• Non ci sono risultati.

e ciò fia sua perpetüal salute!

62

1-8. “Se la mente di Apollo si asservisce a favorire la (mia) debole arte, io canterò del degno scettro che sarà eterno nel ricordo; e se io mi azzardassi, io mi potrei permettere di elevare il sentimento, con l’invocazione e la poesia nota a tutti, della creatura donata dal cielo di cui oggi nel mondo tutti i cieli si rendono conto”.

1-4. I vv. richiamano gli incipit dei poemi epici classici. La tipica invocazione alle Muse dell’epos è voltata come invocazione ad Apollo, dio della poesia e, in quanto tale, capo delle Muse, di modo che la preghiera assume una forza ancora maggiore e la capacità poetica di cui viene investito il poeta diviene superiore a quella di chi è assistito soltanto dalle Muse. All’intonazione epica dei vv. concorre anche il lessico utilizzato, come, ad esempio, il sostantivo «plettro», v. 2, che, oltre a indicare figurativamente l’attività poetica richiama alla mente il plettro utilizzato dagli antichi cantori per pizzicare la lira o la cetra, e il verbo «cantarò», v. 3.

1. Tempie: “mente”. Poet. Cfr. Dante, If., 9, 12 («drizzando in vanità le vostre tempie»). Apollo: dio della poesia e delle arti e capo delle Muse, invocato in questa veste dal poeta affinché gli doni la capacità poetica.

S’ancilla: “si asservisce”. Concordanza ad sensum. L’utilizzo del verbo è iperbolico in quanto riferito ad

161

2. Prestar favore: “a favorire” (Pasquini). Tremulante: “debole”. Ant. Lett. Plettro: “arte poetica”. Metonimia.

3. Cantarò: “canterò”. Il verbo caratterizza il poeta come il cantore epico della casata dei Malatesta e, in particolare, di Malatesta, cui è dedicato questo testo. La forma in -arò è tipica del senese medievale. Cfr. Rohlfs, par. 587. Scettro: “discendenza, progenie” (TLIO). Sineddoche.

3-4. Scettro degno: enjambement.

4. Per memoria: “nel ricordo” (Pasquini). Eterno fia: “sarà eterno”. Il ricordo di Malatesta è reso eterno dall’arte poetica. Fia: “sarà”. Ant. lett.

5. Osasse: “mi azzardassi”. Ant. Cfr. Rohlfs, par. 560. Il verbo rimarca l’inferiorità del poeta sia rispetto al dio della poesia, sia rispetto a Malatesta, di cui non si sente degno di tessere le lodi. Ardirei: “mi potrei permettere” (TLIO). Sentilla: “sentimento” (TLIO). Figur.

5-6. Sentilla levar: enjambement.

6. Levar: “elevare”. Voce: “invocazione, preghiera”. Sòno: “poesia, canto”. Cfr. Rohlfs, par. 107. Divulgato sòno: “poesia nota a tutti” (Pasquini).

7. Prezïoso dono: “creatura donata dal cielo”. Il riferimento è a Malatesta Malatesta, dedicatario di questa canzone, la cui magnificenza viene introdotta sin da subito da questo sintagma che lo eleva a creatura celestiale. 8. Il v. indica l’assoluta perfezione di Malatesta, chi cui tutti nel mondo si accorgono e davanti a cui tutti si prostrano.

9-17. “Io penso anche a come la natura collocò qui fra noi mortali una perfezione tanto grande e una sapienza e una conoscenza (tali) in anni giovanili. Io so bene che sotto la sua protezione volle scegliere una creatura così eccellente che esprimere del tutto (la sua eccellenza) sarebbe difficile per Virgilio e ugualmente per Omero; ma dal momento che io riporto la verità, qui Urania acquisisca uno stile più elevato e ascolti la mia poesia, dal momento che il nostro canto sarà degno di lode!”.

9. Pur: “anche”. Natura: la forza generatrice di tutte le cose, quindi, estens., Dio. La perfezione di Malatesta è un dono di Dio, come si è già detto (cfr. «prezïoso dono», v. 7). Porse: “collocò, mise”.

10-11. I vv. presentano il topos, già classico e poi divenuto proprio delle agiografie, del puer senilis (per cui a un bambino si attribuiscono qualità, virtù e maturità proprie di persona adulta), per dimostrare come le qualità che normalmente si acquisiscono con la crescita («eccellenza», «sapienza», «scire») sono possedute invece da Malatesta sin dalla nascita, dal momento che, come si è detto nel v. precedente, sono direttamente infuse in lui dalla volontà divina. Eccellenza… e scire: tmesi.

