1-9. “Sacro e leggiadro fiume, ponte decorato di gemme preziose e bello, dove vidi amore parlare con il sole, dolce e benevola immagine dalla quale uscì lo splendido e benedetto lume che ormai mi ha infiammato come vuole Amore; o beate parole, che sono in terra esempio di lingua immortale provenienti da un’altra cetra assai più degna di quella di Orfeo;”.
1. Sacro e leggiadro fiume: l’Arno, sul quale sorge il ponte (v. 2) sul quale sosta la donna amata. L’espressione riecheggia la definizione che Dante dà del fiume Eunoè, Pg., 31, 1 («O tu che se’ di là dal fiume sacro») con l’aggiunta dell’aggettivo “leggiadro”, tipico della poesia d’amore.
2. Ponte: Ponte Vecchio a Pisa (oggi detto Ponte di Mezzo), dove Gian Colonna vede sostare la sua amata. L’incipit definisce il luogo in cui avviene l’azione narrata nella canzone in maniera sintetica ed efficace, procedendo dal generale (il fiume Arno) al particolare (il tratto sul quale sorge il Ponte Vecchio). Di gemme
intarsïato e vago: dettaglio non realistico, che contribuisce a connotare in senso fiabesco la vicenda narrata e
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3. Ragionar: parlare. Il verbo indica che Amore e Sole si intrattengono a parlare e, a norma della didascalia, pare opportuno interpretare che le due entità si trovano assieme negli occhi della donna: la prima (Amore) perché connotato della sua bellezza, il secondo (Sole) perché ivi riflesso.
4. Imago: “parvenza, apparenza”. Lat. Indica l’aspetto della donna al suo apparire, descritto al v. precedente. Dolce e benigna: la coppia di aggettivi ruota attorno al secondo, che attribuisce alla donna amata un attributo tipico della divinità (la benignità è caratteristica della Vergine Maria) contribuendo a connotare in senso sacrale la scena amorosa e, dunque, dialogando a distanza con l’aggettivo “sacro” del v. 1.
5. Donde: dagli occhi, su cui si focalizza il v. 3. Il tema dell’innamoramento che passa dagli occhi della donna è topico della casistica amorosa medievale. Chiaro e benedetto lume: gli occhi della donna, che risplendono di una luce divina. Il sintagma unisce distinti, ma complementari, attributi e sintagmi petrarcheschi, dall’utilizzo del termine “lume” per definire lo splendore degli occhi della donna amata, Rvf, 11, 14 («de’ be’ vostr’ occhi il dolce lume adombra»); 12, 4 («donna, de’ be’ vostr’ occhi il lume spento», ecc.) al sintagma “chiaro lume”, Rvf, 142, 21 («e scorto d’un soave et chiaro lume»); 181, 9 («e ‘l chiaro lume che sparir fa ‘l sole»). Inoltre, l’aggettivo “benedetto” contribuisce, ancora una volta, alla connotazione sacrale della scena amorosa e dell’amata già dettata dai vv. 1 e 4. In questo senso, l’accostamento dell’aggettivo “benedetto” e del sostantivo “lume” riecheggia la definizione che Dante dà di San Tommaso, Pd., 12, 2 («la benedetta fiamma per dir tolse»).
6. Infiamma: verbo tipico della poesia d’amore. Figur. Il v. costituisce una scena tipica della poesia d’amore, quella di Amore che infiamma il cuore dell’amante, il quale non può fare altro che sottomettersi al dio Eros.
7. Beate parole: le parole della donna. Il sintagma è originale di Serdini, ma, anche in questo caso, l’aggettivo “beate” è utilizzato per conferire, insieme agli altri elementi dei vv. precedenti, un’aura di sacralità alla figura dell’amata, sempre più definita nel senso della “donna angelicata” dello Stilnovo.
7-8. Beate parole, ch’è di lingua immortale essemplo in terra: constructio ad sensum.
8. Lingua immortale: le parole della donna amata, che trascendono la mondanità, acquistando una vita eterna. L’aggettivo “immortale” è, anch’esso, afferente alla sfera della sacralità e della religiosità, contribuendo sempre di più alla creazione di un ritratto a tutto tondo dell’amata come creatura divinizzata. Essemplo: “esempio”. Lat. Essemplo in terra: l’idea che la perfezione della donna amata sia tanta e tale da tradursi in dimostrazione ai mortali di una dimensione ultraterrena o, meglio, divina è dantesca (cfr. Vita nova, 17, vv. 7- 8).
