Rvf, 29, 12-14 («ma ‘nnanzi agli occhi m’era post’un velo / che mi fea non veder quel ch’i’ vedea, / per far mia vita subito più trista»).

40. Non ho in bailia: “non è in mio potere, non domino”.

41. Il senno e ‘l dire: l’arte poetica. La dittologia definisce le due componenti essenziali dell’attività poetica, quella del significato («il senno») e quella della forma linguistica adoperata per trasmetterlo («‘l dire»).

Strazianmi: “mi straziano”. Legge Tobler-Mussafia. In tal forma: “in questo modo”.

42. L’orma: “l’effigie, l’immagine appena balenante”. 43. Nova: “inaudita”. Lat.

44. In un punto: “nello stesso momento”.

42-45. Se mi mostran… qual dicesse: concordanza ad sensum.

46-47. E in questa mainera m’ha concio Amore: I vv. che sono costruiti su un’evidentissima ripresa dantesca, mettono in luce la sofferenza provocata nell’amante dagli dei, i quali, non avendogli donato la capacità poetica, gli impediscono di celebrare, e, grazie a questo, di conquistare, la donna amata. cfr. Dante (116, 61: «Così m’hai concio Amore»).

47. Travaglia: “affanno, travaglio”. Ant. Tal travaglia: cfr. Pucci, Madonna Leonessa, 34. 267-268 («com’è tanto dura / ch’a te non viene, essendo in tal travaglia?»).

48. Il v. continua il concetto della guerra combattuta dall’amante impotente di celebrare l’amata per via del volere divino contro gli dei a lui ostili. Battaglia: “guerra”. Metonimia.

49-54. “Povero me, che, folle, ogni mia opera è fatta per urtare contro il volere divino, benché il mio cuore non arda meno del loro. Loro mi hanno obnubilato la capacità visiva e mi hanno tolto qualsiasi difesa e qualsiasi potere, di modo che la vita si salva a malapena”.

49-51. Cfr. v. 48.

49. Folle: “insolente, tracotante”. L’aggettivo è qui usato con l’accezione di hybristēs, ovvero insolente verso gli dei e il loro volere inappellabile.

50. Dar con gli dei di cozzo: “urtare contro il volere divino” (Pasquini). Il v. riprende il concetto dell’hýbris dell’amante nei confronti degli dei già espresso dall’aggettivo «folle» nel v. precedente.

51. Avvampa: “arde”. Il cuore dell’amante e quello degli dei ostili avvampano entrambi, ma per motivi diversi: nel primo caso, infatti, si tratta della passione amorosa che fa «avvampare» l’innamorato (per cui cfr. anche «m’accende», v. 23); nel caso degli dei, invece, a far ardere il loro cuore è la rabbia verso l’amante insolente.

52. Ei: gli dei. M’han della vista il cammin mozzo: “mi hanno obnubilato la capacità visiva, mi hanno accecato” (Pasquini). Cfr. v. 43, «ma lor m’han fatto innanzi agli occhi un velo».

53. Il v. ribadisce l’assoluta impotenza, sia fisica, sia mentale, impartita dagli dei all’amante, il quale si trova totalmente in balia del proprio sentimento amoroso. Possa: “potere”. Ant. lett. Ogni piacere e ogni possa: dittologia.

54. Se ne scampa: “si salva”. La situazione di impotenza dell’amante, già espressa ai vv. precedenti, raggiunge qua la climax, dal momento che a essere in pericolo è la vita stessa dell’innamorato, che a malapena riesce a scampare alla morte.

55-62. “Signore, tu (che) mi accendesti di un fuoco così grande, non mi lasciare, per Dio, perché è un peccato enorme, dal momento che io fui sempre un tuo servo leale; scaglia, o dolce signore, la freccia ardita contro questi avversari e contro il loro atteggiamento crudele: guarda il (mio) misero stato! Nessun altro può (fare niente) contro di loro, ma tu (che puoi essere) vincitore aiutami, signore!”.

55. Signor: il dio Amore, il quale è definito dall’amante «signore» in quanto è da lui che l’innamorato viene governato nei propri sentimenti e nelle proprie azioni. Si tratta di un allocutivo adoperato molto spesso

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nella poesia amorosa medievale per nominare Eros. M’accendesti: cfr. «m’accende», v. 23 e «avvampa», v. 51. Lampa: “ardore amoroso” (Pasquini).

56. Lassar: cfr. Rohlfs, par. 225.

57. Dritto e liale: dittologia. I termini mettono in scena un topos assai utilizzato nella casistica amorosa medievale, quello della servitù dell’amante nei confronti del sentimento amoroso e, per esteso, di colui che tale sentimento promuove, ossia il dio Amore.

58. Fulmina: “scaglia come baleno” (Pasquini). Dolce sire: Amore. Cfr. «signor», v. 55. Fero: “ardito”, con connotazione positiva (TLIO). Strale: “freccia”.

59. Questi avversari: gli dei, i quali si mostrano ostili all’amante e, quindi, per via indiretta, anche ad Amore, il quale ha fatto divampare d’ardore amoroso il cuore dell’innamorato. Atto ingrato: “Atteggiamento crudele”.

60. Misero stato: la condizione miserevole dell’amante, il quale si trova impotente di fronte al suo sentimento amoroso non corrisposto dall’amata e inviso agli dei.

61-62. La preghiera ad Amore, che finora ha assunto i connotati tipici delle invocazioni al dio Eros nella poesia amorosa medievale, assume qui i tratti delle preghiere vere e proprie, riprendendo il tono e il linguaggio della poesia di argomento religioso.