10. Eccellenza: “perfezione”. Fra noi mortali: la grandezza di Malatesta acquista un’importanza ancora maggiore dal momento che si trova in un contesto, quello umano, in cui a predominare è l’imperfezione per natura propria degli uomini, che infatti qui sono denominati come «mortali», ovvero utilizzando il sinonimo che più è teso a denotarne le qualità negative in un contesto commiserativo (GDLI, s.v. “mortale”).

11. Teneri anni: “anni giovanili”. Il sintagma, divenuto poi uno dei più comuni per denotare l’età giovanile, è di matrice boccacciana, Filocolo, 2. 47 («i quali io già ne’ miei teneri anni debitamente cultivai»; 3. 4: «ne’ teneri anni della mia puerizia»; 5. 92: «e i tuoi figliuoli correggi e gastiga ne’ teneri anni»); Rime, 34, 7 («mi fa ne’ teneri anni»); Comedia, 18. 5 («e ne’ miei teneri anni a’ petti delle Muse»). Scire: “conoscenza”. Lat.

12. Sotto a le sue ali: “sotto la sua protezione”. L’espressione rimarca il concetto dell’infusione del dono della perfezione a Malatesta da parte della natura, per cui cfr. v. 7 e v. 9.

13. Eleggere: “scegliere”. Cfr. v. precedente. Sol: “creatura eccellente”. Cfr. «prezïoso dono», v. 7. Tutto

dire: “esprimere del tutto”.

14. Grave: “difficile, faticoso”. Virgilio e Omero: i due autori per eccellenza del genere epico classico, qui citati in senso iperbolico per indicare come perfino loro, cantori delle imprese dei Greci e dei Romani, non riuscirebbero a celebrare in maniera adeguata un personaggio di levatura tale come Malatesta. Quale: “ugualmente”.

15. Recogliendo: “dal momento che io riporto”. Il verbo al gerundio riprende la costruzione sintattica del latino. Cfr. Ageno, Verbo. Vero: “la verità”.

162

16. Quivi Eürania surga: cfr. Dante, Pg., 1, 90 («e qui Caliopè alquanto surga»). Eürania: Urania, musa dell’astronomia e della geometria, qui indicante genericamente la musa. Surga: “acquisire un livello più alto”, di stile e di contenuto, in poesia (TLIO). Il mio dir: “le mie parole”.

17. Quanto: “dal momento che”. Fia: “sarà”. Ant. Lett. Cfr. Rohlfs, par. 592. Canto: “poesia”. Degno in

loda: “degno di lode”.

18-23. “Io guardo, io penso, io vedo e l’anima ammira sia la magnificenza, sia la nobiltà d’animo, sia quanto (lui) sia valoroso; il ricco albergo di conoscenza, l’ingegno sublime e la lira convincente non sono forse meno degni di quella di Anfione o di Orfeo;”.

18. Io guardo… ammira: accumulazione. Veggio: “vedo”. Ant. Cfr. Rohlfs, par. 534. Spirto: “anima”. 19-20. I vv. indicano le qualità spirituali di Malatesta, che possiede tutte le virtù che deve avere il buon signore, a partire dalla nobiltà d’animo per arrivare alla generosità e nello stesso tempo alla fermezza con cui si deve rivolgere agli altri.

19. Magnificenza: “grandezza”. Cuor gentile: la nobiltà d’animo. 20. Virile: “generoso e valoroso”.

21. Scïenza: “conoscenza”. Ricco vase: “prezioso albergo”, con riferimento alla ricchezza spirituale di Malatesta.

22. Sublime ingegno: “capacità elevata”, con riferimento alle capacità intellettuali di Malatesta. Eloquente

lira: “la lira convincente”, con riferimento alle capacità poetiche e retoriche di Malatesta.

23. Il ricorso ai due personaggi del mito greco-romano ha valore iperbolico ed è atto a indicare la superiorità d’animo e poetica di Malatesta perfino su coloro che posseggono per antonomasia tali qualità.

Anfïon: Anfione, personaggio della mitologia classica noto per la nobiltà e la generosità d’animo e per le sue

qualità di musico e poeta. Orfeo: il più celebre cantore della mitologia classica.

24-29. “e Cesare e Pompeo possono giustamente gioire di avere un figlio tale, clemente, coraggioso nelle armi e nella prudenza, eccellente nei costumi, onesto, illustre, dotato di virtù, in cui è poco contrassegno il vessillo umano, benevolo, universalmente amato e gradito a tutti”.