9. Orfeo: il più celebre cantore d’amore della mitologia classica. L’allusione ha valore iperbolico nel dichiarare la bellezza della donna, descritta ai vv. precedenti, degna di un canto lirico («cetra») migliore di quella del poeta tracio. Cetra: “poesia”. Metonimia.
10-16. “Fiori, erbette e viole che Apollo colse sul monte Citerone; il fronte, il principio del mio tormento d’amore è la degna onestà che mi imprigiona dentro gli occhi dove ci sono una vittoria e un regno che se il mio giudizio non sbaglia, al mondo non se ne videro mai di uguali”.
10. Fiori, erbette e vïole: tricolon. I fiori servono a connotare in senso idilliaco il luogo nel quale si muove Apollo.
11. Colse: “raccolse”. L’atto di raccogliere fiori è tipico di un’ambientazione bucolica e connotato in senso edenico in Dante (cfr. Pg 28): qui ha funzione generica di ammantare di grazia e serenità la scena, in accordo con la funzione svolta dall’elenco del v. precedente. Citareo: monte Citerone, oggi al confine tra Attica e Beozia. Il monte è mitologico: di qui il poeta Anfione avrebbe tratto, muovendole al suono del suo canto, le pietre per costruire le mura di Tebe (cfr. Dante, If., 32, 11). Sebbene il motivo delle pietre mosse dal canto di un poeta mitologico farebbe sistema con la menzione Orfeo al v. 9 (anch’egli capace di muovere le pietre col canto), è più economico pensare che qui Serdini interpreti il monte Citerone come luogo sacro a Venere sulla base della confusione, comune al Medioevo, tra monte Citerone e isola di Citera, sacra a Venere (cfr. ED, s.v.
Citerone). In questo senso, il v. raffigurerebbe il dio mitologico della poesia nell’atto di raccogliere ameni fiori
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riferimento a poeti mitologici in rapporto a una materia amorosa che è la stessa con cui Serdini si confronta in questa canzone. Interpretando l’atto di cogliere fiori di Apollo come il trarre ispirazione per un canto d’amore direttamente da un luogo sacro a Venere, pare possibile interpretare il riferimento al dio della poesia come esplicazione della cetra più degna di quella di Orfeo richiamata al v. 9: per descrivere le bellezze dell’amata servirebbe la stessa capacità poetica di Apollo direttamente ispirato da Venere.
12. Fronte: “parte anteriore, prima fila di un esercito” (TLIO). Tecnicismo tipico del lessico militare qui adoperato per iniziare una metafora guerresca dell’amore. Principio: “origine”. Nostra guerra: “innamoramento, tormento amoroso”. La metafora dell’innamoramento come guerra è tipica della poesia amorosa due-trecentesca, in particolare dell’immaginario petrarchesco, dove trova un’amplissima diffusione nei Rvf. Nostra: “mia”, con utilizzo del plurale maiestatis. Principio della nostra guerra: cfr. Petrarca, Rvf, 127, 33 («di ch’era nel principio de mia guerra»), anche se nei Rvf il termine “principio” è usato con l’accezione di “inizio”.
13. Degna onestà: l’onestà è uno dei tratti principali della donna amata nella poesia amorosa medievale. Mi
serra: “mi imprigiona”. Tecnicismo del lessico militare. Cfr. v. precedente.
14. Dentro dagli: “dentro agli”. Occhi: sono lo stesso organo dal quale è uscito il lume d’Amore causa dell’innamoramento (cfr. vv. 5-6) a tener prigioniero l’innamorato. Ov’è: “dove ci sono”. Concordanza ad
sensum. Triunfo: “vittoria”. Lat. Impero: “regno”. Triunfo e impero: dittologia. I due termini proseguono la
metafora militare iniziata al v. 12. 15. Ver: “giudizio” (Pasquini).
16. Nostro emispero: “il nostro mondo”. Sineddoche, legittimata dal fatto che secondo la geografia medievale solo un emisfero era abitato. Il verso ha valore iperbolico e serve a connotare in tal senso la forza del legame creato con l’innamoramento.