61. Nullo: “nessuno”. Lor: gli dei. Vittore: “vincitore”. Lat. L’aggettivo è presente in Petrarca, Tr. Temp., 104 («vittor d’ogni cerebro»).

62. Aitami, signore: formula di invocazione tipica della preghiera nella liturgia e nella religione cristiana, che porta al culmine la richiesta di aiuto ad Amore presentata in questi vv.

63-70. “Io spero, Amore, che tu adesso non mi neghi le tue armi, in virtù dell’avermi messo alla prova, dei miei meriti e delle mie preghiere! Se così sarà, io rivedrò il bel viso che è scolpito nel mio petto, quantunque il cielo ne sarà assai meno bello; io rivedrò la creatura angelica, io rivedrò la gioia e il paradiso, quel passeggiare nobile, aggraziato e agile”.

63. Per prova, merto e prieghi: “in virtù dell’avermi messo alla prova, dei miei meriti e delle mie preghiere”. Tricolon. Merto: “merito”. Ant. poet. Cfr. Rohlfs, par. 138. Si tratta dei meriti conquistati dall’amante per essersi dimostrato un servitore fedele di Amore. Prieghi: “preghiere”. Ant. poet.

64. Arme: l’utilizzo della -e finale per il plurale è tipico di alcune varietà dell’Italia centrale. Cfr. Rohlfs, par. 142. Nieghi: Ant.

65. Fia: “sarà”. Ant. Cfr. Rohlfs, par. 592. Bel viso: il sintagma è usato sistematicamente da Petrarca per definire il volto dell’amata. Ma si tratta di un sintagma già adoperato, anche se in maniera assai meno sistematica, dai rimatori della scuola siciliana e dagli stilnovisti.

66. Scolpito: il termine ribadisce la perennità dell’amore provato per la donna, il quale è scolpito, quindi immanente nel cuore dell’amante.

67. Il v. indica come la bellezza dell’amata è tale che, qualora l’amante riuscisse a rapirla dalla sua dimora divina (v. 38) il cielo perderebbe gran parte della propria perfezione.

68-69. Io rivedrò… io rivedrò: anafora. 68. Concetto: “creatura”.

69. Gloria: “gioia”. La gloria e ‘l paradiso: dittologia. 70. Gentil, leggiadro e snello: tricolon. Snello: “agile”.

71-80. “Io di quello scolpirei non soltanto un’espressione, ma (scolpirei) in una sola volta mille varie cose che farebbero rampollare i fiori sotto la brina. Io rappresenterei mille rose in un solo cespuglio, non di forma naturale, e mille sembianze non di forma naturale pudibonde e nascoste sotto il comportamento onesto, elevato e benevolo. Tu me ne renderai degno? Amore, adesso sarebbe per me una tregua, se tu lo volessi, e probabilmente un grande aiuto per (ottenere) il mio appagamento”.

71. Scolpirei: il verbo continua la metafora della scultura già iniziata al v. 66. Il poeta, al quale non è stato fatto dono di padroneggiare l’arte poetica (vv. 33-48), chiede ad Amore di aiutarlo ad esprimere il proprio

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sentimento per l’amata attraverso un’altra forma artistica, la scultura, capace anch’essa, così come la poesia, di imprimere eternità alla figura della donna. Atto: “espressione”. D’ello: del viso della donna amata.

72. In un momento: in una sola volta.

73. Pullular: “rampollare, germogliare”. Il verbo è di derivazione dantesca, If., 7, 119 («e fanno pullular quest’acqua al summo»). Pullular fior sotto brina: adynaton. L’uso di tale immagine è funzionale a dare l’idea della forza che potrebbe ottenere nella propria arte scultoria l’amante aiutato da Amore, capace perfino di sovvertire l’ordine della natura.

74. Vedrei: “raffigurerei”. Mille rose in una spina: mille rose in un cespuglio. L’immagine del rovo rigoglioso di fiori è scelta per avvalorare ancora una volta la forza della scultura, capace di rappresentare al meglio la bellezza della donna. Cfr. Petrarca, Rvf, 246, 5 («Candida rosa nata in dure spine»)

75. Non di natural modo: “non di forma naturale”. L’amante, grazie alla forza della propria arte, riuscirebbe a rappresentare l’amata in modo così perfetto da non farla sembrare una creatura «naturale», cioè terrestre. In questo senso, cfr. v. 73. Vergognose: “pudibonde” (Pasquini).

76. Ascose: “nascoste, occulte”.

77. Abito: “atteggiamento, comportamento”. Onesto, almo e benegno: tricolon. I tre aggettivi sono usati frequentemente nella poesia amorosa medievale per definire l’atteggiamento della donna amata.

78. Tu: Amore. Il v. si configura come una nuova invocazione ad Amore per ottenere la sua approvazione e il suo aiuto, in maniera simile, anche se più concisa, rispetto alla preghiera dei vv. 55-62.

79. Fia: “sarebbe”. Ant. Cfr. Rohlfs, par. 592. Tregua: alle sofferenze amorose dell’innamorato. Il termine recupera l’immagine bellica dei vv. 46-54.

80. Mezzo: “aiuto”. Pace: “appagamento amoroso” (Pasquini). Il termine riprende la metafora bellica dei vv. 46-54 e 79.

81-89. “Se poi ella si nasconde per onestà, ciò non mi sarebbe troppo aspro, perché io non vorrei altro che (lei avesse) il suo onore e il suo giovamento; se si desse a un amore più sacro, non morirei più sommerso da false onde, perché è la speranza che mi infiamma e mi consuma; se ella godesse nello stare da sola, di nuovo io non morirei, perché potrei godere del fantasticare su di lei, che è focalizzato tutto soltanto su di lei”.