24. Cesare e Pompeo: due dei personaggi più illustri della storia romana, utilizzati qui assolutisticamente in quarto possessori delle virtù dell’antica Roma.

25. Glorïarsi: “gioire”. Tal figlio: Malatesta viene indicato come discendente degli antichi Romani e, in quanto ciò, come erede delle qualità romane.

26-29. Accumulazione. I vv. elencano tutte le qualità positive possedute da Malatesta, in grado di assommare in sé tutte le doti spirituali, intellettuali, caratteriali, politiche e militari che deve avere il buon signore, di modo che, grazie a esse, riesce a essere amato da tutti i suoi soggetti.

26. Clemente: “misericordioso”. Si tratta di una delle qualità che deve possedere ogni buon cristiano e, soprattutto, ogni buon signore, il quale deve sapersi dimostrare clemente verso i propri sudditi. Ardito in arme

e in consiglio: “baldanzoso nelle armi e nella prudenza”, ovvero dotato, così come dovrebbe essere ogni

sovrano, di capacità sia militari, sia politiche. Arme: l’utilizzo della -e finale per il plurale è tipico di alcune varietà dell’Italia centrale. Cfr. Rohlfs, par. 142.

27. Fior di costumi: “eccellente nei costumi, nei modi”. Fior: “l’elemento migliore” (TLIO). Illustre: l’aggettivo indica sia la magnificenza di Malatesta come persona, sia la grandezza della sua stirpe. Ornato: “dotato di virtù”.

28. Dove… pennello: “in cui sarebbe un contrassegno riduttivo il vessillo umano”, ossia “che sarebbe riduttivo definire umano”. La perifrasi riprende il concetto secondo cui Malatesta è una creatura direttamente ispirata da Dio già espresso ai vv. 7, 9 e 12-13.

29. Universale: “universalmente amato” (Pasquini). Tutto grato: “gradito a tutti”.

30-34. “ Né Traiano può compiacersi meno di lui, giusto sostenitore di Dio e della conoscenza; ed è questa sapienza che farà regnare, se io giudico bene, la tua persona da vivo e la tua anima nel regno eterno”.

30. Traiano: imperatore romano considerato dagli storici antichi come optimus princeps, ossia il più grande fra gli imperatori. La scelta proprio di colui che, fra tutti, sembra essere il migliore degli imperatori

163

romani non è casuale ed è tesa a rimarcare l’assoluta perfezione di Malatesta, che si pone quindi come ideale successore di Traiano. Sullevarsi: “compiacersi, confortarsi” (Pasquini). Ello: Malatesta.

31. Iusto: “giusto, perfetto”. Lat. Amator: “sostenitore” (TLIO). Di Dio e di scïenza: ovvero della teologia e delle conoscenze umane.

32. Cognoscenza: il termine indica sia la perfezione intellettuale che si manifesta tramite la conoscenza, sia, dal punto di vista teologico, uno dei sette doni dello Spirito Santo ed è qui scelto da Serdini in quanto in grado di esprimere il concetto di compresenza in Malatesta della conoscenza «di Dio e di scïenza» già citato al v. precedente.

33. Ti: l’allocuzione a Malatesta costituisce un cambiamento di prospettiva nel discorso, che da narrazione encomiastica delle virtù del condottiero diviene un vero e proprio discorso a lui diretto. Discerno: “giudico”.

34. Nome: “la tua persona”, estens. Alma: “l’anima”. Ant. lett. Al regno eterno: “da morto”.

35-38. “O splendore, o costanza, o aspetto celeste, o illustre grandezza del cielo, sono attratto così tanto dalla tua virtù che quanto più mi invaghisco, tanto più mi infiammo e la mia anima trema di sacro rispetto”.

35-36. O chiarità… ciel: accumulazione.

35. Il v. elenca in forma di allocuzione altre qualità di Malatesta, le quali vanno ad assommarsi alle lodi già espresse ai vv. 18-22. Chiarità: “splendore”. Ant. Olimpo: “celeste, divino”.

36-39. I vv. utilizzano, per celebrare Malatesta, un lessico tipico della poesia d’amore («invesco», «adesco», «m’infiammo»), di modo che il discorso diviene quasi una dichiarazione amorosa platonica del cortigiano Serdini verso il proprio signore.