17-25. “Retto e nobile sangue, fortunata casa e gloriosa contrada dove si posa l’onorevole treccia! Quale potere o quale arte consentì di far nascere in una città tanto ingrata e tanto vile una bellezza simile? Priva di nobiltà, benché fosse un tempo degna di imprese così grandi che ora parlarne è a sua maggior onta!”.
17. Dritto: “retto”. Sangue: metonimia. La celebrazione si allarga a comprendere l’intera stirpe della donna amata. Gentile: “nobile”.
18. Felice albergo: “casa fortunata”. “Fortunata” in quanto ospita l’amata. Glorïosa parte: “gloriosa contrada” (GDLI). La celebrazione dell’amata si allarga a climax e investe, nell’ordine, la sua famiglia, la sua casa e, ora il quartiere dove questa è ubicata.
19. Trezza: “treccia”. Sineddoche per indicare la donna, che fa leva su di un’attenzione per i capelli di lei legittimata dalla poesia petrarchesca.
20. Potenza: “potere”. Potenza e arte: dittologia.
21. Città: Pisa. Tanto ingrata e tanto vile: gli aggettivi dalla forte accezione negativa servono a connotare in tal senso la città di Pisa. Serdini sfrutta qui un motivo antimunicipale tipico della cultura, non solo poetica, toscana, legittimato da Dante (cfr. If., 33, 79-84) ma qui fruito allo scopo di creare un contrasto tra la negatività della città e la positività non solo della donna amata ma anche del suo casato e dei suoi possedimenti funzionale a farne iperbolicamente spiccare le qualità positive.
22. Simile bellezza: la bellezza dell’amata, che si pone in opposizione con la negatività della città di Pisa da cui essa proviene di cui si è detto nei vv. precedenti.
23. Priva di gentilezza: Pisa, città priva di qualsiasi nobiltà o virtù. Si continua qui la connotazione in senso negativo della città toscana iniziato ai vv. 20-21.
24. Già fusse: “un tempo”. Tant’alta impresa: “imprese tanto grandi”. Il v. mette in atto un topos, quello della decadenza del presente, assai adoperato nella poesia medievale, soprattutto, ma non solo, in ambito politico. 25. Più sua vergogna: “sua maggiore onta”. Il v. continua la topica della decadenza del presente («ora») a fronte della gloria del passato («già fusse»).
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26-32. “Una piacevolezza inaudita in un cuore puro è tanto più da stimare quanto più è in lotta con il suo contrario; luce discesa dal cielo, a dimostrare quanto il suo candido volto mi abbia acceso la voglia d’amore, forse la invidia molto il nostro cielo”.
26. Nova: “inaudita”. Lat. Cfr. Rohlfs, par. 107.
26-27. Nova piacevolezza in puro cor: i due attributi servono a rimarcare ancora una volta le qualità positive dell’amata, che sono sia di tipo estetico (la sua bellezza è enorme e inaudita), sia di tipo morale (il suo animo è puro e innocente).
27. Puro cor: il sintagma è adoperato nella poesia medievale con accezione morale, per definire la purezza con cui l’uomo deve avvicinarsi alla virtù oppure alla religione. Per l’utilizzo del sintagma per definire le virtù della donna amata cfr. Petrarca, Rvf, 215, 2 («et in alto intellecto un puro core»). Cor: cfr. Rohlfs, par. 107.
Pregiare: “stimare” (Pasquini).
28. Da suo contrario: il contesto nella quale una donna di tanto grandi e nobili virtù si muove, il quale, come si è visto ai vv. 20-25, è assai negativamente connotato. Contesa: “è in lotta, è in contrapposizione” (TLIO). 29-31. La scena riprende quella del sonetto dantesco (Vita nova, 17, 7-8: «e par che sia una cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare»), con la differenza che Beatrice rappresenta la perfezione che emana da lei stessa, mentre Serdini pone l’accento sulla capacità della donna di accendere d’amore il cuore dell’amante. 29. Luce dal ciel discesa: la donna amata. L’appellativo di «luce» riprende quello di «chiaro e benedetto lume» del v. 5. Si richiama qui a distanza la connotazione in senso sacrale della donna e del suo contesto di appartenenza della prima strofa.
30. Mostrar: “dimostrare”. Candido fronte: “candido volto”. Cfr. Boccaccio, Comedia, 9. 2 («sotto quella, ampia, piana e candida fronte mostrare»); 12. 3 («libera lascia la candida fronte mirare ad Ameto»).
31. N’abbi: “mi abbia”. La voglia: la voglia d’amore. Accesa: il verbo “accendere”, così come “infiammare” (v. 6) è assai adoperato nella poesia d’amore per indicare la scintilla, il fuoco d’amore che fanno divampare il cuore dell’amante.
32. La invidia: “prova invidia per la donna”. La donna amata, definita una luce scesa dal cielo al v. 29, viene invidiata dal cielo proprio per via della sua luminosità, qui implicitamente dichiarata superiore a quella del sole. Orizzonte: “cielo”. Sineddoche.
33-38. “Lucenti rubini e perle, rose rosse e bianche recise dalle spine, mille bei fiori sbocciati in un bel viso, fronde pallide e languide di un mite lauro, che a vederle ci mostrano quale sia l’aspetto del paradiso;”. 33. Tersi: “lucenti”. Rubini e perle: le due pietre preziose, l’una di colore rosso e l’altra di colore bianco, danno l’avvio a una scena costruita tutta su queste due tonalita, come si può vedere nei vv. successivi. Perle: il colorito color perla della donna amata è ripresa dantesca, Vita nova, 10, 47 («Color di perle à quasi»). 34. Colte di spin: “recise dalle spine”. Vermeglie e bianche: i due colori delle rose riprendono quelli delle gemme preziose del v. precedente.
35. Vaghi: “belli”. Fioretti: “fiori appena sbocciati”. Il termine è qui usato metaforicamente per indicare il colorito roseo e fresco del volto dell’amata. Bel viso: il sintagma è usato sistematicamente da Petrarca per definire il volto dell’amata. Ma si tratta di un sintagma già adoperato, anche se in maniera assai meno sistematica, dai rimatori della scuola siciliana e dagli stilnovisti.
36. Pallide: “molto chiare”. L’aggettivo continua la caratterizzazione della figura dell’amata sulle tonalità chiare. Stanche: “languide, molli” (Pasquini).
37. Lauro: è la pianta-senhal del Canzoniere petrarchesco, dove è spesso usata per indicare Laura. L’originalità di Serdini rispetto al modello risiede nella colorazione attribuita al lauro, che in Petrarca è sempre definito come “verde lauro” oppure “vivo lauro”, mentre qui, di contro, è “pallido” e “stanco”.
38. Sembiante: “l’aspetto, la parvenza”. L’idea che la bellezza della donna amata traduca in Terra un’ombra della bellezza del Paradiso ha origine in Dante, Conv., 3, canzone 2, 55-56 («Cose appariscon ne lo suo aspetto, / che mostran de’ piacer del Paradiso»), ma ha ampia diffusione (cfr. v. 42). In Serdini tale tema è sviluppato in riferimento al topos del Paradiso-città/giardino in cui questo regno viene descritto come splendidamente adorno di pietre e fiori, largamente diffuso nel Medioevo: in tal senso si spiegano i riferimenti ai fiori e alle
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gemme che ornano il volto dell’amata. Il motivo ha funzione iperbolica, paragonando le bellezze dell’amata a quelle del Paradiso, presentandola come capace di dare agli uomini un’idea di come sia quel regno di cui essi non hanno diretta esperienza.
39-44. “uno sguardo dolce e intento capace di far muovere i sassi e invertire il corso delle acque, e rendere molle la pietra più dura di tutte; un sorriso angelico, che scaccia e dissipa ogni nebbia ed è inevitabile che ogni nube in esso si dissolva”.
39. Mirar dolce e fiso: cfr. Saviozzo, 65, 13 («quel mirar dolce e fiso»).
40. Movere: lat. Volger: “invertire il corso”. I due effetti dello sguardo della donna sulla natura («movere i sassi» e «volger l’acque») riprendono le capacità della poesia di Orfeo (menzionato al v. 5). Allo sguardo della donna vengono riferiti simili attributi per enfartizzarne in senso iperbolico la bellezza.