36. Sì invesco… di tua virtù: tmesi.

36. Inclita maiestà de’ ciel: “illustre grandezza del cielo”, con riferimento al favore divino di cui gode Malatesta sin dal momento della sua nascita. Invesco: “sono attratto, sono irretito”. Il verbo, tipicamente utilizzato nella poesia amorosa, viene adoperato per la prima volta in un contesto differente da Dante, Pd, 17, 32 («già s’inviscava pria che fosse anciso»).

37. M’adesco: “mi invaghisco”.

38. Spirto: “anima”. Ant. lett. Cfr. Rohlfs, par. 138. Orresce: “trema di sacro rispetto” (Pasquini). Lat. 39-42. “O sole benevolo, o creatura celeste, in che cosa poté mai natura peccare verso di te? Certo in nient’altro, pare, (se non) che nel rendere mortale questo corpo cosi glorioso!”.

39. Sol tranquillo: “benevola creatura eccellente”. Celico concetto: “creatura celeste”. Cfr. «prezïoso dono», v. 7.

40-42. I vv. ribadiscono la perfezione assoluta di Malatesta, nel quale la natura sembra non aver posto nessun difetto se non quello di averlo reso mortale al pari degli altri uomini anche se lui possiede doti che, per la loro grandezza, lo rendono più simile a una creatura divina che non a un essere umano.

42. Glorïose membra: il sintagma si trova anche in Saviozzo, 12, 54 («trovate allor sue glorïose membra»). 43-51. “E se quel sacro fonte s’aduna in te, dalla città datasi al vile guadagno ottuso, spera di attingere la gloria poetica, le ispirazioni e la voluttà segreta dell’arte; e così come il fuoco purifica e rende prezioso l’oro, signor mio Malatesta, il tuo cuore onesto mi sembra che splenda del complesso delle tue virtù accertate in te: fai in modo che ti sia concesso un regno e che tu non sia solo principe o duca!”.

43. Sacro fonte: il sintagma è tipicamente utilizzato per definire il fonte battesimale, rimandando quindi in questo caso all’ispirazione divina che governa Malatesta, ma può anche essere un rimando, qui, al fonte del monte Elicona da cui ha origine l’ispirazione poetica, soprattutto se si prendono in considerazione i vv. successivi, nei quali si predice a Malatesta la gloria poetica. In te rassembra: “s’aduna in te”.

44. Il v. rimarca ancora di più la superiorità di Malatesta rispetto agli altri uomini mettendo in luce la corruzione che alberga nella città di Malatesta, dedita soltanto al guadagno materiale, la quale è agli antipodi rispetto alla ricchezza morale e spirituale del condottiero. L’urbe: Pesaro. Vil guadagno: il sintagma è ripreso da Petrarca, Rvf, 7, 11 («dice la turba al vil guadagno intesa»).

164

45-46. I vv. fanno riferimento alla capacità poetica di Malatesta e alla gloria che riceverà per via della propria arte. Le verde… rinchiuso: “spera di attingere la gloria poetica, le ispirazioni e la voluttà segreta dell’arte” (Pasquini).

45. Verde fronde: le fronde del lauro, simbolo della gloria poetica. Metonimia. Verde: l’utilizzo della -e finale per il plurale è tipico di alcune varietà dell’Italia centrale. Cfr. Rohlfs, par. 142.

46. Rassumer: “attingere”.

47-50. I vv. sono costruiti su una similitudine atta a dimostrare lo splendore di Malatesta derivato dalle sue virtù attraverso il confronto con l’oro purificato dal contatto con il fuoco. La similitudine dell’oro raffinato dal fuoco, è utilizzata anche altrove da Saviozzo, 31, 7-8 («miseria prova i forti e poi li scolpa / come foco fa l’oro e poi il delibra»).

47. Foco: ant. lett. Cfr. Rohlfs, par. 107. Proba: “rende degno di lode”, in questo caso, riferendosi alla purezza dell’oro, “rende prezioso”. Lat. Purga: “purifica”. Proba e purga: dittologia.

48. Petto: “cuore, animo”. Sineddoche. Probo: “onesto, retto”. 49-50. Sol… virtù: “il complesso delle tue virtù” (Pasquini).

50. Probata: “accertata”. Il verbo riprende «proba», v. 47 e «probo», v. 48. Reluca: “splenda”. Il verbo è scelto perché richiama alla mente una delle qualità dell’oro, rendendo più efficace l’accostamento del condottiero al metallo prezioso.

51. Corona: “regno”. Metonimia. Impetra: “fai in modo che ti sia concesso” (GDLI). Lett. Non solo prenze o duca: l’espressione indica iperbolicamente che i titoli, pur onorevoli, di principe o duca non sono sufficienti per Malatesta, per il quale, per via di tutte le virtù concentrate in lui, sarebbe più confacente il titolo di sovrano di un regno. Prince: “principe”. Ant. Franc. Prov.