41. Cfr. v. precedente.
42. Angelico riso: “sorriso angelico”. Cfr. Petrarca, Rvf, 292, 6 («e ‘l lampeggiar de l’angelico riso»). Il riferimento petrarchesco è reso ancor più pregnante dal fatto che in questo sonetto Petrarca sfrutta, proprio in connessione a questo sintagma, il topos della bellezza femminile come ombra del Paradiso, Rvf, 292, 7: («che solean fare in terra un paradiso»).
43. Anche il sorriso della donna ha, come lo sguardo, la capacità di modificare la natura (cfr. v. 40). Tolle: “dissipa”. Discaccia e tolle: dittologia. In questo caso, a differenza dagli effetti descritti ai vv. precedenti, la bellezza della donna amata non ha effetti soprannaturali, ma opera come il sole, dissipando le nebbie: in questo senso Serdini sviluppa i riferimenti alla luce per descrivere la bellezza della donna, presenti nei vv. precedenti, in accordo con il topos tardogotico della donna-Sole (cfr. Lanza, Letteratura tardogotica, p. 576).
44. Cfr. v. precedente. Convien: “è inevitabile” (TLIO).
45-48. “Io penso a quanto dovette piacere al cielo, che tanto lo rende sublime per virtù, di modo che probabilmente non nacque mai un cuore così nobile in questa parte di mondo”.
46. Il: il cuore. Sublima: “rende elevato, innalza fino a renderlo sublime”.
48. Gentil cor: sintagma largamente adoperato nella lirica amorosa, dallo Stilnovo a Petrarca, per definire la nobiltà d’animo della donna amata. Cor: cfr. Rohlfs, par. 107. Il nostro clima: cfr. “emispero”,v. 16.
49-60. “Benedico quello spirito eccelso, quella benignità che ha sopraffatto quella degli altri, l’aria invidiosa e qualsiasi errore, e colui che con il suo nome splendido e alto mi trafisse il cuore così intensamente; fa’, se io, dolce signore, contemplo la tua santa luce, che sia benedetta l’ora in cui io la scorsi! Ti ricordi di Amore, quando io per la prima volta mi lasciai irretire dai tuoi occhi, dove io fui servo e tu colonna e sovrana!”. 49. Pensiero: “spirito” (TLIO).
50. C’ha vinto: “che ha sopraffatto”. Altrui: “quella degli altri” (TLIO). La benignità della donna amata, nella sua perfezione, sopraffà quella di qualsiasi altra persona sulla terra.
51. Aëre: “atteggiamento, espressione” (TLIO). Errore: “viltà” (Pasquini). Il v. ribadisce la capacità della donna di vincere, grazie alla sua grazia, qualsiasi sentimento negativo esistente nel mondo.
52. Benedico: il verbo introduce il modulo delle benedizioni, tipico della poesia medievale. Il topos, di ascendenza biblica (Dn, 3, 52-90), è assai adoperato nel Trecento, in primis da Petrarca (Rvf, 13, 61, 105, 161) e Boccaccio (Filostrato, 3, ottave 83-35). Colui: Amore.
53. Del: “con”. Suo nome: il nome della donna amata. Altiero: “elevato, nobile” (TLIO). Splendido e altiero: dittologia.
54. Caldamente: l’avverbio è funzionale a definire la capacità di Amore di «infiammare» (v. 6) e «accendere» (v. 31) il cuore dell’amante. Mi trafisse: il verbo “trafiggere” è spesso adoperato per definire una delle azioni compiute da Amore, che, nell’immaginario mitologico e, da lì, in quello poetico medievale, scoccando le sue frecce trafigge il cuore dell’amante. Core: cfr. Rohlfs, par. 107.
55. Dolce signore: Amore, definito “signore” in quanto governa il cuore dell’amante. Il sintagma è adoperato frequentemente nella poesia amorosa medievale per caratterizzare Amore. Cfr. Dante, Rime, 33, 7 («e io, merzé del dolce mio signore»); Boccaccio, Rime, 70, 1 («Amor, dolce signore»).
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56. Mi specchio: “contemplo” (Pasquini). Santa luce: l’amata è definita «santa luce» emanata dal dio Amore, recuperando quindi quella connotazione religiosa e sacrale dell’amata che caratterizza i primi vv. del componimento. Cfr. «benedetto lume», v. 5.