52-62. “Canzone, tu andrai dai gran signori, affinché vengano a conoscenza di che cosa sia governare bene uno stato, e, (del fatto che) nel momento in cui è molto adorno di doti intellettuali, chi si nutre di virtù non può fallire; perché molto vediamo venire meno i doni della fortuna e le sue vanità: ahi, in quanta sofferenza si risveglia lo sprovveduto che perde la propria stabilità! Perciò cerchi di sapere quanto maggior signor, s’armi in virtute, e questo sarà la sua salvezza perpetua!”.

52. Canzon: avvio tipico del congedo, con vocativo rivolto al testo stesso. Girai: “andrai”. Ant. lett. 53. Sappin: “vengano a conoscenza”. Ben che sia reggere stato: la funzione del testo, encomiastico, è quella di indicare agli altri reggenti, attraverso l’esempio di Malatesta, signore perfetto, quale sia il modo giusto di amministrare uno stato. Reggere: “governare”.

54. Ben dotato: “molto adorno di doti intellettuali” (Pasquini). 55. S’empie: “si nutre”.

56-59. I vv. introducono in maniera inaspettata il tema, tipico della poesia gnomica, della fortuna e della sua effimerità, per la quale l’uomo è soggetto ai continui rovesci della sorte.

56. Perire: “venire meno”.

57. Vapori: “fumi, vanità” (Pasquini), con riferimento alla caducità dei doni della fortuna, su cui l’uomo non deve mai commettere l’errore di contare troppo.

58. Con quanti dolori: “in quanta sofferenza”.

59. Si sente: “si risveglia”. L’ignorante: “lo sprovveduto”. Così è definito colui che si affida completamente alla fortuna, tralasciando di perseguire la virtù, l’unica in grado di sostenere l’uomo in qualsiasi momento e indipendentemente dal fato.

60. Però: “perciò”.

61. S’armi in virtute: cfr. v. 59.

62. Ciò: la virtù. Perpetüal salute: “salvezza perpetua”. Il sintagma richiama la sfera della moralità e della religiosità. Cfr. Simone da Cascina, Colloquio spirituale, 2. 9 («pane santo e calice di salute perpetua»).

165

SERVENTESE 8 (P. XXIV)

Serventese di argomento amoroso scritto su richiesta di Pandolfo Malatesta, in persona del quale si raccontano le vicende d’amore che lo vedono protagonista. Per quanto riguarda la datazione, il componimento è assai probabilmente risalente al biennio in cui Serdini si trova al soldo dei Malatesta, tra il 1402 ca-1403- 1404 ca., ma non vi sono elementi in grado di stabilire una data meno generica. Il testo presenta molte caratteristiche tipiche della forma serventese, a cominciare dal carattere narrativo proprio di questo metro, di modo che il componimento si configura come una vera e propria narrazione della storia d’amore di Pandolfo entro la quale sono contenute, incluse entro una più ampia cornice narrativa, le tematiche ricorrenti della poesia amorosa medievale, a partire dal motivo dell’innamoramento, per arrivare alla lode dell’amata e alla descrizione degli effetti benefici e totalizzanti di Amore sul cuore e sull’animo dell’innamorato. Anche il linguaggio rispecchia questa ambivalente natura del testo, cosicché se, da un lato, si privilegia, in primo luogo dal punto di vista sintattico, uno svolgimento essenzialmente narrativo, dall’altro compaiono molti sintagmi e stilemi tipici della lirica amorosa due-trecentesca (la definizione di Amore come arciere che “punge” o “trafigge”, “accende” o “infiamma” il cuore dell’amante, la classificazione degli occhi della donna come “lumi”, “luci”, o “raggi” splendenti, l’attenzione riposta sul suo “bel viso” e sui suoi costumi “leggiadri” e “onesti”, solo per fare qualche esempio). Sul versante dell’intertestualità, il serventese fa riferimento all’esperienza di Dante (anche se le riprese principali non provengono dal Dante delle Rime o della Vita Nuova, ma da quello della Commedia), di Boccaccio (prevalentemente dal Filostrato e delle Rime) e, soprattutto, del Petrarca dei Rvf.

Serventese in forma di capitolo quadernario. Schema metrico: ABbA ACcD DEeF FGgH...

Capitolo fatto a petizione de l'inclito signor messer Pandolfo di certi novi casi d'amore che gli