57. Cfr. v. 52. In particolare, il v. riecheggia Petrarca, Rvf, 61, 1 («Benedetto sia 'l giorno, e 'l mese, et l'anno»); Boccaccio, Filostrato, 3, 83.1 («E benedico il tempo, l'anno e 'l mese»); Lorenzo Moschi, 5, 1-2 («Benedetta sia l'ora e la stagione / e l'anno e 'l mese e 'l dì ch'i' fu legato»).
58. Ti ricordi: allocuzione all’amata che interrompe il flusso poetico della canzone.
59. Negli occhi tuoi: negli occhi dell’amata. Torna qui il focus sugli occhi dell’amata, che caratterizzano i primi vv. della canzone. Prima: la prima volta. Trascorsi: “mi lasciai irretire” (Pasquini).
60. Il v. mette in scena un topos assai utilizzato nella casistica amorosa medievale, quello della servitù dell’amante nei confronti dell’amata-sovrana. Colonna: figur. Il termine è adoperato per indicare la saldezza e l’essenzialità della donna amata, che funge da supporto imprescindibile per la vita dell’amante. Duce: “sovrana”.
61-64. “L’alto ingegno mi induce a immaginare quanto sia elevato il sole che mi conduce: è superiore alle stelle e il cielo!”.
61. Alto ingegno: “alta capacità”, intesa come elevata capacità poetica. Il sintagma riecheggia Dante, Pd, 33, 142 («A l’alta fantasia qui mancò possa»): la ripresa è ancor più significativa dal momento che in entrambi i casi l’aggettivo “alta” serve a indicare che la capacità poetica (“ingegno”, “fantasia”) si deve misurare con una realtà paradisiaca (il Paradiso vero e proprio nel caso di Dante, una bellezza ad esso paragonabile in quello di Serdini).
62. Imaginar: lat. Il verbo si collega all’ «ingegno» del v. precedente, contribuendo a definire la creatività insita nell’attività poetica dell’amante. Levato a volo: “elevato, sollevato”.
63. Il sol: la donna amata, di cui si riprende qui la caratterizzazione secondo il topos tardo-gotico della donna- Sole. Cfr. v. 43.
64. Vince: “è superiore”. L’uno e l’altro polo: “il cielo” (Pasquini).
65-70. “Siano benedetti ancora altre mille volte i passi e quei sospiri che già uscirono così ampiamente dal petto! Benedetti i desideri e la speranza in cui io ebbi fede costantemente, e le lacrime mie con tanto effetto!”. 65. Cfr. v. 52. Cfr. in particolare, per i vv. 65-70, Petrarca, Rvf, 61, 11 («e i sospiri, et le lagrime, e ‘l desio») e Boccaccio, Filostrato, 3, 84. 1 («e benedico i ferventi sospiri»); 84. 3 («e benedico i pianti e li martiri»); 84. 5 («e benedico i focosi disiri»).
66. Fiate: “volte”. Ant. lett. Suspiri: i sospiri d’amore.
67. Il v. si concentra su uno dei topoi più largamente adoperati nella poesia amorosa medievale, quello “sospirare” per amore, il quale è dovuto, insieme, sia alla gioia e all’emozione provocata dal sentimento amoroso che, nello stesso tempo, alla sofferenza prodotta da esso, il quale, spesso, non è noto all’amata, oppure non è ricambiato da essa.
68. Cfr. v. 52. Desiri: provenzalismo. Si tratta del desiderio d’amore.
69. Speranza: si tratta della speranza di essere ricambiato nell’amore per la donna. Ch’io credetti: “in cui io ebbi fede” (Pasquini).
70. Lagrime: ant. lett. Le lacrime sono un altro effetto provocato dall’amore e sono da leggersi insieme ai «sospiri» del v. 66. Con effetto: locuzione avverbiale (TLIO).
71-76. “Siano benedetti anche la terra, il fiume, il ponte, il nido e le orme dove il bel piede cammina atteggiandosi con la grazia di un pavone: e il pensiero supremo che in quella immagine candida e leggiadra ha acconsentito di pormi, benché io non ne sia degno!”.
71. Cfr. v. 52.
72. Il fiume: l’Arno, con la caratterizzazione in senso sacro del quale ha inizio il componimento. Il ponte: